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Condominio minimo: modalità di gestione

Condominio minimo
Ph. Linda Traversi / Condominio minimo

Alcune recentissime pronunce della Suprema Corte hanno riportato alla ribalta la tematica della gestione del condominio c.d. minimo, ovvero di quel condominio costituito da soli due condòmini (ma, come noto, non necessariamente da due sole unità immobiliari), analizzando alcune casistiche particolari ed enunciando (seppure forse sarebbe più corretto dire, ribadendo) princìpi di diritto che indicassero alla Magistratura di merito e all’interprete del diritto le strade più coerenti con il dettato normativo.

Come le date di pubblicazione bene evidenziano, infatti, solo nell’ultima settimana di luglio 2020, almeno tre pronunce, tutte estese dal Consigliere Relatore Dott. Antonio Scarpa, e con la firma del Presidente Dott. Luigi G. Lombardo, sono intervenute sul punto. In particolare, si evidenziano qui le Ordinanze della Sesta Sezione Civile della Suprema Corte nn. 15705 del 23.7.2020, 16337 del 30.7.2020 e 16341 del 30.7.2020.77.

In tali pronunce si affrontano diverse particolari casistiche, tutte afferenti ad un condominio minimo, correggendo e dunque cassando la giurisprudenza di merito la quale, in entrambi i gradi di giudizio, aveva interpretato la normativa in senso difforme dall’insegnamento della Corte di legittimità.

La prima di tali casistiche (cfr. Ord. n. 15705/2020) riguarda l’applicazione della normativa di cui all’articolo 1136 Codice Civile al condominio minimo, applicazione che veniva negata dalla giurisprudenza del Tribunale di Urbino e della Corte d’Appello di Ancona, le quali – concordemente – affermavano che si dovesse applicare a tale contesto la normativa sulla comunione.

Si trattava di un caso nel quale partecipavano del condominio due condòmini, uno proprietario di una sola unità immobiliare, e altri due comproprietari pro indiviso di altre due unità immobiliari. La lite verteva sul diritto di voto nell’assemblea condominiale in capo a questi ultimi, i quali deducevano di aver diritto a due voti distinti poiché – in applicazione dell’articolo 67 co. 2 disp. att. Codice Civile (nella formulazione ante Riforma ex l. 220/2012) – rappresentavano due distinte unità immobiliari.

La Suprema Corte rigetta tale interpretazione della norma. Richiamando la propria storica giurisprudenza sul punto, essa afferma come ogni condòmino abbia diritto ad un solo voto nell’assemblea condominiale, “qualunque sia l’entità della quota che rappresenta ed indipendentemente dal fatto che questa sia costituita da una sola o da più unità immobiliari, stante l’autonoma rilevanza attribuita al voto personale rispetto al valore, sia pure minimo, della quota rappresentata dal singolo condomino.” (cfr. Cass. Civ. Sez. 2 n. 6671 del 9.12.1988).

Ne discende che, laddove “due o più persone siano tutte comproprietarie pro indiviso di due o più unità immobiliari nello stesso edificio, esse non hanno diritto ad esprimere tanti voti quanti siano i distinti rappresentanti che designano” e tuttavia, i comproprietari delle medesime unità immobiliari “sebbene abbiano designato distinti rappresentanti, esprimono comunque un solo voto.

Nella seconda pronuncia (cfr. Ord. n. 16337/2020), la Suprema Corte, invece, affronta il caso di un condominio minimo composto da due partecipanti con quote diseguali, il cui condòmino minoritario, nonostante l’orientamento opposto del Tribunale di Verona e della Corte d’Appello di Venezia, pretendeva di vedere riconosciuto il proprio diritto di partecipazione all’assemblea condominiale, negato per l’asserita “irrilevanza” della propria quota.

Nella terza pronuncia (cfr. Ord. n. 16441/2020), la Suprema Corte affronta il caso della richiesta di rimborso delle spese (asseritamente) urgenti anticipate da un condòmino, in un condominio minimo, senza la previa autorizzazione dell’assemblea condominiale, richiamando l’interpretazione della norma codicistica di cui all’articolo 1134 Codice Civile, per la quale va “considerata ‘urgente’ non solo la spesa che sia giustificata dall’esigenza di manutenzione, quanto la spesa la cui erogazione non possa essere differita, senza danno o pericolo, fino a quando l’amministratore o l’assemblea dei condomini possano utilmente provvedere al riguardo”.

Il tema viene affrontato ribadendo l’applicabilità al condominio minimo della normativa sul condominio, quale norma speciale che prevale sulla normativa generale sulla comunione, e che comprende anche l’articolo 1136 Codice Civile.

Costituisce, invero, denominator comune di tutte le pronunce sopra indicate l’enunciazione di un principio di diritto, evidentemente necessario a confutare l’orientamento diffuso – ma erroneo – della giurisprudenza di merito, con il quale la Suprema Corte conferma il proprio insegnamento, che così prevede:

nell’ipotesi di condominio minimo (costituito quindi da due soli condòmini), “ove si debba procedere all’approvazione di deliberazioni che - come quella di nomina dell’amministratore - richiedano comunque, sotto il profilo dell’elemento personale, l’approvazione con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti, ex articolo 1136, comma 2, Codice Civile, la valida espressione della volontà assembleare suppone la partecipazione di entrambi i condomini e la decisione "unanime", non potendosi ricorrere al criterio maggioritario.” (cfr. Ord. n.16337/20).

Nonostante il diverso orientamento dei Giudici di merito, che sono inclini a riconoscere al condominio minimo la disapplicazione delle norme sul condominio in favore di quelle sulla comunione, la Suprema Corte con lineare chiarezza afferma come l’assemblea del condominio minimo “si costituisce validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all’unanimità decide validamente..

Laddove non si dovesse raggiungere, per divergenza di opinioni, la – pur minima ma indispensabile – unanimità, e pertanto l’Assemblea non potesse deliberare e dunque non raggiungesse la maggioranza di legge, precisa il Supremo Collegio che “diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria, come previsto dagli artt. 1139 e 1105 Codice Civile”. A mente di tali disposizioni, nate appositamente per non incorrere nel rischio della paralisi gestionale dei beni comuni, “ciascun partecipante può ricorrere alla autorità giudiziaria nell’interesse della res, invocando l’intervento sostitutivo del giudice, anche nel senso di autorizzare riparazioni straordinarie, per ovviare all’incuria dei singoli comproprietari.”

Le modalità di gestione del condominio minimo, in conclusione, non possono non rifarsi alle norme disposte per il condominio composto da più di due condòmini, con la specifica particolarità che, laddove – come statisticamente forse più probabile – ci si trovasse di fronte alla impossibilità di deliberare per diversità di volontà dei due componenti della compagine condominiale, si dovrà necessariamente ricorrere all’Autorità giudiziaria per dirimere il conflitto nato in seno alla adunanza assembleare