Art. 54

Liberazione anticipata

1. Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare.

2. La concessione del beneficio è comunicata all’ufficio del pubblico ministero presso la corte d’appello o il tribunale che ha emesso il provvedimento di esecuzione o al pretore se tale provvedimento è stato da lui emesso.

3. La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca. (1)

4. Agli effetti del computo della misura di pena che occorre avere espiato per essere ammessi ai benefici dei permessi premio, della semilibertà e della liberazione condizionale, la parte di pena detratta ai sensi del comma 1 si considera come scontata. La presente disposizione si applica anche ai condannati all’ergastolo.

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 186/1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anziché stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.

Rassegna di giurisprudenza

Finalità dell’istituto

La liberazione anticipata disciplinata dall’art. 54, oltre che misura destinata a favorire un più efficace reinserimento nella società del detenuto premiando la sua partecipazione all’opera di rieducazione, è concepita come uno strumento idoneo a mantenere la disciplina negli istituti penitenziari, con la conseguenza che deve essere negata a chi è incorso in sanzioni disciplinari e può essere concessa al condannato che ha mantenuto un comportamento rispettoso nei confronti degli operatori penitenziari e regolari rapporti con gli altri detenuti senza incorrere in ammonizioni o sanzioni disciplinari (Sez. 1, 21302/2018).

La custodia cautelare in carcere non preclude l'ammissione alle misure alternative alla detenzione

Lo stato di custodia cautelare in carcere per causa diversa da quella relativa al titolo in esecuzione non è di per sé preclusivo della valutazione nel merito e, qualora ne ricorrano i presupposti, dell'ammissione a una misura alternativa alla detenzione, incidendo la detenzione solo sulla pratica possibilità di esecuzione della misura, che va postergata alla cessazione della misura custodiale (Sez. 1, 2562/2022).

Competenza per territorio

La competenza per territorio del magistrato o del tribunale di sorveglianza, una volta radicatasi con riferimento alla situazione esistente “all’atto della richiesta” (secondo la testuale indicazione dell’art. 677 c.p.p.) di una misura alternativa alla detenzione, rimane insensibile agli eventuali mutamenti che tale situazione può subire in virtù di successivi provvedimenti: e, ciò, anche nelle ipotesi in cui subentri, dopo la presentazione della richiesta iniziale, la rimessione in libertà del soggetto. Tale principio non muta, naturalmente, anche nell’ipotesi in cui, essendo libero il condannato, sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione, con evenienza, ex art. 656 c.p.p., della competenza del TDS del luogo in cui ha sede l’ufficio del PM che ha promosso la sospensione (Sez. 1, 53177/2014). L’esito di questo rilievo non muta, per gli effetti che la notazione determina in questa sede, per il fatto che, dopo la presentazione da parte del condannato dell’istanza di accesso a una misura alternativa alla detenzione, sopraggiungano altre istanze volte a incidere sulla medesima misura o comunque siano alla stessa connesse o collegate, giacché anche in tal caso la competenza resta ferma, in virtù del richiamato principio della perpetuatio iurisdictionis, che esige di annettere rilevanza al momento della prima richiesta di misura alternativa (Sez. 1, 4098/2020).

La competenza di tipo funzionale del magistrato di sorveglianza si appunta in capo all’organo che ha giurisdizione sull’istituto in cui il detenuto “si trova”. Si deve, tuttavia, chiarire che, ai sensi dell’art. 677, detto luogo e il relativo riferimento normativo si legano alla località in cui il detenuto è assegnato in via definitiva, salvo che costui non sia ancora destinatario di provvedimento siffatto, caso in cui di converso, indubbiamente avrebbe facoltà di adire e rivolgersi al magistrato di sorveglianza del luogo stesso. Per i casi, tuttavia, in cui il detenuto sia in transito e risulti solo temporaneamente ristretto, la competenza in generale resta attribuita al magistrato del locus custodiae definitivo e non sussistono le condizioni per provvedimenti legati a criterio di competenza itinerante nel senso che per il semplice accesso - anche di poche ore - all’istituto di pena si realizza una modifica della competenza dal magistrato di sorveglianza del luogo di assegnazione e detenzione definitiva a quella del magistrato di sorveglianza del luogo di transito (Sez. 7, 35405/2018).

Ricordato che, in caso di concorso di residenza anagrafica e di domicilio di fatto in Italia, la competenza territoriale va, comunque, radicata in base al criterio della residenza anagrafica, operando il criterio del domicilio solo in via residuale, va chiarito che, ai fini di cui all’art. 677, comma 2, la nozione di domicilio deve essere definita, ai sensi dell’art. 43 Cod. civ., come il luogo dove il soggetto ha il centro dei propri interessi, e tale non può, all’evidenza, essere considerato il luogo dove, solo ai fini del procedimento relativo alla istanza presentata, l’interessato ha eletto domicilio presso il quale ricevere comunicazioni e notificazioni del procedimento stesso. Siffatta nozione di domicilio si lascia preferire sia per ragioni di coerenza sistematica sia perché capace di assicurare la necessaria oggettività del criterio attributivo della competenza per territorio (funzionale al rispetto del principio costituzionale del giudice naturale), mentre il rilievo, a detti fini, dell’atto di elezione renderebbe la determinazione del giudice competente dipendente da una libera ed insindacabile scelta del soggetto che propone l’istanza (Sez. 1, 31346/2018).

In tema di procedimento di sorveglianza, qualora dopo la presentazione da parte del condannato dell’istanza di accesso ad una misura alternativa alla detenzione, sopraggiungano altre istanze volte ad incidere sulla medesima misura o comunque siano ad essa connesse o collegate, rimane ferma, in virtù del principio della “perpetuatio iurisdictionis”, la competenza per territorio del tribunale di sorveglianza radicatasi con riferimento alla situazione esistente al momento della prima richiesta di misura alternativa (Sez. 1, 51083/2013).

Il ricorrente, al momento di presentazione dell’istanza ex art. 35-ter, era detenuto; ed era detenuto anche al momento della decisione del magistrato di Sorveglianza così come era detenuto al momento di proposizione del reclamo al tribunale di Sorveglianza. Nelle more del procedimento di impugnazione è stato scarcerato per termine della pena. Questa circostanza ha indotto il tribunale di sorveglianza a ritenere inammissibile il reclamo poiché la richiesta iniziale di riduzione della pena era stata trasformata in richiesta di liquidazione del ristoro economico previsto dalla norma citata: ha ritenuto il giudice che fosse stato irritualmente trasformato il petitum e che la competenza a provvedere fosse ormai del tribunale civile. Tuttavia, questa Corte ha più volte espresso il principio secondo il quale presupposto necessario per radicare la competenza della magistratura di sorveglianza è lo stato di restrizione del richiedente al momento della proposizione del reclamo ex art. 35-ter Ord. pen., a nulla rilevando l’eventuale scarcerazione nelle more della decisione, trattandosi di competenza di natura funzionale (Sez. 1, 41211/2018).

La richiesta di misura alternativa alla detenzione, ai sensi dell’art. 656, comma 6, deve essere corredata, a pena di inammissibilità, anche se presentata dal difensore, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio effettuata dal condannato non detenuto. Né l’inosservanza delle formalità di cui all’art. 677, comma 2-bis, può essere superata dalla mera indicazione di residenza, che, non comportando l’inequivocabile volontà di riconoscere il proprio domicilio con la residenza dichiarata, non risulta rispettosa dei parametri di cui all’art. 677, comma 2-bis (SU, 18775/2010).

La competenza in materia di concessione di misure alternative alla detenzione, in ipotesi di condannato per il quale è stata disposta la sospensione dell’esecuzione, appartiene al tribunale di sorveglianza del luogo in cui ha sede l’ufficio del PM che ha decretato la sospensione, a norma dell’art. 656, commi 5 e 6, norme che debbono ritenersi speciali e prevalenti rispetto al disposto dell’art. 677, comma 2 (Sez. 1, 2182/2018).

Nell’escludere l’applicabilità delle regole derogatorie di competenza, stabilite dall’art. 16-nonies DL 8/1991, convertito dalla L. 82/1991, alla liberazione anticipata - pur formalmente rientrante tra le misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI Ord. pen. - richiesta dal detenuto collaboratore di giustizia, assoggettato a speciali misure di protezione, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, 43798/2015) ha da ultimo sottolineato la natura di stretta interpretazione delle regole derogatorie anzidette, correlata al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 comma 2 Cost.). Nelle materie attribuite alla magistratura di sorveglianza, la competenza a conoscere delle istanze presentate da soggetto ristretto in istituto penitenziario appartiene in via ordinaria al tribunale o al magistrato di sorveglianza avente giurisdizione sull’istituto medesimo (art. 677, comma 1). La deroga che a tale disposizione apporta, per i collaboratori di giustizia assoggettati a speciali misure di protezione, il citato art. 16-nonies - il quale riserva, al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui il collaboratore stesso ha eletto domicilio ai sensi dell’art. 12, comma 3-bis, del decreto legge (ossia del luogo sede della Commissione centrale prevista dal precedente art. 10, comma 2, che è Roma), la cognizione in tema «di liberazione condizionale, di assegnazione al lavoro all’esterno, di concessione dei permessi premio e di ammissione a taluna delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, L. 354/1975, e successive modificazioni» - trova la sua ratio giustificativa nell’esigenza funzionale di assicurare uno stretto coordinamento tra l’operato della magistratura di sorveglianza, che decide sulla concessione delle misure alternative, prevista in misura più ampia rispetto alle generalità dei detenuti, e quello degli organi amministrativi centrali preposti all’attuazione delle misure predette nei confronti del collaboratore protetto (Sez. 1, 45282/2013) e capaci altresì di recare un preventivo contributo ai fini di una più pregnante valutazione sull’attualità e sulla serietà del percorso seguito dal collaboratore (Sez. 1, 43798/2015), che costituisce il presupposto per il più ampio accesso ai benefici (la riassunzione si deve a Sez. 1, 8131/2018).

I provvedimenti in materia di rinvio dell’esecuzione della pena non sono testualmente compresi nell’ambito dell’art. 16-nonies DL 8/1991, convertito dalla L. 82/1991, e non partecipano della ratio ad esso sottesa; né sul piano funzionale, posto che, dopo la liberazione e per il tempo del differimento, nessuno specifico raccordo, di natura istituzionale ed organizzativo, è necessario mantenere tra organi della giurisdizione ed organi esecutivi; né sul piano logico-sistematico, perché i provvedimenti ex artt. 146 e 147 Cod. pen. postulano il riscontro di condizioni legittimanti (la presentazione della domanda di grazia, lo stato di gravidanza, di maternità, di salute) già in possesso dell’AG o ricavabili essenzialmente dalle relazioni degli operatori a diretto contatto con il detenuto in istituto, o dei sanitari di quest’ultimo; condizioni che comunque - così come affermato per la liberazione anticipata - non implicano previe valutazioni sul regime di collaborazione con la giustizia, e sulla sua valenza ed importanza, così da non giustificare lo spostamento di competenza ad un organo giudiziario diverso da quello altrimenti “naturale”. Né a diversa conclusione può indurre la circostanza che, nei casi di accoglimento dell’istanza di rinvio, il giudice competente possa disporre in sua vece la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter. La misura in tal caso disposta, pur annoverabile tra le misure alternative in senso lato, ha una finalità eminentemente assistenziale, potendo essa essere applicata, anche d’ufficio, al fine di contemperare le necessità del condannato, in relazione alla tutela della salute (o delle altre esigenze contemplate dagli artt. 146 e 147 c.p.) i e quelle della collettività, in relazione ai profili di sicurezza pubblica (Sez. 1, 12565//2015). Essa non richiede alcun apprezzamento, né in ordine all’importanza della collaborazione, né in ordine al ravvedimento (ed al riflesso presupposto dell’assenza di mantenuti collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva), che sono i requisiti cui, nel sistema delineato dall’art. 16-nonies citato, è ancorata la concessione delle misure, marcatamente premiali, viceversa prese in considerazione ai fini della deroga di competenza; requisiti, al tempo stesso, in rapporto ai quali riveste importanza decisiva l’apporto di conoscenza degli organi centrali di protezione, e in questo quadro, trova senso l’istituito stretto collegamento tra la sede di tali organi e la competenza giudiziaria. Deve essere pertanto conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: “In tema di rinvio, necessario o facoltativo dell’esecuzione della pena, la competenza a provvedere sull’istanza del soggetto detenuto, collaboratore di giustizia, appartiene al magistrato o al tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, quand’anche l’interessato richieda, o il giudice ritenga comunque di applicare, la detenzione domiciliare in luogo del differimento, non operando la regola di cui all’art. 16-nonies, comma 8, DL 8/1991, convertito dalla L. 82/1991, che prevede la competenza territoriale esclusiva del giudice di sorveglianza di Roma” (Sez. 1, 8131/2018).

Competenza per le istanze presentate da collaboratori di giustizia

Dispone l’art. 16-noníes, comma 8, DL 8/1991: «Quando i provvedimenti di liberazione condizionale, di assegnazione al lavoro all’esterno, di concessione dei permessi premio e di ammissione a taluna delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono adottati nei confronti di persona sottoposta a speciali misure di protezione, la competenza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui la persona medesima ha eletto il domicilio a norma dell’articolo 12, comma 3-bis, del presente decreto». In questa cornice, deve rilevarsi che l’indicato art. 16-nonies, nel richiamare espressamente l’applicazione delle «misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni [...]», ai fini dell’individuazione della competenza della magistratura di sorveglianza, non consente alcuna distinzione fondata sulla natura trattamentale del beneficio penitenziario invocato, introducendo una deroga alle regole generali stabilite dall’art. 677, comma 1, c.p.p. dalla quale deriva la competenza funzionale della magistratura di sorveglianza di Roma. 3 Sulla base di queste considerazioni, la competenza generale della magistratura di sorveglianza di Roma per i collaboratori di giustizia deve considerarsi come la conseguenza di un’attribuzione di natura funzionale, che costituisce un’eccezione alle regole generali stabilite dall’art. 677, comma 1, c.p.p. e non è derogabile (Sez. 1, 4930/2020).

Autonomia della valutazione del magistrato di sorveglianza

Ai fini della concessione della liberazione anticipata, la valutazione del magistrato di sorveglianza in ordine al presupposto della partecipazione dell’istante all’opera di rieducazione, in caso di condotte di rilievo penale tenute dal detenuto nel corso dell’esecuzione della pena, costituisce oggetto di un apprezzamento autonomo rispetto alla differente valutazione di tale condotte da parte del giudice della cognizione, con l’unico limite dell’accertamento dell’insussistenza del fatto o della sua mancata commissione da parte dell’istante (Sez. 1, 2380/2019).

Valutazione del periodo trascorso in custodia cautelare

È testualmente stabilito dall’art. 54, comma 1, che, ai fini della concessione della liberazione anticipata, è valutato anche il periodo trascorso in custodia cautelare e in detenzione domiciliare. L’esegesi della norma, come sostituita dalla L. 663/1986, ha sancito l’equiparazione a tal fine degli arresti domiciliari, specificandosi, per quest’ultimo ambito, che la mancanza del trattamento rieducativo svolto in istituto e la correlativa partecipazione ad esso del detenuto determinano l’assunzione di rilevanza decisiva della valutazione della condotta del detenuto sotto il profilo del modo con cui egli ha saputo trarre profitto dai margini di libertà offertigli, peraltro non esaurendosi - questo parametro di valutazione - nel controllo del rispetto delle prescrizioni imposte, ma investendo l’esame del comportamento complessivo del soggetto, in modo da trarre da esso quegli elementi positivi che, aggiunti alla constatazione della condotta regolare, indichino un’evoluzione positiva della personalità mediante l’abbandono delle precedenti scelte devianti e l’accettazione di modelli di vita socialmente corretti (Sez. 1, 3275/2020).

Ai fini della liberazione anticipata, va valutato anche il periodo della custodia cautelare, una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna conclusiva del processo in relazione al quale la custodia cautelare è stata presofferta, giacché in tal caso la custodia preventiva, anche nella forma degli arresti domiciliari, è considerata come periodo di espiazione della pena al momento in cui la sentenza diventa irrevocabile, mentre la valutazione della partecipazione all’opera di rieducazione per tale periodo, in difetto di osservazione scientifica della personalità e del trattamento rieducativo, deve essere effettuata in relazione alla condotta tenuta, all’osservanza degli obblighi e all’espletamento dell’attività lavorativa, se consentita. È, dunque, manifestamente infondato il rilievo secondo il quale, ai fini della concessione della liberazione anticipata, non può essere considerato come periodo di espiazione della pena quello trascorso in custodia cautelare, anche alla luce della contraria esplicita previsione normativa di cui all’art. 54, comma 1, ultima parte, ("A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare"). Va, poi, rammentato il principio secondo il quale, in sede di giudizio per la concessione del beneficio in parola, pur dovendosi apprezzare la condotta del richiedente in modo frazionato per ciascun semestre cui l’istanza si riferisce, non può escludersi che il comportamento tenuto dal condannato dopo i semestri in valutazione, in costanza di esecuzione o in stato di libertà, possa estendersi in negativo anche ai periodi precedenti, poiché la sua ricaduta nel reato appare come sicuro elemento rivelatore del fatto che, anche nel periodo precedente, mancava del tutto la sua volontà di partecipare all’opera di rieducazione (Sez. 1, 2886/2019). In tal senso, si è ribadito che il giudizio sui comportamenti tenuti in ambiente extramurario dal soggetto che, dopo la custodia cautelare, abbia continuato .a delinquere non può essere pretermesso, ma deve necessariamente entrare a far parte della valutazione complessiva della sua condotta, a nulla rilevando l’assenza di illeciti disciplinari durante il periodo di detenzione, posto che, per godere della liberazione anticipata, il condannato deve dare prova di reale, e non meramente formale, partecipazione all’opera di rieducazione intrapresa nei suoi confronti (Sez. 1, 42571/2013). In coerenza con gli enunciati e condivisi principi, si è, poi, sottolineato che nel procedimento di sorveglianza ben possono essere valutati fatti costituenti ipotesi di reato senza necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale, a condizione che il giudice ne valuti la pertinenza rispetto al trattamento rieducativo, in quanto espressione di un atteggiamento incompatibile con l’adesione allo stesso da parte del detenuto (Sez. 1, 894/2020).

Elementi conoscitivi utilizzabili per la valutazione dell’istanza di liberazione anticipata

Nel procedimento di sorveglianza opera il principio secondo il quale l'effetto preclusivo del giudicato opera solo rebus sic stantibus e, quindi, non impedisce la riproposizione della medesima istanza se fondata su elementi nuovi ovvero diversi da quelli già esaminati dalla precedente decisione; nello specifico procedimento per l'ammissione alla liberazione condizionale il novum che legittima la riproposizione della richiesta può riguardare sia l'integrazione dei presupposti oggettivi, relativi al quantum di pena espiata ovvero all'adempimento delle obbligazioni civili, sia il requisito soggettivo del sicuro ravvedimento. Da quest'ultimo punto di vista, si deve rilevare che anche il decorso del tempo, con quel che comporta e significa in termini di progressione del trattamento rieducativo, giustifica la proposizione di una nuova istanza di ammissione alla liberazione condizionale (la Corte, nel caso in esame, ha annullato il provvedimento del sul presupposto che il tribunale, concentrandosi unicamente sul dato oggettivo dell'assenza di un rapporto tra il reo e le vittime, ha omesso la valutazione della complessiva condotta tenuta dal condannato durante la lunga esecuzione penale nella prospettiva di verificare se oggi il reo abbia raggiunto l'obiettivo rieducativo) (Sez. 1, 8410/2022).

In tema di liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza, al fine del giudizio sulla partecipazione del condannato all’opera di rieducazione e sulla persistenza o meno di collegamenti del medesimo con la criminalità organizzata, può avvalersi di accertamenti dell’autorità di pubblica sicurezza, della polizia penitenziaria o di organismi giudiziari specializzati e può trarre utili elementi di valutazione dall’essere stato eventualmente il predetto attinto da provvedimenti di rinvio a giudizio o dall’applicazione di sanzioni disciplinari di apprezzabile rilevanza (Sez. 1, 2886/2019).

In sede di giudizio per la concessione della liberazione anticipata, pur dovendosi valutare la condotta del richiedente frazionatamente per ciascun semestre cui l’istanza si riferisce, non può escludersi che il comportamento tenuto dal condannato in stato di libertà possa estendersi in negativo anche al periodo precedente trascorso in stato di detenzione, perché la ricaduta nel reato appare come sicuro elemento rivelatore del fatto che anche nel periodo precedente, trascorso in stato di detenzione, mancava del tutto la sua volontà di partecipare all’opera di rieducazione (Sez. 1, 48728/2019).

In tema di liberazione anticipata, ai fini del giudizio in ordine al requisito della partecipazione all’opera di rieducazione, gli eventuali rapporti disciplinari devono essere valutati nella loro concretezza, sotto il profilo dell’attitudine o meno a indicare una condotta restia al processo di rieducazione, e, successivamente comparati, in un giudizio complessivo, con ogni altro elemento eventualmente positivo risultante in merito alla condotta tenuta dall’interessato nel periodo semestrale in esame, giacché il mero rilievo dell’infrazione disciplinare non può porre nel nulla in modo meccanicistico un comportamento positivo serbato con continuità dal detenuto (Sez. 1, 25161/2018).

Le condotte poste in essere in epoca immediatamente posteriore alla carcerazione rappresentano indici rivelatori della mancata adesione al percorso di risocializzazione, tali da legittimare il diniego del beneficio, per adesione solo apparente ai modelli proposti. Va inoltre affermato che in presenza di episodi indicativi di tale atteggiamento da parte del richiedente, l’attribuzione di «valore» non solo rientra nei compiti normativamente assegnati all’organo giurisdizionale in virtù di quanto previsto dall’art. 54 (che richiede la prova della partecipazione all’opera di rieducazione) ma risulta insindacabile nella presente sede di legittimità, ove non risultino palesi vizi logici o travisamento degli elementi di prova (Sez. 1, 15377/2019).

La violazione del divieto di scambio di oggetti con detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità - quando non legato a divieti specificamente imposti dalla direzione carceraria - non può validamente fondare la valutazione circa l’insussistenza dei presupposti per concedere la liberazione anticipata (Sez. 5, 23111/2020).

Valutazione per semestri

Il presupposto della liberazione anticipata è la partecipazione del detenuto all'opera di rieducazione e la magistratura di sorveglianza deve trovare la "prova" di tale partecipazione (l'art. 54  prevede che il condannato "abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione"), quindi, in tale giudizio, anche eventi successivi possono ritenersi rilevanti, se forniscono "prova" che, in realtà, la partecipazione all'opera di rieducazione non vi è stata o è stata soltanto apparente (Sez. 1, 43746/2021).

Nel valutare la sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio penitenziario di cui all'art. 54, si possono utilizzare tutti gli elementi sintomatici da cui desumere l'assenza di partecipazione all'opera di rieducazione del condannato, valutandone la rilevanza anche in deroga al principio della valutazione frazionata semestrale. Non v'è dubbio, infatti, che trasgressioni comportamentali, se gravi e ripetute nel tempo possono ripercuotersi sui semestri antecedenti o successivi a quello in cui si è concretizzata tale condotta, incidendo sulla partecipazione all'opera di rieducazione del condannato, in quanto sintomatica dell'assenza di effetti positivi del percorso trattamentale (Sez. 1, 17833/2021).

Ai fini della concessione del beneficio della liberazione condizionale, occorre avere riguardo non tanto ai risultati conseguiti all’esito del semestre in valutazione, quanto piuttosto alla disponibilità mostrata in concreto dal condannato, in tale arco temporale, verso la partecipazione all’opera di rieducazione perseguita dal trattamento. Ne consegue che se è vero ciascun semestre in relazione ai quali esso viene richiesto deve essere, tendenzialmente, oggetto di valutazione frazionata, ciò non impedisce, comunque, che taluni comportamenti tenuti nel corso di un determinato semestre, purché gravi e sintomatici della mancata partecipazione all’opera di rieducazione, vengano negativamente a riverberarsi sulla valutazione degli altri (Sez. 7, 45465/2019).

In tema di liberazione anticipata, è stato chiarito che gli organi della sorveglianza, ai fini del rigetto della richiesta del beneficio, possono valutare le infrazioni disciplinari commesse dal detenuto nel pertinente semestre, anche se dichiarate estinte per buona condotta nel semestre successivo ai sensi dell’art. 80, comma 1, Reg., purché si proceda ad una completa valutazione fattuale e psicologica degli addebiti, in modo da indicarne l’incidenza negativa sulla partecipazione del condannato all’opera di rieducazione (Sez. 7, 7647/2020).

L’art. 54, comma 1, prevede il diritto del detenuto che abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione posta in essere dall’amministrazione penitenziaria a vedersi giudizialmente concessa una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata quale corrispettivo della dimostrata partecipazione; che l’accertamento giudiziale del presupposto della detrazione di quarantacinque giorni dalla pena ancora da scontare deve in linea di principio riferirsi ai comportamenti del detenuto nel corso di un semestre di pena scontata; che tale principio della valutazione frazionata dei comportamenti del condannato ai fini della concessione del beneficio della liberazione anticipata non esclude peraltro, in tesi, che un fatto negativo possa riverberarsi anche sulla valutazione relativa ai semestri anteriori; che, ricorrendo tale ipotesi, è tuttavia necessario che si tratti di una condotta particolarmente grave e sintomatica, tale da lasciar dedurre la mancata partecipazione del condannato all’opera di rieducazione anche nel periodo antecedente a quello cui la condotta si riferisce (Sez. 1, 39360/2019).

L’art. 54 richiede per l’accesso alla liberazione anticipata la dimostrazione della partecipazione del condannato all’opera di rieducazione e la sua concessione, concreto riconoscimento di tale partecipazione, è finalizzata ad agevolare il suo reinserimento nel contesto sociale. La valutazione della sussistenza di tale presupposto deve avvenire secondo i criteri dettati dalla disposizione di cui all’art. 103 Reg., ossia in riferimento al duplice profilo dell’impegno dimostrato dal detenuto “nel trarre profitto delle opportunità offertegli nel corso del trattamento e al mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, con i compagni, con la famiglia e la comunità esterna”. Per la concessione della liberazione anticipata, come per gli altri benefici di cui al capo 6 dell’Ordinamento penitenziario, l’apprezzamento giudiziale resta discrezionale, ma da giustificare in modo specifico, circa i presupposti richiesti dall’ordinamento e le considerazioni in termini di opportunità dell’adozione del provvedimento in merito all’esistenza di un serio processo, già avviato, anche se non ultimato, di allontanamento da condotte delinquenziali e di recupero alla socializzazione, in modo da far escludere a livello prognostico un’eventuale reiterazione di fatti illeciti. Ai fini della concessione del beneficio della liberazione anticipata opera il principio della valutazione frazionata per semestri del comportamento del condannato. Detto approccio cosiddetto atomistico, teso a valorizzare il singolo semestre di detenzione, ha ricevuto un definitivo avallo dalla Corte costituzionale nella sentenza interpretativa di rigetto 267/1990, con la quale è stato affermato il principio per cui, anche quando viene effettuato nel periodo terminale della detenzione, il riscontro delle condizioni per fruire della liberazione anticipata deve essere sempre riferito al singolo semestre espiato, deponendo in tal senso il dettato normativo e la ratio dell’istituto, in cui è fondamentale la sollecitazione delle energie volitive del condannato alla non remota prospettiva di un premio da conseguire. Il concreto atteggiarsi della valutazione atomistica non ha assunto, peraltro, una connotazione uniforme in ambito giurisprudenziale. Al principio secondo cui ogni singolo semestre di detenzione postula un apprezzamento della partecipazione all’opera della rieducazione indefettibilmente circoscritto a quel determinato frangente temporale, senza che tale valutazione possa essere in qualche modo condizionata da quanto accaduto nei periodi di detenzione precedenti o successivi, si contrappone il prevalente indirizzo giurisprudenziale, che merita di essere condiviso, secondo il quale, proprio in virtù dell’oggetto del giudizio sotteso alla concessione della liberazione anticipata relativo alla partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, deve ammettersi che la valutazione del singolo semestre possa riverberare i suoi effetti negativi sui frangenti temporali contigui, soprattutto laddove le condotte poste in essere, per la loro particolare gravità, siano sintomatiche della mancata effettiva condivisione dei canoni del percorso trattamentale (Sez. 1, 29352/2001); di conseguenza è ben possibile che una trasgressione possa riflettersi negativamente anche sul giudizio relativo ai semestri antecedenti o su quelli successivi, sempre che si tratti di una violazione che manifesti l’assenza di effetti positivi dell’opera di rieducazione sul detenuto, violazione che, quindi, deve essere tanto più grave quanto più distanti sono i periodi di tempo interessati (Sez. 1, 13369/2019).

La finalità principale dell’istituto della liberazione anticipata risiede “nel consentire un più efficace reinserimento nella società del condannato che abbia offerto la prova di partecipazione all’opera di rieducazione (Corte costituzionale, sentenza 352/1991)” ed “è solamente detta partecipazione che viene richiesta dalla norma e che è evidentemente considerata dal legislatore di per sé sintomatica di un percorso che va incoraggiato e premiato: senza che occorra anche la dimostrazione di quel ravvedimento che si richiede invece, probabile o sicuro, per l’accesso alle più incisive misure extramurarie (Corte costituzionale, sentenza 276/1990)”. Sempre secondo il summenzionato orientamento in tema di liberazione anticipata il principio della valutazione frazionata per semestri del comportamento del condannato ai fini della concessione del beneficio non esclude che una trasgressione possa riflettersi negativamente anche sul giudizio relativo ai semestri antecedenti e sui periodi non immediatamente contigui a quello inficiato da comportamenti illeciti, purché si tratti di una violazione, idonea a vanificare la precedente positiva partecipazione al programma rieducativo la quale deve essere tanto più grave, quanto più distanti sono i periodi di tempo interessati (Sez. 1, 3092/2015: fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che aveva respinto la concessione del beneficio vanificando tutti i diciannove semestri di pena scontata per le violazioni commesse in quattro semestri, senza tenere conto della partecipazione del detenuto ad attività di studio e lavoro). La valutazione di meritevolezza del beneficio, rimessa al giudice del merito, consiste, quindi, nella verifica del presupposto della partecipazione all’opera di rieducazione, che non può ridursi alla mera buona condotta carceraria, che costituisce la “norma” del comportamento del detenuto, ma richiede un’adesione pronta ed attiva alle regole che disciplinano la vita carceraria e agli interventi trattamentali (Sez. 1, 12668/2019).

Incidenza dei collegamenti attuali con la criminalità organizzata

Ai sensi dell’art. 4-bis, comma 3-bis, le misure alternative alla detenzione, nel cui ambito occorre comprendere la liberazione anticipata, non possono essere concesse ai soggetti detenuti per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunicano «d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata». In questo caso, fermo restando che le valutazioni del Procuratore nazionale antimafia o del procuratore distrettuale non sono vincolanti per il magistrato di sorveglianza, che le deve sottoporre a verifica sulla base di ulteriori elementi informativi, è evidente che i presupposti applicativi per la concessione della misura alternativa alla detenzione sono completamente diversi da quelli previsti dall’art. 4-bis, commi 1 e 1-bis, richiedendo la prova positiva dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (Sez. 1, 16374/2015). Ne discende che, nell’ipotesi in esame, il criterio di valutazione che deve sorreggere la decisione del magistrato di sorveglianza è diverso da quelli indicati dall’art. 4-bis, commi 1 e 1-bis, atteso che la preclusione stabilita dal comma 3-bis della stessa disposizione presuppone che l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata sia accertata in concreto e che possa affermarsi, sulla base di specifici elementi sintomatici, una perdurante e qualificata pericolosità del detenuto, capace di giustificare la sua sottrazione alle misure alternative alla detenzione (Sez. 1, 43282/2019).

Sanzioni disciplinari

Nel valutare la sussistenza dei presupposti per la concessione di una misura alternativa alla detenzione si devono utilizzare tutti gli elementi da cui desumere l’assenza di partecipazione all’opera di rieducazione del condannato, nel cui contesto i comportamenti intramurari oggetto di sanzioni disciplinari assumono un rilievo altamente sintomatico del percorso rieducativo intrapreso dal detenuto durante l’esecuzione della pena. Non v’è dubbio, infatti, che le trasgressioni comportamentali del detenuto - soprattutto se ripetute nel tempo, assumono una valenza negativa, risultando espressive della scarsa partecipazione all’opera di rieducazione del carcerato, in quanto sintomatiche dell’assenza di effetti positivi sul percorso intrapreso (Sez. 1, 4387/2019).

Notifica del provvedimento

L'ordinanza che decide sull'istanza di concessione della liberazione anticipata deve essere in ogni caso notificata al difensore del condannato, se del caso nominato d'ufficio, che è legittimato a proporre reclamo, quale strumento soggetto alla disciplina delle impugnazioni (Sez. 1, 2561/2022).

Decorrenza degli effetti della liberazione anticipata

La riduzione della pena per effetto della liberazione anticipata può avere effetto sugli istituti premiali previsti dall’ordinamento penitenziario, solo dopo che il magistrato di sorveglianza competente abbia adottato il relativo provvedimento (Sez. 1, 51290/2019).

Concedibilità del beneficio solo dopo l’inizio dell’espiazione della pena

La concessione del beneficio della liberazione anticipata presuppone uno stretto ed indissolubile collegamento tra osservazione-trattamento-partecipazione all’opera rieducativa e riconoscimento premiale, il tutto finalizzato al reinserimento del condannato nella società, sicché non è possibile la riduzione di pena prevista dall’art. 54 se non sia già iniziato lo “status detentionis” in espiazione di pena ed esso non sia in corso (Sez. 1, 1243/1992, secondo cui, da tale principio deriva che non basta il semplice fatto del passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a farla considerare in esecuzione, essendo necessaria l’attualità dello stato di detenzione, sia pure in forme alternative, per cui non è possibile concedere la liberazione anticipata quando tale sentenza non sia stata posta in esecuzione e il condannato, pur avendo patito custodia cautelare, sia stato posto in libertà ed in tale stato si trovi al momento della domanda) (Sez. 4, 50453/2019).

Periodi non utilizzabili per la valutazione della concessione della liberazione anticipata

Il periodo di pena detentiva espiata sine titulo per un reato diverso da quello per cui è in corso l’esecuzione è computabile, per il principio di fungibilità, solo nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 657, comma 2, c.p.p. e, pertanto, non può essere valutato ai fini della concessione della liberazione anticipata (Sez. 1, 42906/2019).

Revoca della liberazione condizionale

La revoca della liberazione anticipata presuppone che sia stato commesso un delitto non colposo nel corso della esecuzione della pena, sicché, nel caso in cui le pene inflitte siano riunite in un provvedimento di cumulo, è necessario che questo sia sciolto per verificare quale condanna fosse ancora in esecuzione al momento della commissione del nuovo delitto, per poi procedere alla revoca del beneficio solo in relazione a detta pena (precisa la Corte in sentenza che, nel caso di specie, lo scioglimento preliminare del cumulo appariva indispensabile allo scopo di verificare quale condanna fosse in esecuzione al momento della commissione dell'ulteriore delitto, essendo possibile disporre la revoca del beneficio penitenziario concesso al ricorrente limitatamente a tale frazione detentiva) (Sez. 1, 17832/2021).

La revoca della liberazione condizionale, per la violazione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata, presuppone trasgressioni tali da far ritenere il mancato ravvedimento della persona; a tal fine, pertanto, il giudice deve accertare che l’addebito concretizzi una grave inosservanza al regime di vita cui il liberato era sottoposto, e che tale situazione costituisca un sicuro elemento rivelatore del non conseguito obiettivo di recupero, e della non meritevolezza dell’anticipato reinserimento nella vita sociale (Sez. 1, 48700/2019).

Ai fini della revoca della liberazione anticipata per delitto non colposo commesso dal condannato nel corso dell’esecuzione della pena, spetta al TDS la valutazione dell’incidenza del reato sull’opera di rieducazione intrapresa, nonché il grado di recupero fino a quel momento manifestato e la verifica di ascrivibilità del fatto criminoso al fallimento dell’opera rieducativa o ad una occasionale manifestazione di devianza (Sez. 1, 45342/2019).

La disposizione dell’art. 54, comma 3, prevede la possibilità di procedere alla revoca della liberazione anticipata quando chi ne abbia beneficiato, successivamente, commetta un delitto non colposo per il quale riporti condanna irrevocabile. Dalla formulazione testuale della norma, che non contiene alcuna limitazione sotto il profilo temporale, si deduce che la condizione risolutiva può intervenire anche dopo che l’esecuzione della pena sia cessata (Sez. 14133/1993) e che costituiscono condizioni per operare legittimamente la revoca del beneficio: - la commissione di un delitto non colposo nel corso della esecuzione della pena o delle pene concorrenti, eventualmente unificate in un provvedimento di cumulo; - l’intervento del nuovo delitto successivamente alla concessione del beneficio da revocare; - l’accertamento della responsabilità del condannato per tale delitto con sentenza passata in giudicato, anche se intervenuta dopo la scadenza della pena. Inoltre, per individuare il momento in cui si verifica la causa della revoca, successiva alla concessione del beneficio, va considerata la data di commissione del nuovo delitto e non quella del passaggio in giudicato della sentenza che lo accerti. Allorché il nuovo delitto sia commesso nel corso della esecuzione di pena risultante da un provvedimento di unificazione di una pluralità di pene concorrenti, è necessario che la nuova violazione sia commessa esclusivamente nel periodo di esecuzione della condanna o delle condanne, cui è riferito il beneficio concesso: se la liberazione anticipata sia concessa indistintamente in relazione a tutte le pene cumulate, analogamente la revoca opera quando il nuovo delitto venga commesso mentre è in corso la loro esecuzione. Se poi il rapporto esecutivo si sia esaurito per intervenuta espiazione della pena, occorre procedere allo scioglimento del cumulo per verificare quale condanna fosse in esecuzione al momento della commissione del nuovo delitto, in quanto la revoca della liberazione anticipata non può incidere negativamente su benefici concessi in relazione a pene diverse da quelle nel corso della cui esecuzione è stata posta in essere la condotta criminosa che la giustifica (Sez. 1, 43526/2019).

L’art. 54, comma 3, prevede la possibilità di procedere alla revoca della liberazione anticipata quando chi ne abbia beneficiato commetta successivamente un delitto non colposo per il quale riporti condanna irrevocabile a condizione che: (a) il delitto doloso, comportante l’eventuale revoca, sia stato commesso nel corso dell’esecuzione della pena o delle pene concorrenti eventualmente unificate in un provvedimento di cumulo; (b) il delitto sia commesso dopo il beneficio da revocare; (c) la responsabilità per tale delitto sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, anche se intervenuta dopo la scadenza della pena; (d) allorché il nuovo delitto sia commesso nel corso dell’esecuzione di pena risultante da provvedimento di unificazione di una pluralità di pene concorrenti, è necessario che la nuova violazione sia commessa esclusivamente nel periodo di esecuzione della condanna o delle condanne, cui è riferito il beneficio concesso; se la liberazione anticipata sia concessa indistintamente in relazione a tutte le pene cumulate, analogamente la revoca opera quando il nuovo delitto venga commesso mentre è in corso la loro esecuzione (Sez. 1, 32412/2016). La revoca non deve essere limitata alla sola frazione semestrale (nel quale è stato commesso il delitto) della complessiva riduzione di pena precedentemente accordata con uno o più provvedimenti, ma riguarda l’intero arco temporale di espiazione della pena o delle pene cumulate (Sez. 1, 43943/2001); da essa vanno esclusi tutti i periodi di liberazione anticipata concessi in relazione a semestri successivi alla data di commissione del nuovo delitto (Sez. 1, 659/1990) e, nel caso in cui l’esecuzione della pena o delle pene concorrenti abbia avuto termine occorre procedere allo scioglimento del cumulo per verificare quale condanna fosse in esecuzione al momento della commissione del nuovo delitto, non potendo la revoca della liberazione anticipata riguardare benefici concessi in relazione a pene diverse da quelle nel corso della cui esecuzione è stata posta in essere la condotta criminosa che la comporta. La nozione “nel corso dell’esecuzione” va intesa, poi, in riferimento alla pendenza del rapporto esecutivo, che sussiste indipendentemente da una sua temporanea sospensione o dal suo svolgimento in forme alternative alla detenzione o dalla volontaria sottrazione del condannato all’esecuzione tal che, e correlativamente, ove la partecipazione all’opera rieducativa si riveli, a seguito della commissione di delitto non colposo prima della conclusione dell’esecuzione, meramente apparente e strumentale, la liberazione anticipata potrà essere revocata, essendo venuta meno la sua funzione, indipendentemente dal fatto che l’illecito sia stato realizzato in costanza di detenzione o di forme di espiazione a questa alternative ovvero in un periodo di sospensione per ragioni di salute (Sez. 1, 35630/2019).

Liberazione anticipata speciale prevista dall’art. 4 del DL 146/2013

La giurisprudenza di legittimità, in tema di liberazione anticipata speciale di cui all’art. 4 DL 146/203, come modificato in sede di conversione dalla L. 10/2014, è giunta ad approdi pacifici, nel senso dell’esclusione dei condannati in espiazione di pene previste nel catalogo dei reati di cui all’art. 4-bis dalla misura eccezionale e temporanea della liberazione anticipata speciale (Sez. 1, 3130/2015) e del non giustificato dubbio di legittimità costituzionale di tale esclusione (Sez. 1, 1650/2015). In particolare, si è affermato che, in tema di benefici penitenziari, la disposizione del decreto-legge non recepita dalla legge di conversione non può ritenersi suscettibile di avere efficacia ultrattiva per i comportamenti pregressi ai quali la stessa collegava effetti favorevoli, in quanto le norme contenute in un decreto legge non convertito non hanno attitudine ad inserirsi in un successorio quali quelli regolati dall’art. 2 c.p. o dall’art. 11, comma 2, disposizioni preliminari  c.c. (Sez. 7, 2100/2018).

La disciplina della liberazione anticipata speciale, introdotta dall’art. 4 DL 146/2013, convertito dalla L. 10/2014, comporta - sempreché ne ricorrano le condizioni e con l’esclusione dei condannati per un delitto contemplato dall’art. 4 - una detrazione di pena pari a settantacinque giorni per semestre, rispetto agli ordinari quarantacinque, sia con riguardo ai semestri compresi nel biennio successivo alla data di entrata in vigore del decreto, sia con riguardo ai semestri compresi nel periodo dal giorno 1 gennaio 2010 alla suddetta data (Sez. 1, 356/2017). Tale disciplina, introdotta per porre rimedio al sovraffollamento carcerario, ha natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella generale di cui all’art. 54; pertanto, essa può trovare applicazione solo in relazione a periodi di detenzione sofferti nella vigenza temporale prevista, compresa tra i giorni 1 gennaio 2010 e 23 dicembre 2015, non per quelli posti a cavallo di tali date. Ciò non determina alcuna disparità di trattamento, in considerazione della ricordata ragione dell’introduzione di detta disciplina (Sez. 1, 18224/2019).

In materia di liberazione anticipata speciale, la disposizione di cui all’art. 4 DL 146/2013, non recepita dalla relativa Legge di conversione 10/2014 nella parte in cui prevedeva un trattamento più favorevole per il condannato per uno dei delitti compresi nell’elenco contenuto nell’art. 4-bis, in relazione ai comportamenti pregressi alla sua pubblicazione, e consistente in una maggiore detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata, non ha efficacia ultrattiva, neppure se apparentemente vigente al tempo della presentazione della domanda di concessione di tale beneficio, sia perché alla materia in questione, in quanto estranea al diritto penale sostanziale, non è applicabile il principio di irretroattività della legge più sfavorevole, sia perché, in generale, le regole attinenti al fenomeno della successione di leggi nel tempo non si attagliano alla vicenda relativa alla sorte delle disposizioni di decreti-legge non recepite nella legge di conversione (Sez. 1, 34359/2018).

Nel caso di provvedimento di unificazione di pene concorrenti comprendente pene solamente in parte inflitte per reati rientranti fra quelli di cui all’art. 4 bis, l’accesso alla liberazione anticipata speciale non rimane definitivamente precluso, dovendosi verificare, ai fini dello scioglimento del cumulo, se sia stata già espiata la porzione di pena irrogata per i suddetti reati ostativi e, in caso di esito positivo di tale verifica, concedere, in presenza di ogni altro requisito, il beneficio in relazione alla residua pena da eseguire imputabile ai restanti reati comuni (Sez. 1, 23684/2018).

Conseguenze della tardiva esecuzione dell’ordine di scarcerazione disposto per liberazione anticipata

La tardiva esecuzione dell’ordine di scarcerazione disposta per liberazione anticipata determina l’ingiustizia della detenzione sofferta fino alla concreta liberazione del detenuto e, pertanto, costituisce titolo per la domanda di riparazione; in particolare, quindi, il diritto alla riparazione è configurabile anche ove l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purché sussista un errore dell’autorità procedente e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa dell’errore o del ritardo nell’emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del fine dell’espiazione della pena. Questa soluzione interpretativa è in linea con la giurisprudenza europea (si veda Corte EDU, 24/03/2015, Antonio Messina c. Italia, che ha condannato l’Italia per la tardività nella concessione della liberazione anticipata e per la mancanza di un rimedio idoneo ad ottenere una riparazione) (Sez. 4, 4920/2019).

Esecuzione in Italia di una sentenza emessa da uno Stato non comunitario

In tema di esecuzione in Italia di sentenza straniera, il beneficio della liberazione anticipata può essere concesso anche con riferimento al periodo di detenzione espiato in uno Stato estero non rientrante nell’Unione Europea a condizione che ciò sia previsto dalle disposizioni contenute in trattati bilaterali, o facenti parte del diritto internazionale generale, e che sussistano tutte le altre condizioni previste dall’art. 54 (Sez. 1, 21984/2020).