x

x

I limiti soggettivi all'efficacia della legge

limiti soggettivi
limiti soggettivi

I limiti soggettivi all'efficacia della legge

 

Can. 1 - I canoni di questo Codice riguardano la sola Chiesa latina.

Can. 12 - §1. Alle leggi universali sono tenuti dovunque tutti coloro per i quali sono state date.

§2. Dalle leggi universali invece, che non sono in vigore in un determinato territorio, sono esenti tutti quelli che si trovano attualmente in tale territorio.

§3. Alle leggi fatte per un territorio peculiare sono sottoposti coloro per i quali sono state date e che in esso hanno il domicilio o il quasi-domicilio e insieme attualmente vi dimorano, fermo restando il disposto del can. 13.

Can. 13 - §1. Le leggi particolari non si presumono personali, ma territoriali, se non consta altrimenti.

§2. I forestieri non sono obbligati:

1) alle leggi particolari del loro territorio fino a quando ne sono assenti, a meno che o la loro trasgressione rechi danno nel proprio territorio, o le leggi siano personali;

2) e neppure alle leggi del territorio in cui si trovano, eccetto quelle che provvedono all'ordine pubblico, o determinano le formalità degli atti, o riguardano gli immobili situati nel territorio.

§3. I girovaghi sono obbligati alle leggi, sia universali sia particolari, che sono in vigore nel luogo in cui si trovano.

Prima di concludere la trattazione delle fonti del diritto e passare al tema De personis, è necessario affrontare un argomento che sta un po' a metà tra questi due ambiti: i limiti soggettivi all'efficacia della legge. Abbiamo già menzionato a più riprese l'esistenza, nella Chiesa, di una pluralità di comunità capaci di ricevere una legge o anche di darsela; alcune di esse corrispondono a circoscrizioni territoriali, come nel caso delle Diocesi o delle Parrocchie, mentre altre, come gli Ordini religiosi, hanno una base puramente personale; è tempo, però, di approfondire il discorso.

Anzitutto, il can. 1 ci dice molto chiaramente che il Codice di Diritto Canonico, da noi fin qui esaminato, non riguarda l'intera Chiesa Cattolica, ma soltanto una sua parte, detta “Chiesa latina”; il lettore ignaro, tuttavia, resterebbe all'oscuro dell'esatta natura della differenza, che costituisce il primo grande criterio con cui l'efficacia delle leggi è limitata ratione personarum subiectarum.Tutti i fedeli, con il Battesimo, sono ascritti ad un rito. Per la precisione,vi è il rito latino, cui corrisponde la Chiesa latina, e vi è il rito orientale, o meglio, una famiglia di riti orientali, cui corrispondono diverse Chiese rituali.

Le origini di questa summa divisio risalgono alla tarda antichità: nella Chiesa del primo millennio, esisteva un nucleo di norme disciplinari comuni a tutti, piuttosto ristretto ma importantissimo, riaffermate dai Concili Ecumenici in caso di bisogno, ed esistevano poi leggi e consuetudini locali; mentre in Occidente, però, la preminenza sempre crescente della Sede Romana ha condotto ad una progressiva uniformazione della disciplina particolare, non così in Oriente, dove un tale processo uniformatore ha, semmai, riguardato ciascuna delle quattro sedi patriarcali (Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme). Questi sono, in embrione, i primi “riti” orientali: il termine viene impiegato perché l'aspetto più appariscente delle diversità consiste nei riti liturici e perché, mentre i fedeli latini possono soddisfare al precetto festivo partecipando alla S. Messa in qualunque rito cattolico sia celebrata, gli orientali sono tenuti a farlo nel rito liturgico della loro Chiesa rituale – appunto – di appartenenza. Dopo il 1054, è venuta progressivamente meno anche l'antico nucleo di norme disciplinari unitarie, perché molte riforme sono state introdotte da Roma, senza però riguardare gli orientali rimasti o tornati fedeli. Si è così progressivamente arrivati ad una situazione in cui, nell'ambito latino, esistevano soltanto leggi promulgate dalla Sede Apostolica per tutta la Chiesa latina, provvedimenti particolari della medesima Sede e (in via residuale, si può dire, soprattutto dopo il Concilio di Trento) diritto particolare delle singole Diocesi o Province ecclesiastiche. In Oriente, invece, si continuava a fare riferimento all'antica disciplina universale, rimasta però ormai comune alle sole Chiese orientali, e inoltre al diritto proprio delle singole Chiese rituali sui iuris (così dette appunto perché dotate di siffatta autonomia), che sono raggruppamenti di realtà diocesane e sovradiocesane intorno ad una Chiesa preminente, patriacale o meno. Il CIC 1917 ha codificato il diritto che vigeva in tutta la Chiesa latina, riformato poi dalla seconda codificazione; ovviamente, il successo dell'opera codificatoria ha fatto sorgere il desiderio di completarla creando un corpus gemello capace di raccogliere quantomeno la disciplina comune a tutte le Chiese orientali cattoliche. Si può dire, in maniera molto schematica, che in una prima fase i progetti tendevano ad uniformarla a quella della Chiesa latina, anche se lo studio storico sulle fonti orientali è stato imponente e ha prodotto una collezione in sessanta volumi; questo sforzo è culminato nelle codificazioni parziali promulgate da Pio XII, alla cui morte era pressoché pronto il Codice completo, la cui promulazione fu anzi annunciata da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, insieme con la convocazione del Vaticano II; ben presto, però, si scelse di differirla, perché il Concilio avrebbe dovuto trattare anche delle Chiese orientali cattoliche. Il decreto Orientalium Ecclesiarum (21 novembre 1964) ha senato un netto cambiamento di rotte, ripudiando il principio della preminenza del diritto latino e la politica dell'uniformazione in nome di un ritorno alle fonti autenticamente orientali; il lavoro dei codificatori è quindi ripartito su basi nuove ed ha infine portato Giovanni Paolo II, nel 1990, a promulgare il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, la cui intitolazione, certo più modesta del gemello latino, indica appunto che esso non pretende di esaurire tutto il diritto orientale, ma solo di contenere tutti i suoi canoni comuni alle diverse Chiese. Quindi, il diritto canonico orientale si articola su tre livelli: comune, rituale ossia proprio della singola Chiesa rituale sui iuris, subrituale (perché, come si è detto, ogni Chiesa rituale è un aggregato di Chiese particolari).

L'appartenenza al rito, che è il tema di interesse ai nostri fini, si determina al momento del Battesimo, non in forza del rito liturgico secondo cui il Sacramento viene amministrato, ma, per i battezzandi maggiori di quattordici anni, in accordo con la loro scelta della Chiesa rituale cui appartenere, per gli altri – che sono la stragrande maggioranza – l'ascrizione è automatica e li fa appartenere alla Chiesa rituale dei genitori, o del solo genitore cattolico; se sono entrambi cattolici ma uno latino e l'altro orientale,[1] sta a loro esprimere una scelta; in caso di disaccordo, prevale il rito del padre (cfr. can. 111). Esiste anche una disciplina del mutamento di rito, ad es. per matrimonio o per rescritto della Sede Apostolica (cfr. can. 112); conta però che l'appartenenza al rito è personale, una manifestazione eminente, anzi, del principio di personalità del diritto, che nella Chiesa coesiste con quello di territorialità. Un tempo questa caratteristica non si avvertiva molto, perché di fatto i cattolici orientali erano concentrati nelle aree dove storicamente quelle Chiese rituali sono nate (all'incorca l'antica pars Orientis dell'Impero Romano, più le terre evangelizzate da Bisanzio, come l'Ucraina e la Russia, e i cattolici di rito siro-malabarese in India); con lo sviluppo dei fenomeni migratori, nell'Ottocento ma soprattutto dal primo Novecento in avanti, si è verificata la c.d. diaspora degli Orientali, che però, pur mutando territorio, restano comunque appartenenti alla loro Chiesa rituale e, di conseguenza, tenuti ad osservarne la disciplina, liturgica e non solo. Se una data zona vede un afflusso particolarmente massiccio di fedeli della sessa Chiesa rituale, può essere che questa realtà, che ha diritto a ricevere una cura pastorale consona al proprio rito, veda eretta una struttra ecclesiale autonoma; in altre parole, su uno stesso territorio i fedeli possono essere ripartiti tra utorità ecclesiastiche diverse ma coesistenti, e ripartiti appunto in ragione della diversa appartenenza rituale:[2] p.es., in Italia è stato eretto da alcuni anni l'Esarcato Greco-Cattolico per gli Ucraini, una sorta di mega-Diocesi estesa a tutto il territorio nazionale per la cura dei fedeli ucraini, sempre più numerosi nel nostro Paese; lo stesso può avvenire quando siano i latini a trovarsi in territori tradizionalmente popolati soprattutto da orientali; e in ogni Stato esiste un Ordinario latino che esercita le funzioni di governo per organizzare la cura pastorale di quegli orientali che, in quel Paese, ancora non hanno una gerarchia espressa dal loro rito. Si può immaginare la complessità dei problemi anche pratici, di cui qui non è purtroppo possibile dar conto; basti dire che la via prediletta per affrontarli è l'accordo tra l'autorità territoriale – che tipicamente mette, p.es., a disposizione le chiese, che sono di sua proprietà o nella sua disponibilità – e quella personale, che fornisce, quando può, i ministri del culto. Poiché, tuttavia, non sempre questo è possibile, esiste anche lo strumento del c.d. indulto di biritualismo, che permette ad un Sacerdote latino di celebrare secondo i riti orientali, o viceversa, e più in generale di esercitare la cura pastorale dei fedeli di un rito diverso ponendo atti, anche giuridici, regolati dal rito loro, non dal suo proprio (cui comunque rimane ascritto).

Torniamo ora all'ambito proprio del nostro studio, la Chiesa latina.

Si impone un chiarimento terminologico, perché l'impiego delle espressioni può essere piuttosto fluido nei diversi autori; tuttavia, mentre i teologi, quando parlano di “leggi ecclesiastiche universali”, intendono quelle che si applicano alla totalità dei fedeli, non così i canonisti. “In ragione dei destinatari le leggi si distinguono in universali e particolari. Sono universali le leggi emanate per tutta la Chiesa latina da parte dell'autorità suprema. Notare: non si dice che queste leggi debbano valere per tutti i fedeli, bensì per tutta la Chiesa […] anche soltanto le leggi che sono emanate soltanto er una determinata categoria di fedeli di tutta la Chiesa [latina]. Così, ad es., sono universali le leggi emanate per tutti gli istituti di vita consacrata, per tutti i parroci, ecc. appartengono alla categoria di leggi universali quelle emanate dalla Santa Sede per le cause dei santi o per la Curia Romana: sono infatti leggi che valgono per la Chiesa universale, anche se direttamente regolano un settore particolare.”. Si può aggiungere, a mio avviso, la disciplina dell'elezione del Papa: di per sé, essa riguarda solo i Cardinali e gli altri soggetti tenuti ad appicarla; tuttavia, ogni fedele ha l'obbligo di riconoscere come legittimo il Pontefice che risulti regolarmente eletto dai due terzi degli elettori, e nessun altro, sicché almeno l'effetto ultimo, per così dire, cui essa tende e le sue disposizioni invalidanti hanno efficacia davvero universale. “Sono particolari le leggi che riuardano soltanto una parte territoriale della Chiesa (diocesi, nazione, regione) oppure soltanto una parte di una categoria di persone (il tale istituto religioso).”.[3]  

Da tale premessa discende la disciplina dei cann. 12 e 13, volti a regolare i possibili conflitti. Si pensi al caso di Tizio che, battezzato in una Diocesi, si trasferisce in un'altra: sarà soggetto alle leggi della prima o della seconda? La soluzione non è sempre stata scontata; oggi tuttavia prevale il principio di territorialità della legge, sia pure diversamente temperato; quindi:

  • ai sensi del can. 12 §3, la legge data per un determinato territorio, chiunque ne sia l'autore, obbliga tutti coloro che vi si trovino attualmente e abbiano l'intenzione di dimorarvi in permanenza o per almeno tre mesi, o di fatto vi stiano già da almeno tre mesi;
  • il forestiero (advena), che ha altrove un luogo dove dimora stabilmente o intende tornare per almeno tre mesi, mentre permane meno di tre mesi nel territorio in cui si trova, non è soggetto né alle leggi particolari del proprio territorio né a quelle del luogo di dimora, ma con eccezioni (can. 13 §2);[4]
  • il girovago (vagus), che non ha dimora stabile da nessuna parte, soggiace alle leggi del luogo in cui si trova (can. 13 §3).

Per le leggi universali, invece, vale un criterio di “territorialità inversa”, se così si può dire: di regola, obbligano dappertutto coloro per cui sono state emanate (can. 12 §1); ma putacaso qualcuno di loro si trovasse in un territorio dove la tal legge universale di fatto non vige – ad es., per consuetudine – allora ne è esente egli pure, fintantoché si trova attualmente in detto territorio, “e ciò indipendentemente dal fatto di esser[vi] domiciliat[o...] o di trovarvisi solo occasionalmente”.[5]

 

Note:

[1]    Il Codice latino non si interessa del caso di due genitori orientali appartenenti a riti diversi: nessuno dei due è soggetto al CIC, quindi il tema è lasciato al CCEO.

[2]    Merita segnalazione, all'interno della Chiesa latina, un caso per certi versi analogo, ma che comporta che una giurisdizione personale si aggiunga a quella dell'Ordinario del luogo, senza sostituirla. Si tratta della Diocesi di Campos, in Brasile, dove si era venuta a creare una dolorosa frattura, a partire dal 1981, tra il nuovo Vescovo e una parte del clero che continuava in sostanza a seguire il suo predecessore nel rifiuto delle riforme, liturgiche e non solo, seguite al Vaticano II: lo stato di fatto, protrattosi per un ventennio, è stato sanato con l'erezione di una “Diocesi parallela su base personale”, l'Amministrazione Apostolica “S. Giovanni Maria Vianney”, che gode tra l'altro del diritto di celebrare tutti e soli i riti liturgici romani in vigore nel 1962... ma i dissidenti hanno dovuto accettare che, almeno in linea di principio, il Vescovo diocesano abbia giuridizione cumulativa con quella dell'Amministratore.

[3]    V. de Paolis, Il Libro I del Codice. Le norme generali, in Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (cur.), Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. I, Roma 1995, pag. 274. Analogamente P. Lombardía, ad cann. 12-3, in Pontificia Università della S. Croce (cur.), Codice di Diritto Canonico e leggi complementari commentato, Roma 2020, pagg. 81-2: “Attenendoci alla terminologia usata dal legislatore, sono leggi universali quelle applicabili a qualsiasi fedele di rito latino (cf. c. 1) che venga ad esser compreso nella fattispecie, indipendentemente dal luogo dove risieda o si trovi. Le leggi particolari, invece, hanno come ambito di applicazione una parte di fedeli individuata in base a criteri personali […] o territoriali […]. Le strutture pastorali su base personale, qualora siano dotate di potestà legislativa (prelature personali, ordinariato militare), sanciscono solitamente leggi personali.”.

[4]    Debbono infatti osservare le leggi del loro territorio che siano personali o la cui trasgressione da parte loro recherebbe danno nel territorio stesso; quanto al luogo di dimora, sono tenuti alla disciplina relativa agli immobili, o alla forma degli atti, e alle disposizioni che “provvedono all'ordine pubblico”. L'unica innovazione di rilievo apportata dal CIC 1983 in quest'ambito è la previsione relativa ai beni immobili; per il resto, l'interpretazione delle varie categorie indicate può giovarsi utilmente dei commentatori del Codice anteriore.

[5]    P. Lombardía, op.cit., pag. 82.