Compossesso e mancato deposito del fascicolo ritirato per la redazione della comparsa conclusionale

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 22 novembre 2012, n. 20704

1. Le massime

I documenti prodotti in giudizio devono essere inseriti nei fascicoli di parte e possono essere ritirati da ciascuna parte all’atto della rimessione della causa al collegio; la stessa parte deve, poi, restituire il fascicolo non oltre il momento del deposito della comparsa conclusionale. Una simile restituzione costituisce un onere – non un obbligo – a carico della parte e la sua inosservanza produce effetti giuridici diversi a seconda dei casi: 1) ove detta inosservanza sia volontaria, il giudice decide legittimamente allo stato degli atti, sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione, in conformità al principio dispositivo delle prove; 2) ove, invece, il fascicolo manchi perché sia stato smarrito ovvero sottratto, è rimesso al giudice valutare la rilevanza dei documenti mancanti ai fini della decisione e disporre, eventualmente, la ricerca del fascicolo in cui i documenti erano inseriti senza che, tuttavia, l’omissione di tale ricerca comporti alcuna nullità.

Il compossesso, avente normalmente per titolo il diritto di comproprietà ovvero altri diritti reali, si realizza allorché più soggetti esercitino congiuntamente il possesso sulla cosa. Ciascun compossessore ha una quota di compossesso e nei limiti di questa, se il bene è fruttifero, ha diritto ai frutti, beneficia dell’acquisto per usucapione se ve ne sono i presupposti e può esercitare nei confronti dei terzi l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione quale che sia la sua quota di partecipazione. A sua volta, il compossessore può esercitare queste stesse azioni anche nei confronti degli altri compossessori tutte le volte in cui uno di questi sopprima o turbi il possesso degli altri, a meno che questi atti non vengano tollerati e non costituiscano atti univocamente idonei a rivelare un mutamento del titolo del proprio possesso (nella specie, la Corte ritiene convincente e conforme alle disposizioni di legge in tema di possesso la decisione della Corte di merito con la quale veniva disposta la rimozione di ogni ostacolo o impedimento all’accesso ad un cortile comune su cui si era provato sussistere il compossesso).

In sede di ricorso per cassazione non può chiedersi una nuova e diversa valutazione delle prove acquisite in giudizio atteso che, nel vigente ordinamento processuale, opera il principio dell’acquisizione delle prove, in forza del quale il giudice è libero di formare il suo convincimento sulla base di tutte le risultanze istruttorie, quale che sia la parte ad iniziativa della quale sia avvenuto il loro ingresso nel giudizio, rimanendo devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio. Non è, pertanto, sindacabile, per vizio di motivazione, la sentenza di merito che abbia adeguatamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la "ratio decidendi".

2. Il caso

Caio e Mevia convenivano in giudizio Tizio e Sempronia sostenendo di essere stati illegittimamente spogliati dall’uso comune di un’area retrostante il loro fabbricato, confinante con la proprietà dei convenuti. Il Tribunale adito rigettava la domanda di manutenzione possessoria, dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale e compensando la metà delle spese di lite.

I soccombenti impugnavano dinanzi alla Corte di Appello la predetta sentenza, sostenendo che il primo giudice avrebbe errato nella valutazione delle risultanze istruttorie da cui sarebbe emerso, invece, che le due famiglie avrebbero usato liberamente l’intera area del largo dietro casa in situazione di pacifico compossesso, tanto che i rispettivi diritti domenicali sull’area avrebbero avuto valore di quote ideali di una comunione “pro indiviso”. Si costituivano in giudizio Tizio e Sempronia.

La Corte di Appello accoglieva l’impugnativa proposta e, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda così come formulata in primo grado da Caio e Mevia ed ordinava a Tizio e Sempronia di reintegrare Caio e Mevia nel compossesso dell’intera area posta sul retro dei loro fabbricati.

Secondo la Corte di merito, nel caso in esame, né i testi, né le stesse allegazioni delle convenute permettevano di capire in quale occasione, contrariamente a quanto allegato da Tizio e Sempronia, in assenza di un formale atto di scioglimento della comunione, vi fosse stato il necessario mutamento psicologico di chi, essendo compossessore dell’intero, avesse preso a considerarsi possessore esclusivo di una parte. Non solo, ma le proprietà esclusive non sarebbero neppure state individuabili, tanto più che nessun testimone aveva identificato un confine che separasse due diverse porzioni del largo dietro la casa.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Tizio e Sempronia con ricorso affidato a tre motivi.

Caio ha resistito con controricorso.

3. La decisione

Con il primo motivo, Tizio e Sempronia adducevano che la Corte di Appello avrebbe errato per aver deciso la causa pur mancando il fascicolo di primo grado e, pertanto, sulla base soltanto degli atti e documenti presenti nell’incarto processuale. In proposito, la Suprema Corte – richiamandosi alle pertinenti norme del codice di rito civile – rammenta che i documenti prodotti debbono essere inseriti nei fascicoli di parte, i quali possono essere ritirati da ciascuna parte all’atto della rimessione della causa al collegio. L’art. 169 c.p.c. prevede, inoltre, che le stesse parti debbano provvedere alla restituzione dei fascicoli.

Sul punto si chiarisce come la disposizione da ultimo richiamata debba essere intesa nel senso di prevedere un onere – non un obbligo – a carico delle parti, omesso il cui espletamento (vale a dire la restituzione del fascicolo) possono darsi due scenari: 1) in caso di inosservanza volontaria, il giudice potrà decidere legittimamente allo stato degli atti, sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione, in conformità al principio dispositivo delle prove; 2) ove, invece, il fascicolo non si rinvenga in ragione di smarrimento o sottrazione, spetterà al giudice valutare la rilevanza ai fini della decisione dei documenti smarriti o sottratti ed, eventualmente, disporre la ricerca dei fascicoli non più trovati, senza – tuttavia – che l’omissione di alcuna ricerca comporti eventuali nullità, difettando una previsione tipica di nullità in proposito.

Alla luce dei principi giuridici enunciati, la Corte rigetta il primo motivo di ricorso.

Quale secondo motivo di doglianza, i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata avrebbe accertato l’esistenza di un possesso tutelabile senza alcun minimo elemento probatorio ed, altresì, avrebbe dedotto il compossesso del cortile comune dall’esistente comunione “pro indiviso”. Laddove, secondo i ricorrenti, la comunione delinea il fenomeno di appartenenza a più persone del diritto di proprietà, il compossesso, invece, quale figura più ristretta del possesso, non è un diritto, ma una situazione di fatto ovvero un potere che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. Paradigma di tale distinzione sarebbe, sempre secondo le tesi esposte in ricorso, che più soggetti possono essere proprietari in un regime comunista di un bene, senza però esserne possessori. Sicché, il ragionamento del giudice secondo il quale il largo dietro casa è oggetto di comunione “pro indiviso” e, dunque, di compossesso non troverebbe riscontro né in dottrina, né in giurisprudenza.

Piuttosto, sostengono le ricorrenti, il cortile conteso, seppure in origine fosse stato oggetto di comunione “pro indiviso” per chiamata ereditaria, non è mai stato, anche oggetto di compossesso delle parti in causa, le quali hanno esercitato, sempre fin dal primo momento il possesso pieno ed esclusivo delle aree prospicienti le proprie abitazioni per le rispettive quota di 2/3 e un 1/3, consapevoli delle rispettive pertinenze.

La Corte, in proposito, chiarisce che si ha compossesso quando più soggetti esercitino congiuntamente il possesso sulla cosa. Il titolo del compossesso è normalmente il diritto di proprietà o meglio di comproprietà, ma potrebbe essere rappresentato anche da altri diritti reali. Ciascun compossessore ha una quota di compossesso e nei limiti di questa se il bene è fruttifero ha diritto ai frutti e beneficia dell’acquisto per usucapione se ve ne sono i presupposti.

Il compossessore può esercitare nei confronti dei terzi l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione quale che sia la sua quota di partecipazione. A sua volta il compossessore può esercitare queste stesse azioni anche nei confronti degli altri compossessori tutte le volte in cui uno di questi sopprima o turbi il possesso degli altri a meno che questi atti non vengono tollerati e non costituiscono atti univocamente idonei a rivelare un mutamento del titolo del proprio possesso. Sotto il profilo sostanziale, tra possesso e compossesso, si evidenzia che non vi è alcuna differenza, dato che, nonostante, nel compossesso vi siano più soggetti che esercitano congiuntamente il possesso su una stessa cosa, anche il compossesso si qualifica come potere di fatto sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale. Nel caso in esame, la Corte di merito ha accertato in ragione delle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio: a) che il largo dietro gli immobili era stato oggetto di compossesso, quale naturale esplicazione della comproprietà, a prescindere dal maggiore o minore calpestio che l’una o l’altra famiglia abbia esercitato sulle superfici più prossime agli ingressi delle rispettive abitazioni; b) che il compossesso di ciascun proprietario sull’intero largo non era stato mai sostituito dal possesso esclusivo di ciascun proprietario su una frazione materiale del largo; c) che i ricorrenti avevano sovvertito la situazione possessoria del largo collocandovi dei vasi e un’altalena che impediva a Caio e Mevia l’accesso ad ogni parte dell’intero cortile.

Pertanto, è ritenuta convincente e, comunque, conforme alle disposizioni di legge in tema di possesso, la decisione della Corte di merito con la quale si è disposta la rimozione dei vasi, dell’altalena e di ogni ostacolo o impedimento all’accesso ad ogni parte dell’indicato cortile.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la contraddittoria motivazione circa il riparto dell’onere della prova del possesso e dell’identificazione della porzione di possesso esclusivo. Il motivo è ritenuto inammissibile per difetto di interesse ed, in parte, infondato perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove acquisite in giudizio non proponibile al Giudice di legittimità.

È devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento: pertanto, al giudice del merito compete anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio. In ragione di tanto non è sindacabile, per vizio di motivazione, la sentenza di merito che abbia adeguatamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la "ratio decidendi".

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese.

 

4. I precedenti

Con riferimento alla questione affrontata nella prima massima, la Cassazione ha avuto modo di enunciare il principio per cui la mancata restituzione del fascicolo all’udienza di discussione, ove non siano denunciate altre ragioni, deve presumersi dovuta al volontario ritiro della parte (così Cass. n. 12947/1992 e n. 3624/1992).

Avuto riguardo all’azione di reintegrazione nel possesso, si segnala la recentissima sentenza Cass. n. 21493 del 30 novembre 2012, posteriore alla sentenza ivi annotata, ove è chiarito che colui che intenda esperire una simile azione non può limitarsi a provare il diritto di compossedere la cosa comune, vale a dire il titolo da cui il deducente trae lo "ius possidendi", dovendo egli comprovare il "factum possessionis" che si concreta nel potere sulla cosa, considerato di per sè.

1. Le massime

I documenti prodotti in giudizio devono essere inseriti nei fascicoli di parte e possono essere ritirati da ciascuna parte all’atto della rimessione della causa al collegio; la stessa parte deve, poi, restituire il fascicolo non oltre il momento del deposito della comparsa conclusionale. Una simile restituzione costituisce un onere – non un obbligo – a carico della parte e la sua inosservanza produce effetti giuridici diversi a seconda dei casi: 1) ove detta inosservanza sia volontaria, il giudice decide legittimamente allo stato degli atti, sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione, in conformità al principio dispositivo delle prove; 2) ove, invece, il fascicolo manchi perché sia stato smarrito ovvero sottratto, è rimesso al giudice valutare la rilevanza dei documenti mancanti ai fini della decisione e disporre, eventualmente, la ricerca del fascicolo in cui i documenti erano inseriti senza che, tuttavia, l’omissione di tale ricerca comporti alcuna nullità.

Il compossesso, avente normalmente per titolo il diritto di comproprietà ovvero altri diritti reali, si realizza allorché più soggetti esercitino congiuntamente il possesso sulla cosa. Ciascun compossessore ha una quota di compossesso e nei limiti di questa, se il bene è fruttifero, ha diritto ai frutti, beneficia dell’acquisto per usucapione se ve ne sono i presupposti e può esercitare nei confronti dei terzi l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione quale che sia la sua quota di partecipazione. A sua volta, il compossessore può esercitare queste stesse azioni anche nei confronti degli altri compossessori tutte le volte in cui uno di questi sopprima o turbi il possesso degli altri, a meno che questi atti non vengano tollerati e non costituiscano atti univocamente idonei a rivelare un mutamento del titolo del proprio possesso (nella specie, la Corte ritiene convincente e conforme alle disposizioni di legge in tema di possesso la decisione della Corte di merito con la quale veniva disposta la rimozione di ogni ostacolo o impedimento all’accesso ad un cortile comune su cui si era provato sussistere il compossesso).

In sede di ricorso per cassazione non può chiedersi una nuova e diversa valutazione delle prove acquisite in giudizio atteso che, nel vigente ordinamento processuale, opera il principio dell’acquisizione delle prove, in forza del quale il giudice è libero di formare il suo convincimento sulla base di tutte le risultanze istruttorie, quale che sia la parte ad iniziativa della quale sia avvenuto il loro ingresso nel giudizio, rimanendo devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio. Non è, pertanto, sindacabile, per vizio di motivazione, la sentenza di merito che abbia adeguatamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la "ratio decidendi".

2. Il caso

Caio e Mevia convenivano in giudizio Tizio e Sempronia sostenendo di essere stati illegittimamente spogliati dall’uso comune di un’area retrostante il loro fabbricato, confinante con la proprietà dei convenuti. Il Tribunale adito rigettava la domanda di manutenzione possessoria, dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale e compensando la metà delle spese di lite.

I soccombenti impugnavano dinanzi alla Corte di Appello la predetta sentenza, sostenendo che il primo giudice avrebbe errato nella valutazione delle risultanze istruttorie da cui sarebbe emerso, invece, che le due famiglie avrebbero usato liberamente l’intera area del largo dietro casa in situazione di pacifico compossesso, tanto che i rispettivi diritti domenicali sull’area avrebbero avuto valore di quote ideali di una comunione “pro indiviso”. Si costituivano in giudizio Tizio e Sempronia.

La Corte di Appello accoglieva l’impugnativa proposta e, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda così come formulata in primo grado da Caio e Mevia ed ordinava a Tizio e Sempronia di reintegrare Caio e Mevia nel compossesso dell’intera area posta sul retro dei loro fabbricati.

Secondo la Corte di merito, nel caso in esame, né i testi, né le stesse allegazioni delle convenute permettevano di capire in quale occasione, contrariamente a quanto allegato da Tizio e Sempronia, in assenza di un formale atto di scioglimento della comunione, vi fosse stato il necessario mutamento psicologico di chi, essendo compossessore dell’intero, avesse preso a considerarsi possessore esclusivo di una parte. Non solo, ma le proprietà esclusive non sarebbero neppure state individuabili, tanto più che nessun testimone aveva identificato un confine che separasse due diverse porzioni del largo dietro la casa.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Tizio e Sempronia con ricorso affidato a tre motivi.

Caio ha resistito con controricorso.

3. La decisione

Con il primo motivo, Tizio e Sempronia adducevano che la Corte di Appello avrebbe errato per aver deciso la causa pur mancando il fascicolo di primo grado e, pertanto, sulla base soltanto degli atti e documenti presenti nell’incarto processuale. In proposito, la Suprema Corte – richiamandosi alle pertinenti norme del codice di rito civile – rammenta che i documenti prodotti debbono essere inseriti nei fascicoli di parte, i quali possono essere ritirati da ciascuna parte all’atto della rimessione della causa al collegio. L’art. 169 c.p.c. prevede, inoltre, che le stesse parti debbano provvedere alla restituzione dei fascicoli.

Sul punto si chiarisce come la disposizione da ultimo richiamata debba essere intesa nel senso di prevedere un onere – non un obbligo – a carico delle parti, omesso il cui espletamento (vale a dire la restituzione del fascicolo) possono darsi due scenari: 1) in caso di inosservanza volontaria, il giudice potrà decidere legittimamente allo stato degli atti, sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione, in conformità al principio dispositivo delle prove; 2) ove, invece, il fascicolo non si rinvenga in ragione di smarrimento o sottrazione, spetterà al giudice valutare la rilevanza ai fini della decisione dei documenti smarriti o sottratti ed, eventualmente, disporre la ricerca dei fascicoli non più trovati, senza – tuttavia – che l’omissione di alcuna ricerca comporti eventuali nullità, difettando una previsione tipica di nullità in proposito.

Alla luce dei principi giuridici enunciati, la Corte rigetta il primo motivo di ricorso.

Quale secondo motivo di doglianza, i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata avrebbe accertato l’esistenza di un possesso tutelabile senza alcun minimo elemento probatorio ed, altresì, avrebbe dedotto il compossesso del cortile comune dall’esistente comunione “pro indiviso”. Laddove, secondo i ricorrenti, la comunione delinea il fenomeno di appartenenza a più persone del diritto di proprietà, il compossesso, invece, quale figura più ristretta del possesso, non è un diritto, ma una situazione di fatto ovvero un potere che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. Paradigma di tale distinzione sarebbe, sempre secondo le tesi esposte in ricorso, che più soggetti possono essere proprietari in un regime comunista di un bene, senza però esserne possessori. Sicché, il ragionamento del giudice secondo il quale il largo dietro casa è oggetto di comunione “pro indiviso” e, dunque, di compossesso non troverebbe riscontro né in dottrina, né in giurisprudenza.

Piuttosto, sostengono le ricorrenti, il cortile conteso, seppure in origine fosse stato oggetto di comunione “pro indiviso” per chiamata ereditaria, non è mai stato, anche oggetto di compossesso delle parti in causa, le quali hanno esercitato, sempre fin dal primo momento il possesso pieno ed esclusivo delle aree prospicienti le proprie abitazioni per le rispettive quota di 2/3 e un 1/3, consapevoli delle rispettive pertinenze.

La Corte, in proposito, chiarisce che si ha compossesso quando più soggetti esercitino congiuntamente il possesso sulla cosa. Il titolo del compossesso è normalmente il diritto di proprietà o meglio di comproprietà, ma potrebbe essere rappresentato anche da altri diritti reali. Ciascun compossessore ha una quota di compossesso e nei limiti di questa se il bene è fruttifero ha diritto ai frutti e beneficia dell’acquisto per usucapione se ve ne sono i presupposti.

Il compossessore può esercitare nei confronti dei terzi l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione quale che sia la sua quota di partecipazione. A sua volta il compossessore può esercitare queste stesse azioni anche nei confronti degli altri compossessori tutte le volte in cui uno di questi sopprima o turbi il possesso degli altri a meno che questi atti non vengono tollerati e non costituiscono atti univocamente idonei a rivelare un mutamento del titolo del proprio possesso. Sotto il profilo sostanziale, tra possesso e compossesso, si evidenzia che non vi è alcuna differenza, dato che, nonostante, nel compossesso vi siano più soggetti che esercitano congiuntamente il possesso su una stessa cosa, anche il compossesso si qualifica come potere di fatto sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale. Nel caso in esame, la Corte di merito ha accertato in ragione delle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio: a) che il largo dietro gli immobili era stato oggetto di compossesso, quale naturale esplicazione della comproprietà, a prescindere dal maggiore o minore calpestio che l’una o l’altra famiglia abbia esercitato sulle superfici più prossime agli ingressi delle rispettive abitazioni; b) che il compossesso di ciascun proprietario sull’intero largo non era stato mai sostituito dal possesso esclusivo di ciascun proprietario su una frazione materiale del largo; c) che i ricorrenti avevano sovvertito la situazione possessoria del largo collocandovi dei vasi e un’altalena che impediva a Caio e Mevia l’accesso ad ogni parte dell’intero cortile.

Pertanto, è ritenuta convincente e, comunque, conforme alle disposizioni di legge in tema di possesso, la decisione della Corte di merito con la quale si è disposta la rimozione dei vasi, dell’altalena e di ogni ostacolo o impedimento all’accesso ad ogni parte dell’indicato cortile.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la contraddittoria motivazione circa il riparto dell’onere della prova del possesso e dell’identificazione della porzione di possesso esclusivo. Il motivo è ritenuto inammissibile per difetto di interesse ed, in parte, infondato perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove acquisite in giudizio non proponibile al Giudice di legittimità.

È devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento: pertanto, al giudice del merito compete anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio. In ragione di tanto non è sindacabile, per vizio di motivazione, la sentenza di merito che abbia adeguatamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la "ratio decidendi".

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese.

 

4. I precedenti

Con riferimento alla questione affrontata nella prima massima, la Cassazione ha avuto modo di enunciare il principio per cui la mancata restituzione del fascicolo all’udienza di discussione, ove non siano denunciate altre ragioni, deve presumersi dovuta al volontario ritiro della parte (così Cass. n. 12947/1992 e n. 3624/1992).

Avuto riguardo all’azione di reintegrazione nel possesso, si segnala la recentissima sentenza Cass. n. 21493 del 30 novembre 2012, posteriore alla sentenza ivi annotata, ove è chiarito che colui che intenda esperire una simile azione non può limitarsi a provare il diritto di compossedere la cosa comune, vale a dire il titolo da cui il deducente trae lo "ius possidendi", dovendo egli comprovare il "factum possessionis" che si concreta nel potere sulla cosa, considerato di per sè.