La prescrizione della responsabilità solidale nel contratto di appalto
Indice
1. Premessa
2. La responsabilità solidale nel contratto di appalto
3. Il diverso regime della prescrizione
4. Il recente orientamento della Cassazione
1. Premessa
Il contratto di appalto privato di opere e/o di servizi, nel panorama dei contratti d’impresa, è la forma utilizzata per regolare il rapporto tra due soggetti per l’esecuzione di un’opera e/o di un servizio. Ciò spiega anche perché il contratto di appalto sia il più disciplinato a livello codicistico, dall’articolo 1655 all’articolo 1677 del Codice civile. Con tale contratto, l’appaltatore si obbliga nei confronti del committente a compiere un’opera e/o un servizio, con l’organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio.
I riferimenti al contratto di appalto si ritrovano anche in leggi speciali, a testimonianza del grande utilizzo che di tale contratto viene fatto, non solo a livello nazionale ma anche a internazionale.
Per un approfondimento sul contratto di appalto pubblico e il limite quantitativo del subappalto alla luce della normativa comunitaria e della sentenza della Corte di Giustizia, si veda il contributo su Filodiritto “I limiti quantitativi al subappalto e la recente sentenza CGUE C63/2019”.
2. La responsabilità solidale nel contratto di appalto
Posto che i soggetti del contratto di appalto sono essenzialmente due, il committente e l’appaltatore, l’attenzione del legislatore si è concentrata sulla tutela del lavoratore, collaboratore a qualsiasi titolo dell’appaltatore o del subappaltatore, che presta la sua opera, fisica o intellettuale, per l’esecuzione dell’opera o del servizio a favore del committente. Pertanto, il legislatore, con il Decreto legislativo n. 276/2003 sull’“Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n.30”, ha predisposto un regime di responsabilità solidale tra committente e appaltatore/subappaltatore per gli obblighi retributivi e contributivi di quest’ultimo nei confronti dei propri dipendenti.
L’articolo 29 comma 2 del Decreto legislativo su citato dispone che “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.”. La norma, ad una prima lettura, prevede il regime della responsabilità solidale tra i soggetti coinvolti nel contratto di appalto in relazione ai trattamenti retributivi, contributivi e di fine rapporto, per i quali il termine di prescrizione sarebbe di due anni dalla cessazione del contratto.
3. Il diverso regime della prescrizione
Sul termine prescrizionale di due anni la giurisprudenza ha sollevato qualche dubbio interpretativo, partendo dal presupposto che il termine di due anni non potrebbe estendersi a tutti i trattamenti citati dalla norma, posto che il titolo su cui si fondano i trattamenti retributivi e contributivi sono, sostanzialmente, differenti.
Per il trattamento retributivo il termine prescrizionale di due anni dalla cessazione dell’appalto previsto dalla norma non ha suscitato particolari problematiche, pertanto, nulla quaestio. Le problematiche sono sorte con rifermento ai trattamenti contributivi, in quanto legittimato a richiederne il pagamento al committente – in regime di solidarietà – è l’INPS e non il lavoratore.
La Cassazione si è, pertanto, espressa sul tema affermando che, nel caso dei trattamenti contributivi del lavoratore dell’appaltatore/subappaltatore, l’INPS può rivolgersi al committente entro dieci anni dalla cessazione dell’appalto, valendo per tale tipologia di trattamento il termine di prescrizione ordinario. L’interpretazione giurisprudenziale ha voluto, così, creare un doppio binario: un termine di due anni per il trattamento retributivo e un termine ordinario di dieci anni per il trattamento contributivo.
4. Il recente orientamento della Cassazione
Su tale forma di responsabilità si è espresso anche l’Istituto Nazionale del Lavoro, in risposta al quesito dell’Ispettorato territoriale del lavoro di Bologna, con nota n.9943 del 19 novembre 2019. Con tale nota l’Ispettorato ha affermato che “la ratio della norma è quella di garantire il pagamento del corrispettivo e degli oneri previdenziali dovuti, consentendo al lavoratore e agli Istituti previdenziali di esperire azione diretta nei confronti di un soggetto terzo, il committente, che di fatto ha beneficiato della prestazione lavorativa nell’ambito della quale tali crediti sono maturati”.
L’orientamento adottato dell’Ispettorato riprende un recente orientamento della Cassazione espresso nella sentenza n.8662 del 28 marzo 2019, nonché in altre successive sentenze, quali nn.13650 e 18004 del 2019. In tali sentenze la Cassazione afferma, mantenendo una linea costante di interpretazione in tema di obbligazioni previdenziali, che il lavoratore e il datore di lavoro devono definire con transazioni separate le controversie vertenti rispettivamente su obbligazioni retributive e obbligazioni contributive, ciò in quanto l’obbligazione contributiva fa capo all’INPS e non al lavoratore.
Visto il diverso titolo su cui si fondano le diverse obbligazioni – retributiva e contributiva – la Cassazione ritiene che, conseguentemente, anche per la prescrizione delle obbligazioni il regime sia diverso. Pertanto, il termine prescrizionale dei due anni troverà applicazione solo per l’azione esperita dal lavoratore, ai sensi dell’articolo 29, comma 2 del D.lgs. n.276/2003, restando in vigore la prescrizione ordinaria per l’azione esperita dall’INPS.
Le argomentazioni della Corte sono basate sul presupposto che il rapporto di lavoro e il rapporto previdenziale sono distinti tra loro – anche se connessi – posto che l’obbligazione contributiva, di cui è titolare l’INPS, è indisponibile, in quanto ha natura pubblicistica e deriva dalla legge.
Inoltre, secondo la Corte, anche l’oggetto delle due obbligazioni è diverso in quanto oggetto dell’obbligazione contributiva è il “minimale contributivo strutturato dalla legge in modo imperativo”. Pertanto, applicare indistintamente ad entrambe le obbligazioni il dettato dell’articolo 29 comporterebbe “la corresponsione di una retribuzione a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore” non potendo “seguire il soddisfacimento anche dell’obbligo contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto”, con diminuzione della protezione assicurativa del lavoratore, potenziata invece dall’articolo 29.
La Corte ha pertanto affermato il principio, accolto in toto dall’Ispettorato nazionale del lavoro, che “il termine decadenziale di due anni previsto dall’art. 29, comma 2, riguarda esclusivamente l’esercizio dell’azione nei confronti del responsabile solidale da parte del lavoratore, per il soddisfacimento dei crediti retributivi e non è applicabile, invece, all’azione promossa dagli Enti previdenziali per il soddisfacimento della pretesa contributiva”.
Alla luce delle conclusioni della Corte di Cassazione, si ritiene sussistente nell’ambito della responsabilità solidale tra committente e appaltatore/subappaltatore, il sistema del doppio binario di prescrizione: si riterrà dunque applicabile il termini dei due anni dalla conclusione dell’appalto per il trattamento retributivo, ai sensi dell’articolo 29, comma 2 del Decreto legislativo 276/2003, assoggettando, invece, il trattamento contributivo al termine prescrizionale di dieci o cinque anni, sulla base della distinzione della tipologia di contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria, come prescritto dell’articolo 3, comma 9 della legge n.335/1995, per il quale: “Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati: a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, compreso il contributo di solidarietà previsto dall'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 29 marzo 1991, n.103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 giugno 1991, n.166, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti; b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria”.
Fermo quanto sopra, quale spunto di riflessione, si rileva che tale distinzione del termine di prescrizione relativo all’obbligazione retributiva e a quella contributiva avrà un suo rilievo anche in materia di protezione dei dati personali, in relazione al tempo di conservazione dei dati trattati dal titolare e dai responsabili del trattamento, posto che il tempo di conservazione dei dati dovrà essere adeguato a quanto previsto dall’articolo 29 comma 2 del Decreto legislativo 276/2003, secondo questa nuova interpretazione della Corte di Cassazione.