Oblio - Tribunale di Milano: la deindicizzazione, come sub specie del diritto all'oblio, è oggetto di bilanciamento con l’interesse pubblico a conoscere l’informazione

Oblio - Tribunale di Milano: la deindicizzazione, come sub specie del diritto all'oblio, è oggetto di bilanciamento con l’interesse pubblico a conoscere l’informazione
Oblio - Tribunale di Milano: la deindicizzazione, come sub specie del diritto all'oblio, è oggetto di bilanciamento con l’interesse pubblico a conoscere l’informazione

Il Tribunale di Milano si è pronunciato sul ricorso promosso da Google contro il provvedimento n. 557 del 21 dicembre 2017 del Garante per la Protezione dei Dati Personali, in tema di diritto all’oblio, relativamente ad un soggetto che rivendicava il diritto di veder rimossi dal motore di ricerca dei link a livello globale che, secondo il proprio assunto, contenevano notizie false e lesive della propria dignità e reputazione.

 

Il Provvedimento del Garante

Vale la pena di ripercorrere in estrema sintesi il nucleo centrale del Provvedimento del Garante.

Il Garante ha disposto un “ordine di deindicizzazione globale”, cioè la rimozione di Url che rimandavano a notizie anonime, lesive dell’onore del soggetto ricorrente, superando i limiti della Direttiva 95/46/CE e del Trattato dell’Unione Europea, che imponevano dei limiti territoriali all’applicazione delle leggi europee. Secondo lo stesso Garante, il provvedimento comportava la creazione di una giurisdizione universale, con la conseguenza che il principio del bilanciamento tra diritto all’oblio e libertà di informazione non poteva essere applicato secondo le singole leggi nazionali.

Oltre a rinviare alla news pubblicata su Filodiritto, ricordiamo che il Garante non aveva ritenuto di sospendere l’emissione del provvedimento in attesa della decisione della Corte di Giustizia, investita della questione sull’ammissibilità di un ordine di deindicizzazione globale, anzi aveva interpretato la nota sentenza Costeja (Corte di Giustizia, n. C-131/12 del 13 maggio 2014 sul tema del bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto all’onore e alla reputazione) in senso non conforme ai principi espressi dalla Corte, disponendo la cancellazione dei link dal motore di ricerca.

 

La sentenza della Corte di Giustizia 

In tale sentenza, la Corte di Giustizia aveva evidenziato come la lesione del diritto al corretto trattamento dei dati e del diritto all’onore, alla reputazione o all’immagine, riconosciuti come diritti fondamentali, potesse verificarsi contemporaneamente con un unico comportamento, quale, ad esempio, la pubblicazione online di notizie lesive della reputazione del soggetto, oltretutto non vere.

Tuttavia, il motore di ricerca non era stato considerato responsabile del contenuto delle notizie riportate dai siti visualizzabili tramite la ricerca stessa. Secondo la Corte di Giustizia: “l’attività di un motore di ricerca consiste nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle”, consistendo in questo il trattamento dei dati personali.

Da questa considerazione, la Corte di Giustizia aveva elaborato il seguente principio:

si deve verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato. Dato che l’interessato può, (omissis), chiedere che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi”.

Le motivazioni del Tribunale

Nella causa di opposizione al provvedimento emesso dal Garante, il Tribunale ha, dunque, applicato il principio di bilanciamento tra diritto all’oblio e libertà di informazione.

In particolare, il Tribunale si è soffermato sulle argomentazioni della Corte di Giustizia nella citata sentenza Costeja: in linea di principio, il diritto all’oblio è considerato un diritto fondamentale, prevalendo sull’interesse del pubblico a trovare l’informazione su una determinata persona. Tuttavia, se il soggetto ricopre un rilevante ruolo di pubblico interesse, il bilanciamento opera in maniera più elastica, giustificando l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali.

Essendo coinvolti nella causa di opposizione due opposti interessi, quello dell’individuo a non essere più “trovato” online e quello del motore di ricerca di fornire le informazioni ricercate, il Tribunale ha, dunque, bilanciato il diritto alla libertà di informazione con il diritto alla libertà di espressione e all’identità personale.

Il diritto all’oblio rappresenta un aspetto del diritto all’identità personale e, come tale, deve essere garantito, anche attraverso il diritto alla deindicizzazione. Rappresentando quest’ultimo un aspetto “funzionale” – “con la deindicizzazione, il dato personale non viene rimosso dall’insieme dei dati memorizzati nel web, ma soltanto sottratto ad una modalità di reperimento semplice ed istantanea” – diverso dal diritto ad essere dimenticato, il Tribunale lo ha bilanciato con l’interesse pubblico alla conoscenza della notizia, che in questo caso sussisteva.

Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale ha disposto la revoca del provvedimento del Garante per la sussistenza di un pubblico interesse alla conoscenza delle informazioni, nonostante esse possano risultare lesive della reputazione del soggetto.

(Tribunale di Milano - Sezione Prima Civile, Sentenza 5 settembre 2018, n. 7846)