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Corte di Karlsruhe: rapporto tra fonte interna e comunitaria, cosa sarà l’Europa?

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Abstract

Il progetto europeo è sempre stato un grande sogno per tanti cittadini, ma non si è mai riuscito a concretizzare. In questo periodo di forte crisi economica e sociale, il ruolo dell’Europa diventa dirimente sia per il sostegno e la ripresa degli Stati membri, ma soprattutto per la esistenza. Nella sentenza di Karlsrhue si possono prendere in considerazione le motivazioni profonde delle difficoltà di concretizzazione del progetto Europeo, ovvero da un lato la governance nazionale difficilmente cederà il proprio potere per un nuovo ordinamento giuridico e, dall’altro, vi è una mancanza della spinta da parte del popolo per la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa. A tal ragione, si ritiene che senza un percorso serio costituente, difficilmente si possono costituire dei nuovi ordinamenti giuridici. L’impostazione posta in essere all’inizio degli anni 90, ovvero di un’unione semplicemente monetaria e bancaria è molto debole e ha numerosi limiti, che oggi si stanno mostrando chiaramente. Pertanto, si potrebbe immaginare questa emergenza pandemica come un fatto nuovo in Europa, che potrebbe portare a nuovi scenari, altrimenti sarebbe auspicabile per mantenere in vita il progetto europeo, un percorso confederativo e non federale.

The European project has always been a great dream for many citizens, but has never managed to materialize. In this period of severe economic and social crisis, Europe's role becomes decisive both for the support and recovery of the Member States, but above all for existence. In the Karlsrhue judgment, the profound motivation for the difficulty of concretizing the European project can be taken into account, that is, on the one hand, national governance will hardly give up its power for a new legal order and, on the other, there is a lack of the push to part of the people for the realization of the United States of Europe. For this reason, it is believed that without a serious constituent path, new legal systems can hardly be guaranteed. The approach put in place at the beginning of the 90s, that is, of a simply monetary and banking union, is very weak and has numerous limits, which are clearly showing today. Therefore, one could imagine this pandemic emergency as a new fact in Europe, which could lead to new scenarios, otherwise it would be desirable to keep the European project alive, a confederative and non-federal path.

 

Indice:

1. Premessa

2. Rapporto tra le Corti Costituzionali e norma comunitaria

3. Lo scenario odierno

 

1. Premessa

Nelle ultime settimane si è aperto un dibattito mai risolto, ma estremamente interessante, sul rapporto tra la fonte interna e quella comunitaria, dal momento che la Corte Costituzionale Tedesca ha eccepito il mancato rispetto del principio di proporzionalità nel Trattato o ultra vires, ossia il mancato rispetto della ripartizione delle competenze tra l'Unione europea e gli Stati membri, per quanto riguarda l’emissione negli anni 2015 e 2019 dei QE.

In tale richiamo giurisprudenziale, il principio di proporzionalità è inteso come analisi controfattuale che soppesa vantaggi e svantaggi della decisione.

La sentenza della Corte di Karlsruhe mette in evidenza come il progetto europeo è particolarmente in difficoltà.

Ed invero, ogni Stato Nazionale si fonda sulla sovranità popolare, e non di certo su una sovranità monetaria, tant’è vero che si sono potuti rilevare i gravi limiti se non addirittura il fallimento, secondo alcuni, del percorso di unificazione che si è posto in essere dalla fine degli anni ‘90, con il quale si è voluto unificare solamente il sistema bancario e monetario, piuttosto che armonizzare e provare ad universalizzare i principi e i valori su cui si fondano gli Stati.

Non sono di secondaria importanza concetti come comunità, cittadinanza e sovranità, intesa come potere e volontà che si impone sugli altri.

Pare evidente che l’Unione di Stati sia una fattispecie alquanto complessa, che non poteva essere risolta con una mera unità monetaria e bancaria, poiché gli interessi in campo e le differenze tra gli Stati sono notevoli.

Non bisogna dimenticare che il principale modello e metro di paragone di “Unione federale di Stati” ossia quello proprio degli Stati Uniti d’America si è realizzato dopo anni di guerre civili e non ha riguardato Stati già consolidati e formati come sono presenti in Europa.

Oggi, si nota in maniera limpida l’inefficienza dell’impostazione che si è voluta dare all’Unione Europea, ovverosia costituire un’unità dal punto di vista bancario e monetario, dimostrando che uno Stato o un’unione di Stati, per essere tale deve avere in comune un ordinamento giuridico effettivo cristallizzato in una vera e propria Carta Costituzionale Europea, dei valori, una lingua, una tradizione, insomma deve avere un’anima e non solamente una moneta o un sistema bancario comune.

Alla luce di quanto detto, ci si pone un interrogativo: potrà esistere, davvero, un progetto Europeo nei prossimi anni?

 

2. Rapporto tra Corti Costituzionali e norma comunitaria

Per compiere una disamina completa sul punto, si ritiene fondamentale prendere in considerazione il rapporto tra fonte interna e fonte comunitaria nel nostro Paese.

Con la legge n. 234 del 24 dicembre 2012 “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea”, si individuano le procedure di partecipazione dei soggetti istituzionali sia alla fase preparatoria “ascendente” che di attuazione “discendente” della legislazione europea e si adegua il nostro ordinamento alle profonde modifiche intervenute in sede europea con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

Inoltre, rilevante è la nuova disciplina del recepimento della legislazione europea nel nostro Stato, con particolare riferimento alle direttive.

Orbene, il principale strumento attraverso il quale l’ordinamento giuridico nazionale si adeguava agli atti giuridici dell’Unione era la legge comunitaria annuale, prevista dall’articolo 9 della Legge 11/2005, una sorta di legge contenitore nella quale si raccoglievano tutti gli atti europei che dovevano essere recepiti.

La norma comunitaria poteva procedere al recepimento sia mediante la modifica normativa diretta, sia attraverso l’attribuzione al Governo di una serie di deleghe per predisporre decreti legislativi in coerenza con le direttive europee.

In più, era previsto che nelle materie di legislazione concorrente e residuale poteva anche esserci un intervento delle singole Regioni, previa individuazione nella legge comunitaria dei principi fondamentali cui esse devono attenersi nel recepire gli atti europei.

Pertanto, per migliorare il rapporto tra l’ordinamento comunitario e quello nazionale, il legislatore italiano si è reso conto che era fondamentale snellire il procedimento, prendendo in considerazione un disegno contenente esclusivamente le deleghe al Governo, garantendo un iter parlamentare più celere, in modo da consentire all’Esecutivo di attuare in tempi più rapidi gli atti dell’Unione Europea. A tale scopo sono state emanate due leggi distinte:

a) la legge di delegazione europea, da presentare al Parlamento entro il 28 febbraio di ogni anno, concernente solo deleghe legislative e autorizzazioni all’attuazione in via regolamentare;

b) la legge europea, eventuale, (pertanto, non è indicato un termine specifico di presentazione) da presentare al Parlamento anche disgiuntamente rispetto alla legge di delegazione europea, che riguarda disposizioni modificative o abrogative di norme interne oggetto di procedure di infrazione o di sentenze della Corte di giustizia, necessaria per dare attuazione agli atti dell’Unione europea ed ai Trattati internazionali conclusi dall’Unione.

Ebbene, ciò che desta maggiore preoccupazione sono le differenze tra i diversi ordinamenti giuridici europei, in particolar modo per quanto riguarda i valori e i principi da essi tutelati piuttosto che la loro struttura giuridica.

In effetti, se si pensa che il diritto comunitario esiste solo se calato nell’ordinamento di ciascun Stato membro, appare evidente come un diritto comunitario, in sé e per sé, non esiste.

La situazione in Italia si è aggravata con la modifica del titolo V della Costituzione che ha affidato alle Regioni il compito di attuare le direttive Europee in numerosi settori della vita sociale ed economica, il che rende quanto mai difficile l’ambita armonizzazione considerata la dubbia efficacia ed efficienza di questi Enti (es. mancata utilizzazione o spreco di notevoli fondi Europei).

Sarebbe auspicabile la redazione di una vera e propria Costituzione Europea rigida e l’istituzione di una Corte Costituzionale Europea. In tal senso la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea non è stata di aiuto perché pone al centro della sua azione l’individuo, non la persona. La menzionata scelta pone un problema, ovverosia lo status personae rappresenta un insieme di diritti e di doveri, mentre l’individuo prende in considerazione solo i diritti.

Il diritto comunitario al momento, come già detto, non esiste in sé, ma deve calarsi e integrarsi nel sistema giuridico di ciascuno Stato membro nel rispetto delle sue articolazioni interne e delle sue fonti normative.

Sarebbe auspicabile un sistema italo-comunitario, ovvero il concretizzarsi di un’armonizzazione tra la norma statale e quella comunitaria, basata su dei principi comuni, ma per avere tale sistema è fondamentale anche che vi sia una Costituzione o quantomeno un’universalizzazione dei principi.

Sul punto risulta complesso suddetto orizzonte, a causa di caratteristiche differenti tra gli Stati membri, in quanto da un lato non vi è la voluntas politica di abdicare tale potere ad un’istituzione europea e comune con gli altri Paesi e, dall’altro, vi sono anche delle sfumature di valori e principi su cui si basano le varie Costituzioni, che non sono solo forma ma anche sostanza.

Ad esempio, in Francia, in una prima fase la Corte Costituzionale francese esercitava un controllo indiretto di legittimità costituzionale sul diritto comunitario derivato. Non vi sono elementi ostativi, sulla possibilità che il Conseil venga chiamato a giudicare, ai sensi dell’articolo 61 della Costituzione francese, su una legge che dà applicazione ad un regolamento o che rappresenta la trasposizione di una direttiva comunitaria.

Dunque, un eventuale contrasto veniva risolto mediante una valutazione ex ante della Corte Costituzionale che stabiliva la compatibilità tra norme comunitarie e quelle costituzionali francesi.

Successivamente, però, il Conseil è ritornato ad assestarsi su una posizione di stretta osservanza dei principi comunitari con la sentenza n. 2004-496 del 10 giugno 2004, avente ad oggetto una legge per la promozione dell’economia digitale. Con la quale poneva il principio che la trasposizione nel diritto interno di una norma comunitaria discende da una esigenza di ordine costituzionale, alle quale potrebbe fare ostacolo soltanto una espressa previsione contraria della Costituzione, che stante l’assenza di una tale previsione, soltanto il giudice comunitario, investito della questione a titolo pregiudiziale, può verificare il rispetto da parte della direttiva comunitaria delle competenze definite dal trattato e dei diritti fondamentali garantiti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea.

Mentre, in Germania, la Corte di Karlsruhe, in una prima fase, ha sostenuto che gli organi della Comunità Europea erano tenuti alla tutela integrale dei diritti fondamentali. Successivamente, ha modificato l’orientamento rigidamente dualista, sostenendo che i diritti fondamentali nazionali non siano completamente sottratti alla influenza del diritto comunitario, così da poter incidere sull’interpretazione e sull’applicazione dei diritti, purché ne venga rispettato il contenuto essenziale. Ma al contempo si è riservata di poter intervenire ogni qualvolta il livello comunitario non tuteli i diritti fondamentali della Costituzione Tedesca.

Infine, la Corte Costituzionale Italiana che, se da un lato riconosce il compito della Corte di Giustizia di risolvere il contrasto interpretativo tra la norma comunitaria e quella nazionale, dall’altro si ritiene competente a depurare essa stessa l’ordinamento italiano dalle norme incompatibili con quelle comunitarie in virtù del precetto della chiarezza normativa e della certezza nell’applicazione del diritto.

Laddove la Costituzione è rigida, le Corti Costituzionali controllano che la normativa comunitaria non contrasti con i loro principi fondamentali o con i diritti inviolabili dell’uomo e al tempo stesso verificano che la normativa interna non si ponga in contrasto con le norme comunitarie.

Sul punto, si ritiene interessante il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 20 del 2019, in cui gli ermellini mettono in evidenza l’importanza, di essere interpellata prima o dopo nei contrasti tra l’ordinamento nazionale e quello sovranazionale, come interprete qualificato del patrimonio costituzionale comune europeo.

Difatti, riprende la precedente pronuncia della Consulta n. 269 del 2017’che stabiliva dei criteri per le scelte del giudice ordinario nei casi in cui una normativa interna violasse sia le disposizioni della Costituzione nazionale che della Carta di Nizza, pertanto, le ragioni dell’obiter dictum risiedono nel voler preservare l’opportunità di un possibile intervento con effetti erga omnes della Corte di legittimità, in virtù del principio che incide sul sindacato accentrato di costituzionalità a fondamento dell’architettura costituzionale.

In un frammento fondamentale gli ermellini hanno voluto rimarcare il ruolo delle corti di legittimità nazionali: “Questa Corte deve pertanto esprimere la propria valutazione, alla luce innanzitutto dei parametri costituzionali interni, su disposizioni che, come quelle ora in esame, pur soggette alla disciplina del diritto europeo, incidono su principi e diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione italiana e riconosciuti dalla stessa giurisprudenza costituzionale. Ciò anche allo scopo di contribuire, per la propria parte, a rendere effettiva la possibilità, di cui ragiona l’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, che i corrispondenti diritti fondamentali garantiti dal diritto europeo, e in particolare dalla CDFUE, siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate anche dall’articolo 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come fonti rilevanti”.

A tal proposito, la sentenza aumenta l’accessibilità del controllo di costituzionalità, dal momento che consente al giudice comune di sollevare una questione di legittimità costituzionale, senza correre il rischio di sentirla dichiarare inammissibile per un’eventuale mancanza della previa soluzione della questione di legittimità “euro-unitaria”. Dunque, amplia il potere dei giudici comuni sulle questioni di legittimità.

L’orizzonte che prova a tracciare è un’ulteriore spinta al dialogo tra la Corte costituzionale e la Corte di giustizia, che deriva dalla nozione della di concorso di rimedi, con il conseguente arricchimento degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali, a cui fa riferimento la recente sentenza della Consulta.

La Corte di giustizia nella sentenza del 20 dicembre 2017 della prima sezione, c.d. Global Starnet, aveva rivendicato a sé la competenza a pronunziarsi dietro rinvio pregiudiziale su norme dell’Unione, che sono ritenute sostanzialmente coincidenti con norme della Costituzioni, sulle quali il giudice costituzionale si sia, a sua volta, già pronunciato.

Appare evidente la divergenza di orientamento rispetto alla sent. n. 269 del 2017 della Corte Costituzionale e alla recente sentenza del 20/2019 Cort.Cost., che riporta al sindacato di quest’ultima i casi di violazione di norme della Carta di Nizza, pur laddove aventi natura self-executing, una divergenza per effetto della quale possono aversi conflitti tra le Corti.

Pertanto, sia la decisione della Corte europea che della Corte italiana non lascia presagire un facile punto di incontro tra le norme nazionali e quelle comunitarie, bensì sicuramente necessiterà un lavoro di revisione delle posizioni della Corte europea, al fine di conformarsi alle nuove istanze provenienti delle Corti costituzionali nazionali.

In definitiva, ai fini della compiuta realizzazione del progetto Europeo, non si può prescindere dal necessario percorso costituente, il quale permette di legittimare ed universalizzare i valori e principi su cui si basano le decisioni delle Istituzioni sovranazionali, altrimenti risultano sempre ordinamenti che comunicano tra di essi ma da “estranei” e mai come un unico ordinamento giuridico.

 

3. Lo scenario odierno

Per realizzare il sogno europeo è fondamentale interrogarsi sul come superare il rapporto spesso conflittuale tra l’ordinamento sovranazionale e quello statale, difatti si è discusso di una costituzione europea con l’universalizzazione dei diritti, per poi sottoscrivere nel 2007 il Trattato di Lisbona che riprendeva alcune richieste di riforma che ci fu nel dibattito dei primi anni 2000 sul progetto costituzionale europeo.

Si è discusso di Costituzione Europea all’inizio degli anni 2000, tale progetto di riforma indicava le due grandi sfide dell'Europa del nuovo millennio: una interna, l'avvicinare le Istituzioni Europee al cittadino e potenziare la democraticità dell'Unione; una esterna, il ruolo che avrebbe avuto l'Europa unita, per quanto riguarda la tutela della pace, la democrazia e i diritti fondamentali dell’uomo.

La Carta Costituzionale introduceva una distinzione più chiara fra tre tipi di competenze: quelle esclusive dell'Unione, quelle degli Stati membri, quelle condivise tra l'Unione e gli Stati membri, così da chiarire a in maniera puntuale le diverse competenze e il principio di sussidiarietà.

A tale riguardo, si era discusso se sviluppare una politica estera e di sicurezza comune, di ambiente, di sanità, oppure invece demandare tali questioni agli Stati membri e, ove la loro costituzione lo preveda, alle regioni; ridurre il numero di strumenti legislativi e riassumere in un unico documento il vastissimo corpus giuridico dell'Unione, per garantire la massima chiarezza.

Tale progetto costituente tramontò, inizialmente a causa dei due referendum in Francia ed Olanda nel 2005 e, successivamente, Regno Unito, Polonia e Danimarca sospesero i loro referendum così da rendere impossibile la ratifica.

Ed invero, le elezioni referendarie di Francia e Olanda segnano infatti l'atto di nascita ufficiale di quel vasto movimento anti-europeo che oggi rende instabile la politica dell'intero vecchio Continente.

Sul punto si deve anche dire che è uno schieramento politico-ideologico molto largo che spazia dalla destra nazionalista alla sinistra no-global, riuscendo a rappresentare una grande parte della popolazione europea fortemente scettica rispetto al progetto, in quanto si era realizzata un'unione monetaria senza unione politica ed istituzionale, inglobando i Paesi dell'Est senza veramente integrarli. Tanto è vero che è inverosimile voler definire Costituzione il progetto di riforma e di semplificazione dei trattati, conclusosi con il Trattato di Lisbona, resta lontanissimo da un vero processo costituente.

Questo implicherebbe una rifondazione di sovranità e di legittimità democratica. Richiederebbe di spostare il baricentro del potere europeo dalle varie capitali a Bruxelles. Un popolo che si dà una Costituzione, la mette a fondamento della propria cittadinanza, facendo sì che si parli innanzitutto di cittadini europei, e solo in secondo luogo italiani, francesi o tedeschi. Niente di tutto questo, nelle intenzioni della maggior parte dei governi che nel 2001 avviarono la Convenzione europea per una Costituzione per l’Europa, perché non c’era nessuna volontà reale di delegare sovranità o di cedere legittimità.

Difatti, la mancanza dell’elemento fondamentale, ossia il potere costituente, produce un grande deficit democratico che si riflette in problemi di legittimità, di partecipazione e di autonomizzazione dell’Unione, la quale viene collocata in maniera permanente sopra la comunità e si sottrae quindi al controllo della popolazione.

Tanto è vero che gli Stati Uniti d’America, che sono uno Stato Federale affermato e consolidato, con una struttura politico istituzionale ben delineata e una politica estera unitaria e rappresentativa di tutti gli Stati membri, ha una Costituzione che si apre con “Noi Popolo degli Stati Uniti … ordiniamo e stabiliamo questa Costituzione …”, mentre nel preambolo del Progetto Costituzionale Europeo si faceva riferimento alla volontà dei rappresentanti degli Stati membri.

È pacifica, quindi, la diversa forza del potere costituente tra quello americano e quello europeo, anche prendendo in considerazione che quella americana è una vera e propria Costituzione, che presenta la fotografia della situazione politico istituzionale che l’ha prodotta e l’insieme delle tradizioni e della cultura di un popolo. Nonostante porti sulle spalle più di due secoli di storia essa è sempre attuale e continua a riportare sempre il quadro esatto culturale e istituzionale degli Stati Uniti, questo ovviamente grazie al contributo della Corte Suprema la quale l’ha modificata nel tempo rendendola sempre più vicina alle esigenze del popolo che l’ha voluta.

Quella europea, invece, un semplice accordo fra Stati il quale cerca di riprendere lo stile Costituzionale, ma ne è solo una sembianza perché rimane comunque nella logica del Trattato. Il volere del popolo è stata solo l’ultima istanza alla quale è stata sottoposta. Il processo è stato svolto all’inverso, ossia l’iniziativa è partita dall’alto, da una mediazione dei vertici nazionali i quali non hanno presentato proposte e progetti ideologici ma hanno raccolto semplicemente il minimo comune denominatore delle Carte Costituzionali nazionali.

Diversi giuristi hanno riflettuto sull’importanza di attuare concretamente e definitivamente il progetto europeo, che ritengono fondamentale che si universalizzino dei principi europei, al fine di evitare contrasti tra le norme statali e le norme sovranazionali, così da permettere una razionalizzazione del sistema giuridico e di conseguenza una tutela omogenea in Europa dei diritti fondamentali dell’uomo.

Orbene, sembra evidente che ad oggi, sia decisamente impossibile la realizzazione del progetto degli Stati Uniti d’Europa, in quanto non ci sarebbero le condizioni del we the people o della voluntas degli Stati membri di voler abdicare la loro sovranità vale a dire cedere il proprio potere ad una Istituzione sovranazionale.

Per tale ragione, si ritiene necessaria una discussione chiara e puntuale sia all’interno degli Stati che tra i plenipotenziari, al fine di porre in essere un riconoscimento giuridico formale e sostanziale.

Si immagina sia più fattibile una forma federalista dell’Europa, mantenendo la sovranità in capo agli Stati membri, piuttosto che la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa.

Lo spiega in maniera alquanto chiara Ferrajoli, il quale sostiene che la realizzazione di un ordine sovranazionale, in cui vi sono istituzioni che garantiscono l’uguaglianza e il rispetto dei diritti fondamentali di tutti i cittadini europei, si potrebbe concretizzare solo mediante la volontà dei Paesi più influenti dell’Unione, che dovrebbero tutelare gli interessi economici e politici di tutti i Paesi membri, piuttosto che proteggere i benefici particolari dei propri Stati.

Quanto innanzi detto, dimostra chiaramente le ragioni sottostanti alla sentenza del 5 maggio scorso emessa dalla Corte Costituzionale Tedesca, la quale mette in evidenza come non esiste sostanzialmente quel principio solidaristico su cui si dovrebbe basare un’Unione Europea.

Pertanto oggi, l’atto emesso dalla menzionata Corte indebolisce fortemente anche la fattibilità del piano di aiuti economici, cd. Recovery Fund, così come era stato chiesto dai Paesi maggiormente in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria.

Tanto è vero che, si ragiona su un piano di interventi straordinari, mediante lo strumento di “debito comune”, ma ridimensionando la portata economica dell’azione europea, dal momento che vi sono visioni e tradizioni culturali e politiche differenti tra i c.d. Paesi del Nord-Europa e quelli dell’Europa Mediterranea.

Orbene, un mancato intervento significativo e solidaristico potrebbe porre fine al progetto europeo, dimostrando come sia fragile l’Unione Europea che è stata immaginata e realizzata, dal momento che non è stato posto in essere un percorso costituente, ma si è voluti partire da un punto di vista economico e monetario.

In conclusione, il processo di integrazione europea è ormai arrivato ad un punto cruciale e definitivo. Il futuro, però, è ancora tutto da scrivere e se i Paesi europei non daranno nuovo slancio al progetto dell’Unione ciò che ci aspetta è un ritorno al passato. Le debolezze dell’Unione si sono rilevate sia con la crisi del 2008 e soprattutto, con quella sanitaria di questi mesi, in cui si è dimostrato che i Paesi europei sono meno uniti di quanto dovrebbero essere.

Questa crisi può essere un’opportunità per dare un nuovo impulso alla formazione degli “Stati Uniti d’Europa”?

Sicuramente, può essere quell’evento da cui può scaturire un processo più ampio di formazione di un percorso di integrazione europeo. Ma per quanto detto in precedenza, è auspicabile l’avvento di uno Stato Federale, ma visto lo status quo pare lontano e illusorio il concretizzarsi gli Stati Uniti d’Europa senza una consapevolezza e una volontà forte da parte dei cittadini e allo stesso tempo, l’intenzione da parte degli Stati di cedere parte del proprio potere, legittimando un Istituzione di livello superiore.

Piuttosto sarebbe immaginabile, date le difficoltà oggettive, di realizzare una vera Confederazione, che è un'associazione di Stati creata mediante un trattato, al fine di redigere una Costituzione comune, così da universalizzare i principi fondamentali e valori, su cui fondare la Confederazione degli Stati e, di conseguenza, presentarsi come unico interlocutore a livello internazionale.

Dal punto di vista monetario, invece, sarebbe auspicabile che la BCE diventi una vera banca centrale com’è la Federal Reserve negli Stati Uniti d’America, che deve supportare gli Stati con un cambio del paradigma economico ovvero ponendo in essere una politica monetaria espansiva, ad esempio finanziando la Banca Europea degli Investimenti e le Banche Pubbliche d’Investimento dei singoli Stati, affinché si possano agevolare gli investimenti che saranno necessari per ricostruire le economie dei Paesi membri.

Del resto, gli Stati europei applicano aliquote molto diverse e ciò permette alle varie multinazionali di scegliere dove avere la propria sede, per pagare meno tasse, così da penalizzare le aziende che hanno la propria sede in Stati con la tassazione più alta. Quest’ultimo esempio, pone in evidenza l’importanza di condividere principi e valori, in quanto eviterebbe uno svantaggio e una concorrenza all’interno della Confederazione per i Paesi membri, che risulta inutile e stridente se c’è davvero la volontà di realizzare un progetto comune.

Diversamente opinando, non si può che affermare che il progetto Europeo sia fallito o, quantomeno, è deficitario, in quanto non sia stato. capace in questi anni, di dare quelle risposte sociali e politiche che solo uno Stato costituzionalmente legittimato, e per quanto sopra detto sovrano, può dare.

In ragione di quanto innanzi evidenziato, qualora non mutasse lo status quo, le conseguenze potrebbero essere da un lato, l’occultazione del potere dell’elites politico-economiche nazionali e sovranazionali, per continuare a tutelare i propri interessi particolari, mentre dall’altro potrebbe concretizzarsi come è avvenuto già in Francia movimenti popolari tumultuosi, in quanto i popoli non possono essere governati solamente con parametri economici e finanziari, bensì è fondamentale porre in essere scelte in ambito sociale e, allo stesso tempo, dare loro una visione di comunità nel medio e lungo termine.

Letture Consigliate:

  • Carlo Galli, Sovranità, Il Mulino, 2019
  • Pietro Costa, Cittadinanza, GLF Editori Laterza, 2019
  • Niccolò Macchiavelli, Il Principe, Einaudi, 1984
  • Geminello Preterossi, Potere, GLF Editori Laterza, 2013
  • Luigi Ferrajoli, Diritti Fondamentali, un dibattito teorico, GLF Editori Laterza, 2008  
  • Hans Kelsen, Teoria generale del diritto, Etas-Rcs, 2000