Eleganti – per ora – sportellate tra costituzionalisti

Eleganti – per ora – sportellate tra costituzionalisti
Eleganti – per ora – sportellate tra costituzionalisti

Bologna, 30 maggio 2016

 

 

Eleganti – per ora – sportellate tra costituzionalisti

A chi come me si diverte un mondo a partecipare a discussioni politiche, tanto più se deflagranti, non può che fare piacere assistere allo schieramento di professori universitari (non solo) e di costituzionalisti e amministrativisti in particolare, come truppe che manovrano sul campo di battaglia e ingrossano nel tempo le proprie fila, in vista del voto per il referendum sulla riforma costituzionale.

Mi riferisco ai sottoscrittori dell’appello per il  e per il no. Gli elenchi sono lunghi e crescono di giorno in giorno. Lascio ai collezionisti di figurine fare la cernita sulle presenze nei due campi, con l’avvertenza di non farsi troppo condizionare da questo o quel campione.

Nell’attesa che arrivino le salmerie (Filodiritto ha in programma iniziative speciali per informare i propri lettori), come sempre cerco di contribuire con il mio mattoncino: mi piacerebbe innanzitutto che la discussione non si incagliasse su due pericolose secche.

La prima è ben espressa da questo paragrafo dell’appello per il no: “Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione”, dove con fumose espressioni si mischiano bellamente questioni puramente politiche contingenti (modalità d’esame, approvazione e presentazione) con soltanto adombrate questioni costituzionali (disfunzioni e appannamento). Frasi di questo tipo non aiutano la discussione – apposta non dico serena né pacata, perché auspico che sia tutt’altro – semplicemente non chiariscono alcunché. Sono evidentemente scritte in costituzional-sindacalese. Lingua di cui sinceramente non sentivo la mancanza.

Per definire la seconda secca, tanto per provare l’ebbrezza del cerchiobottismo, mi riferisco a questi passi dell’appello per il sì: “A quanti, come noi, sono giustamente affezionati alla Carta del 1948, esprimiamo la convinzione che – intervenendo solo sulla parte organizzativa della Costituzione e rispettando ogni virgola della parte prima – la riforma potrà perseguire meglio quei principi che sono oramai patrimonio comune di tutti gli italiani. Lungi dal tradire la Costituzione, si tratta di attuarla meglio, raccogliendo le sfide di una competizione europea e globale che richiede istituzioni più efficaci, più semplici, più stabili”, dove traspare la paura di fare del male alla Costituzione, come fosse un malato di cui si conosce la fragilità anche psicologica, al quale, insieme ai parenti, non si vuole dire che sta tirando gli ultimi. Eviterei la finzione di attuare meglio la Costituzione: rischiamo di perpetuarne la venerazione.

E di venerazione parlava Benjamin Constant (1767-1830) ricordando che: “La durata di una costituzione è meglio garantita quando è costretta nei suoi limiti naturali e non quando riposa sull’appoggio ingannatore di una venerazione superstiziosa. A sentire tutti i nostri architetti di costituzioni, si sarebbe detto che l’attaccamento e l’entusiasmo fossero delle proprietà trasmissibili, appartenenti di diritto alla costituzione del momento. Queste dimostrazioni di rispetto per l’insieme di una costituzione nuova e poco conosciuta, perché non ha ancora subìto la prova dell’esperienza, sono atti di ipocrisia o perlomeno di affettazione. Esse hanno gli inconvenienti che derivano dall’assenza di precisione e di verità. Il popolo può credervi o non credervi. Se vi crede, considera la costituzione come un tutto indivisibile, e, quando gli inconvenienti occasionati dai difetti di questa costituzione lo toccano, se ne distacca e la prende in odio. Se al contrario il popolo non crede alla venerazione che si professa, si abitua a sospettare di doppio gioco i suoi capi e mette in dubbio tutto ciò che gli dicono”.

In definitiva se sotto l’ombrellone insieme al calciomercato, all’ultimo acquisto su Zalando, all’inaspettata vittoria della nazionale agli europei e ai risultati delle olimpiadi dovesse anche balenare una fugace discussione sul bicameralismo perfetto, sui pesi e contrappesi costituzionali, sui rapporti tra le due camere, sui limiti alla decretazione d’urgenza, forse potremmo stupirci ma non rammaricarci, con la certezza che così come ci sono sessanta milioni di allenatori della nazionale ci sono anche sessanta milioni di esperti costituzionalisti in pectore: devono solo trovare tempo e voglia di esprimersi. Oggi hanno l’occasione da non perdere. Potrebbe essere un benefico elettroshock per tutti.

Bologna, 30 maggio 2016

 

 

Eleganti – per ora – sportellate tra costituzionalisti

A chi come me si diverte un mondo a partecipare a discussioni politiche, tanto più se deflagranti, non può che fare piacere assistere allo schieramento di professori universitari (non solo) e di costituzionalisti e amministrativisti in particolare, come truppe che manovrano sul campo di battaglia e ingrossano nel tempo le proprie fila, in vista del voto per il referendum sulla riforma costituzionale.

Mi riferisco ai sottoscrittori dell’appello per il  e per il no. Gli elenchi sono lunghi e crescono di giorno in giorno. Lascio ai collezionisti di figurine fare la cernita sulle presenze nei due campi, con l’avvertenza di non farsi troppo condizionare da questo o quel campione.

Nell’attesa che arrivino le salmerie (Filodiritto ha in programma iniziative speciali per informare i propri lettori), come sempre cerco di contribuire con il mio mattoncino: mi piacerebbe innanzitutto che la discussione non si incagliasse su due pericolose secche.

La prima è ben espressa da questo paragrafo dell’appello per il no: “Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione”, dove con fumose espressioni si mischiano bellamente questioni puramente politiche contingenti (modalità d’esame, approvazione e presentazione) con soltanto adombrate questioni costituzionali (disfunzioni e appannamento). Frasi di questo tipo non aiutano la discussione – apposta non dico serena né pacata, perché auspico che sia tutt’altro – semplicemente non chiariscono alcunché. Sono evidentemente scritte in costituzional-sindacalese. Lingua di cui sinceramente non sentivo la mancanza.

Per definire la seconda secca, tanto per provare l’ebbrezza del cerchiobottismo, mi riferisco a questi passi dell’appello per il sì: “A quanti, come noi, sono giustamente affezionati alla Carta del 1948, esprimiamo la convinzione che – intervenendo solo sulla parte organizzativa della Costituzione e rispettando ogni virgola della parte prima – la riforma potrà perseguire meglio quei principi che sono oramai patrimonio comune di tutti gli italiani. Lungi dal tradire la Costituzione, si tratta di attuarla meglio, raccogliendo le sfide di una competizione europea e globale che richiede istituzioni più efficaci, più semplici, più stabili”, dove traspare la paura di fare del male alla Costituzione, come fosse un malato di cui si conosce la fragilità anche psicologica, al quale, insieme ai parenti, non si vuole dire che sta tirando gli ultimi. Eviterei la finzione di attuare meglio la Costituzione: rischiamo di perpetuarne la venerazione.

E di venerazione parlava Benjamin Constant (1767-1830) ricordando che: “La durata di una costituzione è meglio garantita quando è costretta nei suoi limiti naturali e non quando riposa sull’appoggio ingannatore di una venerazione superstiziosa. A sentire tutti i nostri architetti di costituzioni, si sarebbe detto che l’attaccamento e l’entusiasmo fossero delle proprietà trasmissibili, appartenenti di diritto alla costituzione del momento. Queste dimostrazioni di rispetto per l’insieme di una costituzione nuova e poco conosciuta, perché non ha ancora subìto la prova dell’esperienza, sono atti di ipocrisia o perlomeno di affettazione. Esse hanno gli inconvenienti che derivano dall’assenza di precisione e di verità. Il popolo può credervi o non credervi. Se vi crede, considera la costituzione come un tutto indivisibile, e, quando gli inconvenienti occasionati dai difetti di questa costituzione lo toccano, se ne distacca e la prende in odio. Se al contrario il popolo non crede alla venerazione che si professa, si abitua a sospettare di doppio gioco i suoi capi e mette in dubbio tutto ciò che gli dicono”.

In definitiva se sotto l’ombrellone insieme al calciomercato, all’ultimo acquisto su Zalando, all’inaspettata vittoria della nazionale agli europei e ai risultati delle olimpiadi dovesse anche balenare una fugace discussione sul bicameralismo perfetto, sui pesi e contrappesi costituzionali, sui rapporti tra le due camere, sui limiti alla decretazione d’urgenza, forse potremmo stupirci ma non rammaricarci, con la certezza che così come ci sono sessanta milioni di allenatori della nazionale ci sono anche sessanta milioni di esperti costituzionalisti in pectore: devono solo trovare tempo e voglia di esprimersi. Oggi hanno l’occasione da non perdere. Potrebbe essere un benefico elettroshock per tutti.