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Fallimento - Cassazione Civile: notifica telematica e atti prefallimentari

La sentenza in commento riveste particolare importanza, inserendosi nel solco della – ad oggi ancora esigua – giurisprudenza relativa all’utilizzo degli strumenti telematici in ambito processuale.

Il tema riguarda la notificazione a mezzo PEC del ricorso per istanza di fallimento e del relativo decreto di convocazione del Tribunale fallimentare, che il cancelliere ha l’onere di effettuare al debitore, a norma dell’articolo 15 del Regio Decreto n. 267/1942 (“Legge Fallimentare”).

La norma prevede che il cancelliere esperisca un tentativo di notifica all’indirizzo PEC del debitore, inviando comunicazione dell’esito al ricorrente. Nel caso in cui la notifica via PEC risulti impossibile o non vada a buon fine, vi provvede il ricorrente richiedendo all’Ufficiale Giudiziario la notifica di persona dei suddetti atti. In sostanza è necessaria la prova dell’avvenuta notifica degli atti prefallimentari al ricevente, affinché questo possa costituirsi in giudizio.

Le norme sulla notifica telematica prevedono che questa si consideri compiuta nel momento in cui il messaggio di posta elettronica è reso disponibile all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario, nella casella di posta elettronica messa a disposizione dal gestore del servizio. Ai fini della compiuta notifica, una volta che il messaggio è pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario, a nulla rileva il fatto che sia stato letto o meno da quest’ultimo. Per la notifica via PEC, la prova dell’avvenuta notifica è data dalla ricevuta di avvenuta consegna generata dal servizio di posta elettronica certificata utilizzata dal mittente, mentre la ricevuta di accettazione fa prova dell’avvenuta spedizione del messaggio.

Nel caso sottoposto al giudizio di legittimità della Cassazione, il cancelliere incaricato della notifica, ex articolo 15 Legge Fallimentare, aveva segnalato l’incertezza dell’avvenuta notifica al debitore prima che il sistema generasse la ricevuta di consegna. Tale circostanza ha dato impulso ad una nuova notifica, effettuata via posta ordinaria all’indirizzo fisico della società, poi risultato errato in quanto relativo alla precedente sede legale. La conseguenza processuale di tale circostanza è stata la non costituzione in giudizio della società debitrice.

L’appello proposto dal debitore contro la sentenza di primo grado, con la quale era stato dichiarato il fallimento della società, verteva proprio sulla nullità delle notifiche degli atti prefallimentari, che ne avrebbe impedito la costituzione in giudizio. La Corte d’Appello investita della questione, accogliendo l’eccezione del debitore, annullava la sentenza e revocava il fallimento.

La Corte di Cassazione, su ricorso proposto dalla curatela fallimentare, cassava la sentenza di secondo grado censurando la sbrigatività con cui il giudice di merito si era pronunciato senza esperire alcuna disamina sulla completezza della notifica telematica e senza tenere conto dei rilievi telematici nel frattempo acquisiti agli atti (la ricevuta di avvenuta consegna).

L’interpretazione della Suprema Corte della disciplina sulla notifica telematica, pone in rilievo, con estrema chiarezza, il carattere chiuso e predefinito della sequenza delle varie fasi della notifica telematica, contraddistinta da un’evidente tipicità delle caratteristiche dei messaggi gestiti dai sistemi di posta elettronica certificata, così come di quelli che eventualmente significhino anomalie, non accettazione, mancata consegna, virus. In virtù di tale tipicità – stabilisce la Corte – non sono ipotizzabili forme di degradazione di efficacia della notifica basate su commenti che esprimano assunti valutativi e soggettivi.

(Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza del 2 novembre 2015, n. 22352)

La sentenza in commento riveste particolare importanza, inserendosi nel solco della – ad oggi ancora esigua – giurisprudenza relativa all’utilizzo degli strumenti telematici in ambito processuale.

Il tema riguarda la notificazione a mezzo PEC del ricorso per istanza di fallimento e del relativo decreto di convocazione del Tribunale fallimentare, che il cancelliere ha l’onere di effettuare al debitore, a norma dell’articolo 15 del Regio Decreto n. 267/1942 (“Legge Fallimentare”).

La norma prevede che il cancelliere esperisca un tentativo di notifica all’indirizzo PEC del debitore, inviando comunicazione dell’esito al ricorrente. Nel caso in cui la notifica via PEC risulti impossibile o non vada a buon fine, vi provvede il ricorrente richiedendo all’Ufficiale Giudiziario la notifica di persona dei suddetti atti. In sostanza è necessaria la prova dell’avvenuta notifica degli atti prefallimentari al ricevente, affinché questo possa costituirsi in giudizio.

Le norme sulla notifica telematica prevedono che questa si consideri compiuta nel momento in cui il messaggio di posta elettronica è reso disponibile all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario, nella casella di posta elettronica messa a disposizione dal gestore del servizio. Ai fini della compiuta notifica, una volta che il messaggio è pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario, a nulla rileva il fatto che sia stato letto o meno da quest’ultimo. Per la notifica via PEC, la prova dell’avvenuta notifica è data dalla ricevuta di avvenuta consegna generata dal servizio di posta elettronica certificata utilizzata dal mittente, mentre la ricevuta di accettazione fa prova dell’avvenuta spedizione del messaggio.

Nel caso sottoposto al giudizio di legittimità della Cassazione, il cancelliere incaricato della notifica, ex articolo 15 Legge Fallimentare, aveva segnalato l’incertezza dell’avvenuta notifica al debitore prima che il sistema generasse la ricevuta di consegna. Tale circostanza ha dato impulso ad una nuova notifica, effettuata via posta ordinaria all’indirizzo fisico della società, poi risultato errato in quanto relativo alla precedente sede legale. La conseguenza processuale di tale circostanza è stata la non costituzione in giudizio della società debitrice.

L’appello proposto dal debitore contro la sentenza di primo grado, con la quale era stato dichiarato il fallimento della società, verteva proprio sulla nullità delle notifiche degli atti prefallimentari, che ne avrebbe impedito la costituzione in giudizio. La Corte d’Appello investita della questione, accogliendo l’eccezione del debitore, annullava la sentenza e revocava il fallimento.

La Corte di Cassazione, su ricorso proposto dalla curatela fallimentare, cassava la sentenza di secondo grado censurando la sbrigatività con cui il giudice di merito si era pronunciato senza esperire alcuna disamina sulla completezza della notifica telematica e senza tenere conto dei rilievi telematici nel frattempo acquisiti agli atti (la ricevuta di avvenuta consegna).

L’interpretazione della Suprema Corte della disciplina sulla notifica telematica, pone in rilievo, con estrema chiarezza, il carattere chiuso e predefinito della sequenza delle varie fasi della notifica telematica, contraddistinta da un’evidente tipicità delle caratteristiche dei messaggi gestiti dai sistemi di posta elettronica certificata, così come di quelli che eventualmente significhino anomalie, non accettazione, mancata consegna, virus. In virtù di tale tipicità – stabilisce la Corte – non sono ipotizzabili forme di degradazione di efficacia della notifica basate su commenti che esprimano assunti valutativi e soggettivi.

(Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza del 2 novembre 2015, n. 22352)