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Denunce penali ex articolo 650 Codice Penale e misure di contenimento

ex articolo 650 c.p.
ex articolo 650 c.p.

Indice:

1. Premessa

2. Nota di aggiornamento del 24/03/2020

3. Nota di aggiornamento del 26/03/2020

4. Nota di aggiornamento del 14/04/2020

 

1. Premessa

Giungono notizie di numerose contestazioni, da parte delle forze dell’ordine, di violazioni delle misure contenimento del contagio da coronavirus (COVID-19) in relazione all’articolo 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020.

Posto che, nella sussistenza delle condizioni di legge, è del tutto legittimo, al fine di tutelare la salute pubblica, il ricorso a misure emergenziali restrittive della libertà personale dei cittadini e che i comportamenti contrari al contenimento della diffusione del virus vanno comunque scoraggiati, purtuttavia, in punto di diritto, non ci si può esimere dall’esprimere fondati dubbi circa la sussistenza delle suddette condizioni ai fini della contestazione della violazione di cui all’articolo 650 Codice Penale (arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a € 206,00).

Appare infatti di tutta evidenza che la suddetta disposizione non contiene alcun divieto di spostamento delle persone ma solo un invito (una raccomandazione), com’è possibile evincere dallo stesso tenore letterale del provvedimento amministrativo:

  1. evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all'interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

Misura poi estesa a tutto il territorio nazionale dal successivo DPCM del 9 marzo 2020 (articolo 1, comma 1).

Così pure l’articolo 3, lett. c), del DCPM 8 marzo 2020, già di applicazione generale ai territori non compresi nell’allegato 1, prima che il successivo DPCM del 9 marzo 2020 estendesse tali misure a tutto il territorio nazionale, contiene una mera raccomandazione di limitare, ove possibile, gli spostamenti delle persone fisiche ai casi strettamente necessari”.

Tampoco la lett. b) dell’articolo 1 del DPCM 8 marzo 2020 contiene alcun “divieto” ma solo una “raccomandazione” ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre maggiore di 37,5° di rimanere a casa.

Risulta invece diversamente formulata la successiva disposizione di cui alla lett. c) dell’articolo 1 del DPCM 8 marzo 2020 dove si parla espressamente di “divieto” assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena o risultati positivi al virus”.

Da quanto sopra ne deriva che la disposizione dell’articolo 1, lett. a), del DCPM 8 marzo 2020 (poi estesa a tutto il territorio nazionale dall’articolo 1, comma 1, del successivo DPCM 9 marzo 2020), non impone alcuna condotta alle “persone fisiche”, in quanto è priva di un preciso ordine, obbligo o divieto di fare o di non fare contenendo solo un invito, una raccomandazione (“evitare”) di tenere un certo comportamento che in quanto tale non è vincolante per i destinatari della stessa.

Dacché mancando il precetto – e cioè quel comando di legge avente forza coercitiva che imponga o vieti, un determinato comportamento ai destinatari dello stesso, non potendo assurgere a tale dignità un mero invito né tampoco una semplice raccomandazione - alla violazione della misura di contenimento, prevista dall’articolo 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020 (sempreché di violazione si possa parlare in quanto la stessa implicherebbe l’esistenza di un precetto che invece non c’è), non può conseguire la sanzione penale prevista dall’articolo 650 Codice Penale.

La ragione sta nel fatto che l’articolo 650 Codice Penale è una norma penale in bianco, e cioè una norma dove è prevista la sola sanzione, mentre il precetto è fissato di volta in volta nel provvedimento che dev’essere emanato dall’Autorità amministrativa. Ne consegue, come logico corollario, che se i provvedimenti amministrativi (DPCP) sono, come in precedenza evidenziato, privi del precetto - e cioè di quella norma di condotta obbligatoria emessa in forma di divieto o di comando - la sanzione penale prevista dall’articolo 650 Codice Penale è inapplicabile.

Ciò trova conferma anche dal contenuto dell’articolo 4, comma 2, del DPCM 8 marzo 2020 che espressamente punisce, con la sanzione penale prevista dall’articolo 650 Codice Penale il mancato rispetto (solo) degli “obblighi” previsti dal summenzionato decreto non potendosi considerare tali i meri inviti o le semplici raccomandazioni.

E così pure il Decreto Legge del 23/02/2020 n. 6 (convertito nella Legge 5 marzo 2020 n. 13) all’articolo 3, comma 4, che, nel punire il mancato rispetto delle misure di contenimento ai sensi dell’articolo 650 Codice Penale, all’articolo 1, comma 2, impone, ai fini dell’applicazione delle misure di contenimento, in entrata e in uscita dai territori di cui alle lettere a) e b), solo dei divieti e non gli inviti o le raccomandazioni.

A quanto sopra si aggiunga che la sanzione penale prevista dall’articolo 650 Codice Penale, essendo norma di natura sussidiaria, trova applicazione solo quando l’inosservanza del provvedimento dell’Autorità non sia sanzionata da altra norma penale o processuale o amministrativa (cd. principio di specialità).

Principio che trova conferma in numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione (ex multis: Cass. Pen., sez. I, 19/04/2016, n. 44126).

Pertanto, nel caso di specie, essendo la finalità dei DPCM quella di contrastare il diffondersi del virus, troverebbe applicazione, non già la norma sussidiaria prevista dall’articolo 650 Codice Penale, bensì l’articolo 260 del Regio Decreto 27/07/1934, n. 1265 (T.U. leggi sanitarie) che sanziona con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da € 21 a € 413,00 “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo.

Infine occorre sottolineare, quale ulteriore elemento di criticità, che le misure di contenimento previste dai DPCM, essendo disposizioni di carattere tipicamente regolamentare e dunque di norme generali, rivolte, in via preventiva, ad una generalità di soggetti, anziché ad un determinato destinatario, la loro violazione, secondo il diritto vivente, non potrebbe, in ogni caso, integrare il reato di cui all’articolo 650 Codice Penale (vd.: Cass. Pen., sez. fer. 01/08/2013, n. 44238).

 

2. Nota di aggiornamento del 24/03/2020

Si segnala che la Regione Lombardia, con OPGR del 21 marzo 2020 n. 514 (pubblicata nel BURL n. 12 della Serie Ordinaria di Sabato 21 marzo 2020), nel prendere atto che la disposizione di cui all’articolo 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020, così come richiamata dall’articolo 1, comma 1, dell’Ocdpc n. 646 dell'8 marzo 2020, “non vieta alle persone fisiche gli spostamenti su tutto il territorio nazionale per motivi di lavoro, di necessità o per motivi di salute, nonché lo svolgimento delle conseguenti attività”, e che i precedenti DPCM dispongono (solo) di evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata ed in uscita e all’interno dei territori regionali, e considerato che “si rendono necessarie ed urgenti misure specifiche più restrittive per il territorio regionale lombardo”, ORDINA, (omissis) “tenuto conto delle misure già disposte con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da ultimo con il d.p.c.m. 11 marzo 2020 (che), nel territorio regionale, si adottano (adottino) le seguenti misure:

1. È vietato ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dal territorio regionale, nonché all’interno del medesimo territorio, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio o residenza. Non è consentito lo spostamento verso abitazioni diverse da quella principale, comprese le seconde case utilizzate per vacanza”.

Da ciò ne consegue che a decorrere da sabato 21/03/2020, la Regione Lombardia, con la suddetta ordinanza, ha enunciato, in forma di comando avente forza coercitiva di legge, il “precetto” cui i destinatari del provvedimento dell’Autorità amministrativa devono attenersi vietando gli spostamenti, non giustificati, delle persone fisiche in entrata e in uscita e all’interno del territorio regionale lombardo.

È comunque da notare che tal precetto, salvo che nel caso del divieto di assembramento e del rispetto della distanza di sicurezza, dov’è prevista una sanzione amministrativa di euro 5.000,00, non è accompagnato da alcuna specifica sanzione penale ex articolo 650 codice penale desumendosi solo “per relationem” che in caso di violazione trovi applicazione l’articolo 3, comma 4, del Decreto-Legge del 23/02/2020 n. 6 (convertito nella Legge 5 marzo 2020 n. 13).

Peraltro, l’applicazione del suddetto articolo del codice penale dovrà misurarsi con i principi costituzionalmente garantiti di proporzionalità e ragionevolezza laddove comportamenti meno gravi, o comunque di pari gravità, di quelli sanzionati in via amministrativa vengono puniti con una sanzione penale di natura più grave.

Inoltre a complicare la già intricata vicenda è poi intervenuto il successivo DPCM del 22/03/2020 (pubblicato nella GU n. 76 del 22/03/2020) che, all’articolo 1, comma 1, lett. b), sotto il titolo: “Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale”, ha così stabilito: “b) è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; conseguentemente, all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, le parole “. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza” sono soppresse”.

Posto che ora anche a livello nazionale, con il suddetto DPCM, così come per la Lombardia, seppur tardivamente, si concretizza il “precetto” della norma in bianco di cui all’articolo 650 codice penale che in precedenza mancava con le ovvie ricadute, circa la punibilità per le violazioni in precedenza contestate prima dell’enunciazione dello specifico divieto di legge, tuttavia occorre evidenziare (ferme restando le ulteriori criticità già in precedenza evidenziate) che i suddetti provvedimenti, nella formulazione testuale dei comportamenti vietati, sono in conflitto fra loro.

Difatti se l’Ordinanza Regionale vieta gli spostamenti (non giustificati) delle persone fisiche in entrata e in uscita e all’interno del territorio lombardo il DPCM in modo più stringente li vieta da un comune all’altro.

A quanto sopra si aggiunga che l’Ordinanza Regionale consente il rientro presso il proprio domicilio o residenza mentre l’DPCM non lo consente più (forsechè chi si reca al lavoro non può più tornare a casa?).

Va da sé che di fronte a provvedimenti fra loro contrastanti i destinatari degli stessi vengono privati della certezza del diritto non sapendo più quale norma rispettare.

Tale incertezza normativa oggettiva è frutto di una continua proliferazione di provvedimenti spesso, come nel caso di specie, fra loro contrastanti rendendo di fatto impossibile per i destinatari degli stessi conoscere il contenuto del “precetto normativo” con conseguente inapplicabilità della relativa sanzione.

Ciò premesso un possibile criterio cui ricorrere ai fini della individuazione del provvedimento da applicarsi potrebbe essere quello della gerarchia delle fonti del diritto che individua tra le norme di secondo livello i DPCM mentre tra quelle di terzo livello le Ordinanze.

Altro criterio di possibile applicazione è quello “cronologico” secondo il quale quando due provvedimenti sono in conflitto tra loro prevale quello emanato successivamente.

Dacchè seguendo i suddetti criteri, al di là della ripartizione dei poteri tra Stato e Regioni che non è compito del destinatario dei provvedimenti risolvere, è da ritenersi applicabile nel caso in esame, e cioè di contrasto tra disposizioni aventi la medesima finalità, o comunque regolanti fattispecie simili, il DPCM del 22/03/2020 anziché l’OPGR della Lombardia con esclusione di quella parte del provvedimento, che nella sua formulazione risulta del tutto irragionevole, laddove non consente il rientro presso la propria abitazione anche di coloro che si sono allontanati per comprovati motivi di lavoro, di necessità o di salute.

 

3. Nota di aggiornamento del 26/03/2020

Dopo l’accesa diatriba sull’applicabilità della sanzione penale di cui all’articolo 650 codice penale, il nuovo Decreto-Legge del 25 marzo interviene in modo radicale sancendo la depenalizzazione, con effetto retroattivo, di tutte violazioni delle misure di contenimento (ad esclusione del caso di chi si trova in quarantena perché positivo al virus).

Pertanto, a decorrere dal 26/03/2020, si applicherà a tutte le violazioni inerenti agli spostamenti la sanzione amministrativa da Euro 400 a Euro 3.000 (aumentata di 1/3 se la violazione avviene con l’utilizzo di un veicolo).

I trasgressori dovranno pagare il minimo della sanzione entro 60 giorni dalla contestazione ridotta del 30% se il pagamento verrà effettuato entro 5 giorni. La reiterazione della violazione comporterà il raddoppio della sanzione amministrativa. Non è previsto il sequestro né la confisca del mezzo.

Quanto all’effetto retroattivo del suddetto decreto-legge si evidenzia che le sanzioni penali, già accertate ai sensi dell’articolo 650 codice penale, sono sostituite dalla suddetta sanzione amministrativa nella misura minima ridotta alla metà.

Da ciò ne consegue che l’Autorità Giudiziaria o il Pubblico Ministero, a secondo che sia iniziata o meno l’azione penale, dovranno trasmettere gli atti dei procedimenti alla competente Autorità amministrativa per l’irrogazione della suddetta sanzione amministrativa nella misura minima ridotta.

Per il pagamento in misura ridotta non si applica il meno favorevole articolo 16 della Legge n. 689/1981 ma bensì l’articolo 202, comma 1, del Codice della Strada.

È da evidenziarsi che per quanto riguarda i soggetti in quarantena, perché risultati positivi al virus, alla violazione del divieto assoluto viene ora sanzionata ai sensi dell’articolo 260 del Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265 (vd. sul punto la prima pagina sull’argomento del sito) con un inasprimento della sanzione che ora prevede l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500,00 a 5.000,00 Euro.

Il suddetto decreto-legge prevede altresì che le misure di contenimento siano adottate con i DPCM anche su proposta delle Regioni la cui potestà di emettere Ordinanze è limitata ora a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario nel loro territorio potendo in tal caso introdurre ulteriori misure restrittive, con efficacia limitata, sino all’adozione (rectius: “nelle more dell’adozione”) del DPCM che regoli la materia.

Ferma restando la possibilità per il Ministero della Salute di adottare, e solo in caso di estrema necessità urgenza, fino al momento dell’adozione dei DPCM, ulteriori misure atte ad evitare la diffusione del virus.

Se ne deduce che qualora il contenuto delle Ordinanze regionali risultino in contrasto con i successivi DPCM prevarranno questi ultimi.

D’altra parte (come già evidenziato nella nota di aggiornamento del 24 marzo) di fronte a provvedimenti fra loro contrastanti i destinatari degli stessi non possono venir privati della certezza del diritto senza sapere quale norma rispettare.

Quanto ai Sindaci è invece espressamente previsto, “a pena di inefficacia”, che non possono adottare Ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali.

 

4. Nota di aggiornamento del 14/04/2020

Sempre in punto divieto di spostamenti occorre evidenziare che il Decreto Legge 25 marzo 2020 n. 19 di cui abbiamo già in precedenza parlato, oltre a depenalizzare (articolo 4) la suddetta violazione, ha altresì limitato (articolo 3) il potere delle Regioni di emettere Ordinanze “a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario nel loro territorio o in una parte di esso” potendo in tal caso introdurre ulteriori misure restrittive, con efficacia limitata, sino all’adozione del DPCM che regoli la materia.

La doverosa premessa era necessaria per comprendere l’evoluzione oltreché la logica dei provvedimenti amministrativi che ne sono seguiti.

Ci riferiamo in primis all’Ordinanza n. 521 del 04/04/2020 del Presidente della Giunta della Regione Lombardia con la quale l’organo amministrativo della suddetta regione all’articolo 1, comma 1.1, lett. A) ha introdotto l’obbligo dell’utilizzo della mascherina, o (in subordine) di un qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca (sciarpe, foulard e altri indumenti di dubbia efficacia), omettendo poi di fornirle gratuitamente all’intera popolazione (se non una sola mascherina agli ultrasessantacinquenni), cui ha fatto seguito il DPCM del 10/04/2020 che invece, all’articolo 1, comma 1, lett. a), e sempre in punto spostamenti, non fa accenno alcuno al suddetto obbligo.

Ma quello degli spostamenti non è il solo punto di contrasto tra i due provvedimenti amministrativi (si pensi ad es. alle attività professionali che per il Governo non sono sospese mentre invece lo sono per la Regione Lombardia).

Ed è appunto nel solco dell’efficacia limitata, prevista dal suddetto Decreto-Legge, che si inserisce la successiva Ordinanza n. 528 dell’11/04/2020 del Presidente della Giunta della Regione Lombardia con la quale non era necessario nuovamente riproporre le medesime norme della precedente Ordinanza se non nella logica di cronologicamente superare quelle introdotte con l’ultimo DPCM del 10/04/2020.

Tutto ciò con buona pace della certezza del diritto non essendo compito dei destinatari dei provvedimenti, in continua successione e contrapposizione tra loro, discernere sul conflitto di poteri tra Stato e Regioni.