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Difesa della Corte europea dei diritti umani

First attempt, Isola Rossa, Francia, Agosto 2016
Ph. Giacomo Porro / First attempt, Isola Rossa, Francia, Agosto 2016

[È un piacere e un onore per Filodiritto accogliere tra i suoi Autori il Prof. Paulo Pinto de Albuquerque.

Attualmente ordinario di materie penalistiche presso l’Università Cattolica di Lisbona, ha da pochi mesi concluso il suo mandato novennale come giudice della Corte europea dei diritti umani in rappresentanza del Portogallo.

Il suo ricchissimo curriculum denota una non comune versatilità: oltre che docente universitario nel suo Paese e in varie facoltà estere e giudice della Corte di Strasburgo, Pinto de Albuquerque è stato avvocato, giudice nazionale, componente di prestigiosi organismi internazionali, autore di numerose e significative monografie.

È facile tuttavia, nella pur complessa trama delle sue esperienze, scorgere un comune e solido denominatore: il riconoscimento, la piena attuazione e, ogni volta che occorra, la difesa sempre puntuale e dottamente argomentata, dei diritti umani.

È questa l’identità più vera e profonda di Pinto de Albuquerque ed è per questo che qualcuno lo ha felicemente definito “il giudice dei lasciati indietro”: un giurista che, in ogni ambito del suo impegno, non ha mai dimenticato il principio pro homine per il quale il diritto viene dall’uomo ed è fatto per l’uomo.

Un principio che precede e giustifica tutti i diritti umani essenziali e che ha costituito lo spirito guida di Pinto de Albuquerque nella redazione di sentenze e opinioni separate che meritano di essere considerate tra i punti più alti della giurisprudenza della Corte dei diritti umani nell’ultimo decennio.

Lo scritto che si offre ai lettori, nell’originale versione inglese e nella sua traduzione italiana[1], è stato pubblicato nel 2018 dalla prestigiosa European Human Rights Law Review.

Era già allora evidente e lo è ancora oggi che in un crescente numero di casi le decisioni prese a Strasburgo piacessero sempre meno agli Stati convenuti e li rendessero sempre più reattivi e propensi a contestarle e ostacolare la loro esecuzione.

Pinto de Albuquerque descrive lucidamente il fenomeno e chiarisce in modo esemplare la pretestuosità delle reazioni statali.

La sua onestà intellettuale gli impedisce tuttavia di fermarsi qui: una parte consistente dello scritto rimarca infatti alcuni deficit interni di coerenza giurisprudenziale e trasparenza che affliggono la Corte e affievoliscono la sua immagine e la centralità del suo ruolo nel sistema europeo di protezione dei diritti umani.

La ricetta proposta da Pinto de Albuquerque in fondo è semplice: la Corte di Strasburgo dovrebbe rimanere la Corte costituzionale dell'Europa, mantenendosi fedele ai suoi principi fondamentali di un'interpretazione evolutiva e uno sviluppo progressivo dei diritti e delle libertà della Convenzione europea.

Sulle libertà e sui diritti umani fondamentali non si transige e non si arretra: è questo l’insegnamento di Pinto de Albuquerque e Filodiritto è onorato di contribuire alla sua diffusione in Italia]. 

[Vincenzo Giglio - Antonio Zama]

 

[1] La traduzione si deve al dr. Vincenzo Giglio ed è stata approvata dall’Autore.

 

Questo articolo fonde i discorsi da me tenuti al Bonavero Institute of Human Rights, Mansfield College, Oxford, 28 aprile 2017 ("La Corte EDU sta affrontando una crisi esistenziale?") e alla Middlesex University, Londra, 15 dicembre 2017 ("Come salvare la Corte europea dei diritti umani in tre passaggi"). L’avvertimento usuale recita: queste sono mie personali opinioni e non vincolano la Corte europea dei diritti umani. [1]

 

Abstract

In questo articolo, l’autore discute le ragioni dell’attuale relazione tesa tra alcune Parti Contraenti e la Corte europea dei diritti dell’uomo. L’autore sostiene che gran parte delle critiche rivolte alla Corte è in definitiva indirizzata verso i principi fondanti del sistema europeo di protezione dei diritti umani, come l’interpretazione evolutiva e consenso europeo, nonché verso la posizione favorevole della Corte al soft law e ai diritti sociali. Analizza brevemente la reazione contraddittoria della Corte a questa critica. In questo contesto, ritiene che sia la ribellione del Regno Unito contro Hirst che l’arretramento della Corte rispetto ai principi interpretativi precedentemente affermati in alcuni casi rilevanti abbiano avuto un effetto negativo a valanga su altre Parti Contraenti della Convenzione europea dei diritti umani, come è dimostrato dal recente atteggiamento conflittuale che il legislatore russo ha mostrato nei confronti della Corte. L’articolo si conclude con la difesa del tradizionale metodo argomentativo della Corte e l’impegno a riformare alcune sue prassi sulla base di tre punti focali: maggiore indipendenza, maggiore trasparenza e maggiore responsabilità.

 

1. Perché la tensione?

Si dice l’ovvio affermando che l’attuale rapporto tra alcune Parti Contraenti e la Corte europea in merito ai diritti umani è teso. [2] Ma perché la tensione?

Vi sono due tipi di critiche, una di natura politica e l’altra di natura giuridica, contro la Corte. La critica politica è racchiusa nell’idea che il giudice di Strasburgo agisca come un legislatore sussidiario, un Ersatzgesetzgeber. Tale critica è indirizzata ai presunti metodi oscuri di lavoro della Corte, allo status asseritamente debole dei giudici di Strasburgo a all’apparente mancanza di considerazione per l’eccezionale situazione britannica.

L’argomento tratto dai metodi di lavoro della Corte è il seguente: l’attivismo giudiziario porta la Corte a modificare la sua missione. [3] La Corte, sviluppando in modo non adeguatamente trasparente la giurisprudenza, prova ad accrescersi. Questo è massimamente evidente nell’invenzione di nuovi diritti e nell’ampliamento dei suoi poteri di vigilanza. La microgestione delle controversie costituisce una minaccia per la democrazia e la sovranità statale poiché i Governi perdono il controllo della Convenzione europea dei diritti umani (Convenzione) e le istituzioni nazionali sono emarginate e screditate.

Lord Hoffmann si è espresso così:

"la proposizione che la Convenzione sia uno" strumento vivente" è lo stendardo dietro il quale la Corte di Strasburgo ha assunto il potere di tradurre in norme ciò che essa stessa ritiene sia richiesto dall’”ordine pubblico europeo”. Accetterei totalmente che l’espressione pratica dei concetti impiegati in un trattato o un atto costituzionale possa cambiare. Per fare un esempio comune, l’applicazione pratica del concetto di punizione crudele potrebbe oggi essere diversa da com’era anche solo 50 fa. Ma questo non legittima un organo giudiziario ad introdurre concetti interamente nuovi, come la protezione dell’ambiente, in un trattato internazionale che non ne fa menzione, semplicemente perché sarebbe più conforme allo spirito dei tempi.” [4]

L’argomento fondato sullo status dei giudici afferma che il giudice di Strasburgo non è politicamente legittimato ad agire come legislatore sussidiario, soffrendo la Corte di un deficit democratico. [5] Il problema di un giudice non responsabile è aggravato dal fatto che alcuni membri della Corte provengano da democrazie asseritamente di serie B. Il pedigree anti-democratico di alcune Parti Contraenti compromette l’indipendenza del giudice e l’autorevolezza della Corte.

L’argomento dell’eccezionalità britannica è in questi termini: il Parlamento è sovrano e le Corti nazionali devono riconoscerne la preminenza, e lo stesso vale a fortiori per le Corti internazionali, dal momento che la sovranità parlamentare è protetta da un sistema dualistico di relazioni tra il diritto nazionale e quello internazionale. Come ha sostenuto Lord Neuburger, “l’idea di Corti che annullano decisioni del Parlamento britannico, come effetto sostanziale dei poteri delle Corti del Lussemburgo e di Strasburgo, è quasi offensiva per la nostra nozione di proprietà costituzionale”. [6]

Il secondo tipo di critiche indirizzate alla Corte è più complesso poiché pertiene alla natura della materia trattata dalla Corte, cioè i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione. Esse ruotano attorno allo slogan per il quale c’è un conflitto tra i diritti umani “genuini” e quelli “falsi”.

Tre sono le argomentazioni al riguardo.

Anzitutto, i diritti umani sono libertà civili residuali che servono soltanto alle minoranze, non alla maggioranza dei cittadini. La Convenzione è ritratta come la Carta dei criminali, non come la Carta dei diritti dell’uomo della strada. Inoltre, i diritti sociali non sono diritti umani né sono diritti esigibili. I diritti umani implicano solo obblighi negativi, non positivi, e certamente non costi di bilancio. La trasformazione della Convenzione in una Carta sociale camuffata tradisce la sua natura.

Secondariamente, i diritti umani derivano da un’interpretazione “vera” di tipo originalista, non da un’interpretazione “abusiva” di tipo evolutivo. La vera interpretazione della Convenzione è fondata sui travaux preparatoires ed infine sul diritto delle Parti Contraenti al tempo della stesura della Convenzione. Il soft law non è diritto e non dovrebbe essere preso in considerazione, neanche come criterio contestuale di interpretazione della Convenzione e dei suoi protocolli.

Infine, i diritti umani sono realmente locali, non stranieri. Non esistono diritti umani universali. I diritti umani universali sono in effetti diritti umani stranieri, imposti da giudici estranei privi di sensibilità verso le tradizioni domestiche. La difesa dei diritti locali impone una sorta di scetticismo verso il diritto e gli organismi internazionali. Il relativismo culturale e le differenze legali sono le uniche armi da opporre alla tutela morale della Corte.

 

2. Interpretazione evolutiva

La risposta a queste argomentazioni richiede di tornare alle basi e richiamare ciò per cui la Corte europea dei diritti umani fu creata. Il Consiglio d’Europa è un autonomo ordinamento giuridico, fondato su accordi e un’azione comune nelle materie economiche, sociali, culturali, scientifiche, legali e amministrative e sulla conservazione e sull’ulteriore sviluppo dei diritti umani e delle libertà fondamentali (art. 1, par. b dello Statuto del Consiglio d’Europa del 1949).

Con 217 trattati, l’ordinamento giuridico di questo organismo internazionale ha come vertice la Convenzione europea dei diritti umani. Essendo più che un accordo multilaterale sugli obblighi reciproci degli Stati Parte, la Convenzione crea obblighi di natura negativa e positiva per tutti gli Stati Parte verso gli individui sottoposti alla sua giurisdizione, nella prospettiva dell’attuazione pratica delle libertà e dei diritti protetti negli ordinamenti giuridici interni degli Stati Parte. In gergo giuridico, la Convenzione è un trattato legislativo, non un mero trattato contrattuale.

Ben presto, la passata Commissione, nella decisione dell’11 gennaio 1961, nella causa Austria c. Italia, espresse lo stesso principio allorché affermò il “carattere oggettivo” della Convenzione:

“…gli obblighi assunti dalle Alte Parti Contraenti nella Convenzione sono essenzialmente di carattere oggettivo, essendo concepiti per proteggere i diritti fondamentali degli esseri umani individuali dalle violazione di qualcuna delle Alte Parti Contraenti piuttosto che per creare diritti soggettivi reciproci per le stesse Alte Parti Contraenti”. [7]

Dunque, gli Stati Parti della Convenzione sono legalmente obbligati a non ostacolare in alcun modo l’effettivo esercizio del diritto di ricorso individuale e a modificare nella misura necessaria i loro ordinamenti giuridici nazionali per assicurare la piena attuazione degli obblighi incombenti su di essi. [8] Viste da un’altra prospettiva, queste sono le conseguenze del principio di buona fede nel rispetto degli obblighi dei trattati, delineato negli artt. 26 e 31 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati.

La Convenzione non può essere interpretata in modo da privarla di effettività ma deve essere interpretata in armonia con il complessivo diritto internazionale e il soft law. Fin da Golder, occorre tener conto di ogni principio e regola rilevanti del diritto internazionale applicabile nelle relazioni tra le parti, come indicato nell’art. 31 (3) (c) della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati. [9] Pertanto, la Corte si discosta dalla contestata posizione secondo cui esistono “regimi autonomi” nel diritto internazionale. [10]

Nella prospettiva della Corte, non c’è differenza metodologica tra l’interpretazione del diritto dei diritti umani e l’altro diritto internazionale, o tra trattati contrattuali e legislativi, e dunque essa assume che gli stessi metodi interpretativi possono essere applicati in entrambi i campi del diritto internazionale. Come ha formulato con eleganza il Giudice Rozakis, i giudici di Strasburgo “non devono operare nello splendido isolamento di una torre d’avorio edificata con materiali scaturiti dalle invenzioni interpretative della Corte europea dei diritti umani o da quelle degli Stati Parte della Convenzione. [11]

Questa metodologia è garantita dal principio interpretativo cardine della Corte, secondo il quale la Convenzione deve essere interpretata alla luce delle condizioni attuali. [12] Fu nella fondamentale causa Tyrer c. Regno Unito che la Corte usò per la prima volta il leitmotiv della “Convenzione come strumento vivente”, la cui interpretazione deve tenere conto dell’evoluzione normativa del diritto nazionale e internazionale. [13] Profondamente intrecciata nel diritto costituzionale americano [14] e canadese [15] fin dai primi del Novecento, questa tecnica interpretativa fu introdotta nel diritto europeo dei diritti umani nel 1978.

In Tyrer, a fronte delle argomentazioni del Procuratore Generale dell’Isola di Man, avanzate in base al precedente art. 63 della Convenzione, secondo le quali “avendo il dovuto riguardo alle situazioni locali”, la prosecuzione dell’uso delle punizioni corporali giudiziarie su scala limitata era giustificata come deterrente, la Corte replicò che: “è degno di nota che, nella grande maggioranza degli Stati membri del Consiglio d’Europa, la punizione corporale giudiziaria non sembra essere usata ed anzi, in alcuni di essi, non c’è mai stata nei tempi moderni; … Se non altro, questo mette in dubbio che la disponibilità di questa pena sia necessaria per il mantenimento della legge e dell’ordine nelle nazioni europee”.

Concludendo che l’Isola di Man dovesse condividere pienamente quel “comune retaggio di tradizioni politiche, ideali, libertà e la Rule of Law” al quale si riferisce il preambolo della Convenzione, la Corte negò che lì esistessero esigenze locali tali da incidere sull’applicazione dell’art. 3 nell’Isola di Man e, conseguentemente, rilevò che le punizioni corporali giudiziarie usate dal ricorrente costituivano una violazione di quell’articolo.

Pertanto, fin dai primordi dell’esistenza della Corte, l’interpretazione evolutiva della Convenzione fu intimamente collegata alla necessità di una lettura condivisa del testo, fondata sulla considerazione della cornice giuridica nazionale della “grande maggioranza” degli Stati membri del Consiglio d’Europa e, in definitiva, sul comune retaggio di tradizioni politiche, ideali, libertà e la rule of law al quale si riferisce il preambolo della Convenzione.

Il principio fondativo dell’interpretazione evolutiva è stato recentemente messo in discussione in Hassan c. Regno Unito. [16] Contrariamente alla posizione del Governo, la Grande Camera ha affermato che il diritto internazionale dei diritti umani (IHRL) si applica ai conflitti armati internazionali congiuntamente al diritto internazionale umanitario (IHL) ma è arrivata ad ammettere, come richiesto dal Governo, che l’IHL, cioè la Terza e la Quarta Convenzione di Ginevra relative all’internamento, possono essere utilizzate per qualificare e, in termini pratici, per indebolire gli standard IHRL.  Sulla base di una presunta ulteriore prassi delle Parti Contraenti durante i conflitti armati fuori Europa, che non si erano serviti della clausola derogatoria dell’art. 15 della Convenzione allo scopo di detenere persone indefinitamente in un simile scenario, la Grande Camera ha assunto che le Parti Contraenti avevano proceduto a un’implicita revisione dei propri obblighi convenzionali e ampliato l’elenco tassativo dei motivi di detenzione di cui all’art. 5 della Convenzione. Il principio dell’interpretazione evolutiva della Convenzione è stato sconvolto in vista dell’inclusione nell’art. 5 di un nuovo motivo di detenzione, cioè l’internamento ai sensi del diritto umanitario internazionale, con la pratica conseguenza che nei casi di conflitti armati internazionali, nei quali la cattura di prigionieri di guerra e la detenzione di civili che rappresentano una minaccia sono strumenti accettati del diritto umanitario internazionale, l’art. 5 può essere interpretato nel senso di consentire l’esercizio di così ampi poteri e più bassi standard di riesame della detenzione ai sensi delle Convenzioni di Ginevra. Pertanto, il riesame di una simile detenzione dovrebbe aver luogo a cura di un “organo competente” con “sufficienti garanzie di imparzialità” e non necessariamente ad opera di un’autorità giudiziaria. In altre parole, l’interpretazione evolutiva della Corte può adesso permettere una regressione in termini di protezione dei diritti umani in Europa.

 

3. Il consenso europeo

A Strasburgo, il soft law ha costituito, e ancora costituisce, la più importante fonte di cristallizzazione del consenso europeo e del retaggio comune di valori. Infatti, poco dopo Tyrer, la Corte ha fatto il passo fondamentale di allargare la gamma delle fonti del diritto alla luce delle quali il consenso europeo può essere fissato. In Marckx c. Belgio, la Corte ha preso in considerazione i valori europei condivisi negli ordinamenti giuridici nazionali della “grande maggioranza” degli Stati membri del Consiglio d’Europa, così come la Convenzione del 1962 sull’istituzione dell’affiliazione materna dei figli naturali, firmata ma non ratificata dallo Stato convenuto e la Convenzione del Consiglio d’Europa del 1975 sullo status legale dei bambini nati fuori del matrimonio, non ancora sottoscritta dallo Stato convenuto, ed infine la Risoluzione del Comitato dei Ministri (70) 15 del 15 maggio 1970 sulla protezione sociale delle madri non sposate e dei loro bambini. All’argomento che le Convenzioni del 1962 e del 1975 avevano un piccolo numero di parti, la Corte ha replicato che

“entrambe le Convenzioni pertinenti sono in vigore e non c’è alcuna ragione per attribuire l’attualmente ridotto numero di Stati Contraenti al rifiuto di ammettere l’uguaglianza tra figli “illegittimi” e “legittimi” sul punto in questione. Infatti, l’esistenza di questi due trattati dimostra che c’è un’evidente misura di terreno comune in questo ambito tra le società moderne”. [17]

Rispecchiando le tecniche interpretative delle Corti costituzionali, la Corte si è spinta ancora più oltre ed ha modulato gli effetti della sua decisione, dispensando lo Stato convenuto dalla riapertura di azioni o situazioni legali ante-datate rispetto al deposito della decisione. A tale scopo, si è fatto riferimento al fatto che “una soluzione analoga si trova in certi Stati Contraenti che hanno una Corte costituzionale: il loro diritto pubblico limita l’effetto retroattivo delle sentenze di quelle Corti che annullano norme legislative”. [18] Come se fosse una Corte costituzionale europea, la Corte ha fatto ricorso al principio della certezza legale per attribuirsi il potere implicito di modulare gli effetti temporali delle sue decisioni. [19]

Nella storica causa Demir c. Turchia, dopo avere ricordato che “la Convenzione è uno strumento vivente che deve essere interpretato alla luce delle condizioni attuali, e secondo gli sviluppi del diritto internazionale, in modo da riflettere lo standard progressivamente crescente nell’ambito della protezione dei diritti umani, pur necessitando una maggiore fermezza nel valutare le violazioni dei valori fondamentali delle società democratiche” ed avendo riguardo agli sviluppi del diritto del lavoro, sia internazionale che nazionale, e alle prassi pertinenti degli Stati Contraenti, la Corte concluse che il diritto di contrattare collettivamente con il datore di lavoro era diventato, in linea di principio, uno degli elementi essenziali del diritto di costituire e di aderire ad organizzazioni sindacali per la protezione  degli interessi di cui all’art. 11 della Convenzione. A tale scopo, citò le pertinenti Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), che lo Stato convenuto aveva ratificato, la rispettiva interpretazione del Comitato di esperti dell’OIL, così come l’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), l’art. 6 (2) della Carta sociale europea, che la Turchia non aveva ratificato, l’interpretazione di tale articolo da parte del Comitato europeo dei diritti sociali e il Principio n. 8 della Raccomandazione n. R (2000) 6 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sullo status dei pubblici ufficiali in Europa. [20]

In altre parole, allo scopo di interpretare la Convenzione, la rilevanza legale degli standard dei diritti umani sanciti in altri trattati non dipende né dal numero delle loro rispettive parti ratificanti né dal numero degli Stati Membri del Consiglio d’Europa vincolati dagli stessi e neanche dal fatto che lo Stato convenuto li abbia ratificati. Dunque, ai sensi del diritto europeo dei diritti umani, il diritto vincolante è profondamente interconnesso con il soft law.

Il soft law e l’atteggiamento favorevole verso i diritti sociali della Corte sono stati messi in discussione in tempi recenti. Un rimarchevole esempio di questa tendenza è National Union of Rail, Maritime and Transport Workers c. Regno Unito. [21] Il Regno Unito ha vietato le azioni sindacali di solidarietà più di due decenni fa e in tutto questo tempo è stato soggetto a commenti critici da parte del Comitato di esperti dell’OIL e del Comitato europeo dei diritti sociali. Il sindacato ricorrente ha invocato in aiuto questi elementi di soft law. Il Governo ha ritenuto non rilevanti tali critiche particolari a fronte della situazione di fatto denunciata, e neanche altrimenti significative.

La Corte ha riconosciuto la ricchezza del materiale di soft law rilevante per il caso e che l’analisi delle opinioni interpretative espresse dagli organi competenti istituiti nei rilevanti strumenti internazionali rispecchiava la conclusione raggiunta sul materiale comparativo dinnanzi alla Corte, cioè che il divieto assoluto del Regno Unito riguardo alle azioni industriali secondarie si colloca all’estremo più restrittivo dello spettro degli approcci regolatori nazionali sul punto e non è allineato alla visibile tendenza che richiede un approccio meno restrittivo. Nondimeno, la Corte ha preferito sottolineare il carattere distinto di questa analisi rispetto a quella delle procedure di vigilanza dell’OIL e della Carta sociale europea ed ha conseguentemente concluso che in questo ambito di politica legislativa di riconosciuta sensibilità lo Stato convenuto gode di un margine di apprezzamento sufficientemente ampio da includere il divieto legislativo esistente delle azioni di solidarietà. Non è stata dunque rinvenuta alcuna violazione dell’art. 11 della Convenzione.

L’interpretazione evolutiva della Convenzione ha portato inoltre la Corte a sostenere la sua argomentazione mediante il riferimento a norme emanate da altri organi del Consiglio d’Europa, sebbene tali organi non abbiano funzioni di rappresentanza degli Stati Parti della Convenzione, o meccanismi di vigilanza o organismi di esperti. Allo scopo di interpretare l’esatto scopo dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione, la Corte si è servita, per esempio, del lavoro della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (la Commissione di Venezia). Il primo caso in cui la Corte ha citato la Commissione di Venezia è stato Hirst c. Regno Unito (N.  2). [22] La fonte citata è stata il “Codice delle buone pratiche in materia elettorale”, adottato dalla Commissione di Venezia nella sua cinquantunesima sessione plenaria (5-6 luglio 2002).

 

4. Democrazia interna

Dalla fondamentale formulazione del consenso europeo in Tyrer emana la visione di una democrazia internazionale deliberativa nella quale si ritiene che la maggioranza o un numero significativo di Parti Contraenti parli in nome di tutte e sia quindi legittimata a imporre la sua volontà alle altre Parti.

Poiché si tratta di un principio costituzionale organizzativo del Consiglio d’Europa, il consenso è slegato dall’unanimità. Il consenso come volonté générale può ancora ricorrere anche se non tutte le Parti Contraenti condividono la stessa lettura della Convenzione.

Non si può sostenere oggi che i padri fondatori non volevano che questo accadesse e che gli Stati siano stati intrappolati in impegni che non avevano concordato. L’argomento ormai logoro della mancanza di consenso dello Stato è talvolta accompagnato, come rovescio della medaglia, dalla critica non meno démodé della mancanza di una legittimazione politica della Corte ad interpretare innovativamente la Convenzione, rectius, a creare diritto, usando il soft law per aggirare i competenti organi legislativi e farsi beffe dei principi di democrazia, rule of law e sussidiarietà. Sotteso a questo discorso è quasi invariabilmente il leitmotiv sovranista in dubio pro mitius.

Il preambolo colloca la Convenzione sullo sfondo degli scopi generali, in vista della creazione di una più stretta unione tra gli Stati membri, fondata sulla comune concezione e osservanza dei diritti umani dai quali dipendono.  Nello Statuto del Consiglio d’Europa, il linguaggio usato fa riferimento non soltanto a una “più stretta unità tra tutte le nazioni europee che condividono la stessa visione”, ma anche a una “organizzazione che guiderà gli Stati europei verso un’associazione più stretta”. Il primo articolo dello Statuto sancisce che lo scopo del Consiglio è “raggiungere una maggiore unità tra i suoi membri allo scopo di salvaguardare e realizzare gli ideali e i principi che costituiscono il loro comune retaggio e agevolare il loro progresso economico e sociale”. Negli espliciti termini dello Statuto, la realizzazione di questi ideali e principi richiede “accordi e l’azione comune” in tutti gli ambiti rilevanti della vita sociale (materie economiche, scientifiche, legali e amministrative) e “nel mantenimento e nell’ulteriore realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.  Non ci sono parole migliori per proclamare la primazia degli obblighi riguardanti i diritti umani in tutti gli ambiti di governo.  Il principio in dubio pro persona non potrebbe trovare migliore formulazione. [23] Pertanto, il progresso economico e sociale è intimamente connesso con il progresso dei diritti umani come due lati della stessa medaglia.

Ciò detto, l’interpretazione evolutiva, il consenso europeo e l’irrigidimento del soft law comprendono i tre pilastri del sistema normativo europeo nel quale il consenso dello Stato rileva. In estrema sintesi, la regola interpretativa aurea della Corte respinge una interpretazione autonoma, letterale, sovranista e in dubio mitius della Convenzione.

Fondato su questi pilastri fin dai primordi e animato dalla comune tensione verso un “progresso economico e sociale”, l’ordinamento giuridico del Consiglio d’Europa non può più essere confuso con il tradizionale accordo internazionale di egoismi nazionali giustapposti. La sovranità non è più un dato assoluto, come fu nell’epoca vestfaliana, ma una parte integrante di una comunità che valorizza i diritti umani.

In questo contesto, la Convenzione non può che essere interpretata alla luce degli “accordi” formalmente vincolanti (ad esempio, i trattati) e dell’immensa pletora di “azioni comuni” non vincolanti formalmente eseguite dagli organi politici e tecnici del Consiglio d’Europa, come raccomandazioni, linee guida e dichiarazioni dei suoi comitati di ministri. Inoltre, la stessa Convenzione richiede un approccio aperto al diritto internazionale e al soft law, in quanto ispirata dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, come afferma il preambolo, e apre ad altri strumenti giuridici, di natura giuridica sia internazionale che interna, quando questi offrono una migliore protezione dei diritti umani (art. 53 della Convenzione). [24] Insomma, la latitudine interpretativa della Corte è dettata dal tenore letterale e dalla natura e dallo scopo reali della Convenzione.

La Convenzione “non fa alcuna distinzione riguardo al tipo di norma o di misura in questione e non esclude alcuna parte della ‘giurisdizione’ dallo scrutinio secondo la Convenzione”. [25] Questo significa che non è subordinata alle norme nazionali poiché è la legge suprema del continente europeo. [26] Né la supremazia del Parlamento né l’indipendenza del potere giudiziario possono essere invocate per impedire l’adempimento degli obblighi di esecuzione delle sentenze e delle decisioni della Corte. [27] Come ha scritto Lady Hale, “è ragionevole, una volta che uno Stato si è impegnato ad osservare determinati standard minimi, che esso non possa recedere dagli stessi definendone i termini a modo suo”. [28]

In termini di diritto costituzionale, nemmeno il nucleo della Costituzione nazionale, laddove le poste politiche sono le più elevate (come le disposizioni sulla composizione degli organi supremi politici e giudiziari dello Stato), può essere determinante in caso di conflitto con gli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli. [29] Qualsiasi altro approccio, che presti ossequio formale alle sentenze e alle decisioni della Corte ma in definitiva rifiuti la loro forza legale di res iudicata tra le parti e res interpretata per tutte le Parti Contraenti, lederà il principio pacta sunt servanda e il precetto fondamentale della buona fede. [30] Come sancito nel Memorandum della Corte agli Stati in vista della preparazione della Conferenza di Interlaken, consegnato il 3 luglio 2009,

“Non è più oltre accettabile che gli Stati evitino di trarre al più presto le conseguenze di una sentenza che accerti una violazione di un altro Stato quando lo stesso problema ricorre nel loro sistema legale. L’effetto vincolante dell’interpretazione della Corte si spinge oltre la res iudicata in senso stretto. Un tale sviluppo andrebbe di pari passo con la possibilità per i cittadini di invocare la Convenzione direttamente nell’ordinamento interno (‘effetto diretto’) e la nozione di titolarità della Convenzione da parte degli Stati”.

Il compito della Corte è di assicurare l’osservanza degli impegni assunti dalle Parti Contraenti della Convenzione. [31] La sussidiarietà non significa che la protezione dei diritti umani si collochi primariamente al livello nazionale in conformità con le Costituzioni e le tradizioni costituzionali delle Parti Contraenti, implicando dunque un limitato, se non subordinato, ruolo della Corte. Piuttosto, la sussidiarietà significa che la responsabilità di assicurare i diritti e le libertà convenzionali ricade primariamente sulle Parti Contraenti. L’effettiva attuazione nazionale della Convenzione rimane la precondizione sine qua non per la sussidiarietà. A questo punto, non è necessario richiamare i vergognosi esempi nella storia dell’Europa di legislazioni e regolamentazioni gravemente discriminatorie, ingiuste e disumane, approvate da assemblee, Governi e funzionari democraticamente eletti. Le maggioranze possono sbagliare. Come Corte internazionale distante dalle politiche locali, la Corte di Strasburgo esiste per offrire una via legale alle presunte vittime di simili errori.

In questo contesto, nessuna Parte Contraente può reclamare legittimamente un’esenzione speciale dai suoi obblighi convenzionali e in conseguenza di sentenze della Corte emesse sulla base di “situazioni eccezionali”, se non negli stretti termini dell’art. 15 della Convenzione. Anche allora tale esenzione rimane sotto il controllo della Corte. Fuori dallo specifico contesto dell’art. 15, qualsiasi possibilità di eludere gli obblighi convenzionali e le sentenze della Corte è fondamentalmente incompatibile con la rule of law inerente al sistema convenzionale e con il concetto di Convenzione come Carta dei diritti e delle libertà fondamentali e “strumento costituzionale dell’ordinamento giuridico europeo”. [32]

 

5. La crisi esistenziale della Corte

La sfortunata saga Hirst [33] è un eloquente esempio dell’attuale pericolo che il sistema europeo di protezione dei diritti umani deve fronteggiare. Il quadro giuridico britannico ha imposto una restrizione generalizzata a tutti i detenuti in prigione. Esso si applica a tali prigionieri indipendentemente dalla lunghezza della loro condanna e dalla natura o gravità del reato e dalle loro circostanze individuali. Una tale generale, automatica e indiscriminata restrizione di un diritto convenzionale di vitale importanza, come ha sancito la Corte, deve essere considerata al di fuori di ogni accettabile margine di apprezzamento, per quanto ampio possa essere tale margine, e incompatibile con l’art. 3 del Protocollo n. 1.

Sono passati tredici anni senza che fosse attuata la sentenza Hirst emessa nel 2004, un’omissione aggravata dopo il 2010 dall’emissione di una sentenza pilota in Green c. Regno Unito. [34] A dispetto della cristallina indicazione della Corte secondo la quale il sistema che privava i prigionieri del diritto di voro nel Regno Unito costituiva una violazione sistematica che richiedeva l’adozione di misure di natura generale, non ne è stata adottata nessuna anche dopo che la stessa Grande Camera aveva sfumato la posizione della Corte in Scoppola c. Italia nel 2012. [35] In un caso esattamente simile di privazione automatica del diritto di voto in conseguenza di una condanna a vita, senza alcuna valutazione del caso individuale, la Grande Camera ha fatto marcia indietro rispetto alla posizione assunta in Hirst, accettando la normativa italiana che priva automaticamente dei diritti elettorali tutti coloro che sono stati condannati ad una pena detentiva della durata di tre anni o maggiore, indipendentemente dalla natura del loro reato e dalle circostanze individuali. A dispetto della circostanza aggravante per cui la privazione dei diritti elettorali potrebbe comportare una privazione a vita in Italia, laddove il Regno Unito ha privato tutte le persone condannate a una pena detentiva per la durata del tempo in prigione, la Corte ha ritenuto che il sistema italiano fosse in effetti accettabile alla luce dell’art. 3 del Protocollo n. 1.

Sia la ribellione britannica contro Hirst che la marcia indietro della Corte rispetto ai suoi stessi principi interpretativi, hanno avuto e ancora hanno un perdurante effetto negativo sul sistema europeo di protezione dei diritti umani. [36] Dopo l’onda d’urto prodotta nel 2012 dal caso Konstantin Markin della Grande Camera sul diritto dei militari al congedo parentale, [37] che fu percepito come un’interferenza nell’organizzazione dell’esercito russo, la sentenza Anchugov del 2013 [38] affrontò lo stesso problema di Hirst, la privazione dei detenuti dei diritti elettorali, ma questa volta con la particolarità che la privazione era fondata su una previsione costituzionale: art. 32 (3) della Costituzione russa. Questo non impedì alla Corte di replicare la constatazione di una violazione dell’art. 3 del Protocollo n. 1, la quale dovrebbe logicamente comportare una riforma costituzionale in Russia. Nulla di simile è avvenuto.

Al contrario, a luglio del 2015 la sentenza della Corte costituzionale russa sulla legge federale sull’adesione della Federazione russa alla Corte europea dei diritti umani ha affermato che una sentenza della Corte non è eseguibile nel territorio russo se la Corte costituzionale ritiene che essa contraddica la Costituzione russa. Dal momento che mancava una cornice legale per tale affermazione, la Corte costituzionale suggerì che la Duma approvasse una legge per creare uno speciale meccanismo “che assicurasse la supremazia della Costituzione nell’esecuzione delle sentenze della Corte dei diritti umani”. [39] Tale interpretazione della Costituzione russa fu consacrata a dicembre del 2015 in una legge sui poteri della Corte costituzionale, la quale stabilisce il potere della Corte costituzionale di dichiarare non eseguibili decisioni di organi giudiziari internazionali (comprese quelle sulla compensazione) ove queste contraddicano la Costituzione russa. [40] Ad aprile del 2016 la Corte costituzionale russa ha applicato la nuova legge per la prima volta ed ha deciso che la sentenza Anchugov non è eseguibile in Russia. [41]

La sentenza del 2016 della Corte costituzionale si è limitata ad aggravare la già presente crisi esistenziale della Corte [42] Se è vero che la vasta maggioranza delle sentenze della Corte sono eseguite con maggiore o minore ritardo o precisione, rimane il fatto che in un progressivamente crescente numero di casi gli Stati non intendono allinearsi alla Corte e si oppongono direttamente o indirettamente a qualsiasi tipo di esecuzione delle sue sentenze. [43] Nel caso della Russia, sono pendenti 1.573 sentenze ineseguite, [44] di cui 204 sentenze pilota, tra le quali la famosa sentenza Yukos [45] che ha disposto la più alta compensazione nella storia della Corte, 1,8 miliardi di euro da pagare ai ricorrenti. Precisamente in questo caso, nel gennaio 2017 la Corte costituzionale russa pervenne alla conclusione che la decisione della Corte sull’equa riparazione violava la Costituzione russa e non poteva essere eseguita. [46]

In questo contesto, non giunge come una sorpresa che anche la forza vincolante della sentenza unanime della Grande Camera (Paposhvili c. Belgio) [47] è stata recentemente esclusa da un Upper Tribunal britannico, il quale ha considerato la sentenza della Grande Camera alla stregua di un test “troppo elastico e mal definito” che è “tanto lungo quanto la manica del giudice”. [48] L’effetto sistemico di questa crisi è evidentemente aggravato dalla possibilità della Brexit. Se i diritti fondamentali in generale e la normativa sull’immigrazione in particolare erano punti controversi tra il Regno Unito e l’UE, lasciare l’UE non sarà una soluzione, in considerazione della reciproca influenza tra la giurisprudenza di Strasburgo e quella del Lussemburgo su questioni come la protezione del diritto alla riservatezza, il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, i diritti procedurali nei processi penali, le garanzie nelle procedure di asilo e i diritti di ricongiungimento familiare. Se la Brexit avrà luogo, la disputa si trasferirà nel Consiglio d’Europa e la Corte sarà la prima a soffrirne.

 

6. La risposta istituzionale alla crisi

Di fronte a questo contesto avverso, il Consiglio d’Europa non dovrebbe ignorare le critiche indirizzate alla Corte. Una posizione proattiva è necessaria per rafforzare il ruolo della Corte nel sistema europeo della protezione dei diritti umani e proteggerla da critiche immeritate. Avendo avuto il privilegio di servire la Corte per sei anni adesso, mi sembra che i passi che seguono dovrebbero essere compiuti per rafforzarne l’indipendenza, la trasparenza e la responsabilità.

La Corte è un organo giudiziario ad alta indipendenza, poiché i giudici sono eletti da un’assemblea democratica (l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa) per un lungo e non rinnovabile mandato novennale [49] e beneficiano dell’immunità funzionale per le parole e gli atti nell’esercizio delle loro funzioni. [50] Quanto ai termini della loro legittimazione, i giudici godono di una legittimazione politica di estensione europea, poiché i membri dell’Assemblea parlamentare sono i rappresentanti dei 47 Parlamenti nazionali delle Parti Contraenti dello Statuto del Consiglio d’Europa. Questa indiretta legittimazione politica dei giudici di Strasburgo è spesso dimenticata.

L’indipendenza sia interna che esterna dei giudici può essere ancora migliorata. Come in molte Corti costituzionali e supreme, dovrebbe esserci una rotazione della presidenza delle Sezioni della Corte, combinata con una riduzione del mandato dei presidenti di Sezione. L’art. 25 (c) della Convenzione dispone che la Corte plenaria è eletta dai Presidenti delle Camere della Corte (che possono essere rieletti). Di fatto, i 47 giudici della Corte sono divisi in cinque Sezioni, all’interno di ciascuna delle quali sono formate tre o quattro Camere. La plenaria elegge i presidenti delle cinque Sezioni. L’attuale configurazione della Convenzione non impedisce l’elezione dei presidenti di Sezione secondo un sistema basato sull’anzianità. Tale sistema eviterebbe gli inconvenienti delle campagne e del lobbismo per i posti elettivi e quindi proteggerebbe meglio l’indipendenza interna dei giudici.

Questa nuova filosofia elettorale dovrebbe essere articolata con una nuova filosofia del voto. Le cause pendenti dovrebbero essere discusse dai giudici solo in camera di consiglio, non all’esterno.  La regola 22 (1) del Regolamento della Corte stabilisce: “La Corte delibera in privato. Le sue deliberazioni devono rimanere segrete”. La Regola 28 (2) dispone che: “Un giudice non può partecipare all’esame di una causa se ha espresso opinioni pubblicamente, attraverso i mezzi di comunicazione, scritti, attraverso azioni pubbliche o altrimenti, che siano oggettivamente capaci di influenzare negativamente la sua imparzialità”. Queste regole dovrebbero essere rafforzate con l’adozione di una rigorosa “regola del silenzio” fuori della camera di consiglio.

L’indipendenza dei giudici dovrebbe essere ulteriormente rafforzata con alcune fondamentali regole di inammissibilità. Dovrebbe essere inammissibile che i giudici facciano domanda per posti nella Cancelleria della Corte (che fornisce supporto legale e amministrativo alla Corte) [51] per un periodo di cinque anni decorrente dalla fine del loro mandato; una regola equivalente dovrebbe essere applicata per lo staff della Cancelleria riguardo alle domande per i posti giudiziari presso la Corte europea.

Dovrebbe anche essere inammissibile che i giudici facciano domanda per certe posizioni statali per un periodo di cinque anni decorrente dalla fine del loro mandato; una regola equivalente dovrebbe essere applicata ai titolari di quelle posizioni statali riguardo alle domande per i posti giudiziari presso la Corte europea. Questo periodo di pausa dovrebbe porre fine ad ogni rischio di “porte girevoli” tra la Corte e i posti dipendenti dai Governi. [52]

La Corte è un organo giudiziario ad alta trasparenza, perché la Convenzione assicura il diritto dei giudici di aggiungere opinioni separate alle sentenze e ai pareri consultivi della Grande Camera e della Camera. [53] Nondimeno, la trasparenza della Corte dovrebbe essere ulteriormente rafforzata. La trasparenza della Corte si riferisce essenzialmente alla modalità di costituzione della Camera e della Grande Camera per ciascuna causa. Per quanto riguarda la Grande Camera, l’articolo 26, (4) e (5) della Convenzione è integrato dall’articolo 24 del Regolamento della Corte. La regola 24 (e) prevede:

e) “I giudici e i giudici supplenti che devono completare la Grande Sezione in ogni caso ad essa attribuito, sono designati tra i giudici rimanenti dal Presidente della Corte, mediante un sorteggio, alla presenza del cancelliere. Le modalità del sorteggio sono stabilite dalla Corte plenaria, con il dovuto riguardo alla necessità di una composizione geograficamente equilibrata che rifletta i diversi sistemi giuridici tra le parti contraenti.”

La prassi è stata quella di organizzare sei gruppi " regionali " per la costituzione della Grande Camera per ciascun caso; questi gruppi "regionali" vengono periodicamente rivisti e i singoli giudici vengono scelti tra questi gruppi "regionali" mediante sorteggio manuale.

Per quanto riguarda le Camere e le Sezioni, la regola 25 (3) della Convenzione è integrata dalle regole 25 e 26 del Regolamento della Corte. L’articolo 25 del Regolamento della Corte sull’istituzione di Sezioni stabilisce: "La composizione delle Sezioni deve essere equilibrata sia geograficamente che per genere e deve riflettere i diversi sistemi giuridici tra le Parti Contraenti [il termine" Sezione " viene usato al posto di "Camera"]". L’articolo 26 del Regolamento della Corte sulla "Costituzione delle Camere" stabilisce: "1 (b) Gli altri membri della Camera dovranno essere designati dal Presidente della Sezione a rotazione tra i membri della Sezione pertinente". La prassi è stata che, previa consultazione con i singoli giudici, il Presidente della Corte propone e l’assemblea plenaria ratifica la composizione delle Sezioni. La costituzione della Camera per ciascun caso dipende in ultima analisi dal Presidente di Sezione.

Queste regole dovrebbero essere riviste al fine di evitare qualsiasi elemento di casualità o discrezionalità nella composizione delle formazioni giudiziarie. Dovrebbero esserci, al contrario, prevedibilità e certezza, per non lasciare spazio ad alcun dubbio. La costituzione della Camera e della Grande Camera per ciascun caso dovrebbe essere determinata secondo criteri rigorosamente obiettivi e mediante una procedura completamente automatizzata e disponibile al pubblico.

Secondo una prassi consolidata, i giudici relatori sono designati in forma anonima per presiedere alla celebrazione di ciascun caso. Non è un segreto che la pratica segua una regola interna secondo la quale il giudice nazionale è il giudice relatore nelle cause della Camera relative al suo paese, [54] salvo quando il Presidente di Sezione decide diversamente. Nelle cause della Grande Camera, il Presidente della Corte ha la totale discrezionalità nella nomina del giudice relatore. [55] Questa prassi dovrebbe essere modificata.

In primo luogo, la Convenzione non impedisce l’identificazione del giudice relatore. In secondo luogo, le regole 48-50 del Regolamento della Corte sono manifestamente insufficienti a garantire la necessaria trasparenza istituzionale, alla luce dell’elevato grado di importanza del contributo del giudice relatore all’elaborazione dei progetti. In terzo luogo, i ricorrenti, i governi, gli avvocati e il pubblico in generale hanno il diritto di conoscere l’identità del giudice relatore, in conformità con il principio generale di trasparenza del Consiglio d’Europa. [56] Pertanto, i giudici relatori dovrebbero essere nominati pubblicamente e la loro nomina dovrebbe basarsi su criteri rigorosamente obiettivi e su una procedura pubblicamente disponibile.

Il giudice unico può dichiarare inammissibile o cancellare dall’elenco dei casi della Corte un ricorso, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione. [57] Il giudice unico è assistito da un relatore non giudiziario che opera sotto l’autorità del Presidente della Corte. [58] In pratica, sia il giudice unico che il relatore non giudiziario sono nominati dal Presidente della Corte. Fatta eccezione per il limite che impedisce al giudice unico di esaminare qualsiasi ricorso contro il Paese per il quale è stato eletto, [59] il Presidente della Corte ha piena discrezionalità nella nomina del giudice unico e del relatore non giudiziario. Questo non dovrebbe accadere. I criteri per designare giudici singoli e relatori non giudiziari per determinati Paesi dovrebbero essere obiettivi e pubblici. Il semplice fatto che le decisioni del giudice unico siano inappellabili [60] richiede questa obiettività e trasparenza. Il fatto aggiuntivo che queste decisioni rappresentino la stragrande maggioranza dell’operato della Corte non fa altro che rafforzare l’argomentazione volta ad incrementare l’oggettività e la trasparenza.

La trasparenza nell’operato della Corte lascia ancora molto a desiderare. [61] I pareri distinti sono uno strumento importante, ma ancora sottovalutato, per garantire la trasparenza della Corte e promuovere lo sviluppo della sua giurisprudenza. L’articolo 45 della Convenzione non ostacola l’identificazione della maggioranza e della minoranza nelle decisioni. I giudici che formano la maggioranza e la minoranza e che prendono parte alle decisioni, dovrebbero essere identificati al fine di chiarire la posizione di ogni singolo giudice. [62]

La prassi della Corte è stata aperta a pareri separati (su questioni di irricevibilità) uniti a sentenze di merito che incorporano anche decisioni di irricevibilità. [63] In effetti, non vi è motivo per cui questa pratica non debba estendersi alle decisioni in quanto tali. L’omissione, nell’articolo 45, (2) della Convenzione, di un riferimento alle decisioni è un semplice incidente storico, data la competenza originaria degli organi della Convenzione, allorché la ricevibilità era essenzialmente di competenza della Commissione. [64] Inoltre, la regola 74 (2) del Regolamento della Corte si è già spinta praeter legem, includendo la possibilità di una "semplice dichiarazione di dissenso".  Ciò che più conta, le decisioni sull’irricevibilità occasionalmente trattano questioni complesse e cruciali che riguardano la giurisdizione della Corte e l’interpretazione della Convenzione e dei suoi protocolli. È semplicemente privo di senso che i giudici non possano esprimere le loro opinioni individuali su questioni di tale portata nelle decisioni sui ricorsi di cui agli articoli 33 e 34 della Convenzione [65], mentre le decisioni che respingono le richieste di pareri consultivi possono essere accompagnate da opinioni distinte o dichiarazioni di dissenso. [66]

L’articolo 46, (3), (4) e (5), della Convenzione non esclude opinioni distinte in sentenze interpretative e di infrazione. Tuttavia, la regola 93 del Regolamento della Corte vieta tali opinioni nelle sentenze interpretative mentre la regola 99 non le proibisce nelle sentenze di infrazione. Questa infondata differenza di trattamento dovrebbe essere risolta riportando la regola 93 in linea con la regola aperta sancita dall’articolo 46 (4) della Convenzione, letta congiuntamente a quanto disposto con l’articolo 45 (2). [67]

Dovrebbero essere fornite motivazioni sufficienti (e non "stereotipate") per le decisioni del giudice unico sull’irricevibilità [68] e per le decisioni del comitato della Grande Camera che respingono un caso alla Grande Camera [69] e queste decisioni dovrebbero essere pubblicate. [70] Queste erano le chiare richieste dei Governi nella dichiarazione di Bruxelles del 2015, [71] dopo le critiche espresse da altre autorità nazionali e internazionali [72]. Seguendo la stessa logica, e poiché priva le parti di un grado di giurisdizione, qualsiasi decisione di rinunciare a favore della Grande Camera dovrebbe essere motivata. [73]

Tutte le fonti di informazione utilizzate dalla Corte per la stesura di una sentenza o decisione dovrebbero essere rese pubbliche, comprese le informazioni fornite dal Giureconsulto della Corte, [74], le relazioni di diritto internazionale e comparato della Divisione Ricerca della Corte e gli interventi di terze parti. [75] Un elemento essenziale per la motivazione delle sentenze della Corte sono le sue linee guida interne sulla giusta soddisfazione. Non vi è alcun motivo per cui queste linee guida debbano rimanere segrete. [76] Le parti in causa hanno il diritto di sapere come è stata calcolata la giusta soddisfazione assegnata. [77]

La ricerca accademica mostra che normalmente esiste una relazione inversa tra indipendenza e responsabilità degli organi giudiziari: una maggiore indipendenza si traduce in una riduzione della responsabilità. [78] La Corte è un organo giudiziario a bassa responsabilità. Fatta eccezione per le procedure di licenziamento quando il giudice non soddisfa più le "condizioni richieste" [79] e il divieto di esercitare "qualsiasi attività incompatibile con la loro indipendenza, imparzialità o con le richieste di un ufficio a tempo pieno", [80] non esiste altra responsabilità o meccanismo per i giudici. Per quanto riguarda i membri della Cancelleria, si applicano le norme disciplinari generali del Consiglio d’Europa. [81] Ma si potrebbe fare di più per rendere la Corte più responsabile.

La Corte plenaria è responsabile delle decisioni più importanti relative alla politica amministrativa e gestionale della Corte. [82] Il Bureau, che non ha una base convenzionale, è un organo consultivo del Presidente della Corte e non possiede alcun potere decisionale autonomo. [83] Tutte le questioni giudiziarie esulano dall’ambito di competenza dell’Bureau, il quale può pronunciarsi solo su questioni amministrative ed extragiudiziali che rientrano nelle competenze del Presidente della Corte. [84] Pertanto, il compito dell’Bureau di facilitare il coordinamento tra le Sezioni della Corte contempla solo questioni di natura amministrativa ed extragiudiziale. [85] Qualsiasi dichiarazione dell’Ufficio di presidenza per le questioni giudiziarie, compresa la consistenza della giurisprudenza, sarebbe ultra vires.

Ogni anno, prima che il Consiglio d’Europa adotti il bilancio, dovrebbe essere presentata al Comitato dei Ministri e all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, una relazione annuale dettagliata e approvata dalla Corte plenaria, con informazioni sui risultati raggiunti e quelli previsti per il futuro, conformemente alla politica amministrativa e gestionale della Corte. Ciò che più conta, le Parti Contraenti dovrebbero fornire un contributo maggiore all’adozione del Regolamento della Corte. [86]

In linea con la natura della Convenzione come "strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo", [87] il focus della politica amministrativa e gestionale della Corte dovrebbe essere sulle cause interstatali e sulle procedure di giudizi - pilota. [88] Le risorse umane e finanziarie speciali dovrebbero essere assegnate a questi tipi di casi. Tra le altre opzioni strategiche da adottare, all’interno della Corte dovrebbe essere istituita una "sala operativa" per garantire una supervisione interna e centralizzata sullo sviluppo e il successivo monitoraggio di questi casi. Dovrebbe trattarsi di un dipartimento esecutivo di alto livello che consenta alla Corte di valutare più efficacemente lo sviluppo di tali casi e l’impatto delle rispettive sentenze in collaborazione con il meccanismo di vigilanza del Comitato dei Ministri. [89]

Più in generale, l’ulteriore giurisdizionalizzazione dell’esecuzione delle sentenze della Corte, in particolare mediante un maggiore ricorso alla procedura d’infrazione ex art. 46 (4) e il pieno riconoscimento del diritto di riaprire il caso a livello nazionale dopo la constatazione della Corte di una violazione della Convenzione, è un passaggio strategico e cruciale che sia la Corte che il Comitato dei Ministri dovrebbero prevedere al fine di rispondere pienamente agli Stati recalcitranti. [90]

Una cultura basata sulla responsabilità incentrata sulla produzione di un risultato di alta qualità e non solo sui risultati statistici, [91] dovrebbe pervadere l’amministrazione e la gestione della Corte. Questo è evidentemente possibile solo con un organo giudiziario altamente autorevole e una Cancelleria pienamente motivata e sempre più specializzata. L’elezione dei giudici dovrebbe comportare un intenso processo di pubblica verifica. Un processo approvato uniformemente a livello europeo che dovrebbe migliorare gli standard già esistenti, [92] sia a livello nazionale che a livello internazionale, comprese le interviste pubbliche del Comitato dell’Assemblea Parlamentare sull’elezione dei giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo.  Dopo l’elezione, i giudici hanno un obbligo di responsabilità anche nei confronti della loro vita privata. Dovrebbe essere resi pubblici tutti gli impegni "fuori dall’ordinario " dei giudici, compresi i dettagli sugli eventi sponsorizzati dagli Stati membri.

La Cancelleria è la spina dorsale della struttura della Corte e contribuisce in modo importante alla qualità dei suoi risultati. L’articolo 25, lettera e), della Convenzione prevede che la Corte plenaria elegga il cancelliere e il cancelliere aggiunto. Questa responsabilità dei giudici dovrebbe essere estesa ad altre posizioni del Registro. I giudici dovrebbero fornire un contributo decisivo nella politica di assunzione e avanzamento di carriera all’interno della cancelleria della Corte.

Le suddette proposte di riforma dovrebbero essere percepite come una responsabilità condivisa della Corte e degli altri organi del Consiglio d’Europa. Ora, più che mai, la Corte, come gioiello della corona del Consiglio d’Europa, ha bisogno del sostegno inequivocabile e senza esitazioni degli altri organi del Consiglio. L’ovvio a volte ha bisogno di essere dichiarato. Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che, se la Corte cade, anche il Consiglio cadrà.

 

Note

[1] Questo articolo fonde i discorsi da me tenuti al Bonavero Institute of Human Rights, Mansfield College, Oxford, 28 aprile 2017 ("La Corte EDU sta affrontando una crisi esistenziale?") e alla Middlesex University, Londra, 15 dicembre 2017 ("Come salvare la Corte europea dei diritti umani in tre passaggi"). L’avvertimento usuale recita: queste sono mie personali opinioni e non vincolano la Corte europea dei diritti umani.

[2] Si veda, tra gli altri, Ziegler, Wicks e Hodson (eds.), Il Regno Unito e i diritti umani europei – Una relazione tesa? (Hart Publishing, 2015).

[3] Su questa linea di ragionamento, si vedano Marc Bossuyt, "L’attivismo giurisdizionale a Strasburgo", in Karel Wellens (ed.), International Law in Silver Perspective (2015), pp. 31–56; Dragoljub Popović, "Prevalenza dell’attivismo giurisdizionale sul self-restraint nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani" (2009) 42 Creighton Law Review 361, e Paul Mahoney, "Attivismo giurisdizionale e self-restraint giurisdizionale nella Corte europea dei diritti umani: due lati della stessa medaglia" (1990) 11 Human Rights Law Journal 57.

[4] Lord Hoffmann, "L’universalità dei diritti umani" (2009) 125 (3), Law Quarterly Review 428.

[5] Su questa linea argomentativa si vedano Kanstantsin Dzehtsiarou e Alan Greene, "Legittimità e futuro della Corte europea dei diritti umani: prospettive critiche dall’accademia e dai pratici” (2011) 12 German Law Journal 1707; e Tom Barkhuysen and Michiel L. van Emmerik, "Legittimità delle sentenze della Corte europea dei diritti umani: aspetti procedurali”, in N. Huls, M. Adams e J. Bomhoff (eds), La legittimità delle sentenze delle Corti supreme, (2009), pp. 437–449.

[6] Lord Neuberger, Cambridge Freshfields Annual Law Lecture 2014, "I britannici e l’Europa", 12 Febbraio 2014.

[7] Commissione, Austria c. Italia (App. N. 788/60), decisione dell’11 gennaio 1961. La Corte aderì a questa dottrina in Irlanda c. Regno Unito (1978) 2 E.H.R.R. 25.

[8] Maestri c. Italia (2004) 39 E.H.R.R. 38.

[9] Golder c. Regno Unito (1975) 1 E.H.R.R. 524.

[10] Il punto era già stato fatto nelle mie opinioni in Al-Dulimi e Montana Management Inc. c. Svizzera [GC] (App. N. 5809/08), sentenza del 21 giugno 2016 al [71]; Sargsyan c. Azerbaijan (2017) 64 E.H.R.R. 4, fn. 23, e Centre for Legal Resources per conto di Valentin Câmpeanu [GC] (App. N.  47848/08), sentenza del 17 luglio 2014. 14.

[11] Rozakis, "Il giudice europeo come comparatista" (2005) Tulane Law Review 278.

[12] Tyrer c. Regno Unito (1978) 2 E.H.R.R. 1 at [31]. Su questo metodo interpretativo, si vedano tra molti altri, Eva Brems e Janneke Gerards (eds), Modellamento dei diritti nella Corte EDU: il ruolo della Corte europea dei diritti umani nella determinazione dello scopo dei diritti umani (Cambridge University Press, 2013); George Letsas, Una teoria dell’interpretazione della Convenzione europea dei diritti umani (Oxford University Press, 2009);  e Andreas Fllesdal, Birgit Peters and Geir Ulfstein (eds), Costituire l’Europa: la Corte europea dei diritti umani in un contesto nazionale, europeo e globale (Cambridge University Press, 2013).

[13] Tyrer (1978) 2 E.H.R.R. 1 al [31].

[14] Missouri c. Olanda 252 U.S. 416 (1920). Scrivendo l’opinione di maggioranza, il giudice Holmes fece questa osservazione: “Con riguardo a ciò che noi possiamo aggiungere quando abbiamo a che fare con parole che sono anche un atto costitutivo, come la Costituzione degli Stati Uniti, dobbiamo comprendere che esse hanno dato vita a una creatura il cui sviluppo non avrebbe potuto essere previsto completamente dai più dotati dei suoi creatori. È stato sufficiente per costoro comprendere o sperare che avevano creato un organismo; c’è voluto un secolo ed è costato molto sudore e sangue ai loro successori per dimostrare che avevano creato una nazione. Il caso che affrontiamo deve essere considerato alla luce della nostra intera esperienza e non meramente in base a ciò che fu detto cent’anni fa”. Il riferimento della Corte Suprema agli “standard in evoluzione della moralità” è anche inteso come una chiara menzione del “costituzionalismo vivente” (si veda Trop c. Dulles 356 U.S. 86 (1958): "Le parole dell’[ottavo] Emendamento non sono precise e il loro scopo non è statico. L’Emendamento deve trarre il suo significato dagli standard in evoluzione della moralità che segnano il progresso di una società in maturazione”).

[15] Henrietta Muir Edwards c.  il Procuratore generale del Canada [1929] UKPC 86, [1930] A.C. 124 (18 ottobre 1929). Il caso è memorabile non soltanto perché vi fu stabilito che le donne erano idonee alla carica di senatrici, ma anche perché si introdusse la “dottrina dell’albero vivente” nella legge costituzionale canadese, secondo la quale la Costituzione è organica e deve essere letta in modo complessivo e liberale così da adattarsi ai tempi che mutano.  

[16] Hassan c. Regno Unito [GC] (App. N. 29750/09), sentenza del 16 settembre 2014.

[17] Marckx c. Belgio (1979) 2 E.H.R.R. 330 al [41].

[18] Marckx (1979) 2 E.H.R.R. 330 al [58].

[19] Sulla natura costituzionale della Corte si veda la mia opinione scritta unitamente al giudice Dedov in Baka c. Ungheria [GC] (App. N.  20261/12), sentenza del 23 giugno 2016, e la letteratura ivi citata.

[20] Demir c. Turchia (2009) 48 E.H.R.R. 54 al [146] – [154].

[21] National Union of Rail, Maritime and Transport Workers c. Regno Unito (2015) 60 E.H.R.R 10.

[22] Hirst c. Regno Unito (N. 2) (2006) 42 E.H.R.R. 41.

[23] Su questo principio si vedano le mie separate opinioni in Khamtokhu c. Russia [GC] (App. Nos 60367/08 and 961/11), sentenza del 24 gennaio 2017, e Garib c. Paesi Bassi [GC] (App. N. 43494/09), sentenza del 6 novembre 2017.

[24] Sul “problema pavimento-soffitto” dell’ampio margine di balzo in avanti, ma nessun margine di ritardo rispetto alla Corte, si veda la mia opinione separata in Hutchinson c. Regno Unito (App. N.  57592/08), sentenza del 17 gennaio 2017.

[25] Tra molte autorità, Partito comunista unito della Turchia c. Turchia [1998] 26 E.H.R.R. 121 al [29], e più recentemente, Anchugov c. Russia (App. Nos 11157/04 and 15162/05), sentenza del 4 luglio 2013 al [50].

[26] Si vedano Sejdić c. Bosnia Herzegovina [GC] (App. Nos 27996/06 and 34836/06), sentenza del 22 dicembre 2009 al [40] – [41]; Popescu c. Romania (N. 2) (App. N. 71525/01), sentenza del 27 aprile 2007 al [103]; e Anchugov (App. Nos 11157/04 and 15162/05) al [50]. La prassi delle Parti Contraenti fino almeno alla metà degli anni Novanta dello scorso secolo ha confermato costantemente questa lettura della Convenzione. Si veda la riforma della Costituzione maltese seguita alle statuizioni della sentenza Demicoli c. Malta (Risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa DH (95) 211 dell’11 settembre 1995) e il 14° Emendamento della Costituzione irlandese seguito alle statuizioni della sentenza Open Door and Dublin Well Woman c. Irlanda (Risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa DH (96) 368 del 26 giugno 1996).

[27] Articolo 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

[28] Lady Hale, "Common Law e interpretazione: i limiti dell’interpretazione" [2011] E.H.R.L.R. 538.

[29] Si veda Sejdić [GC] (App. Nos 27996/06 and 34836/06), sentenza del 22 dicembre 2009 per un caso di conflitto tra previsioni costituzionali sulla composizione dei supremi organi politici dello Stato e gli standard europei e, più di recente, Baka (App. N. 20261/12), sentenza del 23 giugno 2016 in un caso di conflitto tra previsioni costituzionali sulla composizione della Corte suprema dell’Ungheria e la Convenzione.

[30] Articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

[31] ECHR art. 19.

[32] Loizidou c. Turchia (obiezioni preliminari) (1996) 21 E.H.R.R. 188.

[33] Hirst c. Regno Unito (N. 2) (2006) 42 E.H.R.R. 41.

[34] Greens c. Regno Unito (App. Nos 60041/08, 60054/08), sentenza del 23 novembre 2010.

[35] Scoppola c. Italia (2013) 56 E.H.R.R. 19.

[36] Questa non è la prima volta in cui si verifica questo tipo di reazione. Un esempio è sufficiente. Seguendo la sentenza McCann c. Regno Unito, i media riportarono: “i Ministri dissero che l’avrebbero ignorata e non escludevano la misura estrema dell’uscita dalla giurisdizione della Corte. ‘Ogni opzione possibile rimane aperta, incluso l’abbandono’ disse un addetto”. Downing Street affermò che la sentenza nel cosiddetto caso Death on the Rock ‘sfidava il buon senso’. Il Vice Primo Ministro Michael Heseltine la bollò come ‘ridicola’ (si veda Daily Mail, 28 settembre1995). La novità con la crisi Hirst fu l’effetto contagioso che essa ebbe.

[37] Markin c. Russia (2013) 56 E.H.R.R. 8.

[38] Anchugov c. Russia (App. Nos 11157/04 and 15162/05).

[39] Corte costituzionale della Federazione russa, sentenza N.  21-P/2015 del 14 luglio 2015.

[40] Si veda la Legge costituzionale federale N. 7-FKZ del 14 dicembre 2015, che ha introdotto emendamenti alla Legge costituzionale federale N. 1-FKZ dl 21 luglio 1994 sulla Corte costituzionale della Federazione russa.

[41] Sentenza N. 12-P del 19 aprile 2016 della Corte costituzionale della Federazione russa.

[42] Sull’impatto di questa crisi sul sistema europeo di protezione dei diritti umani, si veda Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia), opinione N.  832/2015 sugli emendamenti alla Legge costituzionale federale sulla Corte costituzionale, 13 giugno 2016, CDLAD (2016)016.

[43] Sui problemi riguardanti l’efficacia della Corte derivati dalla mancata esecuzione delle sue sentenze, si vedano tra gli altri Keller e Marti, "Riconcettualizzare l’esecuzione: la giurisdizionalizzazione dell’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo" (2015) 26 E.J.I.L. 829; e Hillebrecht, "Ripensare la compliance: le sfide e le prospettive della valutazione della compliance nei Tribunali internazionali dei diritti umani” (2009) 1 Journal of Human Rights Practice 362.

[44] Dati al dicembre 2017.

[45] OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia (2014) 59 E.H.R.R. SE12.

[46] Corte costituzionale della Federazione russa, sentenza N. 1-P del19 gennaio 2017.

[47] Paposhvili c. Belgio [GC] (App. N. 41738/10), sentenza del 13 dicembre 2016.

[48] EA (Article 3 medical cases—Paposhvili not applicable) [2017] UKUT 00445 (IAC).

[49] ECHR articoli 22, 23.

[50] ECHR art. 51 e Statuto del Consiglio d’Europa art.40.

[51] ECHR art. 24.

[52] Questo dovrebbe eliminare il rischio al quale si fa riferimento in Dunoff e Pollack, "Il trilemma giurisdizionale" (2017) 111(2) American Journal of International Law 225, fn.102.

[53] ECHR articoli 45(2) and 49(2).

[54] Questo avviene perché i ricorsi sono normalmente assegnati alla Sezione nella quale siede il giudice nazionale. La regola 26(1) (a) del Regolamento della Corte dispone che nella costituzione delle Camere per l’esame di un ricorso, quando il giudice nazionale non è membro della Sezione alla quale il ricorso è stato assegnato, esso diventerà d’ufficio componente della Camera.

[55] Alcune volte la sua identità è conosciuta (si veda Dzehtsiarou e Lukashevich, "Processo decisionale informato: gli sforzi comparativi della Corte di Strasburgo in (2012) 30(3) Netherlands Quarterly of Human Rights 274, fn.10).

[56] Si vedano le “Linee guida per la partecipazione civile al processo decisionale politico” adottate dal Comitato dei Ministri il 27 settembre 2017 al 1295° meeting dei Delegati dei Ministri. Queste linee guida raccomandano di aumentare la trasparenza dei processi decisionali in Europa, e cioè che tutti gli organi pubblici responsabili di processi decisionali dovrebbero essere soggetti alle leggi sull’accesso alle informazioni. Si veda anche la Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare 2018 (2017) sul “Seguito dato alla risoluzione 1903 (2012): promuovere e rafforzare la trasparenza, responsabilità e integrità dei membri dell’Assemblea Parlamentare”, adottata dall’Assemblea il 10 ottobre 2017.

[57] ECHR art. 27 and Regolamento della Corte, r. 27A.

[58] ECHR art. 24 (2).

[59] ECHR art. 26 (3).

[60] ECHR art. 27 (2).

[61] Poiché questo articolo è focalizzato sugli sforzi di riforma della trasparenza istituzionale, esso non affronterà questioni sostanziali di trasparenza collegate alla motivazione delle sentenze, come l’uso imprevedibile del margine di apprezzamento e la distorsione del consenso europeo, riguardo alle quali la prassi della Corte è stata soggetta a molte critiche (si vedano le interessanti osservazioni dei giudici di Strasburgo su tali questioni in Dzehtsiarou, il consenso europeo e la legittimità della Corte europea dei diritti umani (Cambridge University Press 2015, capitolo 7), come anche Tulkens e Donnay, "L’uso del margine di apprezzamento ad opera della Corte europea dei diritti dell’uomo. Paravento giuridico superfluo o meccanismo indispensabile per natura? (2006) Revue de Science Criminelle et de Droit Pénal Comparé 3, e Tulkens, "Conclusioni generali", in Frédéric Sudre (ed.), Il principio di sussidiarietà ai sensi del diritto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Anthemis, 2014)).

[62] Talvolta è frustrante che un membro di minoranza della composizione giudiziaria non abbia la possibilità di dissociarsi dalla maggioranza, specialmente nei casi provenienti dal suo Paese d’origine.

[63] Si vedano, tra gli esempi recenti, le opinioni separate aggiunte dai giudici Keller e Dedov in Navalnyye c. Russia (App. N. 101/05), sentenza del 17 ottobre 2017, dai giudici Karakas, Vucinic e Laffranque in Tibet Mentes c. Turchia (App. N. 57818/10), sentenza del 24 ottobre 2017, e la mia opinione in de Tommaso c. Italia [GC] (App. N. 43395/09), sentenza del 23 febbraio 2017.

[64] Come mostrato dalla prassi della Corte anche al tempo della Commissione (si vedano Van Oosterwijck c. Belgio (1981) 3 E.H.R.R. 557 e Cardot c. Francia France (1991) 13 E.H.R.R. 853).

[65] Regolamento della Corte, r. 56(1).

[66] Regolamento della Corte, r. 88(2).

[67] Di fatto, la prassi della vecchia Corte ammetteva tali separate opinioni nelle sentenze interpretative

(si veda l’opinione separata dei giudici Verdross e Zekia in Ringeisen c. Austria (Interpretazione) (1979) 1 E.H.R.R. 513).

[68] ECHR art. 27, congiuntamente all’art.45 (1).

[69] ECHR art. 43 (2) e (3). La regola 73(2) del Regolamento della Corte stabilisce che “Non è necessario motivare il respingimento di una richiesta”.

[70] La regola 33(4) del Regolamento della Corte dispone soltanto la pubblicazione di informazioni generali sulle decisioni assunte dal singolo giudice.

[71] Si veda la Conferenza di vertice su “Esecuzione della Convenzione europea dei diritti umani: una nostra responsabilità condivisa”, Dichiarazione di Bruxelles, 27 marzo 2015: “dà il benvenuto all’intenzione espressa dalla Corte di dare informazioni sintetiche per le decisioni di irricevibilità del singolo giudice e la invita a farlo a partire da gennaio 2016; invita la Corte a prendere in considerazione di dare informazioni sintetiche per le decisioni che indicano misure provvisorie e le decisioni del suo comitato di cinque giudici sul rifiuto di richieste di rinvio”.

[72] Si vedano Maria Cruz Achabal Puertas c. Spagna, Comitato dei diritti umani della Nazioni Unite, Comunicazione N. 1945/2010, 18 giugno 2013, e la mia opinione in Centre for Legal Resources nell’interesse di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC] (App. N. 47848/08).

[73] La regola 72(3) del Regolamento della Corte dispone l’opposto.

[74] La regola 18B del Regolamento della Corte dispone come segue: "Agli scopi di assicurare la qualità e la coerenza della sua giurisprudenza, la Corte deve essere assistita da un Giureconsulto. Costui deve essere un membro della Cancelleria. Il Giureconsulto deve fornire opinioni e informazioni, in particolare alle formazioni giudiziarie e ai membri della Corte”.

[75] ECHR art. 36 and Regolamento della Corte r. 44.

[76] Si veda il Report del CDDH sul “futuro di lungo termine del sistema della Convenzione europea dei diritti umani”, CDDH (2015) R84, Addendum I, 11 dicembre 2015, p. 83: "Riguardo alla questione della giusta soddisfazione assegnata dalla Corte, il CDDH considera che i criteri applicati dalla Corte necessitano di essere più trasparenti”.

[77] Di fatto, la giurisprudenza della Corte impone un obbligo assai impegnativo di trasparenza alle corti nazionali (ad esempio, Ferreira Alves c. Portogallo (N. 3) (App. N. 25053/05), sentenza del 21 giugno 2007 al [40] – [43]).

[78] Dunoff e Pollack, "Il trilemma giudiziario" (2017) 111(2) American Journal of International Law 225, 226.

[79] ECHR art. 23(4) e Regolamento della Corte r. 7.

80 ECHR art. 21(3) e Regolamento della Corte r. 4.

[81] Si veda "Regolamento del personale del Consiglio d’Europa", artt. 54–58.

[82] ECHR art. 25.

[83] Regolamento della Corte, r.  9A (3).

[84] Regolamento della Corte, r. 9A (3).

[85] Regolamento della Corte r. 9A (4) letta congiuntamente alla previa r. 9A (3).

[86] La regola 110 del Regolamento della Corte è manifestamente insufficiente a questo riguardo.

[87] Loizidou c. Turchia (obiezioni preliminari) (1996) 21 E.H.R.R. 188 al [75].

[88] Già il report del 2005 di Lord Woolf sulla Review of the Working Methods of the European Court of Human Rights propose che “I casi che sono candidati per una sentenza pilota dovrebbero avere priorità, e tutti i casi simili dovrebbero rimanere pendenti in attesa dell’esito di quel caso”. Si veda anche il CDDH Report sul “futuro di lungo termine del sistema della Convenzione europea dei diritti umani”, CDDH (2015) R84, Addendum I, 11 dicembre 2015, p. 82: “Riguardo alle questioni sistemiche, il CDDH sostiene un uso più ampio ad opera della Corte di efficaci politiche giudiziarie e gestione dei casi, che seguano all’effettivo esito di un grande numero di ricorsi e inducano gli Stati convenuti attraverso sentenze pilota o altre procedure a risolvere i sottostanti problemi sistemici sotto la supervisione del Comitato dei Ministri”. La Dichiarazione di Bruxelles del 2015, citata in precedenza, ha sostenuto “l’ulteriore esplorazione e utilizzo di prassi efficienti di gestione dei casi da parte della Corte, in particolare le sue categorie di priorità per l’esame dei casi, secondo, tra le altre cose, il loro livello di importanza e urgenza, e la sua procedura di giudizio pilota”. Secondo la politica di priorità della Corte, le procedure di giudizio pilota sono casi di Categoria II. Ma in una recente revisione della politica di priorità, con effetto dal 22 marzo 2017, la Corte ha escluso i casi interstatali, che erano fino ad allora inseriti nella Categoria II, dalla politica di priorità “in conseguenza del loro carattere speciale che in ogni evento attraeva uno speciale trattamento procedurale” (si veda “La politica di priorità della Corte”, disponibile sul sito della Corte).

[89] Questo significa che il trattamento dei casi ripetitivi una volta che la sentenza pilota è stata emessa non dovrebbe essere interamente degiurisdizionalizzato. La sentenza di cancellazione emessa in Burmych c. Ucraina (App. Nos 46852/13 et al.), sentenza del 12 ottobre 2017 deve essere letta alla luce delle assai speciali circostanze di quel caso, al quale la Grande Camera ha fatto ripetutamente riferimento (al [174], [175], [181] and [199]).

[90] Si veda la mia opinione separata in Fabris c. Francia (2013) 57 E.H.R.R. 19 sull’importanza giuridica e politica delle procedure per la violazione dell’art. 46 (4) e si veda la mia opinione separata

in Moreira Ferreira c. Portogallo (N. 2) (App. N. 19867/12), sentenza dell’11 luglio 2017, sull’applicazione della Raccomandazione (2000) 2 sul riesame o la riapertura di certi casi a livello nazionale in conseguenza di sentenze della Corte.

[91] Si veda Elisabeth Lambert Abdelgawad, "La valutazione della performance giudiziaria della Corte europea dei diritti dell’uomo; una logica manageriale a qualsiasi prezzo?” (2016) 159 Revue Française d’Administration Publique 824.

[92] Si veda Comitato per l’elezione dei giudici della Corte europea dei diritti umani, Procedura per l’elezione dei giudici della Corte europea dei diritti umani, documento informativo redatto dal Segretariato, AS/Cdh/Inf (2018) 01, 19 dicembre 2017.