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Falcone e Borsellino: l’eredità dilapidata dalla magistratura

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Assistiamo con preoccupazione e sconcerto al continuo e inesorabile declino della fiducia dei cittadini nella magistratura. Di contro nel 1994, dopo la morte di Falcone e Borsellino e in piena stagione di “Mani Pulite”, l’83% dei cittadini avevano fiducia nella magistratura e un suo esponente, Antonio Di Pietro era l’uomo più popolare d’Italia.

Il paradosso della vita è evidente, il “contadino” di Montenero di Bisaccia ha interpretato la funzione giudiziaria in maniera diametralmente opposta dai suoi lumi tutelari.

Il tintinar delle manette non era nel repertorio di Falcone e Borsellino.

La stagione cavalcata dai tanti novelli moralizzatori si è rivelata priva di una visione del domani e soprattutto, non supportata dalla trasparenza della condotta e dall’autorevolezza conquistata con l’irreprensibile comportamento quotidiano nell’esercizio della giurisdizione.

Il manto del ricordo di Falcone e Borsellino è stata una sorta di coperta magica, che ha protetto nel corso degli anni molte delle “degenerazioni” manifestatesi nella magistratura. Il trascorrere del tempo e il ripetersi dei comportamenti “inopportuni” ha reso la coperta logora e i suoi effetti taumaturgici si sono dissolti.

Il 23 maggio si avvicina è purtroppo già si odono le rituali e vuote parole di chi non ha nulla per definirsi erede. Lo scorso anno, il presidente dell’Anm disse: “Onoriamo la memoria di Giovanni Falcone con l'impegno e la difesa intransigente della legalità

Oggi, queste parole suonano prive di attendibilità. Non sono uno stolto e non gioisco per la situazione imbarazzante creatasi. Una magistratura debole e alla mercè di bande di spregiudicati cercatori e dispensatori di potere è l’anticamera del dissolvimento di una comunità civile.

L’invocata difesa “intransigente della legalità” non si sposa con la cruda realtà del “così fan tutti” tratteggiata a tinte fosche dal “perseguitato” Palamara di turno.

È giusto ricordare che l’invocata difesa della legalità, non è stata mai percorsa con gli slogan e la ricerca facile del consenso mediatico dai due magistrati che sono stati la guida e l’esempio di una intera generazione.

Oggi la magistratura ha perso la credibilità ed è triste per tutti questa realtà, proprio perché non ha perseguito gli insegnamenti dei due “invocati esempi di rettitudine”.

Falcone e Borsellino la credibilità l’hanno conquistata con l’ossequio alle regole e alle garanzie, con l’esercizio quotidiano della funzione giudiziaria come servizio al Paese e non come manifestazione e ricerca del potere e della notorietà.

La concezione della giustizia in Falcone e Borsellino era condita dalla costruzione di inchieste solide, prudenti, verificate e riscontrate con certosina pazienza. Quanto sono lontani da chi oggi esercita la funzione giudiziaria con strillate ed enfatiche conferenze stampa.

Qualcuno si ricorda una conferenza stampa di Falcone e Borsellino ove autocelebravano le proprie inchieste?

Il lavoro silenzioso esercitato senza alcuna fuga di notizie e anticipazioni alla stampa, la volontà di trovare riscontri oggettivi alle parole dei pentiti. Questa generosità di impegno intellettuale e giuridico scevro da ogni condizionamento e spirito di appartenenza. Questo modus operandi procurò ai due giudici la solitudine e sottovalutazione della bontà del loro lavoro e gli attacchi scomposti dei paladini della società civile.

L’eredità di Falcone e Borsellino era una ricchezza immensa che non è stata amministrata con lo spirito dei suoi procreatori.

Oggi chi può dirsi erede di questo spirito?

La visione di Falcone e Borsellino non era espressa con l’intransigenza ma con l’esercizio accurato del quotidiano lavoro e con una visione del domani possibile e percorribile senza allentare le garanzie processuali.

Falcone diceva: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà anche una fine”.

Queste parole davano una speranza e non prefiguravano l’allentamento delle garanzie, la militarizzazione delle indagini, la creazione di nemici da abbattere costi quel che costi, la ricerca della notorietà e il conseguente esercizio del potere giurisdizionale per la vanità dell’io.

Oggi solo il 39% degli italiani hanno fiducia nella magistratura e non basta più ricordare i martiri per ergersi a guida del Paese.

Suonano sinistre le parole di Aleksandr Puskin: Chi non sa conservare l’eredità paterna morirà in miseria, nonostante qualsiasi sforzo demoniaco.