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Art. 51-ter

Sospensione cautelativa delle misure alternative (1)

1. Se la persona sottoposta a misura alternativa pone in essere comportamenti suscettibili di determinarne la revoca, il magistrato di sorveglianza, nella cui giurisdizione la misura è in esecuzione, ne dà immediata comunicazione al tribunale di sorveglianza affinché decida in ordine alla prosecuzione, sostituzione o revoca della misura.

2. Nell’ipotesi di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza può disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione della misura alternativa e ordinare l’accompagnamento in istituto del trasgressore. Il provvedimento di sospensione perde efficacia se la decisione del tribunale non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti.

(1) Articolo così così sostituito dall’art. 5, comma 1, lett. b), D.Lgs. 123/2018.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 51-ter regola il solo procedimento di revoca della misura alternativa alla detenzione, cui il condannato sia stato ordinariamente ammesso dal TDS competente. La misura, definitivamente concessa, si esegue sotto la vigilanza del magistrato di sorveglianza del luogo ad essa corrispondente, e la revoca è da lui ordinata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio (art. 47, comma 11 e art. 47-ter, comma 6), ovvero se l’ammesso alla semilibertà si rivela inidoneo al trattamento (art. 51, comma 1). In tale circostanza, il magistrato di sorveglianza sopra individuato ne dispone con decreto (assunto in assenza di contraddittorio: Sez. 1, 16654/2013) la sospensione provvisoria, ordinando l’accompagnamento del trasgressore in istituto e trasmettendo gli atti al TDS della stessa sede, davanti al quale si instaura il procedimento di secondo grado (art. 51-ter); ed è in questo contesto che quest’ultima disposizione stabilisce che la sospensione perda efficacia ove la decisione collegiale non intervenga entro trenta giorni dalla ricezione degli atti; incluso quello con il quale si dà comunicazione dell’ingresso del condannato nell’istituto suddetto (Sez. 1, 6009/1995). La ritardata pronuncia determina la caducazione della sospensione, senza peraltro precludere la revoca successiva (Sez. 1, 44556/2010). Già tali ultime notazioni lasciano comprendere come la previsione del termine perentorio, nell’assolvere il ruolo di rafforzata garanzia della libertà della persona, già stabilmente inserita in un circuito espiativo extra-carcerario, sia strettamente collegata alla natura del procedimento, inteso alla revoca della misura alternativa, solo provvisoriamente sospesa, e ai tempi del procedimento medesimo, dall’ordinamento come sopra “contingentati”. Un fondamento affatto diverso è da attribuire alla caducazione del regime di arresti domiciliari “esecutivi”, regolato dall’art. 656, comma 10, c.p.p. Esso è piuttosto da correlare alla genesi cautelare della corrispondente misura. Caratteristica coessenziale all’esercizio di ogni attribuzione cautelare è la doverosità del suo costante adattamento alle necessità imposte dalla modificazione delle situazioni nel tempo. Il potere cautelare si giustifica, anche in materia penale, in relazione all’esigenza di preservare la fruttuosità dell’emananda pronuncia, sia essa ampliativa o restrittiva dell’ambito della libertà personale. Esso è inoltre strettamente calibrato sui profili inerenti alla pericolosità sociale della persona e il suo grado. È allora evidente che, se intervengono sopravvenienze che contraddicono la prognosi favorevole già posta a base del provvedimento cautelare adottato nel processo di cognizione, e sorge altresì il pericolo che il suo mantenimento metta in pericolo la sicurezza sociale, al giudice competente per la fase di esecuzione della condanna, nel frattempo divenuta irrevocabile, non può essere sottratta la possibilità di adottare provvedimenti di rigore, sino alla revoca del regime di arresti domiciliari, fatta salva la deliberazione definitiva sulla concedibilità delle misure alternative da parte dell’organo collegiale a ciò deputato. La condizione, che per l’effetto si determina, è ontologicamente diversa dalla sospensione provvisoria di una misura alternativa alla detenzione, già definitivamente delibata e concessa. Il tribunale di sorveglianza resta investito, nel primo caso, come lo era prima dell’adozione del provvedimento di rigore, della decisione se concedere o meno il beneficio penitenziario, e non procede, viceversa, come TDS, avendo già fissato udienza per la decisione sulla concessione del beneficio, senza essere tenuto al rispetto di un termine perentorio, può trovarsi nell’impossibilità di osservare quello a diversi fini stabilito dal citato art. 51-ter, se non a condizione di dover anticipare l’udienza originariamente in calendario; adempimento tuttavia non previsto da alcuna disposizione, né enucleabile dal sistema. La struttura e i ritmi del giudizio, che il TDS era chiamato a rendere già a seguito della ricezione degli atti a norma dell’art. 656, comma 10, c.p.p., non dipendono dalle sorti cui la misura ivi disciplinata vada accidentalmente incontro; né il giudizio muta in relazione a ciò, non essendo esso geneticamente, e non divenendo neppure in prosieguo, di tipo sanzionatorio. Ed è proprio la natura non sanzionatoria del procedimento che si svolge davanti al TDS, anche dopo l’eventuale venir meno del beneficio provvisorio, che impedisce - per la diversità di ratio - che possa farsi luogo, seppure in via analogica, all’applicazione dell’art. 51-ter (Sez. 1, 36090/2019).

Il provvedimento di revoca degli arresti domiciliari da parte del magistrato di sorveglianza presuppone una condizione processuale radicalmente differente da quella su cui si innesta la sospensione provvisoria della misura alternativa concessa dal tribunale di sorveglianza, disposta ex art. 51-ter co. 2, secondo il principio per il quale, in tema di esecuzione di pene detentive, nel caso in cui il condannato il quale si trovi agli arresti domiciliari, intervenuta l’irrevocabilità della sentenza, si allontani dal luogo di custodia con conseguente ripristino della detenzione carceraria, la decisione sull’eventuale concessione di misure alternative alla detenzione da parte del tribunale di sorveglianza che abbia ricevuto gli atti ex art. 656 co. 10 c.p.p. non è soggetta al termine di trenta giorni previsto dall’art. 51-ter, atteso che tale disposizione regola esclusivamente il procedimento di revoca della misura alternativa già concessa(Sez. 1, 32728/2020).

Qualora il condannato che si trovi agli arresti domiciliari al momento del passaggio in cosa giudicata della sentenza, dovendo espiare una pena anche residua nei limiti previsti dall’art. 656, comma 5, c.p.p. e non ricorrendo alcuna delle situazioni indicate ai commi 7 e 9 della stessa norma, benefici della sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi del medesimo art. 656, comma 10, c.p.p. e commetta, nelle more della decisione del TDS sulla sua richiesta di applicazione di una misura alternativa all’esecuzione in carcere, violazione delle prescrizioni inerenti agli arresti domiciliari e, in particolare, si allontani arbitrariamente dal luogo di custodia, il magistrato di sorveglianza può (non deve) sospendere l’esecuzione degli arresti a norma dell’art. 47 ter, comma 9, espressamente richiamato dall’art. 656, comma 10, ultimo periodo, c.p.p., e, in tal caso, deve immediatamente trasmettere gli atti al TDS per la decisione di competenza ex art. 51-ter; tale decisione avrà per oggetto l’ammissione o meno del condannato alla misura alternativa richiesta, ma non potrà revocare un beneficio penitenziario non ancora deliberato (Sez. 1, 40256/2012).

La revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale non è dalla legge rapportata alla pura e semplice violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, ma all’ipotesi che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di merito, ritenga che le predette violazioni costituiscano in concreto un fatto incompatibile con la prosecuzione dell’esperimento. Il relativo giudizio, pur se è rimesso alla discrezionalità del tribunale di sorveglianza, deve essere giustificato in modo esauriente. Ciò tanto più a seguito della novellazione dell’art. 51-ter, operata dall’art. 5, comma 1, lettera b), D.Lgs. 123/2018. Mediante tale intervento legislativo, la disciplina previgente è stata innovata, non solo nel senso di prevedere che il magistrato di sorveglianza possa dare impulso al procedimento destinato a valutare la revoca della misura alternativa in atto, senza necessariamente disporne la previa sospensione cautelativa, conformemente ad una prassi già seguita in molti uffici di sorveglianza; ma, ancor più incisivamente, nel senso di ampliare la gamma degli interventi consentiti in tale sede al tribunale di sorveglianza, espressamente abilitato a deliberare, se del caso, in luogo della revoca, la concessione di una diversa e più contenitiva misura alternativa, cui in precedenza l’attuale formulazione dell’art. 58-quater sarebbe potuta ostare (Sez. 1, 50386/2019).

La sospensione dei termini processuali nel periodo feriale opera, in sé, anche nel procedimento di sorveglianza, rispetto a tutti i termini connessi con l’esercizio di attività di parte (incluso, secondo il pronunciamento più recente, il termine di habeas corpus, della durata di trenta giorni, stabilito dall’art. 51-ter per la decisione sulla revoca di misura alternativa alla detenzione interinalmente sospesa, trattandosi di decisione da adottare previa celebrazione dell’udienza in contraddittorio). Anche rispetto al procedimento di sorveglianza ricorre, infatti, la ratio che informa la disciplina della sospensione feriale, che è quella di assicurare ai soggetti processuali, e anzitutto alle parti private, la concreta possibilità di un’efficace attività difensiva. La disciplina stessa è, per l’effetto, di applicazione tendenzialmente generale, mentre le deroghe devono ritenersi di stretta interpretazione, in quanto incidenti su valori costituzionalmente rilevanti (artt. 24, comma 2, e 111, comma 1, Cost.); esse, inoltre, non sono mai giustificate dalla mera condizione detentiva dell’interessato, e sono piuttosto legate, nelle ipotesi contemplate dagli artt. 2 e 2-bis della L. 742/1969, alla volontà di rinuncia dal medesimo manifestata, ovvero alla formale dichiarazione giudiziale di urgenza, o anche a tipologie espresse di atti e di procedimenti, che però non ricomprendono l’esecuzione penale (Sez. 1, 45736/2019).

Ai sensi dell’art. 50, l’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando sussistono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società. L’art. 51 prevede che il provvedimento di semilibertà possa essere revocato in ogni tempo quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento. Una specifica previsione riguarda le licenze concesse al condannato in regime di semilibertà, che possono essere revocate in caso di trasgressione agli obblighi imposti (art. 52). L’art. 51-ter permette al magistrato di sorveglianza di sospendere in via cautelativa la misura con provvedimento immediatamente esecutivo che decade se la decisione del TDS non interviene entro trenta giorni. Ai fini del giudizio di revoca del beneficio della semilibertà, assumono rilievo le condotte che, per natura, modalità di commissione ed oggetto, siano tali da arrecare grave vulnus al rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato semilibero e gli organi del trattamento, dovendosi valutare se il complessivo comportamento del condannato riveli l’inidoneità al trattamento e quindi l’esito negativo dell’esperimento. Senza dubbio, la revoca del beneficio è giustificata quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento, ma tale valutazione tendenzialmente è collegata alla violazione di qualche obbligo (non a caso, i commi successivi dell’art. 51 fanno riferimento esclusivamente a condotte assunte in violazione degli obblighi); il giudice ha l’obbligo di accertare se la violazione commessa sia tale da far ritenere che il soggetto sia inidoneo al trattamento e che, quindi, l’esperimento abbia avuto esito negativo, fornendo, in tema, motivazione (Sez. 1, 12832/2017).

Il decreto del magistrato di sorveglianza che ai sensi dell’art. 51-ter sospende provvisoriamente una misura alternativa alla detenzione non è ricorribile per cassazione, in quanto si tratta di una decisione interlocutoria avente effetti provvisori che rimangono superati dalla pronunzia definitiva in ordine ai medesimi presupposti spettante al TDS ai fini della revoca della misura (Sez. 1, 6314/2019).