Etiopia: stato d'emergenza (ISPI)

mappa etiopia
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Le forze tigrine conquistano due centri strategici lungo la strada per Addis Abeba. E il premier Abiy Ahmed dichiara lo stato di emergenza e rivolge un drammatico appello alla nazione: “Combattere tutti per difendere l’Etiopia”.

Le forze del Fronte di liberazione del Tigray (Tplf) hanno annunciato la presa di Dessie e Kombolcha, due centri nevralgici lungo la strada per Addis Abeba, alimentando il timore che possano arrivare a minacciare la capitale dell’Etiopia. La repentina conquista delle due città è stata preceduta da intensi combattimenti che, secondo quanto riferisce la stampa locale, si sono interrotti lunedì sera con una disfatta dell’esercito regolare. Si tratta della maggior avanzata da parte delle forze tigrine dall’inizio del conflitto in corso da un anno, a cui sembra aver dato una spinta decisiva l’alleanza formale stretta in agosto con l'Esercito di Liberazione Oromo, che persegue l’indipendenza dell’Oromia, la regione più densamente popolata dell’Etiopia. La capitolazione dei due centri, che si trovano a circa 380 chilometri dalla capitale, lungo la strada che unisce Addis Abeba a Makallé, capoluogo del Tigray, arriva a pochi giorni di distanza da un’altra conquista importante, quella messa a segno dal Tplf lungo la strada che collega Addis Abeba al Gibuti, porto e hub strategico per i rifornimenti della capitale. Una situazione che ha portato il primo ministro etiope Abiy Ahmed a dichiarare lo stato d’emergenza e a rivolgere un drammatico appello alla nazione. “Usate qualsiasi tipo di arma per bloccare la spinta distruttiva, per capovolgerla e seppellirla”, ha scritto il premier invitando tutti i cittadini etiopi a prendere le armi e a combattere per difendere il paese: “Morire per l'Etiopia – ha detto – è un dovere per tutti noi”.

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Diritti umani a rischio?

Appena poche ore dopo l’annuncio della conquista dei due centri abitati il portavoce del Tplf, Getachew Reda, ha negato che l’organizzazione abbia mire sulla capitale e ha ribadito che l’offensiva ha come obiettivo quello di rompere l’assedio del governo sulla regione del Tigray. Il conflitto, esploso poco dopo le elezioni convocate a settembre 2020 dalle autorità tigrine in segno di sfida contro il lockdown nazionale imposto dal governo centrale, avrebbe dovuto concludersi, secondo il premier, “in poche settimane”. Da allora nella regione si sono verificate violazioni dei diritti umani, compresa una strategia organizzata di violenza sessuale e saccheggi contro la popolazione civile e le infrastrutture. Le Nazioni Unite stimano che dal novembre 2020 a oggi i combattimenti abbiano causato oltre 2,7 milioni di sfollati interni e migliaia di profughi. A giugno scorso, le organizzazioni umanitarie stimavano che almeno 400.000 persone rischiano di morire di fame in quella che si appresta a diventare la terza peggior carestia della storia dell’Etiopia e una delle peggiori in Africa dal secondo dopoguerra.

 

Timori internazionali?

Gli sviluppi della guerra in Etiopia hanno provocato diverse reazioni a livello internazionale. Il segretario di stato americano, Antony Blinken, si è detto allarmato dalla conquista di Dessie e Kombolcha da parte del Tplf. Anche l’ambasciatore americano all'Onu Linda Thomas-Greenfield ha espresso preoccupazione per la prosecuzione delle violenze e invitato entrambe le parti a sedersi attorno ad un tavolo per “iniziare i negoziati per il cessate-il-fuoco senza precondizioni”. Una preoccupazione condivisa anche dai vertici europei che hanno chiesto la fine immediata del blocco alimentare imposto sulla regione settentrionale dal governo di Addis Abeba. Nei mesi scorsi, le Nazioni Unite hanno puntato il dito contro il governo etiope, responsabile di bloccare cibo, aiuti e medicine destinati alla popolazione del Tigray. E in un’indagine condotta congiuntamente dall’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite e dalla Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc), i cui contenuti sono riportati da Associated Press, si accusa il governo centrale di aver volontariamente ostacolato le comunicazioni ed espulso giornalisti e operatori dell’informazione per coprire abusi e crimini di guerra commessi nel Tigray. Secondo le autorità regionali di Amhara, nei due centri di Dessie e Kombolcha si erano rifugiate complessivamente quasi 250.000 persone in fuga dai combattimenti.

Tigray

 

Prossima offensiva su Addis Abeba?

“Se il raggiungimento dei nostri obiettivi in Tigray richiederà la marcia verso Addis Abeba, lo faremo. Ma non stiamo dicendo che stiamo marciando verso Addis Abeba”: lo ha detto il portavoce tigrino Getachew Reda mentre nel paese si moltiplicano le voci di una prossima offensiva sulla capitale. Ieri, come riporta la stampa locale, le forze di sicurezza hanno arrestato numerose persone di etnia tigrina mentre il primo ministro Abiy ha accusato “combattenti stranieri” non meglio identificati di sostenere il Tplf. Intanto, continuano i bombardamenti su Makallé e altri centri del nord: le forze governative hanno infatti il controllo dei cieli e sono emersi rapporti diffusi secondo cui lo sforzo bellico di Abiy è supportato da droni forniti dagli Emirati Arabi Uniti e governati da basi nella vicina Eritrea. Ad appena un mese dal giuramento di Abyi Ahmed per un secondo mandato alla guida del paese, la situazione del governo appare quanto mai complicata. E il conflitto minaccia di destabilizzare la seconda nazione più popolosa dell'Africa, un tempo considerata dall’Occidente un alleato stabile in una regione instabile.

 

Il commento

Di Uoldelul Chelati Dirar, Professore Associato di Storia e Istituzioni dell'Africa, Università di Macerata

“Il conflitto etiope si sarebbe dovuto evitare ad ogni costo. Ma al punto in cui siamo sembra improbabile che i combattimenti possano lasciare il campo ad una soluzione negoziale. Una vittoria delle forse tigrine, che controllano tutti i centri strategici e le vie di approvvigionamento mentre il governo centrale è arroccato ad Addis Abeba e nel sudovest dell’Etiopia, è ormai più che verosimile. I toni drammatici del discorso del premier Abyi Ahmed lo dimostrano: il governo è allo sbando. Unica variabile è quella dell’Eritrea. Anche se il governo di Asmara appare in ritirata strategica. Pronto, nel caso in cui il Tplf marci su Addis Abeba, a fronteggiare un eventuale aggressione sul proprio territorio”.

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)