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Diritto all’oblio per una piena risocializzazione in attuazione all’art. 27 Costituzione

Diritto all’oblio
Diritto all’oblio

Diritto all’oblio per una piena risocializzazione in attuazione all’art. 27 Costituzione

 

Il diritto all’oblio, anche noto come “diritto ad essere dimenticati”, prende forma dalla considerazione secondo la quale, «fin dalle origini dell’umanità, dimenticare è stata la norma e ricordare l’eccezione».

Il diritto di cronaca, prima, e la tecnologia web, poi, hanno rovesciato i termini di questa atavica equazione, dando la stura a profonde riflessioni sulla più intima essenza di privacy intesa quale right to be let alone.

La disciplina del trattamento dei dati personali nell’ambito generale della manifestazione del pensiero ha da sempre generato problemi di bilanciamento tra diritti costituzionalmente protetti e potenzialmente configgenti.

La recente normativa comunitaria – inaugurata con Regolamento 2016/679 – non ha fatto altro che ulteriormente rafforzare, all’art.17, la concezione di un diritto all’oblio collegato, in coppia dialettica, al diritto di cronaca, posto che esso sussiste quando «non vi sia più un’apprezzabile utilità sociale ad informare il pubblico; ovvero la notizia sia diventata “falsa” in quanto non aggiornata; o, infine, quando l'esposizione dei fatti non sia stata commisurata all'esigenza informativa ed abbia arrecato un vulnus alla dignità dell'interessato» (Sez. Un., 22 luglio 2019, n. 19681).

Ebbene, tanto impone di affrontare il problema del bilanciamento tra il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all'informazione, e il diritto all’oblio, finalizzato alla tutela della riservatezza della persona. Appare oramai, difatti, indifferibile l’individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sé relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione.

Dopo l’importante introduzione dell’Oblio oncologico attraverso il quale si intende eliminare le discriminazioni nei confronti di chi ha avuto un tumore nel quotidiano, per esempio quando si tratta di stipulare una polizza assicurativa, accendere un mutuo, partecipare a un concorso pubblico o avviare le pratiche per l’adozione.

Appare ora ineludibile, anche per dare un vero senso alla attuazione dell’art. 27 della Costituzione che vuole il condannato a pena detentiva volgere il proprio sguardo futuro al pieno recupero e reinserimento sociale, pensare all’oblio per il condannato.

Troppo spesso il passato ritorna ed impedisce la ricostruzione di una esistenza che possa restituire la piena possibilità di un riscatto sociale.

Al condannato che ha completamente espiato la sua pena Non è dato trovare un lavoro, trovare casa, riaprire un rapporto bancario, stipulare un mutuo, perché il suo passato sempre presente nella rete impedisce il formarsi di un libero convincimento su quello che oggi è “una persona nuova” che ha attraversato la sofferenza della carcerazione e che ha fatto ammenda del proprio errore.

L’errore non ti abbandona più è come se la storia del rei si cristallizzi al fatto reato e non ci sia più una vera seconda opportunità.

Spesso il fatto reato, quando è particolarmente mediatico, disturba la stessa serenità dei giudici, perché invasivo diventa il morboso insistere della curiosità e delle congetture; diviene altresì compagno scomodo che disturba la  stessa strada difficile e dolorosa dell’emendatio espiationis  frapponendosi tra il reo e la società che dovrebbe riaccoglierlo ed invece lo respinge come reietto .

L’oblio è un diritto che va oltre la tutela della privacy e che, a oggi, non trova legittimazione nell’ordinamento nazionale ed europeo. Frutto di elaborazioni dottrinarie, giurisprudenziali e principalmente delle Autorità Garanti europee è da intendersi quale diritto dell’individuo ad essere dimenticato; diritto che mira a salvaguardare il riserbo imposto dal tempo ad un notizia già resa di dominio pubblico.

Una volta che del fatto il pubblico sia stato informato con completezza, cessa l’interesse pubblico in quanto la collettività ha ormai acquisito il fatto. Non vi è più una notizia. Riproporre l’accadimento sarebbe inutile, poiché non vi sarebbe più un reale interesse della collettività da soddisfare. Non solo inutile per la collettività, ma anche dannoso per i protagonisti in negativo della vicenda.

Il diritto all’oblio è quindi la naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca. Come non va diffuso il fatto la cui diffusione (lesiva) non risponda ad un reale interesse pubblico, così non va riproposta la vecchia notizia (lesiva) quando ciò non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa.

Oggi è divenuto estremamente difficile esercitare il diritto all’oblio in quanto le legittime richieste di cancellazione o aggiornamento devono anche tener conto dei diversi luoghi virtuali in cui tali informazioni compaiono: sul sito, sulla copia cache della pagina web, sui titoletti che costituiscono il risultato della ricerca tramite motore di ricerca.

Ognuno di questi luoghi ha un titolare di trattamento diverso e per i gestori dei motori di ricerca extraeuropei c’è l’ostacolo della disciplina applicabile. Una volta entrati nel circuito elettronico della rete, insomma, è davvero difficile far valere i propri diritti.

Il moderno concetto di privacy si è andato evolvendo con l’affermarsi della società digitale. Il diritto all’oblio non lo si intende più, infatti, come isolamento della persona dalla massa (rectius, momento di definitiva rottura del legame sociale), ma come via per ricostruire liberamente tale legame. Di conseguenza, l’istituto in parola, oltre a riguardare la persona nella sua soggettività, va a riferirsi anche alla sua proiezione nella società.

L‘art. 13, comma 3, Cost., tutelando il principio della riservatezza – intesa come garanzia da ogni tipo di aggressione fisica e psichica, quindi come protezione della sfera più intima della persona – costituisce un valido punto di partenza. Il diritto all’oblio, quale scudo protettivo nei confronti dei ricordi passati che potrebbero gravare sulla libertà di autodeterminazione del singolo, manterrebbe, allora, uno stretto rapporto col concetto di riservatezza.

L‘art. 27, comma 3, Cost. protegge il condannato dal rievocare fatti datati senza che ve ne sia un effettivo interesse sociale. L’oblio, infatti, è spesso decisivo per consentire e favorire la risocializzazione del condannato: un percorso sempre irto di difficoltà e ostacoli, ma certamente molto più difficile nel caso perdurasse la stigmatizzazione sociale e l’identificazione della persona con il fatto-reato. Questo ostacola il reinserimento della persona nella società. La rieducazione del condannato, intesa anche in termini di socializzazione e integrazione socio-lavorativa, è, infatti, un diritto scolpito a chiare lettere nella Carta fondamentale laddove si afferma che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

L’art. 3, comma 1, Cost. pone l’accento sul tema della salvaguardia della dignità umana. La disposizione de qua recita testualmente, infatti, che ‹‹Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali››.

Il tema della dignità ha trovato spazio anche nella Carta dei diritti fondamentali europei L’art. 1, afferma testualmente: ‹‹La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata››. Ebbene, il dato letterale dimostra incontrovertibilmente quanto il valore della dignità rappresenti oggi il più importante principio degno della massima tutela nei sistemi liberal-democratici.

P.S.:  nel caso Filippo Turetta omicida di Giulia Cecchettin

per fra’ Paolo Crivelli, cappellano del carcere, non si dovrebbe tuttavia più parlarne: «Il mio appello è di far scendere il silenzio, perché bisogna rispettare il dolore delle persone che sono coinvolte in questa tragedia e lasciare che la giustizia possa fare con serenità il suo corso. Hanno bisogno di silenzio anche i magistrati per poter lavorare, non di pressione mediatica. I processi si fanno nelle aule giudiziarie e non sui giornali. Non credo che questo tipo di informazione aiuti il popolo italiano a crescere serenamente di fronte a questi drammi e a viverli serenamente».