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Delitto sconosciuto: appropriazione di cosa smarrita o di cui si viene in possesso per errore altrui o caso fortuito

Articolo 647 Codice Penale
INDICE

L’OPZIONE NON APPROPRIATIVA ED I REGOLAMENTI COMUNALI

LA COSA SMARRITA SECONDO IL VOCABOLARIO

LA COSA SMARRITA SECONDO LE MASSIME DELLA CASSAZIONE

LA COSA SMARRITA SECONDO IL SENSO COMUNE

LA COSA DIMENTICATA E LA SFERA DI SORVEGLIANZA

LO “SMARRIMENTO” DI TELEFONI CELLULARI

LO SMARRIMENTO DEL PERSONAL COMPUTER

LO “SMARRIMENTO” DI ANIMALI DA COMPAGNIA, SMARRIMENTO DEL CANE

L’APPROPRIAZIONE DI ASSEGNI, TITOLI DI CREDITO, BANCOMAT

L’APPROPRIAZIONE DI DENARO

L’APPROPRIAZIONE DEL BAGAGLIO

ALL’INTERNO DI UN TRENO

IL BAGAGLIO AEREO ED IL SERVIZIO LOST AND FOUND

LA TENTATA APPROPRIAZIONE DI COSA SMARRITA

LE RICERCHE SULLE SPIAGGE

L’APPROPRIAZIONE DI COSE DI CUI SI E’ VENUTI IN POSSESSO PER CASO FORTUITO O PER ERRORE ALTRUI

IL CASO FORTUITO

L’ERRORE ALTRUI

CONSIDERAZIONI FINALI

INTRODUZIONE

Recentemente, nella prima pagina di un quotidiano, risaltava la notizia che riassumo nei suoi tratti salienti: Tizio, dopo aver trovato su un muretto un telefono cellulare (per il cui furto era stata presentata denuncia), a chi lo vide appropriarsene, dichiarava che era sua intenzione recarsi presso le forze dell’ordine per restituirlo, operazione che puntualmente non avveniva. Dopo quindici giorni, questi riaccendeva l’apparecchio e vi inseriva una propria sim sicché, individuato dalle forze dell’ordine, alle quali dichiarava di non aver ancora potuto provvedere alla consegna dell’oggetto essendovi stato impedito da impegni di lavoro, veniva rinviato a giudizio per ricettazione e condannato alla pena di 3 mesi di reclusione ed euro 160 di multa.

Aveva tale persona veramente violato l’art. 648 c.p. oppure la sua condotta doveva farsi ricadere nell’ambito della fattispecie delittuosa ben più lieve prevista e punita dall’art. 647 c.p.?

Per soddisfare immediatamente la curiosità del lettore, dirò che concordo pienamente con il titolo di reato in base al quale Tizio è stato condannato e ciò per i motivi che esporrò più avanti quando tratterò dello smarrimento di telefoni cellulari.

Ora che vi ho un po’ incuriositi, comincerò a trattare l’articolo 647 c.p., spero con la massima completezza possibile; questo il suo dettato:

“È punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa da Euro 30 a Euro 309;

1) chiunque, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull’acquisto della proprietà di cose trovate;

2) chiunque, avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo;

3) chiunque si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.

Nei casi preveduti dai nn. 1 e 3, se il colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è appropriata, la pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a Euro 309. ”.

A causa delle modifiche legislative operate dal decreto legislativo n. 274/2000, sulla sussistenza di tale delitto è competente a decidere il Giudice di Pace (art. 4, comma primo, lettera a), mentre la pena ora prevista per le fattispecie di cui al primo comma (ex art. 52, comma secondo, lettera a) è quella della multa da euro 258 ad euro 2582 e per quelle previste e punite dal secondo comma (ex art. 52, comma secondo, lettera c), quella della multa da euro 774 ad euro 2582.

Il tempo di prescrizione del delitto in esame, ex art. 157 c.p., è di 6 anni sia per quanto riguarda la violazione del primo comma che del secondo; è delitto a dolo generico, il tentativo è configurabile, con procedibilità a querela di parte, attenuanti compatibili, gli artt. 62, comma 4 e 6, c.p..

Tale fattispecie trova il proprio momento consumativo quando, alla condotta consistente nell’apprensione del bene smarrito, che fa insorgere nel ritrovatore gli obblighi previsti dal codice civile agli artt. 927 e seguenti (elemento oggettivo), si combina l’elemento soggettivo appropriativo ossia la voluntas rem sibi habendi, che sarà dimostrabile o con la prova offerta dalla confessione di questa da parte dell’imputato o attraverso gravi, precisi e concordanti indizi (ex art. 192 c.p.p.) che verranno desunti da una condotta, incompatibile con la volontà di restituire.

L’OPZIONE NON APPROPRIATIVA ED I REGOLAMENTI COMUNALI

Ciò che deve essere chiaro è che quando troviamo qualcosa lungo la strada od in altro luogo, sappiamo sempre e comunque che quella cosa non è nostra e che possiamo liberamente impossessarcene solo se è stata derelitta dal suo legittimo proprietario, così come previsto dall’art. 923 cc. che stabilisce: “Le cose mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano con l’occupazione. Tali sono le cose abbandonate e gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca.” Per cui se la cosa non è una res nullius e la si trattiene uti dominus, si commette, in ogni caso, un reato.

Nel momento in cui tale cosa, qualunque essa sia, anche denaro, viene da noi individuata, siamo obbligati ad operare una scelta:

- lasciarla lì dove si trova, senza complicarci la vita, oppure, dopo aver necessariamente raccolto la cosa per esaminarla,

- riposizionarla nel luogo dove si trovava o, in alternativa, in uno vicino magari più visibile, al fine di agevolare la ricerca ed il ritrovamento di questa, da parte dello smarritore;

- trattenerla, per puro spirito civico, lo stretto tempo necessario, per recarsi a consegnarla alla più vicina stazione delle forze dell’ordine o presso l’ufficio oggetti smarriti del comune, affinché si provveda all’identificazione del proprietario e consegua la riconsegna;

- o, infine, compiere quanto al punto precedente, presso il competente ufficio comunale, per poter ottenere dal proprietario il premio previsto dall’art. 930 c.c. od in alternativa, la proprietà della stessa ex art. 929 c.c., qualora questi non si presenti per reclamarla entro un anno dall’ultimo giorno di pubblicazione del ritrovamento nell’albo pretorio, quindi dopo circa un anno ed un mese.

Sugli aspetti giuridici ex art. 929 c.c., vale la pena procedere ad un approfondimento, visti gli ipotetici risvolti penalistici che potrebbero conseguire a condotte non rispettose del diritto di colui che diviene ex novo proprietario delle cose smarrite.

Maturato il periodo di legge, le cose smarrite, che sono state consegnate all’ufficio oggetti smarriti o, più correttamente, oggetti rinvenuti, del Comune,

a) hanno tutte un proprietario, ossia il ritrovatore;

b) di cui l’amministrazione conosce perfettamente l’identità e la residenza;

c) il quale viene, non rare volte, di fatto, costretto contro la propria volontà, a non esercitare il proprio diritto (in ragione dei tempi e costi di causa che conseguirebbero per riottenerne la proprietà agendo contro il sindaco), a mio avviso a causa di pratiche giuridicamente poco corrette, da parte di alcuni Comuni, e vado a spiegarmi.

A norma dell’art. 929 c.c., il diritto di proprietà viene automaticamente acquisito dal ritrovatore, allo scadere del periodo indicato (acquisizione per invenzione sottoposta a condizione sospensiva), se ne ricorda il chiaro dettato:

“Trascorso un anno dall’ultimo giorno della pubblicazione senza che si presenti il proprietario, la cosa oppure il suo prezzo, se le circostanze ne hanno richiesto la vendita, appartiene a chi l’ha trovata…” e, come è risaputo, il diritto di proprietà non è sottoponibile a termini di decadenza, né a prescrizione alcuna, per cui sono da ritenersi non giuridicamente corrette, le formule, rinvenute in alcuni regolamenti comunali per gli oggetti rinvenuti, che così pronunciano:

“Art.50:…trascorso un anno dalla pubblicazione…gli oggetti o i valori ritrovati, spettano al rinvenitore, il quale può esercitare tale diritto entro 30 giorni dal termine predetto..” (comune di Grosseto[1]);

“Art.7:…il cittadino che ha ritrovato l’oggetto può esercitare il diritto ad acquisirne la proprietà entro il termine di 60 giorni consecutivi dalla scadenza a pena di decadenza” (comune di Milano[2]);

“Art. 13 n.2) Il ritrovatore potrà ritirare l’oggetto di cui è divenuto proprietario entro tre mesi dalla data suddetta, previo pagamento delle spese di cui all’art. 11. 3) In assenza di esplicita manifestazione di volontà di acquisire la proprietà del bene entro il medesimo termine decadono i diritti del ritrovatore.” (Comune di Pramaggiore[3]).

Anche se riguardante una tematica diversa, vale la pena, a puro titolo di curiosità, riportare pedissequamente l’incredibile dettato dell’art. 7 del regolamento del Comune di Rimini[4]: “Il proprietario, cui l’oggetto venga restituito, dovrà depositare all’Economo, contestualmente al ritiro, l’importo del premio dovuto al rinvenitore, stabili(to) ai sensi dell’art. 930 del C.C.”: se veramente il funzionario comunale si rifiutasse di riconsegnare il bene allo smarritore, che dopo aver pagato le spese si rifiutasse di sborsare il premio, la sua condotta soddisferebbe l’elemento oggettivo del reato di estorsione ex art. 629 c.p..

È giusto ricordare, visto che alcuni regolamenti (che sarebbe il caso che venissero ampiamente corretti) sono rappresentativi, a mio avviso, di future condotte che non vedo come non definire penalmente rilevanti, risolvendosi in vere e proprie appropriazioni indebite, che la proprietà degli oggetti ritrovati può nascere in capo alla Amministrazione Comunale solamente nei seguenti modi:

1) ex art. 923 c.c. (occupazione), quindi per derelictio del ritrovatore, oppure

2) per donazione, oppure

3) per usucapione decennale ex artt. 1161 e 1164 c.c..

Un numero enorme di comuni ritiene, a mio avviso del tutto erratamente, di poter riuscire a fare propri i beni ritrovati, in forza di esplicita previsione contenuta nei propri regolamenti in materia, attribuendosi il potere di operare una forma di acquisizione breve, sui generis oppure creando una sorta di presunzione “normativa” di derelizione, nel caso in cui il ritrovatore-proprietario (spesso neppure avvisato dal comune stesso) non si presenti a ritirare il bene in tempi stabiliti a propria purissima discrezionalità.

Ragionando su tale metodologia di comportamento, si ravvede come il regolamento comunale, e di conseguenza la persona del sindaco se lo applica, a priori ritiene che tutti i beni che sono stati smarriti e non reclamati, siano derelitti, cosa inaccettabile, ne sia prova il fatto che sia il sindaco, sia coloro che hanno approvato il regolamento, sono a conoscenza di un’ovvietà, cioè che quando i beni sono di valore, soprattutto se notevole, sono senza dubbio alcuno da intendersi unicamente “cose dimenticate”, non di certo abbandonate, delle quali ci si può ricordare entro 10 anni e rivendicarne la proprietà.

Un articolo di un regolamento, a titolo di esempio, tra i tantissimi uguali o simili rappresentabili stabilisce quanto segue:

“Art. 8)…Trascorso un anno…sarà messo a disposizione del ritrovatore, il quale lo potrà ritirare entro trenta giorni dalla data predetta…Art. 9) Decorsi i termini senza che il proprietario o il ritrovatore si siano presentati a reclamare l’oggetto, questo diventerà dell’Amministrazione Comunale.” (Comune di Fiumicino[5]; conformi comuni di Crema, Modena, Grosseto, Arezzo),

ma i Comuni non possono derogare alle norme civilistiche inerenti i modi d’acquisto della proprietà: norme regolamentari, volte a limitare, in qual si voglia modo, l’altrui diritto di proprietà, sono tanto illegittime quanto colpite da eccesso di potere, quindi non opponibili al ritrovatore (così come al suo erede), che si presenti dopo il termine a chiedere la consegna del proprio bene, ritrovatore che potrà agire sia in sede civilistica che penalistica, nel qual caso il titolo di reato ipotizzabile sarebbe, all’evidenza, appropriazione indebita ex art. 646 c.p.: i tempi di presentazione della querela saranno novanta giorni dal rifiuto della consegna, dopo di che potrà procedere solo per via civilistica.

Qualora si ritenesse che tali norme regolamentari non siano volte ad operare un’acquisizione per occupazione, ma vogliano farlo attraverso una sorta di donazione tacita, non si potrebbe non rilevare come tale atto di liberalità non sia contemplato nel nostro sistema giuridico che, invece, prevede per quella fattispecie negoziale, una manifestazione di volontà esplicita dell’avente diritto.

Così, nel caso in cui il ritrovatore, sua sponte, dichiarasse al momento della consegna del bene reperito, di rinunciare alla futura proprietà del bene, qualora questo non venisse reclamato dallo smarritore, ciò a favore del Comune, esemplare in tal senso l’articolo 18 n. 3 del regolamento delle Terre D’Argine[6] (Carpi, Campogalliano, Soliera, Novi di Modena) che stabilisce: “Il ritrovatore, all’atto contestuale della consegna dell’oggetto, può dichiarare il proprio disinteresse ad acquisirne la proprietà decorso il periodo previsto dalla legge, ed esplicare la propria volontà di lasciare il bene al patrimonio dell’Unione qualora non sia rintracciato il legittimo proprietario.”,

venendosi a violare il dettato dell’art. 771, comma 1, c.c., che si ricorda stabilire:

“La donazione non può comprendere che i beni presenti del donante. Se comprende beni futuri, è nulla rispetto a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora separati.”, il comune non potrà acquisire la proprietà, essendo la donazione nulla.

Pur rilevando che molti Comuni, con maggior correttezza rispetto ad altri, inviano comunicazione ai ritrovatori, circa la futura acquisizione “regolamentare”, anche in questo caso, il bene del ritrovatore, non potrà essere trasformato in derelitto per fatti concludenti.

Le previsioni regolamentari possono unicamente sostanziare una interversio possessionis ex art. 1164, primo comma, c.c., quindi devono far trasparire il seguente tenore: “Io Comune, che per legge detengo il tuo bene, se non ti presenti a ritirarlo nei termini che sono costretto a porre per motivazioni contingenti (es.: carenza di spazi), inizio, scaduti gli stessi, ad esercitarne il possesso uti dominus, possesso che si trasformerà in diritto di proprietà allo scadere dei 10 anni previsti dall’art. 1161, primo comma, c.c.”.

Un esempio pratico convincerà il lettore della validità di quanto sinora sostenuto: un lettore di questo scritto, durante le vacanze in una località molto distante dalla sua residenza, nel mattino di un giorno feriale, camminando sulla spiaggia, od altrimenti, reperisce una collana di grande valore, che prontamente porta alla vicina casa comunale, all’ufficio oggetti rinvenuti, a quell’ora aperto: quid juris alla scadenza del termine capestro posto dal comune?

La cosa sarà derelitta oppure più probabilmente dimenticata, ossia sarà presente o desumibile l’animus dereliquendi, o invece il proprietario, scevro da qualunque volontà rinunciataria, si riserva di andarla a riprendere quando se ne ricorderà (magari reperendo tra le sue carte la nota di consegna) oppure se non dimentico, quando avrà tempo di recarsi in loco, pagando le spese che devono essere stabilite su base giornaliera?

Dall’esame della grandissima maggioranza dei regolamenti che ho consultato (fanno stimabile eccezione, a titolo di esempio quello di Monteroni D’Arbia, Morciano di Romagna, Rieti e Terre D’Argine), ho rilevato come dai Comuni non solo vengano imposti ai ritrovatori-proprietari, per il ritiro del proprio bene, termini,

illegittimi (si noti come spesso i redattori dei regolamenti non conoscano la differenza tra possesso e proprietà), anche soltanto in quanto stabiliti unilateralmente dal Comune creditore delle spese di deposito a proprio totale favore, andando a risolversi, di fatto, in una sorta di clausola vessatoria ex art. 1341, secondo comma, c.c. (…In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte,…o sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze…),

ma anche, quanto siano, pure, molto stretti e penalizzino soprattutto i ritrovatori residenti fuori dal Comune interessato, i lungodegenti, le persone all’estero, gli eredi, ecc., sicchè, spesso anche senza preventivamente avvisare il ritrovatore, dichiarano proprio il bene allo scadere di 90, 60 e finanche 30 giorni,

di fatto denotando la poco elogiabile volontà di cercare di approfittare di un’eventuale scarsa memoria dei ritrovatori.

LA COSA SMARRITA SECONDO IL VOCABOLARIO

Il punto ora da esaminare riguarda, come ovvio, la definizione della parola smarrire,

che, a rigore di vocabolario, significa:

“ Perdere, ma non senza speranza di ritrovare[7]”,

“ Non riuscire più a trovare qualcosa che prima si aveva o si sapeva dove fosse[8]”,

“ Non trovare più qualcosa che si aveva con sè[9]”,

“ Perdere qualcosa, non riuscire più a trovarla[10];

LA COSA SMARRITA SECONDO LE MASSIME DELLA CASSAZIONE

per la Cassazione Civile (sent. 944/1954) “…si ha cosa smarrita quando la stessa, uscita per un accidente fortuito dal possesso (inteso come disponibilità materiale) del proprietario, ma non dal suo patrimonio…mentre il proprietario (o possessore o detentore) ignori dove la cosa si trovi e perciò non abbia che un’incerta possibilità di recupero…[11]”;

nella massima della sentenza n. 100125/1965, ad opera della terza sezione penale, la Corte di Cassazione Penale così si pronuncia: “Perché possa parlarsi di cosa smarrita ai fini dell’applicazione dell’art. 647 c.p. è necessario il concorso di due elementi: uno oggettivo e uno soggettivo. Oggettivamente, occorre che la cosa sia uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore; dal punto di vista soggettivo, si richiede che la persona che la deteneva non sia più in grado di ricostruire sulla cosa il primitivo potere di fatto, perché ignora il luogo in cui essa si trova. Non può

INDICE

L’OPZIONE NON APPROPRIATIVA ED I REGOLAMENTI COMUNALI

LA COSA SMARRITA SECONDO IL VOCABOLARIO

LA COSA SMARRITA SECONDO LE MASSIME DELLA CASSAZIONE

LA COSA SMARRITA SECONDO IL SENSO COMUNE

LA COSA DIMENTICATA E LA SFERA DI SORVEGLIANZA

LO “SMARRIMENTO” DI TELEFONI CELLULARI

LO SMARRIMENTO DEL PERSONAL COMPUTER

LO “SMARRIMENTO” DI ANIMALI DA COMPAGNIA, SMARRIMENTO DEL CANE

L’APPROPRIAZIONE DI ASSEGNI, TITOLI DI CREDITO, BANCOMAT

L’APPROPRIAZIONE DI DENARO

L’APPROPRIAZIONE DEL BAGAGLIO

ALL’INTERNO DI UN TRENO

IL BAGAGLIO AEREO ED IL SERVIZIO LOST AND FOUND

LA TENTATA APPROPRIAZIONE DI COSA SMARRITA

LE RICERCHE SULLE SPIAGGE

L’APPROPRIAZIONE DI COSE DI CUI SI E’ VENUTI IN POSSESSO PER CASO FORTUITO O PER ERRORE ALTRUI

IL CASO FORTUITO

L’ERRORE ALTRUI

CONSIDERAZIONI FINALI

INTRODUZIONE

Recentemente, nella prima pagina di un quotidiano, risaltava la notizia che riassumo nei suoi tratti salienti: Tizio, dopo aver trovato su un muretto un telefono cellulare (per il cui furto era stata presentata denuncia), a chi lo vide appropriarsene, dichiarava che era sua intenzione recarsi presso le forze dell’ordine per restituirlo, operazione che puntualmente non avveniva. Dopo quindici giorni, questi riaccendeva l’apparecchio e vi inseriva una propria sim sicché, individuato dalle forze dell’ordine, alle quali dichiarava di non aver ancora potuto provvedere alla consegna dell’oggetto essendovi stato impedito da impegni di lavoro, veniva rinviato a giudizio per ricettazione e condannato alla pena di 3 mesi di reclusione ed euro 160 di multa.

Aveva tale persona veramente violato l’art. 648 c.p. oppure la sua condotta doveva farsi ricadere nell’ambito della fattispecie delittuosa ben più lieve prevista e punita dall’art. 647 c.p.?

Per soddisfare immediatamente la curiosità del lettore, dirò che concordo pienamente con il titolo di reato in base al quale Tizio è stato condannato e ciò per i motivi che esporrò più avanti quando tratterò dello smarrimento di telefoni cellulari.

Ora che vi ho un po’ incuriositi, comincerò a trattare l’articolo 647 c.p., spero con la massima completezza possibile; questo il suo dettato:

“È punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa da Euro 30 a Euro 309;

1) chiunque, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull’acquisto della proprietà di cose trovate;

2) chiunque, avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo;

3) chiunque si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.

Nei casi preveduti dai nn. 1 e 3, se il colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è appropriata, la pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a Euro 309. ”.

A causa delle modifiche legislative operate dal decreto legislativo n. 274/2000, sulla sussistenza di tale delitto è competente a decidere il Giudice di Pace (art. 4, comma primo, lettera a), mentre la pena ora prevista per le fattispecie di cui al primo comma (ex art. 52, comma secondo, lettera a) è quella della multa da euro 258 ad euro 2582 e per quelle previste e punite dal secondo comma (ex art. 52, comma secondo, lettera c), quella della multa da euro 774 ad euro 2582.

Il tempo di prescrizione del delitto in esame, ex art. 157 c.p., è di 6 anni sia per quanto riguarda la violazione del primo comma che del secondo; è delitto a dolo generico, il tentativo è configurabile, con procedibilità a querela di parte, attenuanti compatibili, gli artt. 62, comma 4 e 6, c.p..

Tale fattispecie trova il proprio momento consumativo quando, alla condotta consistente nell’apprensione del bene smarrito, che fa insorgere nel ritrovatore gli obblighi previsti dal codice civile agli artt. 927 e seguenti (elemento oggettivo), si combina l’elemento soggettivo appropriativo ossia la voluntas rem sibi habendi, che sarà dimostrabile o con la prova offerta dalla confessione di questa da parte dell’imputato o attraverso gravi, precisi e concordanti indizi (ex art. 192 c.p.p.) che verranno desunti da una condotta, incompatibile con la volontà di restituire.

L’OPZIONE NON APPROPRIATIVA ED I REGOLAMENTI COMUNALI

Ciò che deve essere chiaro è che quando troviamo qualcosa lungo la strada od in altro luogo, sappiamo sempre e comunque che quella cosa non è nostra e che possiamo liberamente impossessarcene solo se è stata derelitta dal suo legittimo proprietario, così come previsto dall’art. 923 cc. che stabilisce: “Le cose mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano con l’occupazione. Tali sono le cose abbandonate e gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca.” Per cui se la cosa non è una res nullius e la si trattiene uti dominus, si commette, in ogni caso, un reato.

Nel momento in cui tale cosa, qualunque essa sia, anche denaro, viene da noi individuata, siamo obbligati ad operare una scelta:

- lasciarla lì dove si trova, senza complicarci la vita, oppure, dopo aver necessariamente raccolto la cosa per esaminarla,

- riposizionarla nel luogo dove si trovava o, in alternativa, in uno vicino magari più visibile, al fine di agevolare la ricerca ed il ritrovamento di questa, da parte dello smarritore;

- trattenerla, per puro spirito civico, lo stretto tempo necessario, per recarsi a consegnarla alla più vicina stazione delle forze dell’ordine o presso l’ufficio oggetti smarriti del comune, affinché si provveda all’identificazione del proprietario e consegua la riconsegna;

- o, infine, compiere quanto al punto precedente, presso il competente ufficio comunale, per poter ottenere dal proprietario il premio previsto dall’art. 930 c.c. od in alternativa, la proprietà della stessa ex art. 929 c.c., qualora questi non si presenti per reclamarla entro un anno dall’ultimo giorno di pubblicazione del ritrovamento nell’albo pretorio, quindi dopo circa un anno ed un mese.

Sugli aspetti giuridici ex art. 929 c.c., vale la pena procedere ad un approfondimento, visti gli ipotetici risvolti penalistici che potrebbero conseguire a condotte non rispettose del diritto di colui che diviene ex novo proprietario delle cose smarrite.

Maturato il periodo di legge, le cose smarrite, che sono state consegnate all’ufficio oggetti smarriti o, più correttamente, oggetti rinvenuti, del Comune,

a) hanno tutte un proprietario, ossia il ritrovatore;

b) di cui l’amministrazione conosce perfettamente l’identità e la residenza;

c) il quale viene, non rare volte, di fatto, costretto contro la propria volontà, a non esercitare il proprio diritto (in ragione dei tempi e costi di causa che conseguirebbero per riottenerne la proprietà agendo contro il sindaco), a mio avviso a causa di pratiche giuridicamente poco corrette, da parte di alcuni Comuni, e vado a spiegarmi.

A norma dell’art. 929 c.c., il diritto di proprietà viene automaticamente acquisito dal ritrovatore, allo scadere del periodo indicato (acquisizione per invenzione sottoposta a condizione sospensiva), se ne ricorda il chiaro dettato:

“Trascorso un anno dall’ultimo giorno della pubblicazione senza che si presenti il proprietario, la cosa oppure il suo prezzo, se le circostanze ne hanno richiesto la vendita, appartiene a chi l’ha trovata…” e, come è risaputo, il diritto di proprietà non è sottoponibile a termini di decadenza, né a prescrizione alcuna, per cui sono da ritenersi non giuridicamente corrette, le formule, rinvenute in alcuni regolamenti comunali per gli oggetti rinvenuti, che così pronunciano:

“Art.50:…trascorso un anno dalla pubblicazione…gli oggetti o i valori ritrovati, spettano al rinvenitore, il quale può esercitare tale diritto entro 30 giorni dal termine predetto..” (comune di Grosseto[1]);

“Art.7:…il cittadino che ha ritrovato l’oggetto può esercitare il diritto ad acquisirne la proprietà entro il termine di 60 giorni consecutivi dalla scadenza a pena di decadenza” (comune di Milano[2]);

“Art. 13 n.2) Il ritrovatore potrà ritirare l’oggetto di cui è divenuto proprietario entro tre mesi dalla data suddetta, previo pagamento delle spese di cui all’art. 11. 3) In assenza di esplicita manifestazione di volontà di acquisire la proprietà del bene entro il medesimo termine decadono i diritti del ritrovatore.” (Comune di Pramaggiore[3]).

Anche se riguardante una tematica diversa, vale la pena, a puro titolo di curiosità, riportare pedissequamente l’incredibile dettato dell’art. 7 del regolamento del Comune di Rimini[4]: “Il proprietario, cui l’oggetto venga restituito, dovrà depositare all’Economo, contestualmente al ritiro, l’importo del premio dovuto al rinvenitore, stabili(to) ai sensi dell’art. 930 del C.C.”: se veramente il funzionario comunale si rifiutasse di riconsegnare il bene allo smarritore, che dopo aver pagato le spese si rifiutasse di sborsare il premio, la sua condotta soddisferebbe l’elemento oggettivo del reato di estorsione ex art. 629 c.p..

È giusto ricordare, visto che alcuni regolamenti (che sarebbe il caso che venissero ampiamente corretti) sono rappresentativi, a mio avviso, di future condotte che non vedo come non definire penalmente rilevanti, risolvendosi in vere e proprie appropriazioni indebite, che la proprietà degli oggetti ritrovati può nascere in capo alla Amministrazione Comunale solamente nei seguenti modi:

1) ex art. 923 c.c. (occupazione), quindi per derelictio del ritrovatore, oppure

2) per donazione, oppure

3) per usucapione decennale ex artt. 1161 e 1164 c.c..

Un numero enorme di comuni ritiene, a mio avviso del tutto erratamente, di poter riuscire a fare propri i beni ritrovati, in forza di esplicita previsione contenuta nei propri regolamenti in materia, attribuendosi il potere di operare una forma di acquisizione breve, sui generis oppure creando una sorta di presunzione “normativa” di derelizione, nel caso in cui il ritrovatore-proprietario (spesso neppure avvisato dal comune stesso) non si presenti a ritirare il bene in tempi stabiliti a propria purissima discrezionalità.

Ragionando su tale metodologia di comportamento, si ravvede come il regolamento comunale, e di conseguenza la persona del sindaco se lo applica, a priori ritiene che tutti i beni che sono stati smarriti e non reclamati, siano derelitti, cosa inaccettabile, ne sia prova il fatto che sia il sindaco, sia coloro che hanno approvato il regolamento, sono a conoscenza di un’ovvietà, cioè che quando i beni sono di valore, soprattutto se notevole, sono senza dubbio alcuno da intendersi unicamente “cose dimenticate”, non di certo abbandonate, delle quali ci si può ricordare entro 10 anni e rivendicarne la proprietà.

Un articolo di un regolamento, a titolo di esempio, tra i tantissimi uguali o simili rappresentabili stabilisce quanto segue:

“Art. 8)…Trascorso un anno…sarà messo a disposizione del ritrovatore, il quale lo potrà ritirare entro trenta giorni dalla data predetta…Art. 9) Decorsi i termini senza che il proprietario o il ritrovatore si siano presentati a reclamare l’oggetto, questo diventerà dell’Amministrazione Comunale.” (Comune di Fiumicino[5]; conformi comuni di Crema, Modena, Grosseto, Arezzo),

ma i Comuni non possono derogare alle norme civilistiche inerenti i modi d’acquisto della proprietà: norme regolamentari, volte a limitare, in qual si voglia modo, l’altrui diritto di proprietà, sono tanto illegittime quanto colpite da eccesso di potere, quindi non opponibili al ritrovatore (così come al suo erede), che si presenti dopo il termine a chiedere la consegna del proprio bene, ritrovatore che potrà agire sia in sede civilistica che penalistica, nel qual caso il titolo di reato ipotizzabile sarebbe, all’evidenza, appropriazione indebita ex art. 646 c.p.: i tempi di presentazione della querela saranno novanta giorni dal rifiuto della consegna, dopo di che potrà procedere solo per via civilistica.

Qualora si ritenesse che tali norme regolamentari non siano volte ad operare un’acquisizione per occupazione, ma vogliano farlo attraverso una sorta di donazione tacita, non si potrebbe non rilevare come tale atto di liberalità non sia contemplato nel nostro sistema giuridico che, invece, prevede per quella fattispecie negoziale, una manifestazione di volontà esplicita dell’avente diritto.

Così, nel caso in cui il ritrovatore, sua sponte, dichiarasse al momento della consegna del bene reperito, di rinunciare alla futura proprietà del bene, qualora questo non venisse reclamato dallo smarritore, ciò a favore del Comune, esemplare in tal senso l’articolo 18 n. 3 del regolamento delle Terre D’Argine[6] (Carpi, Campogalliano, Soliera, Novi di Modena) che stabilisce: “Il ritrovatore, all’atto contestuale della consegna dell’oggetto, può dichiarare il proprio disinteresse ad acquisirne la proprietà decorso il periodo previsto dalla legge, ed esplicare la propria volontà di lasciare il bene al patrimonio dell’Unione qualora non sia rintracciato il legittimo proprietario.”,

venendosi a violare il dettato dell’art. 771, comma 1, c.c., che si ricorda stabilire:

“La donazione non può comprendere che i beni presenti del donante. Se comprende beni futuri, è nulla rispetto a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora separati.”, il comune non potrà acquisire la proprietà, essendo la donazione nulla.

Pur rilevando che molti Comuni, con maggior correttezza rispetto ad altri, inviano comunicazione ai ritrovatori, circa la futura acquisizione “regolamentare”, anche in questo caso, il bene del ritrovatore, non potrà essere trasformato in derelitto per fatti concludenti.

Le previsioni regolamentari possono unicamente sostanziare una interversio possessionis ex art. 1164, primo comma, c.c., quindi devono far trasparire il seguente tenore: “Io Comune, che per legge detengo il tuo bene, se non ti presenti a ritirarlo nei termini che sono costretto a porre per motivazioni contingenti (es.: carenza di spazi), inizio, scaduti gli stessi, ad esercitarne il possesso uti dominus, possesso che si trasformerà in diritto di proprietà allo scadere dei 10 anni previsti dall’art. 1161, primo comma, c.c.”.

Un esempio pratico convincerà il lettore della validità di quanto sinora sostenuto: un lettore di questo scritto, durante le vacanze in una località molto distante dalla sua residenza, nel mattino di un giorno feriale, camminando sulla spiaggia, od altrimenti, reperisce una collana di grande valore, che prontamente porta alla vicina casa comunale, all’ufficio oggetti rinvenuti, a quell’ora aperto: quid juris alla scadenza del termine capestro posto dal comune?

La cosa sarà derelitta oppure più probabilmente dimenticata, ossia sarà presente o desumibile l’animus dereliquendi, o invece il proprietario, scevro da qualunque volontà rinunciataria, si riserva di andarla a riprendere quando se ne ricorderà (magari reperendo tra le sue carte la nota di consegna) oppure se non dimentico, quando avrà tempo di recarsi in loco, pagando le spese che devono essere stabilite su base giornaliera?

Dall’esame della grandissima maggioranza dei regolamenti che ho consultato (fanno stimabile eccezione, a titolo di esempio quello di Monteroni D’Arbia, Morciano di Romagna, Rieti e Terre D’Argine), ho rilevato come dai Comuni non solo vengano imposti ai ritrovatori-proprietari, per il ritiro del proprio bene, termini,

illegittimi (si noti come spesso i redattori dei regolamenti non conoscano la differenza tra possesso e proprietà), anche soltanto in quanto stabiliti unilateralmente dal Comune creditore delle spese di deposito a proprio totale favore, andando a risolversi, di fatto, in una sorta di clausola vessatoria ex art. 1341, secondo comma, c.c. (…In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte,…o sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze…),

ma anche, quanto siano, pure, molto stretti e penalizzino soprattutto i ritrovatori residenti fuori dal Comune interessato, i lungodegenti, le persone all’estero, gli eredi, ecc., sicchè, spesso anche senza preventivamente avvisare il ritrovatore, dichiarano proprio il bene allo scadere di 90, 60 e finanche 30 giorni,

di fatto denotando la poco elogiabile volontà di cercare di approfittare di un’eventuale scarsa memoria dei ritrovatori.

LA COSA SMARRITA SECONDO IL VOCABOLARIO

Il punto ora da esaminare riguarda, come ovvio, la definizione della parola smarrire,

che, a rigore di vocabolario, significa:

“ Perdere, ma non senza speranza di ritrovare[7]”,

“ Non riuscire più a trovare qualcosa che prima si aveva o si sapeva dove fosse[8]”,

“ Non trovare più qualcosa che si aveva con sè[9]”,

“ Perdere qualcosa, non riuscire più a trovarla[10];

LA COSA SMARRITA SECONDO LE MASSIME DELLA CASSAZIONE

per la Cassazione Civile (sent. 944/1954) “…si ha cosa smarrita quando la stessa, uscita per un accidente fortuito dal possesso (inteso come disponibilità materiale) del proprietario, ma non dal suo patrimonio…mentre il proprietario (o possessore o detentore) ignori dove la cosa si trovi e perciò non abbia che un’incerta possibilità di recupero…[11]”;

nella massima della sentenza n. 100125/1965, ad opera della terza sezione penale, la Corte di Cassazione Penale così si pronuncia: “Perché possa parlarsi di cosa smarrita ai fini dell’applicazione dell’art. 647 c.p. è necessario il concorso di due elementi: uno oggettivo e uno soggettivo. Oggettivamente, occorre che la cosa sia uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore; dal punto di vista soggettivo, si richiede che la persona che la deteneva non sia più in grado di ricostruire sulla cosa il primitivo potere di fatto, perché ignora il luogo in cui essa si trova. Non può