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Garante Privacy: avviato processo di revisione del Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità dei pagamenti

Note a margine del Provvedimento del 17 aprile 2014 n. 203

Con Provvedimento del 17 aprile 2014 n. 203  il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un processo di revisione del Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti (“Codice”, Allegato 5 al Codice in materia di protezione dei dati personali).

L’esigenza nasce dalla necessità di riallineare il detto Codice agli interventi comunitari e all’evoluzione del credito al consumo, bilanciando gli interessi in gioco:

- del sistema creditizio, da una parte, sempre più  attento a ridurre e controllare  le asimmetrie informative, cause dei fallimenti di mercato, il rischio di insolvenza  e il moral hazard;

- dei consumatori, dall’altra, a difendersi dall’avidità informativa delle banche e ad un uso indiscriminato, discriminatorio e distorto delle informazioni.

1. Il mutato quadro normativo: interventi legislativi comunitari e nazionali

Dal 1° gennaio 2005 (data di applicazione del Provvedimento del Garante n. 8 del 16 novembre 2004) ad oggi, sono stati emanati i seguenti provvedimenti, con effetti diretti/indiretti sul sistema generale del credito al consumo.

Direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, emanata al fine di:

a) armonizzare il quadro normativo, regolamentare ed amministrativo degli Stati membri in tema di contratti di credito ai consumatori;

b) eliminare le disparità nazionali ed evitare distorsioni della concorrenza tra i creditori all’interno della Comunità;

c) rendere più efficiente il sistema creditizio, favorendo la circolazione delle informazioni al suo interno per ridurre i rischi d’insolvenza;

d) incrementare la tutela dei consumatori.

Si afferma, infatti, nella Direttiva che tutti gli Stati membri devono: 1) adottare le misure necessarie per promuovere pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito; 2) introdurre pratiche miranti, da una parte, ad una corretta educazione del consumatore circa i rischi del credito e, dall’ altra, a far sì che i creditori non concedano credito in modo indiscriminato ed irresponsabile, ma operino in modo corretto, valutando il merito creditizio del consumatore.

L’ introduzione, da parte dell’UE, di norme volte alla corretta attuazione del rapporto di credito è un atto dovuto anche a seguito della grave crisi che, a partire dal 2007, ha colpito l’ economia mondiale e che ha avuto origine dalle insolvenze sui mutui subprime statunitensi.

Decreto Legislativo n. 141/2010:

ha recepito nell’ordinamento italiano la Direttiva 2008/48/CE, recando le modifiche al Testo Unico Bancario (“TUB”) ed al Codice del Consumo. Nello specifico, la nuova normativa introduce nel TUB (articolo 125) anche la disciplina sulla valutazione del merito creditizio del consumatore, che avviene anche attraverso l’ accesso, da parte del creditore, alle banche dati e, nel Codice di Consumo, l’obbligo, a carico dell’intermediario finanziario, di fornire le informazioni in maniera chiara, concisa e graficamente evidenziata, sia in fase precontrattuale (in modo che questi possa operare con cognizione di causa la scelta tra i vari prodotti presenti sul mercato), che contrattuale.

Risoluzione 7- 00340:  

in materia di credito al consumo, lCommissione VI (Finanze) il 27 maggio 2010 ha approvato la risoluzione 7- 00340 (Pagano) con la quale ha impegnato il Governo a introdurre norme specifiche relative all’operatività dei sistemi di informazione creditizia, prevedendosi nel dettaglio che il consumatore debba essere informato esplicitamente delle conseguenze, rispetto all’accesso al credito, di eventuali segnalazioni negative a suo carico inserite nei predetti sistemi, e che tali segnalazioni negative, prima di essere inserite nei predetti sistemi, siano previamente comunicate al consumatore interessato, consentendo a quest’ultimo di avanzare, entro un determinato termine, eccezioni rispetto alle segnalazioni effettuate, al fine di evitarne l’inserimento nei sistemi di informazione creditizia.

Decreto Legislativo n. 218/2010, Decreto Legislativo n. 64/2011 e Decreto Legislativo n. 169/2012:

hanno recato integrazioni al Decreto Legislativo n. 141/2010. Tra  le novità più rilevanti il Decreto Legislativo n. 64/2011, ha istituito un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d’identità, mentre il Decreto Legislativo n. 169/2012, ha ampliato l’ambito operativo delle norme poste a tutela dei consumatori, in particolare di quelle relative alla trasparenza delle condizioni contrattuali.

2. Evoluzione del credito al consumo

Per credito al consumo s’intende la concessione a una persona fisica (consumatore) di credito, finalizzata all’acquisto di beni di consumo, servizi, o per esigenze di carattere personale. Tuttavia  la maggior parte delle banche considera come clientela di dettaglio molti degli imprenditori che accedono al sistema finanziario, infatti molte nuove imprese, nelle fasi di avvio e nei primi anni di attività, sono finanziate con strumenti finanziari tipici del credito al consumo.

Negli ultimi anni, sempre più famiglie (ma anche imprese) ricorrono al credito, anche per far fronte a spese non ingenti e voluttuarie. L’aumento della propensione alla spesa, ha fatto crescere notevolmente il fenomeno del credito al consumo; esso, peraltro già sviluppato in Italia nella forma della dilazione di pagamento (disciplinata dall’articolo 1523 del Codice Civile), ha iniziato ad assumere la forma di veri e propri prestiti erogati da soggetti diversi dal venditore dei beni che vengono acquistati. Ciò è dovuto al fatto che i fornitori dei beni non riescono più a far fronte alle richieste di dilazione di pagamento, in quanto non dispongono più dei flussi di finanziamento necessari a sostenere queste operazioni.

Il ricorso al prestito, più che alla dilazione, pone due problematiche rilevanti: la tutela del consumatore sia dall’abuso di  posizione dominante che potrebbe esercitare l’ente erogatore nella concessione del prestito, che dall’uso distorto delle informazioni raccolte sul suo conto.

Inoltre, negli ultimi anni lo sviluppo delle società finanziarie ha conosciuto una notevole espansione (anche a causa della grave crisi che sta colpendo il sistema economico-finanziario mondiale): sempre più spesso accade che le famiglie ricorrono a canali di credito alternativi agli istituti bancari; ciò avviene sia perché le banche chiudono il loro canale a seguito del fatto che i richiedenti sono divenuti cattivi pagatori, sia perché si diffonde l’opinione che rivolgersi ad una finanziaria piuttosto che ad un istituto bancario acceleri i tempi di concessione del prestito e renda più semplice l’accesso al credito. Lo stesso legislatore ha mostrato una articolare attenzione a questo canale di erogazione del prestito (si pensi al Decreto Legislativo n. 141/2010, che ha disciplinato con maggior attenzione l’accesso alla professione di agenti in attività finanziarie e mediatori creditizi, richiedendo requisiti più stringenti per svolgere l’attività e regolamentandola e sanzionando i comportamenti illeciti e l’esercizio abusivo dell’attività, in maniera più puntuale e severa.

Tuttavia le famiglie preferiscono le società finanziarie solo quando si tratta di importi non ingenti, ritenendo invece più sicure ed affidabili le banche nel caso di importi notevoli, come ad esempio quelli necessari per acquistare un immobile (evidentemente perché le seconde danno maggiori garanzie in termini di affidabilità e sicurezza)

Occorre comunque tenere presente che anche gli intermediari finanziari alternativi alle banche hanno accesso alla banca dati, per verificare l’affidabilità del cliente e la concedibilità del prestito. Inoltre attraverso la politica del prezzo possono incidere sul mercato del rischio in maniera rilevante: la richiesta di interessi più elevati a fronte di minori garanzie aumenta il rischio di moral hazard, che si riverbera poi su tutto il mercato e sui criteri di valutazione della clientela.

Non è indifferente chiedere un finanziamento a una banca o chiederlo ad una società finanziaria. Esistono, infatti, differenze sostanziali tra questi due intermediari; la più evidente e significativa per i consumatori è costituita dal fatto che le finanziarie praticano tassi più alti di quelli delle banche; in secondo luogo, mentre le banche erogano credito attraverso la raccolta di risparmio presso il pubblico, le finanziarie erogano prestiti solo attingendo da un capitale proprio o da prestiti obbligazionari.

3. L’attuale Codice di deontologia

Nato nel 2004 si riferisce a un quadro normativo e ad una situazione di mercato ormai mutata (per le ragioni su esposte). Ciò nonostante nel suo impianto principale regge ancora l’onda d’urto delle novità e, fatto salvo per qualche intervento reso necessario dal prepotente affermarsi di nuove figure di finanziatori e dalla crisi dei mercati, può dirsi ancora valido.

Esso, ispirato alla tutela del consumatore contro un cattivo uso delle informazioni raccolte sul suo conto, privilegia: a) la tutela del rischio associato ai rapporti di credito; b) la ampia diffusione dell’informazione al fine di ridurre le asimmetrie informative e gli effetti indotti sul sistema economico da un razionamento dell’informazione.

Quindi, in buona sostanza, il Codice senza perdere di vista gli interessi del consumatore, tenta di regolare lo sfruttamento delle informazioni raccolte sul cliente, attenuandone gli effetti perversi ed incoraggiandone l’attenuazione e lo sfruttamento virtuoso per il sistema. Ovvero, il Codice favorisce l’accumulazione di conoscenza e informazione in capo al soggetto che ha la responsabilità di gestire l’erogazione dei fondi, fino al punto di influire sulla percezione del livello di rischio dell’insieme dei clienti.

Ciò non è sbagliato in un’ottica economica. Non vi è dubbio, infatti, che i consumatori, ipnotizzati dalla pubblicità e spinti da un mercato effervescente e mutevole, potrebbero adottare posizioni debitorie molto esposte e squilibrate. L’incentivo al consumo e la facilità di disporre di strumenti di credito (soprattutto per lo sviluppo di intermediari finanziari diversi dalle banche) per l’acquisto di beni di consumo sono elementi che inducono una certa rischiosità nel sistema economico, di qui la giusta preoccupazione di difendere il sistema finanziario da eventuali eccessi d’indebitamento.

Il Codice, nella sua formulazione cerca di contemperare:

- da una parte, l’interesse delle banche di raccogliere la quantità di informazioni necessarie per la costruzione di un giudizio di rating e di metterle a fattor comune (nelle SIC) per evitare di incorrere nel moral hazard di clienti negativi;

- dall’altra, l’interesse del consumatore di 1) fornire all’ente finanziatore le sole informazione relative al rapporto; 2) impedire l’uso di informazioni di carattere personale di tipo sensibile; 3) evitare un uso discriminatorio e soggettivo da parte dell’ente erogatore delle informazioni oggettive personali anche se di tipo non sensibile.

Gli articoli dedicati alle “finalità del trattamento” ai “requisiti e categorie dei dati”, alle “modalità di raccolta e registrazione dei dati” e alla “informazione” sembrano orientati in tal senso.

Invero, in quest’ottica, il Codice fa sì che gli interessati siano indotti a fornire solo le informazioni strettamente pertinenti e funzionali alla stipula del contratto, senza che il creditore possa disporre di informazioni collaterali, per lui certamente utili, di carattere strettamente personale che indeboliscono il potere contrattuale del debitore o che possono essere utilizzate in forma arbitraria da parte dei finanziatori per scopi e fini estranei al contratto in oggetto.

Cionondimeno, seppure ancora attuale, il Codice ha dei margini di miglioramento.

A) Il Codice non tiene conto del fatto che la maggior parte delle banche e degli istituti finanziari considera come clientela di dettaglio anche gli imprenditori che accedono al sistema finanziario e molte nuove imprese che nelle fasi di start up e nei primi anni di attività, vengono finanziate con strumenti finanziari tipici del credito al consumo. Ciò porta i finanziatori, il più delle volte, a predisporre degli schemi informativi identici per le due categorie, sì da generare due tipi di distorsioni all’interno del sistema dell’informazione: il primo, è che il  livello di rischio si innalza in virtù del fatto che gli imprenditori per definizione esplicano attività più rischiose dei consumatori; il secondo è che il bisogno di informazione specifica per il finanziamento delle attività di impresa è nettamente superiore a quello necessario per il finanziamento di attività di consumo. Si genera pertanto una situazione in cui anche per le richieste di credito al consumo formulate dai consumatori, i dati richiesti dagli enti erogatori assumono un grado di pervasività molto elevato (come per gli imprenditori). Sarebbe, quindi, auspicabile, che il Codice prendesse atto di tale situazione stabilendo più puntualmente le informazioni da richiedere ai consumatori (così come definiti dal Codice di Consumo) evitando che nella pratica vengano assimilati agli imprenditori, dal punto di vista informativo. In altre parole andrebbe riformulato l’articolo 3 al punto b) sostituendo ad una formula genericamente descrittiva una puntuale.

B) Inoltre, sarebbe opportuno che il Codice prevedesse dei limiti più pregnanti al livello di informazioni da raccogliere. Più che consentire una raccolta alluvionale di dati, il Codice dovrebbe limitarli a poche categorie facilmente catalogabili e controllabili, oltre che essere pertinenti alla sola figura del consumatore. In altre parole è necessario rendere le informazioni limitate e sufficientemente solide, per garantire che la qualità del giudizio sia statisticamente fondata e che la capacità predittiva degli algoritmi di calcolo degli scoring sia elevata, per favorire l’affidabilità agli indicatori: maggiori sono le informazioni inserite nel sistema, maggiore sarà la difficoltà di calcolo delle correlazioni e degli indicatori , creando confusione sui risultati, falsando così i rating sui rischi della clientela. Ciò significa, in sostanza, che per una maggiore capacità predittiva degli indicatori di scoring è molto meglio avere poche categorie di informazioni. Si tenga conto che gli indicatori  forniscono all’ente erogatore del prestito la capacità di discernere il buono dal cattivo cliente e di fare politiche di pricing. Se gli indicatori (per le motivazioni indicate al punto A, che precede, e al punto B) falsano i rating, il prezzo del denaro sale. In questo modo le premesse finalità del Codice vengono disattese e il sistema si popolerà di soggetti meno avversi al rischio, disposti a pagare un prezzo più elevato.

Inoltre, lasciare gli enti erogatori liberi di raccogliere tutti i dati relativi al rapporto di credito  potrebbe comportare delle distorsioni nel sistema. È certamente probabile che un sistema che non riesce a differenziare efficacemente fra buoni e cattivi pagatori, induca gli enti finanziatori ad integrare le informazioni disponibili con altre informazioni puntuali che si rilevano nel rapporto diretto fra cliente e prestatore. Tali informazioni sono raccolte effettivamente nel momento in cui il cliente si trova in una situazione di necessità e pertanto titolare di un potere contrattuale piuttosto limitato rispetto all’ente erogatore del finanziamento. In una tale situazione, il consumatore sarà piuttosto propenso a fornire le informazioni richieste, anche se non strettamente necessarie per l’erogazione del credito. Sono evidenti i rischi di arbitrarietà di giudizio. Quindi i punti bcd dell’articolo 3, andrebbero riformulati prevedendo analiticamente i dati da mettere a fattore comune.

C) Nell’attuale formulazione il Codice deontologico prevede che le informazioni positive, premianti per il consumatore, si conservino per minor tempo rispetto a quelle negative. In particolare l’enfasi che viene posta sulla tutela delle informazioni relative agli interessati che abbiano subito incagli o ritardi nei pagamenti appare eccessiva, così come eccessiva appare la preoccupazione di tutelare i soggetti che abbiano avuto decorsi regolari nell’evoluzione del loro rapporto di finanziamento (si fa riferimento alle limitazioni alla conservazione dei dati introdotte con l’articolo 6, comma 2, 3, 5 e 6). I secondi sono clienti sostanzialmente migliori dei primi, tuttavia nelle basi dati questa differenza viene attenuata dalla limitata durata dello stoccaggio dei dati. È infatti possibile che esistano clienti che si approvvigionano in continuo di finanziamenti per il consumo, tuttavia è assolutamente plausibile che i clienti più cauti e prudenti lascino passare un certo lasso di tempo fra la chiusura di un rapporto di debito con il sistema finanziario e l’apertura di un nuovo rapporto debitorio. Se questo lasso di tempo valica i 24 mesi ecco che la virtù dei buoni pagatori cessa di essere presente all’interno dei sistemi informativi. Ciò è sostanzialmente diverso in altri sistemi di referenza creditizia europei regolamentati, dove i termini di conservazione ammessi arrivano anche a 60 mesi.

D) Manca la previsione espressa che le segnalazioni da parte degli enti erogatori (partecipanti) dei dati negativi debbono essere corredate da una assunzione di responsabilità sulla qualità dell’informazione e che sono previste adeguate sanzioni per gli eventuali trasgressori: evidentemente vanno salvaguardate le persone dagli errori materiali e dai ritardi di pagamento che hanno carattere di casualità.

E) Non viene previsto che il gestore del servizio  e il partecipante verifichino puntualmente i sistemi di scoring delle diverse base dati e servizi dedicati, aggiornando periodicamente i criteri di valutazione e le norme del codice comportamentale. Così come, non si prevede che i partecipanti al servizio (con particolare riguardo agli intermediari finanziari, tal volta meno strutturati delle banche) vengano sottoposti a ispezioni e indagini di carattere pervasivo e autoritario sull’utilizzo di questi sistemi, per accertare eventuali violazioni del Codice o irregolarità o incoerenze nei sistemi di valutazione. In tal senso la formulazione dell’articolo 12 sembra troppo morbida considerata l’importanza degli interessi in gioco.

4. Conclusione

In conclusione si può rilevare la necessità di rivedere il Codice deontologico puntando sul principio della specializzazione dell’informazione, sull’evoluzione tecnica delle metodologie di scoring e su una maggior durata dello stoccaggio delle informazioni nelle basi dati. Meno informazioni, più attendibili e per un tempo più lungo, in particolar modo per favorire la rilevazione di comportamenti virtuosi (che altrimenti verrebbero cancellati in tempi brevi).

Probabilmente il sistema che riesce ad avere il massimo dell’efficacia è quello che favorisce il massimo di informazione possibile a tutti i soggetti operanti sul mercato. In questo caso la concorrenza fra i diversi soggetti finanziatori sarebbe maggiore perché basata su una base informativa comune, le informazioni personali dei singoli clienti sarebbero acquisite una volta per tutte dal sistema finanziario e non sarebbero a disposizione di un singolo operatore (che potrebbe quindi avvantaggiarsi rispetto agli altri oppure renderebbe difficoltoso al cliente cercare fonti di finanziamento più convenienti), infine il cliente non sarebbe obbligato a fornire di volta in volta le proprie informazioni personali ad ogni singolo ente cui si rivolge per chiedere un prestito.

I documenti citati sono consultabili integralmente sul sito del Garante della Privacy.

Con Provvedimento del 17 aprile 2014 n. 203  il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un processo di revisione del Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti (“Codice”, Allegato 5 al Codice in materia di protezione dei dati personali).

L’esigenza nasce dalla necessità di riallineare il detto Codice agli interventi comunitari e all’evoluzione del credito al consumo, bilanciando gli interessi in gioco:

- del sistema creditizio, da una parte, sempre più  attento a ridurre e controllare  le asimmetrie informative, cause dei fallimenti di mercato, il rischio di insolvenza  e il moral hazard;

- dei consumatori, dall’altra, a difendersi dall’avidità informativa delle banche e ad un uso indiscriminato, discriminatorio e distorto delle informazioni.

1. Il mutato quadro normativo: interventi legislativi comunitari e nazionali

Dal 1° gennaio 2005 (data di applicazione del Provvedimento del Garante n. 8 del 16 novembre 2004) ad oggi, sono stati emanati i seguenti provvedimenti, con effetti diretti/indiretti sul sistema generale del credito al consumo.

Direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, emanata al fine di:

a) armonizzare il quadro normativo, regolamentare ed amministrativo degli Stati membri in tema di contratti di credito ai consumatori;

b) eliminare le disparità nazionali ed evitare distorsioni della concorrenza tra i creditori all’interno della Comunità;

c) rendere più efficiente il sistema creditizio, favorendo la circolazione delle informazioni al suo interno per ridurre i rischi d’insolvenza;

d) incrementare la tutela dei consumatori.

Si afferma, infatti, nella Direttiva che tutti gli Stati membri devono: 1) adottare le misure necessarie per promuovere pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito; 2) introdurre pratiche miranti, da una parte, ad una corretta educazione del consumatore circa i rischi del credito e, dall’ altra, a far sì che i creditori non concedano credito in modo indiscriminato ed irresponsabile, ma operino in modo corretto, valutando il merito creditizio del consumatore.

L’ introduzione, da parte dell’UE, di norme volte alla corretta attuazione del rapporto di credito è un atto dovuto anche a seguito della grave crisi che, a partire dal 2007, ha colpito l’ economia mondiale e che ha avuto origine dalle insolvenze sui mutui subprime statunitensi.

Decreto Legislativo n. 141/2010:

ha recepito nell’ordinamento italiano la Direttiva 2008/48/CE, recando le modifiche al Testo Unico Bancario (“TUB”) ed al Codice del Consumo. Nello specifico, la nuova normativa introduce nel TUB (articolo 125) anche la disciplina sulla valutazione del merito creditizio del consumatore, che avviene anche attraverso l’ accesso, da parte del creditore, alle banche dati e, nel Codice di Consumo, l’obbligo, a carico dell’intermediario finanziario, di fornire le informazioni in maniera chiara, concisa e graficamente evidenziata, sia in fase precontrattuale (in modo che questi possa operare con cognizione di causa la scelta tra i vari prodotti presenti sul mercato), che contrattuale.

Risoluzione 7- 00340:  

in materia di credito al consumo, lCommissione VI (Finanze) il 27 maggio 2010 ha approvato la risoluzione 7- 00340 (Pagano) con la quale ha impegnato il Governo a introdurre norme specifiche relative all’operatività dei sistemi di informazione creditizia, prevedendosi nel dettaglio che il consumatore debba essere informato esplicitamente delle conseguenze, rispetto all’accesso al credito, di eventuali segnalazioni negative a suo carico inserite nei predetti sistemi, e che tali segnalazioni negative, prima di essere inserite nei predetti sistemi, siano previamente comunicate al consumatore interessato, consentendo a quest’ultimo di avanzare, entro un determinato termine, eccezioni rispetto alle segnalazioni effettuate, al fine di evitarne l’inserimento nei sistemi di informazione creditizia.

Decreto Legislativo n. 218/2010, Decreto Legislativo n. 64/2011 e Decreto Legislativo n. 169/2012:

hanno recato integrazioni al Decreto Legislativo n. 141/2010. Tra  le novità più rilevanti il Decreto Legislativo n. 64/2011, ha istituito un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d’identità, mentre il Decreto Legislativo n. 169/2012, ha ampliato l’ambito operativo delle norme poste a tutela dei consumatori, in particolare di quelle relative alla trasparenza delle condizioni contrattuali.

2. Evoluzione del credito al consumo

Per credito al consumo s’intende la concessione a una persona fisica (consumatore) di credito, finalizzata all’acquisto di beni di consumo, servizi, o per esigenze di carattere personale. Tuttavia  la maggior parte delle banche considera come clientela di dettaglio molti degli imprenditori che accedono al sistema finanziario, infatti molte nuove imprese, nelle fasi di avvio e nei primi anni di attività, sono finanziate con strumenti finanziari tipici del credito al consumo.

Negli ultimi anni, sempre più famiglie (ma anche imprese) ricorrono al credito, anche per far fronte a spese non ingenti e voluttuarie. L’aumento della propensione alla spesa, ha fatto crescere notevolmente il fenomeno del credito al consumo; esso, peraltro già sviluppato in Italia nella forma della dilazione di pagamento (disciplinata dall’articolo 1523 del Codice Civile), ha iniziato ad assumere la forma di veri e propri prestiti erogati da soggetti diversi dal venditore dei beni che vengono acquistati. Ciò è dovuto al fatto che i fornitori dei beni non riescono più a far fronte alle richieste di dilazione di pagamento, in quanto non dispongono più dei flussi di finanziamento necessari a sostenere queste operazioni.

Il ricorso al prestito, più che alla dilazione, pone due problematiche rilevanti: la tutela del consumatore sia dall’abuso di  posizione dominante che potrebbe esercitare l’ente erogatore nella concessione del prestito, che dall’uso distorto delle informazioni raccolte sul suo conto.

Inoltre, negli ultimi anni lo sviluppo delle società finanziarie ha conosciuto una notevole espansione (anche a causa della grave crisi che sta colpendo il sistema economico-finanziario mondiale): sempre più spesso accade che le famiglie ricorrono a canali di credito alternativi agli istituti bancari; ciò avviene sia perché le banche chiudono il loro canale a seguito del fatto che i richiedenti sono divenuti cattivi pagatori, sia perché si diffonde l’opinione che rivolgersi ad una finanziaria piuttosto che ad un istituto bancario acceleri i tempi di concessione del prestito e renda più semplice l’accesso al credito. Lo stesso legislatore ha mostrato una articolare attenzione a questo canale di erogazione del prestito (si pensi al Decreto Legislativo n. 141/2010, che ha disciplinato con maggior attenzione l’accesso alla professione di agenti in attività finanziarie e mediatori creditizi, richiedendo requisiti più stringenti per svolgere l’attività e regolamentandola e sanzionando i comportamenti illeciti e l’esercizio abusivo dell’attività, in maniera più puntuale e severa.

Tuttavia le famiglie preferiscono le società finanziarie solo quando si tratta di importi non ingenti, ritenendo invece più sicure ed affidabili le banche nel caso di importi notevoli, come ad esempio quelli necessari per acquistare un immobile (evidentemente perché le seconde danno maggiori garanzie in termini di affidabilità e sicurezza)

Occorre comunque tenere presente che anche gli intermediari finanziari alternativi alle banche hanno accesso alla banca dati, per verificare l’affidabilità del cliente e la concedibilità del prestito. Inoltre attraverso la politica del prezzo possono incidere sul mercato del rischio in maniera rilevante: la richiesta di interessi più elevati a fronte di minori garanzie aumenta il rischio di moral hazard, che si riverbera poi su tutto il mercato e sui criteri di valutazione della clientela.

Non è indifferente chiedere un finanziamento a una banca o chiederlo ad una società finanziaria. Esistono, infatti, differenze sostanziali tra questi due intermediari; la più evidente e significativa per i consumatori è costituita dal fatto che le finanziarie praticano tassi più alti di quelli delle banche; in secondo luogo, mentre le banche erogano credito attraverso la raccolta di risparmio presso il pubblico, le finanziarie erogano prestiti solo attingendo da un capitale proprio o da prestiti obbligazionari.

3. L’attuale Codice di deontologia

Nato nel 2004 si riferisce a un quadro normativo e ad una situazione di mercato ormai mutata (per le ragioni su esposte). Ciò nonostante nel suo impianto principale regge ancora l’onda d’urto delle novità e, fatto salvo per qualche intervento reso necessario dal prepotente affermarsi di nuove figure di finanziatori e dalla crisi dei mercati, può dirsi ancora valido.

Esso, ispirato alla tutela del consumatore contro un cattivo uso delle informazioni raccolte sul suo conto, privilegia: a) la tutela del rischio associato ai rapporti di credito; b) la ampia diffusione dell’informazione al fine di ridurre le asimmetrie informative e gli effetti indotti sul sistema economico da un razionamento dell’informazione.

Quindi, in buona sostanza, il Codice senza perdere di vista gli interessi del consumatore, tenta di regolare lo sfruttamento delle informazioni raccolte sul cliente, attenuandone gli effetti perversi ed incoraggiandone l’attenuazione e lo sfruttamento virtuoso per il sistema. Ovvero, il Codice favorisce l’accumulazione di conoscenza e informazione in capo al soggetto che ha la responsabilità di gestire l’erogazione dei fondi, fino al punto di influire sulla percezione del livello di rischio dell’insieme dei clienti.

Ciò non è sbagliato in un’ottica economica. Non vi è dubbio, infatti, che i consumatori, ipnotizzati dalla pubblicità e spinti da un mercato effervescente e mutevole, potrebbero adottare posizioni debitorie molto esposte e squilibrate. L’incentivo al consumo e la facilità di disporre di strumenti di credito (soprattutto per lo sviluppo di intermediari finanziari diversi dalle banche) per l’acquisto di beni di consumo sono elementi che inducono una certa rischiosità nel sistema economico, di qui la giusta preoccupazione di difendere il sistema finanziario da eventuali eccessi d’indebitamento.

Il Codice, nella sua formulazione cerca di contemperare:

- da una parte, l’interesse delle banche di raccogliere la quantità di informazioni necessarie per la costruzione di un giudizio di rating e di metterle a fattor comune (nelle SIC) per evitare di incorrere nel moral hazard di clienti negativi;

- dall’altra, l’interesse del consumatore di 1) fornire all’ente finanziatore le sole informazione relative al rapporto; 2) impedire l’uso di informazioni di carattere personale di tipo sensibile; 3) evitare un uso discriminatorio e soggettivo da parte dell’ente erogatore delle informazioni oggettive personali anche se di tipo non sensibile.

Gli articoli dedicati alle “finalità del trattamento” ai “requisiti e categorie dei dati”, alle “modalità di raccolta e registrazione dei dati” e alla “informazione” sembrano orientati in tal senso.

Invero, in quest’ottica, il Codice fa sì che gli interessati siano indotti a fornire solo le informazioni strettamente pertinenti e funzionali alla stipula del contratto, senza che il creditore possa disporre di informazioni collaterali, per lui certamente utili, di carattere strettamente personale che indeboliscono il potere contrattuale del debitore o che possono essere utilizzate in forma arbitraria da parte dei finanziatori per scopi e fini estranei al contratto in oggetto.

Cionondimeno, seppure ancora attuale, il Codice ha dei margini di miglioramento.

A) Il Codice non tiene conto del fatto che la maggior parte delle banche e degli istituti finanziari considera come clientela di dettaglio anche gli imprenditori che accedono al sistema finanziario e molte nuove imprese che nelle fasi di start up e nei primi anni di attività, vengono finanziate con strumenti finanziari tipici del credito al consumo. Ciò porta i finanziatori, il più delle volte, a predisporre degli schemi informativi identici per le due categorie, sì da generare due tipi di distorsioni all’interno del sistema dell’informazione: il primo, è che il  livello di rischio si innalza in virtù del fatto che gli imprenditori per definizione esplicano attività più rischiose dei consumatori; il secondo è che il bisogno di informazione specifica per il finanziamento delle attività di impresa è nettamente superiore a quello necessario per il finanziamento di attività di consumo. Si genera pertanto una situazione in cui anche per le richieste di credito al consumo formulate dai consumatori, i dati richiesti dagli enti erogatori assumono un grado di pervasività molto elevato (come per gli imprenditori). Sarebbe, quindi, auspicabile, che il Codice prendesse atto di tale situazione stabilendo più puntualmente le informazioni da richiedere ai consumatori (così come definiti dal Codice di Consumo) evitando che nella pratica vengano assimilati agli imprenditori, dal punto di vista informativo. In altre parole andrebbe riformulato l’articolo 3 al punto b) sostituendo ad una formula genericamente descrittiva una puntuale.

B) Inoltre, sarebbe opportuno che il Codice prevedesse dei limiti più pregnanti al livello di informazioni da raccogliere. Più che consentire una raccolta alluvionale di dati, il Codice dovrebbe limitarli a poche categorie facilmente catalogabili e controllabili, oltre che essere pertinenti alla sola figura del consumatore. In altre parole è necessario rendere le informazioni limitate e sufficientemente solide, per garantire che la qualità del giudizio sia statisticamente fondata e che la capacità predittiva degli algoritmi di calcolo degli scoring sia elevata, per favorire l’affidabilità agli indicatori: maggiori sono le informazioni inserite nel sistema, maggiore sarà la difficoltà di calcolo delle correlazioni e degli indicatori , creando confusione sui risultati, falsando così i rating sui rischi della clientela. Ciò significa, in sostanza, che per una maggiore capacità predittiva degli indicatori di scoring è molto meglio avere poche categorie di informazioni. Si tenga conto che gli indicatori  forniscono all’ente erogatore del prestito la capacità di discernere il buono dal cattivo cliente e di fare politiche di pricing. Se gli indicatori (per le motivazioni indicate al punto A, che precede, e al punto B) falsano i rating, il prezzo del denaro sale. In questo modo le premesse finalità del Codice vengono disattese e il sistema si popolerà di soggetti meno avversi al rischio, disposti a pagare un prezzo più elevato.

Inoltre, lasciare gli enti erogatori liberi di raccogliere tutti i dati relativi al rapporto di credito  potrebbe comportare delle distorsioni nel sistema. È certamente probabile che un sistema che non riesce a differenziare efficacemente fra buoni e cattivi pagatori, induca gli enti finanziatori ad integrare le informazioni disponibili con altre informazioni puntuali che si rilevano nel rapporto diretto fra cliente e prestatore. Tali informazioni sono raccolte effettivamente nel momento in cui il cliente si trova in una situazione di necessità e pertanto titolare di un potere contrattuale piuttosto limitato rispetto all’ente erogatore del finanziamento. In una tale situazione, il consumatore sarà piuttosto propenso a fornire le informazioni richieste, anche se non strettamente necessarie per l’erogazione del credito. Sono evidenti i rischi di arbitrarietà di giudizio. Quindi i punti bcd dell’articolo 3, andrebbero riformulati prevedendo analiticamente i dati da mettere a fattore comune.

C) Nell’attuale formulazione il Codice deontologico prevede che le informazioni positive, premianti per il consumatore, si conservino per minor tempo rispetto a quelle negative. In particolare l’enfasi che viene posta sulla tutela delle informazioni relative agli interessati che abbiano subito incagli o ritardi nei pagamenti appare eccessiva, così come eccessiva appare la preoccupazione di tutelare i soggetti che abbiano avuto decorsi regolari nell’evoluzione del loro rapporto di finanziamento (si fa riferimento alle limitazioni alla conservazione dei dati introdotte con l’articolo 6, comma 2, 3, 5 e 6). I secondi sono clienti sostanzialmente migliori dei primi, tuttavia nelle basi dati questa differenza viene attenuata dalla limitata durata dello stoccaggio dei dati. È infatti possibile che esistano clienti che si approvvigionano in continuo di finanziamenti per il consumo, tuttavia è assolutamente plausibile che i clienti più cauti e prudenti lascino passare un certo lasso di tempo fra la chiusura di un rapporto di debito con il sistema finanziario e l’apertura di un nuovo rapporto debitorio. Se questo lasso di tempo valica i 24 mesi ecco che la virtù dei buoni pagatori cessa di essere presente all’interno dei sistemi informativi. Ciò è sostanzialmente diverso in altri sistemi di referenza creditizia europei regolamentati, dove i termini di conservazione ammessi arrivano anche a 60 mesi.

D) Manca la previsione espressa che le segnalazioni da parte degli enti erogatori (partecipanti) dei dati negativi debbono essere corredate da una assunzione di responsabilità sulla qualità dell’informazione e che sono previste adeguate sanzioni per gli eventuali trasgressori: evidentemente vanno salvaguardate le persone dagli errori materiali e dai ritardi di pagamento che hanno carattere di casualità.

E) Non viene previsto che il gestore del servizio  e il partecipante verifichino puntualmente i sistemi di scoring delle diverse base dati e servizi dedicati, aggiornando periodicamente i criteri di valutazione e le norme del codice comportamentale. Così come, non si prevede che i partecipanti al servizio (con particolare riguardo agli intermediari finanziari, tal volta meno strutturati delle banche) vengano sottoposti a ispezioni e indagini di carattere pervasivo e autoritario sull’utilizzo di questi sistemi, per accertare eventuali violazioni del Codice o irregolarità o incoerenze nei sistemi di valutazione. In tal senso la formulazione dell’articolo 12 sembra troppo morbida considerata l’importanza degli interessi in gioco.

4. Conclusione

In conclusione si può rilevare la necessità di rivedere il Codice deontologico puntando sul principio della specializzazione dell’informazione, sull’evoluzione tecnica delle metodologie di scoring e su una maggior durata dello stoccaggio delle informazioni nelle basi dati. Meno informazioni, più attendibili e per un tempo più lungo, in particolar modo per favorire la rilevazione di comportamenti virtuosi (che altrimenti verrebbero cancellati in tempi brevi).

Probabilmente il sistema che riesce ad avere il massimo dell’efficacia è quello che favorisce il massimo di informazione possibile a tutti i soggetti operanti sul mercato. In questo caso la concorrenza fra i diversi soggetti finanziatori sarebbe maggiore perché basata su una base informativa comune, le informazioni personali dei singoli clienti sarebbero acquisite una volta per tutte dal sistema finanziario e non sarebbero a disposizione di un singolo operatore (che potrebbe quindi avvantaggiarsi rispetto agli altri oppure renderebbe difficoltoso al cliente cercare fonti di finanziamento più convenienti), infine il cliente non sarebbe obbligato a fornire di volta in volta le proprie informazioni personali ad ogni singolo ente cui si rivolge per chiedere un prestito.

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