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Giustizia dell’automazione 4.0.

La Costituzione e il principio-obiettivo dell’umanizzazione
Giustizia dell’automazione 4.0
Giustizia dell’automazione 4.0

Giustizia dell’automazione 4.0.

La Costituzione e il principio-obiettivo dell’umanizzazione.


Quello giudiziario è un mondo che vive un periodo storico di tribolazioni.

Difficoltà di sistema che un pò si trascinano da tempo, ma che per altri versi temporali non si quietano nell’armonia di una scelta politica lungimirante e di raccordo tra i tre poteri.

Fare una riforma organica che guardi al futuro generazionale non è certo facile perché, appunto, non solo occorre un quadro di cooperazione tra i predetti poteri (benché sappiamo che il Parlamento è il titolare del potere legislativo in relazione alla sovranità del popolo [1]), ma una idea forte e una visione che contemperi il progresso con i principi fondamentali della nostra comunità-società democratico-liberale.

Il punto di avvio della presente trattazione d’analisi è incentrato sulla questione di un sistema giudiziario sempre più orientato all’automazione dei processi (non dei giudizi).

Un’automazione che va stadiata tenuto conto di due profili:

  • la risposta sociale, nel tempo e nello spazio, ai processi evolutivi;
  • le necessità endogene del sistema giustizia in quanto tale.

Sul primo dei due profili un caso eclatante di slacciamento e diversità di velocità tra normativa evolutiva e società fu l’ingresso nel mondo giuridico-ontologico della pec; quest’ultima partorita tra sospetti e profili di incostituzionalità [2] concreti a causa del forsennato raggiungimento dell’obiettivo politico-economico (e fiscale) della velocità delle comunicazioni.

Velocità che se da un lato ha permesso al sistema di evitare falle di notificazione, ad esempio, per altro verso ne ha create altre: la violazione del tempo mentale [3] di apprendimento del destinatario può essere un elemento su cui riflettere.

Per chiarire, una volta i Pubblici Ufficiali erano funzionali alla spiegazione dell’atto a notificarsi e allo stesso tempo tenevano a percepire se il destinatario fosse in grado, in quel preciso momento della consegna, di comprendere quanto si stesse dicendo su almeno due fronti:

  • capacità mentali;
  • capacità di linguaggio.

Con l’avvento delle tecnologie, pertanto, c’è stato un grosso gap e che forse c’è ancora.

Al di là del mondo della società in generale, più nello specifico, il mondo giudiziario si è cimentato in un’opera di velocizzazione dei processi informatici che, stando ai dati, era opportuno e doveroso almeno per tre motivi:

  • ottimizzazione del tempo degli operatori (giudici, avvocati, cancellieri, ecc.);
  • trasparenza totale (riferimento al processo telematico);
  • migliore economicità complessiva.

Ciò non toglie il rischio principale a cui far fronte: l’automazione dei processi non deve diventare l’automazione dei giudizi.

È una sottile differenza su cui va fatta una profonda riflessione di progresso ed evoluzione in chiave umana.

Se guardiamo per un attimo al campo tributario, l’automazione dei processi di emissione e notificazione massiva sta invertendo il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione fino quasi a residuarlo a solo contenzioso.

Un esempio classico sono le notifiche massive di cartelle esattoriali: non c’è più un input cosciente e consapevole del mittente (funzionario, dirigente, ecc.), ma un sistema di raccolta dati che autonomamente ed indipendentemente dal diritto reale del contribuente pone in notifica quel determinato risultato di carico informatico. Risultato? Il cittadino deve superare il processo di automazione con un’opera di istanze, difese e quant’altro che tenderà alla lunga a sfiancarlo perché dall’altra parte non c’è più un soggetto fisico ed umano autorizzato o responsabile a porre rimedio (seppure, certamente, esistono gli strumenti di autotutela).

Ora, immaginiamo per un attimo questo sistema di automazione dalle notifiche amministrative portato, in maniera pura e semplice, nel mondo giudiziario e proviamo ad immaginare anche l’automazione del processo e dei giudizi.

Un primo esperimento di questo nuovo incubatore di giustizia lo sta saggiando in via sperimentale la Cina [4]: l’intelligenza artificiale entra direttamente nel processo decisionale dell’accusa.

Un caso, quello del paese orientale, che si basa su due direttrici problematiche:

  • la trasparenza dell’algoritmo;
  • la vincolatività del risultato.

Entrambe le direttrici, se portate sul piano italiano, impongono alcune domande.

Sulla trasparenza: l’algoritmo è pienamente comprensibile in forma e sostanza di difesa da parte dell’imputato e del suo difensore?

Sulla vincolatività del risultato: che fine fanno il dibattimento in cui si forma il convincimento del giudice (umano per ora), il contraddittorio come custode del giusto processo [5], la centralità delle parti e del giudice quale soggetto alla legge [6]?

Si pone una questione etica [7] davanti: l’automazione dei processi, l’algoritmizzazione del sistema, la globalizzazione dei dati sono già il presente su cui politica e diritto devono trovare una strada comune sapendo che essi stessi sono portatori ontologici del fine principale per cui esistono ovvero l’umanizzazione.

Umanizzazione [8] che non può essere elemento ex post del processo (stile cinese), ma il pre-requisito minimo per rispettare la dignità della persona da cui i Costituenti vollero ripartire nell’epoca post monarchica.

È pertanto doveroso porci nei panni dell’imputato di domani perché prima o poi tutti avremo a che fare con una macchina che non ascolterà le nostre ragioni, ma le registrerà solo per elaborarle.

Da qui il declino dell’arte della persuasione [9] e del convincimento altrui.

L’epoca davanti a noi, così facendo, non sarà più l’automazione, ma la robotizzazione.

Dovremmo preparaci al “controllo algoritmizzato preventivo” dell’algoritmo stesso in pratica.

Si ma con quali competenze? Giuridiche, filosofiche, ingegneristiche o altro?

È così che il progresso non calmierato rischia di portare all’elitarismo del sapere il cui retro della moneta è la nascita di una nuova fetta di povertà: quella digitale. Non è un controsenso. Più digitale significa anche meno possibilità diffusa di comprenderlo se non si elevano qualità di vita e ricchezze pro-capite. Giustizia compresa.

Due sono gli elementi fondanti, d’altronde, di una società democratica: la giustizia e la libertà.

Se una viene meno, l’altra non può esistere.

Papa Giovanni XXIII, nella sua enciclica Pacem in terris [10], affermava che “I progressi delle scienze e le invenzioni della tecnica attestano come negli esseri e nelle forze che compongono l’universo, regni un ordine stupendo; e attestano pure la grandezza dell’uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per impadronirsi di quelle forze e volgerle a suo servizio”.

Questa frase si lega perfettamente al rapporto tra scienza e umanizzazione nella misura in cui una data comunità per comprendere il progresso ha bisogno di tempo, spazio e strumenti di conoscenza accessibili e di portata democratica.

Ecco perché è imprescindibile il concetto della gradualità dei processi in automazione a cui, invece, stiamo andando incontro forsennatamente.

“Non si dimentichi che la gradualità è la legge della vita in tutte le sue espressioni; per cui anche nelle istituzioni umane non si riesce ad innovare verso il meglio che agendo dal di dentro di esse gradualmente”. Una massima, sempre di Papa Giovanni XXIII, che chiarisce come innovazione e progresso non significano la stessa cosa.

La prima appartiene allo scienziato, la seconda alla comunità destinataria.

La Giustizia 4.0 (quella dall’automazione alla robotizzazione per intenderci) può essere inteso come un grande motore di sviluppo, ma a quale costo umano?

Se l’umano non percepisce più la giustizia come sistema di garanzia, allora, si rischia che lo stesso sistema non sia più per gli umani.

***

[1] Art. 1 Costituzione italiana “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

[2] PERRONE R., Notifiche via PEC e tutela della vita privata del destinatario: verso un «diritto alla disconnessione» in ambito processuale?, in rivista Osservatorio Costituzionale di AIC n. 3/2017 del 15 dicembre 2017 disponibile al seguente linkhttps://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/Perrone%20definitivo.pdf – si tratta di una trattazione interessante in relazione all’ordinanza di rinvio della Corte d’appello di Milano del 16 ottobre 2017.

[3] LUCARELLA A., Notificazioni tributarie tramite PEC a rischio di incostituzionalità, in Altalex il 19 agosto 2016 disponibile al seguente link – https://www.altalex.com/documents/news/2016/08/17/notificazioni-tributarie-tramite-pec-a-rischio-incostituzionalita

[4] https://www.agendadigitale.eu/documenti/giustizia-digitale/il-procuratore-virtuale-debutta-in-cina-cosi-lia-ora-elabora-le-accuse/

[5] Art. 111 Costituzione italiana “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata…. Omissis…. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita…”.

[6] Art. 101 Costituzione italiana “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

[7] BARTOLETTI I. e LUCCHINI L., Applied Ethics in a Digital World, Ingrid Vasiliu-Feltes (University of Miami, USA) and Jane Thomason (University College London, UK), 2021.

[8] CINCOTTA A., La pena in executivis: dalla legalità costituzionale alla legalità legale, in rivista Sistema Penale n. 6/2021, pag. 17. L’autore si sofferma sulla questione della pena “contenitiva” o di neutralizzazione del condannato ma con connotati di “umanità” e portatrice di una valenza educativa, in ciò espressione diretta di quel principio personalistico che pervade la Carta fondamentale e che si combina con l’altra anima “costituente”, quella solidaristico-sociale, ex art. 2 Cost., nonché, in una prospettiva dinamica, con l’imposizione alla Repubblica del compito di rimuovere gli ostacoli economico-sociali (art. 3, II co., Cost.).

[9] PEPE L., La voce delle sirene. I Greci e l’arte della persuasione, Laterza editori, 2020.

[10] Dato a Roma, presso S. Pietro, l’11 aprile 1963 e disponibile al seguente link https://www.vatican.va/content/john-xxiii/it/encyclicals/documents/hf_j-xxiii_enc_11041963_pacem.html