Danno non patrimoniale: il Tribunale di Novara si pronuncia dopo le Sezioni Unite
La pronuncia è interessante perché stata resa dopo la nota sentenza SS.UU. 26972/2008 e costituisce un’applicazione pratica dei principi dettati dalla Cassazione in consesso plenario.
‘Casus belli’ per il Tribunale di Novara un infortunio sul lavoro.
Un operaio si frattura una mano mentre sta sostituendo la punta di un trapano. Risulta che la macchina non avesse le protezioni di legge e che l’operaio non avesse seguito le dovute procedure di sicurezza. L’operaio ricorre avanti al Tribunale di Novara chiedendo il risarcimento dei danni subiti.
Il Giudice di Novara rilevava la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., dacchè tale norma non impone soltanto l’obbligo di adozione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure che “in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro, in base alla particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza e alla tecnica”, ma perché, scriveva in motivazione, “la violazione del dovere generale di sicurezza comporta la responsabilità datoriale, non solo quando omette di adottare le idonee misure protettive imposte dalla legge o suggerite dall’esperienza o dalle conoscenze tecniche, ma anche quando omette di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente”.
Era quanto accaduto nella fattispecie, sottoposta a disamina.
Poi però, atteso che, il Ctu aveva rilevato la sussistenza di lesioni alla persona, sia permanente sia temporanea, si poneva, nel giudizio in oggetto, la questione di come liquidarli.
E, soprattutto, di se e, se sì, di come, liquidare quelle voci di pregiudizio che, prima della note SSUU 26972/2008, si definivano danno morale soggettivo e danno esistenziale o alla vita di relazione.
Il Giudice spiegava in motivazione: “La Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite n. 26972 in data 24 giugno 2008 ha osservato che la lesione degli interessi non suscettivi di valutazione economica dà luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell’integrità psicofisica, (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2,4,32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale co-stituita dall’impresa”.
Proseguiva quindi, osservando che “la Corte di Cassazione ha inoltre precisato che definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”.
Ricorre il primo caso, aggiungeva, “ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella indennità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”.
Nel caso siano dedotte siffatte conseguenze, quindi, “si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”.
In conseguenza, affermava il magistrato, “esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.
E decideva la causa, liquidando prima il danno biologico e in seguito provvedendo alla sua personalizzazione in considerazione della sofferenza patita e dalla incidenza che la lesione era destinata ad assumere anche nella sfera della vita privata dell’infortunato.
La sentenza in oggetto, come detto, si segnala all’attenzione del lettore perché affronta il delicatissimo problema di come ‘trattare’ il danno non patrimoniale nella sua componente soggettivo o morale o esistenziale o comunque legato alla sofferenza psichica e al fare areddituale della persona.
Interessanti altri precedenti sul tema specifico.
Il Tribunale di Milano, decima sezione civile, nella sentenza n. 2427 del 23/2/2009, scriveva in motivazione, di essere pervenuto “all’importo indicato, sulla base delle indicazioni fornite con riferimento al danno biologico, sia temporaneo che permanente, dalla tabella legale per le micropermanenti - i cui ordini di grandezza vengono in questa sede equitativamente utilizzati - indicazioni che, avendo come unico riferimento il pregiudizio derivante dalla lesione dell’integrità psicofisica del danneggiato (ossia il danno biologico de-privato dalla componente di sofferenze fisiche e morali, così come usava secondo la diffusa accezione del danno biologico precedente alle Sezioni Unite 2008), possono e devono essere oggetto della personalizzazione cui le stesse Sezioni Unite fanno riferimento, solo così potendo assicurarsi l’integralità del risarcimento”.
Il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 7876 del 27/11/2008, dopo aver rilevato che “la sentenza delle Sezioni Unite impone oggi un diverso approccio alla liquidazione del danno non patrimoniale”, ripercorsi i principi affermati da esse SS.UU., rileva per ciò che ivi viene definito danno “da sofferenza” – specificando “che per mera comodità espositiva si può continuare a chiamare ‘morale’” – che “a soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione”.
E così viene identificato, dal Tribunale di Torino, un “primo gruppo” nei “casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p.es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi e con postumi minimi. In questi casi la ‘sofferenza morale’ è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea”: liquidazione, in tal caso, “contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico”. Secondo gruppo: “i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità”, “normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente…); e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti”. Anche in questo caso “il ‘patimento morale’ è il portato di una lesione fisica” “anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico”, che va liquidato “in misura superiore, da un minimo di un terzo ad un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico”. Con una precisazione, però: la sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica può ritenersi, afferma il Tribunale, “provata in via presuntiva”, mentre la sofferenza derivante dal non poter fare deve essere “positivamente dimostrata”. Terzo gruppo, infine, “i casi in cui il ‘patimento’ da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico”, come nel danno per diffamazione. In dette ipotesi, dichiara il Tribunale di Torino, “la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità della singola fattispecie”.
Sempre il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 8428 del 23/12/2008, distingue fra “riflessi oggettivi e soggettivi del danno biologico”, precisando che i primi sono apprezzabili “tramite accertamento medico legale (incidenza su sport, attività fisiche, maggior usura al lavoro, riflessi sulla vita sessuale e di relazione, ecc.)” mentre i secondi includono “gli aspetti più propriamente psicologici, ovvero la sofferenza morale che discende dall’illecito patito e dalle sua conseguenze oggettive”. Tali danni “sembrano liquidabili” “mediante un eventuale incremento ulteriore dei valori” dei danni all’integrità psicofisica della persona, incremento che non sarebbe “predeterminabile allo stato, a priori, in senso assoluto, ma valutabile in concreto, in considerazione delle particolarità oggettive e soggettive del caso, sulla scorta della prova offerta, in modo da garantire l’effettività della tutela rispetto al danno, ovvero risarcirlo per intero”. Nel caso di specie, il Tribunale ha liquidato operando un aumento della valutazione del danno.
Il Tribunale di Catania, invece, nella sentenza del 17/11/2008, rilevando che “nel caso di specie, nulla è stato allegato e men che meno è stato provato che possa indurre a ritenere che vi siano ulteriori concrete sofferenze fisiche o psichiche” che non fossero già stata risarcite dai criteri tabellari, negava la risarcibilità dei ‘vecchi’ danno morale o esistenziale, non provvedendo a nessun incremento.
Anche il Tribunale di Potenza, nella sentenza del 15/12/2008, affermava che “nulla può, di contro, essere liquidato a titolo di danno morale, non potendosi ritenere in re ipsa”.
La pronuncia è interessante perché stata resa dopo la nota sentenza SS.UU. 26972/2008 e costituisce un’applicazione pratica dei principi dettati dalla Cassazione in consesso plenario.
‘Casus belli’ per il Tribunale di Novara un infortunio sul lavoro.
Un operaio si frattura una mano mentre sta sostituendo la punta di un trapano. Risulta che la macchina non avesse le protezioni di legge e che l’operaio non avesse seguito le dovute procedure di sicurezza. L’operaio ricorre avanti al Tribunale di Novara chiedendo il risarcimento dei danni subiti.
Il Giudice di Novara rilevava la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., dacchè tale norma non impone soltanto l’obbligo di adozione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure che “in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro, in base alla particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza e alla tecnica”, ma perché, scriveva in motivazione, “la violazione del dovere generale di sicurezza comporta la responsabilità datoriale, non solo quando omette di adottare le idonee misure protettive imposte dalla legge o suggerite dall’esperienza o dalle conoscenze tecniche, ma anche quando omette di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente”.
Era quanto accaduto nella fattispecie, sottoposta a disamina.
Poi però, atteso che, il Ctu aveva rilevato la sussistenza di lesioni alla persona, sia permanente sia temporanea, si poneva, nel giudizio in oggetto, la questione di come liquidarli.
E, soprattutto, di se e, se sì, di come, liquidare quelle voci di pregiudizio che, prima della note SSUU 26972/2008, si definivano danno morale soggettivo e danno esistenziale o alla vita di relazione.
Il Giudice spiegava in motivazione: “La Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite n. 26972 in data 24 giugno 2008 ha osservato che la lesione degli interessi non suscettivi di valutazione economica dà luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell’integrità psicofisica, (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2,4,32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale co-stituita dall’impresa”.
Proseguiva quindi, osservando che “la Corte di Cassazione ha inoltre precisato che definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”.
Ricorre il primo caso, aggiungeva, “ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella indennità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”.
Nel caso siano dedotte siffatte conseguenze, quindi, “si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”.
In conseguenza, affermava il magistrato, “esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.
E decideva la causa, liquidando prima il danno biologico e in seguito provvedendo alla sua personalizzazione in considerazione della sofferenza patita e dalla incidenza che la lesione era destinata ad assumere anche nella sfera della vita privata dell’infortunato.
La sentenza in oggetto, come detto, si segnala all’attenzione del lettore perché affronta il delicatissimo problema di come ‘trattare’ il danno non patrimoniale nella sua componente soggettivo o morale o esistenziale o comunque legato alla sofferenza psichica e al fare areddituale della persona.
Interessanti altri precedenti sul tema specifico.
Il Tribunale di Milano, decima sezione civile, nella sentenza n. 2427 del 23/2/2009, scriveva in motivazione, di essere pervenuto “all’importo indicato, sulla base delle indicazioni fornite con riferimento al danno biologico, sia temporaneo che permanente, dalla tabella legale per le micropermanenti - i cui ordini di grandezza vengono in questa sede equitativamente utilizzati - indicazioni che, avendo come unico riferimento il pregiudizio derivante dalla lesione dell’integrità psicofisica del danneggiato (ossia il danno biologico de-privato dalla componente di sofferenze fisiche e morali, così come usava secondo la diffusa accezione del danno biologico precedente alle Sezioni Unite 2008), possono e devono essere oggetto della personalizzazione cui le stesse Sezioni Unite fanno riferimento, solo così potendo assicurarsi l’integralità del risarcimento”.
Il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 7876 del 27/11/2008, dopo aver rilevato che “la sentenza delle Sezioni Unite impone oggi un diverso approccio alla liquidazione del danno non patrimoniale”, ripercorsi i principi affermati da esse SS.UU., rileva per ciò che ivi viene definito danno “da sofferenza” – specificando “che per mera comodità espositiva si può continuare a chiamare ‘morale’” – che “a soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione”.
E così viene identificato, dal Tribunale di Torino, un “primo gruppo” nei “casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p.es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi e con postumi minimi. In questi casi la ‘sofferenza morale’ è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea”: liquidazione, in tal caso, “contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico”. Secondo gruppo: “i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità”, “normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente…); e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti”. Anche in questo caso “il ‘patimento morale’ è il portato di una lesione fisica” “anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico”, che va liquidato “in misura superiore, da un minimo di un terzo ad un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico”. Con una precisazione, però: la sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica può ritenersi, afferma il Tribunale, “provata in via presuntiva”, mentre la sofferenza derivante dal non poter fare deve essere “positivamente dimostrata”. Terzo gruppo, infine, “i casi in cui il ‘patimento’ da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico”, come nel danno per diffamazione. In dette ipotesi, dichiara il Tribunale di Torino, “la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità della singola fattispecie”.
Sempre il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 8428 del 23/12/2008, distingue fra “riflessi oggettivi e soggettivi del danno biologico”, precisando che i primi sono apprezzabili “tramite accertamento medico legale (incidenza su sport, attività fisiche, maggior usura al lavoro, riflessi sulla vita sessuale e di relazione, ecc.)” mentre i secondi includono “gli aspetti più propriamente psicologici, ovvero la sofferenza morale che discende dall’illecito patito e dalle sua conseguenze oggettive”. Tali danni “sembrano liquidabili” “mediante un eventuale incremento ulteriore dei valori” dei danni all’integrità psicofisica della persona, incremento che non sarebbe “predeterminabile allo stato, a priori, in senso assoluto, ma valutabile in concreto, in considerazione delle particolarità oggettive e soggettive del caso, sulla scorta della prova offerta, in modo da garantire l’effettività della tutela rispetto al danno, ovvero risarcirlo per intero”. Nel caso di specie, il Tribunale ha liquidato operando un aumento della valutazione del danno.
Il Tribunale di Catania, invece, nella sentenza del 17/11/2008, rilevando che “nel caso di specie, nulla è stato allegato e men che meno è stato provato che possa indurre a ritenere che vi siano ulteriori concrete sofferenze fisiche o psichiche” che non fossero già stata risarcite dai criteri tabellari, negava la risarcibilità dei ‘vecchi’ danno morale o esistenziale, non provvedendo a nessun incremento.
Anche il Tribunale di Potenza, nella sentenza del 15/12/2008, affermava che “nulla può, di contro, essere liquidato a titolo di danno morale, non potendosi ritenere in re ipsa”.