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Destinazione d’uso e vincoli condominiali: opponibilità a terzi acquirenti

La previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche
Condominio
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Destinazione d’uso e vincoli condominiali: opponibilità a terzi acquirenti


Il tema dei vincoli che un regolamento condominiale può opporre alla libertà di destinazione d’uso da parte del proprietario di una singola unità immobiliare è stato oggetto della recente pronuncia della Suprema Corte (Sezione Seconda Civile, Sentenza 25 febbraio 2022 n. 6357), degna di nota non soltanto per gli aspetti meramente giuridici ma pure per i suoi risvolti di carattere etico e politico.

La vicenda si svolge a Milano e vede su fronti contrapposti da una parte una fondazione ONLUS la quale, avendo acquistato nel 2003 un appartamento in condominio per svolgervi le proprie attività statutarie, lo aveva ceduto in comodato ad un’associazione dedita all’assistenza sociosanitaria a persone extracomunitarie, rom e sinti e dall’altra parte il condominio, il quale aveva deciso di non autorizzare la destinazione d’uso delle unità immobiliari ad ambulatorio medico per extracomunitari non in regola e non in possesso del permesso di soggiorno per contrarietà al regolamento condominiale, che all’articolo 3 così recitava: “ è vietata qualsiasi attività dei condòmini nelle proprietà esclusive che sia incompatibile con le norme igieniche, con la tranquillità degli altri condòmini o con il decoro dell’edificio e con la sua sicurezza”.

Il Tribunale di Milano affrontò la questione esaminando la posizione della fondazione ONLUS la quale non era stata direttamente coinvolta nella redazione del regolamento condominiale, avente natura contrattuale, ma risultava avere acquistato l’immobile in un momento successivo.

Fondandosi su una giurisprudenza consolidata, secondo la quale i limiti alle destinazioni d’uso delle proprietà esclusive, per essere opponibili al terzo acquirente, devono essere trascritti nei registri immobiliari o quanto meno essere approvati in maniera specifica, il giudice di primo grado, ravvisando l’assenza di siffatti requisiti nella fattispecie, accolse la tesi della fondazione filantropica.   

La Corte d’Appello, tuttavia, adita dal condominio, si pronunciò in senso diametralmente opposto. Essa infatti, premesso che il regolamento condominiale non era stato trascritto, affermò che esso doveva ritenersi opponibile alla Fondazione poiché nel contratto di compravendita con il quale essa aveva acquistato l’appartamento si attribuiva a questa “la proporzionale quota di comproprietà condominiale nelle parti comuni dell’edificio, come per legge e regolamento” e si faceva richiamo all’atto di provenienza dell’immobile nel quale l’acquirente, dante causa della Fondazione, aveva dichiarato di ben conoscere ed accettare il regolamento condominiale indicato in tutti i suoi estremi formali.

Accertata quindi l’opponibilità del regolamento condominiale, la Corte d’Appello milanese affermò che l’attività di ambulatorio medico per extracomunitari non in regola col permesso di soggiorno, svolta dall’associazione comodataria della fondazione, contrastasse col regolamento condominiale e dunque lecitamente il condominio avesse esercitato il suo diniego. Questo perché il notevole accesso di persone nell’ambulatorio e l’attitudine di questo a divenire luogo di aggregazione tra extracomunitari e nomadi venivano ritenuti lesivi delle esigenze di tranquillità dei condòmini.

La vicenda approda in Cassazione e qui le sorti della lite si ribaltano ancora una volta, questa volta a favore nuovamente della Fondazione

In buona sostanza, la Cassazione richiama la propria giurisprudenza secondo cui le limitazioni alle facoltà di godimento delle proprietà esclusive di un condominio, ivi comprese i vincoli nelle destinazioni d’uso delle unità immobiliari, costituiscono servitù reciproche. In sede di costituzione del condominio, all’atto della confezione del regolamento condominiale convenzionale, esse devono essere approvate unanimemente dai contraenti originari. In caso di subentro successivo nella titolarità, esse devono essere trascritte nei registri immobiliari per poter essere opponibili ai terzi acquirenti

In generale, secondo la Cassazione: “La previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche; ne consegue che l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l’indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative ex art. 2659 Codice Civile comma 1 n. 2 e articolo 2665 Codice Civile”.

In mancanza di trascrizione, afferma la Cassazione, le disposizioni del regolamento di condominio, che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che prenda atto in maniera specifica, nel medesimo contratto d’acquisto, del vincolo reale gravante sull’immobile.

Le legittime aspettative  dei condòmini per quanto attiene il decoro e la pacifica vivibilità nello stabile vengono dunque, nella vicenda in oggetto, discutibilmente disattese dal giudice di legittimità: non basta infatti, a detta della Cassazione, una generica e perciò irrilevante accettazione del regolamento da parte dell’acquirente, essendo invece necessaria, ai fini dell’opponibilità di una disposizione istitutiva di servitù, una dichiarazione di specifica conoscenza dell’esistenza delle reciproche servitù.