I presupposti dimenticati del Testo Unico sugli stupefacenti

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I presupposti dimenticati del Testo Unico sugli stupefacenti

 

Perché gli stupefacenti sono proibiti?

Diciotto anni prima dell’entrata in vigore del TU 309/90, Consulta 9/1972 affermava, con lodevole lucidità, che “la disciplina penale [degli stupefacenti] sotto l’egida del principio di tutela della pubblica salute, consacrato nell’Art. 32 Cost., si inserisce […] nel quadro generale e nel ciclo operativo completo della lotta, con mezzi legali, su tutti i fronti, contro l’alto potere distruttivo dell’uso della droga e contro il dilagare del suo contagio, giunto ad un livello di manifestazioni, anche delittuose, tale da suscitare, in misura sempre più preoccupante, turbamento dell’ordine pubblico e di quello morale”. Oggi, anche a livello giurisprudenziale, si tende a mettere in secondo piano il valore della tutela della salute collettiva ex Art. 32 Cost.. Da notare è che Consulta 333/1991 ha indicato, nella ratio proibizionistica del TU 309/90, il nuovo principio della protezione “della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico […] negativamente incisi vuoi dalle pulsioni criminogene indotte dalla tossicodipendenza, vuoi dal prosperare, intorno a tale fenomeno, della criminalità organizzata”. In terzo luogo, Cass., SS.UU., 24 giugno 1998, n. 9973 (ripresa da Cass., sez. pen. IV, 11 aprile 2014, n. 18589) ha fondato la normazione penalistica di cui all’Art. 73 TU 309/90 anche sulla “[protezione] del normale sviluppo delle giovani generazioni”. Pertanto, come si può notare, le disposizioni penali del TU 309/90 sono, in definitiva, norme “pluri-offensive”. Tuttavia, nei propri Lavori Preparatori, la L. 49/2006 ha recato da una deminutio del valore della salute pubblica e ha ipostatizzato, fors’anche in misura eccessiva, la ratio della tutela “dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”. D’altra parte, è noto il profondo securitarismo sotteso alla L. 49/2006. Viceversa, Sezioni Unite Caruso del 2019 ha ripristinato la valenza suprema, nel TU 309/90, del comma 1 Art. 32 Cost. (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività”).

Nelle proprie Motivazioni, Sezioni Unite Caruso del 2019 afferma che “il richiamo a concetti come la sicurezza e l’ordine pubblico [ex L. 49/2006] […] appaiono declinati in forma eccessivamente generica, perché privi di un collegamento sufficientemente diretto con quello della salute, il quale trova un solido ancoraggio costituzionale nell’Art. 32 […]. Del pari, nessuna autonomia semantica può essere riconosciuta alla salvaguardia delle giovani generazioni, locuzione che, per evitare impropri sconfinamenti nel territorio dell’etica, deve intendersi ricompresa nel più generale concetto di salute […]. Al fine di individuare l’oggetto giuridico della tutela, è sufficiente, dunque, riferirsi alla salute, individuale e collettiva, proprio perché la particolare pregnanza di tale valore costituzionale consente la sua protezione”. Come si può notare, Sezioni Unite Caruso del 2019 ripristina l’originaria ed essenziale supremazia del comma 1 Art. 32 Cost. e, parimenti, rigetta valori fondanti a-tipici non normativamente espressi. Entro tale ottica si collocano pure Cass., sez. pen. IV, 15 novembre 2005, n.  150 nonché Cass., sez. pen. IV, 29 settembre 2004, n. 46529, le quali (ri)mettono in rilievo il parametro della “tossicità” degli stupefacenti, i quali, in ogni caso, “cagionano una lesione alla salute del consumatore”. All’opposto, la ratio dell’ordine pubblico e quella della tutela dei giovani manifestano valori extra-normativi muniti di una cogenza morale meta-legislativa.

Interessante è pure Cass., sez. pen. IV, 28 ottobre 2008, n. 1222, la quale ribadisce che le condotte ex Art. 73 TU 309/90 “creano una situazione pericolosa per il bene della salute [collettiva ed individuale ex comma 1 Art. 32 Cost. ]. Del pari, in Consulta nn. 265/2005, 360/1995, 263/2000, 519/2000 e 354/2002, si presume che qualunque cessione di stupefacenti, anche minima o anche afferente a droghe leggere, “mette in pericolo” il bene della salute, in tanto in quanto essa diffonde l’abitudine al ricorso di sostanze psicotrope. Fa eccezione Cass., sez. pen. IV, Sentenza 22214 del 2021, che, forse perché ancor legata alla L. 49/2006, afferma che “[nelle disposizioni penali del TU 309/90] il Legislatore ha inteso offrire tutela al bene della salute della collettività, ma anche all’integrità dell’ordine pubblico”. Ecco, dunque, il ritorno di una variabile offensiva a-tipica ed extra-normativa. D’altra parte, anche Consulta 333/1991 non esclude che il Legislatore possa cambiare o, perlomeno, integrare la ratio di una norma de jure condito, nel nome di altre, diverse e sopravvenute esigenze di politica criminale. Le “nuove “pericolosità legislative sono ammissibili anche secondo Consulta nn. 1/1971, 139/1982, 126/1983 e 71/1978. Ognimmodo, a parere di chi redige, la protezione della salute ex comma 1 Art. 32 Cost. rimane un fondamento teleologico ben strutturato e più che sufficiente. All’opposto, i valori dell’ordine pubblico e della tutela del corretto sviluppo dei giovani hanno un certo qual sapore demagogico tutt’altro che tecnico ed a-politico.

 

Le tabelle allegate al TU 309/90

Il sistema tabellare è stato introdotto dalla L. 396/1923 al fine di dare uno specifico contenuto al lemma generico “stupefacente”. Dunque, da cento anni a questa parte, le tabelle contemplate nelle varie Legislazioni sono aggiornate ed integrate grazie alle nuove scoperte farmacologiche, ma anche a causa delle nuove sostanze che via via fanno la loro comparsa nel mondo della tossicodipendenza.

Per la prima volta, la L. 685/1975 distinse tra droghe pesanti (tabelle I e III) e droghe leggere (tabelle II e IV). Siffatta differenziazione venne ribadita nella L. 162/1990. Viceversa, la L. 49/2006 abrogò il trattamento attenuato per la canapa, reintroducendo una tabella unica in cui la marjuana e l’haschisch erano omologate a cocaina, eroina, ecstasy, LSD ed allucinogeni. Provvidenzialmente o malaugurevolmente che sia, Consulta 32/2014 abrogò l’uniformazione cagionata dalla L. 49/2006. La situazione è stata normalizzata dal DL 36/2014, il quale ripristinò le tabelle I e III per le droghe pesanti e le tabelle II e IV per le droghe leggere, queste ultime sanzionate con una forbice edittale meno severa di quella predisposta per le sostanze pesanti. Da menzionare, sempre nel DL 36/2014, è la istituzione di una tabella apposita dedicata ai medicinali derivati da stupefacenti.

Ecco, quindi, le cinque tabelle attualmente in vigore:

  1. Tabella I:
  • oppio e derivati oppiacei (morfina, eroina e metadone)
  • foglie di coca e derivati
  • amfetamine e derivati (ecstasy e designer drugs)
  • allucinogeni (LSD, mescalina, psilocibina, fenciclidina, ketamina)
  1. Tabella II:
  • cannabis
  1. Tabella III:
  • barbiturici
  1. Tabella IV:
  • benzodiazepine
  1. Tabella dei medicinali:
  • “[comprende] ogni sostanza attiva che ha attività farmacologica e, pertanto, è usata in terapia e nelle relative preparazioni farmaceutiche”

Da notare è pure che la Tabella I è aggiornata al DM 2 dicembre 2021; le Tabelle II e III alla L. 79/2014; la Tabella IV anch’essa al DM 2 dicembre 2021 e la Tabella dei medicinali al DM 1 giugno 2021. Certamente,  il Legislatore italiano non brilla in fatto di celerità degli aggiornamenti delle tabelle allegate al TU 309/90.

Da evidenziare è pure che il DM 186/1990 fu il primo ad abbandonare l’imprecisa ratio della modica quantità, in favore di quella della dose media giornaliera (DMG) ponderalmente apprezzabile. In buona sostanza, la DMG rappresentava la quantità di stupefacente personalmente assumibile, di solito, in 24 hh; oltre la DMG, si presumeva un’attività di spaccio penalmente perseguita ex Art. 73 TU 309/90. A sua volta, il DM 11 aprile 2006 diede origine alla quantità massima detenibile (QMD) per uso personale. A partire dalle Sezioni Unite Biondi del 2012, la QMD, unita la moltiplicatore, è utilizzata per fissare un limite ponderale oltre cui la detenzione dello stupefacente si presume per fini di spaccio ex Art. 73 TU 309/90 e non per fini di uso personale ex Art. 75 TU 309/90. Si ricorda, a tal proposito, che la cessione per fini di lucro è penalmente rilevante, mentre l’assunzione individuale viene sanzionata soltanto con misure amministrative.

 

Il funzionamento pratico delle tabelle

Una delle principali conseguenze del sistema tabellare consta nel fatto che gli stupefacenti non ancora catalogati non possono essere proibiti dalla PG e dall’AG. Senza dubbio, tale regola si conforma alla ratio della stretta tipicità penale, me è pur vero, vista la lentezza del sistema legislativo italiano, che vi sono sostanze tossiche il cui spaccio non è penalmente rilevante soltanto per via di un mancato aggiornamento delle tabelle. P.e., nel mondo globalizzato, vi sono droghe dichiarate illecite e pericolose in altri Ordinamenti, ma non ancora sanzionabili e sequestrabili in territorio italiano. La conseguenza è che si creano situazioni paradossali ove le risultanze effettive della tossicologia lasciano spazio ad un formalismo legalista assurdo ed illogico. Ad esempio, si ponga mente a Cass., sez. pen. I, 16 febbraio 2007, n. 19056, nella quale la potente sostanza psicotropa della “rosa hawaiana” è stata dichiarata legale, nonostante la propria acuta pericolosità psicofisica, soltanto perché “né i semi di rosa hawaiana, né la relativa pianta risultano inclusi nelle tabelle delle sostanze stupefacenti allegate al DPR 309 del 1990”. Dunque, l’Art. 73 TU 309/90, in Cass., sez. pen. I, 16 febbraio 2007, n. 19056, non ha potuto essere precettivo nonostante la più che evidente dannosità di un preparato vegetale che spesso reca alla morte per overdose.

Assurdo è pure quanto è accaduto dopo la Sentenza di Consulta 32/2014, la quale ha retroattivamente espulso dalle tabelle molte sostanze dichiarate illecite dalla L. 49/2006 sino al DL 36/2014. Infatti, talune droghe sono state catalogate come tali nei nove anni che sono intercorsi dalla L. 49/2006 al DL 36/2014, con conseguenze applicative devastanti. Provvidenzialmente, Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 29316, De Costanzo ha chiarito che “la novella del DL 36/2014, reinserendo nelle tabelle le sostanze introdotte con la disciplina incostituzionale [ovvero la L. 49/2006], per rimediare all’intervenuta caducazione ex tunc delle fattispecie aventi ad oggetto tali stupefacenti, ha creato nuove incriminazioni alle quali deve applicarsi il principio di irretroattività della legge penale”. P.e., come confermato da Cass., sez. pen. VI, 2 dicembre 2015, n. 7, il nandrolone ed il khat sono penalmente sanzionabili solo ed esclusivamente a decorrere dal loro inserimento ufficiale ed esplicito nelle tabelle allegate al TU 309/90. Pertanto, Sezioni Unite De Costanzo e Cass., sez. pen. VI, 2 dicembre 2015, n. 7 riconfermano appieno la rigida tipicità penalistica del sistema tabellare, pur se tale meccanismo è aggiornato con una lentezza inaccettabile, allorquando compaiono sul mercato stupefacenti nuovi ed estremamente lesivi.

 

La distinzione tra le droghe pesanti e quelle leggere (leggere ?) nelle tabelle allegate al TU 309/90

L’odierno mito radical chic afferma la presunta esistenza di stupefacenti leggeri, come la canapa, privi di uncinamento e di effetti nocivi. A parere di chi redige, tuttavia, anche la cannabis, nel lungo periodo, genera danni psicofisici. In ogni caso, anche nello stare decisis della Giurisprudenza italiana, il Magistrato tende a comminare sanzioni meno gravi nelle fattispecie delittuose aventi ad oggetto marjuana ed haschisch.

Sotto il profilo medico-legale, molti Dottrinari sostengono che le droghe leggere non creano dipendenza, hanno un effetto psicotropo minimo, non danneggiano il cervello e non determinano aggressività durante le crisi d’astinenza. Viceversa, per le sostanze pesanti, la tossicologia forense reputa che esse determinano una notevole dipendenza, causano danni sia al fisico sia al cervello e provocano sindromi astinenziali assai dolorose per il tossicodipendente nonché pericolose per chi lo circonda.

Nelle prime normazioni in tema di preparati psicotropi, non vi era alcuna differenziazione tra droghe leggere o pesanti. Nel 1975 e nel 1990, venne inserita la distinzione tra i cannabinoderivati e le sostanze dure, ma, nel 2006, il legislatore riunì in una sola tabella le due tipologie di stupefacenti. Dopo l’intervento di Consulta 32/2014, le tabelle vennero riordinate alla luce della diversità tra canapa, da un lato, e, dall’altro lato, oppioidi, cocaina ecstasy, acidi ed allucinogeni.

Chi scrive, in maniera non politicamente corretta, reputa non del tutto erronei ed irrazionali i Lavori Preparatori della L. 49/2006, nei quali si affermava che “la distinzione [tra droghe pesanti e droghe leggere] non ha oggi più concreta ragione di esistere, in quanto le indagini tossicologiche dimostrano come il principio attivo presente nelle cc.dd. droghe leggere è oggi incomparabilmente maggiore rispetto al passato [perché sono migliorate le tecniche di coltivazione, ndr] […]. Attribuire il medesimo peso ed il medesimo disvalore ad ogni tipo di droga è corretto per il solo fatto di avere effetto psicotropo […]. La pericolosità di uno stupefacente non sta affatto solo nella sua intrinseca tossicità, ma anche e soprattutto nella sua capacità di influire sul comportamento umano, con conseguenze sulla salute e sulla sicurezza della collettività. […]. Se veramente, dopo circa un trentennio di lotta alla droga, intrapresa con ingente seppur doveroso dispendio di energie dello Stato, il problema permane più drammatico che mai (invero nel nostro come in altri Paesi), è evidente che permane qualcosa di non corretto. Non è stata corretta, ad esempio, la politica di dare poca o nessuna rilevanza scientifica ed anche mediatica […] al concetto del disvalore sociale e della pericolosità individuale del consumo di droga, venendo così meno, nell’ambito degli strumenti di lotta, quello che in questo campo rappresenta il fondamentale: quello cioè atto alla riduzione della domanda”.

In effetti, dal punto di vista agronomico nonché tossicologico, la canapa attuale, come rimarcato dai Lavori Preparatori della L. 49/2006, reca una tossicità più elevata rispetto alla cannabis circolante negli Anni Sessanta e Settanta del Novecento. Oggi, le raffinate tecniche di coltivazione hanno portato ad un tenore di THC, nell’haschisch, anche del 40-50 %. Ancor più psicoattivo è l’olio di canapa, mentre, in passato, il grado di psicoattività non superava, di solito, il 3 %. Tant’è vero che, in epoca odierna, il c.d. “spinello spaccatesta” ha pure effetti allucinogeni. Dunque, le droghe leggere contemporanee ledono grandemente e gravemente la ratio della tutela della salute pubblica ex comma 1 Art. 32 Cost. . Anzi, nella Giurisprudenza degli Anni Duemila, si è giunti ad affermare che qualunque tipologia di stupefacente mette in pericolo “nuovi” valori, come la “quiete pubblica”, l’”ordine pubblico” ed il “normale sviluppo delle giovani generazioni”.

Sempre chi commenta, nel nome di un robusto e sano proibizionismo totale, apprezza pure Cass., sez. pen. IV, 21 maggio 2008, n. 22643, la quale si schiera per la non tenuità medico-forense della canapa; ovverosia “l’assimilazione tra droghe pesanti e droghe leggere è stata motivata, nella Relazione di accompagnamento [alla L. 49/2006], dall’esigenza di aderire alle più recenti ed accreditate conclusioni della scienza tossicologica, secondo cui il principio attivo presente [nella canapa] è incomparabilmente maggiore che in passato; ciò è stato apprezzato soprattutto con riguardo alla cannabis, rispetto alla quale, normalmente a motivo di migliori modalità di coltivazione, il THC è passato dallo 0,5-1,5 % che caratterizzava i derivati della cannabis negli Anni 70/80 a valori attuali pari al 20-25 %, con punte anche superiori”. A ciò si aggiunga pure l’impiego di sementi ogm che ben si adattano anche a climi poco umidi. E’ innegabile che, nell’ultima ventina d’ anni, la marjuana e l’haschisch sono divenute più “raffinate”, ma anche maggiormente pericolose per le condizioni psicofisiche dei giovani assuntori. P.e., in Belgio, l’olio di canapa è considerato alla stregua di una “droga pesante”. Inoltre, nel lungo periodo, pare che il THC svolga effetti allucinogeni simili a quelli della psilocibina. In effetti, nella medicina legale europea, non pochi reputano che la cannabis scemi grandemente la capacità d’intendere e di volere.

 

Gli stupefacenti ad uso terapeutico

Esistono molti stupefacenti, vegetali o sintetici, impiegati nel confezionamento di medicinali. P.e., in oncologia, la morfina e gli oppiacei sono ampiamente diffusi nella terapia del dolore. Anzi, spesso accade che dei farmaci psicoattivi vengano trasformati in sostanze d’abuso, come nel celebre caso dell’MDMA, originariamente usata per la cura della depressione e dei disturbi alimentari. Oppure, si ponga mente al GHB (droga dello stupro), la quale, negli USA, era un ipnoinducente perfettamente legale. Nell’Ordinamento giuridico italiano, le officine farmaceutiche possono lavorare e trasformare stupefacenti solamente dietro regolare autorizzazione dell’AIFA. In ultima analisi, solo un medico, in Italia, può prescrivere droghe ad uso terapeutico, come previsto dal comma 2 Art. 72 TU 309/90 (“E’ consentito l’uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope debitamente prescritti secondo le necessità di cura, in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto”). Analoghe e severe restrizioni sono contemplate dai commi 1 e 2 Art. 43 TU 309/90, ovverosia “i medici chirurghi ed i medici veterinari prescrivono i medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all’Art. 14, su apposito ricettario approvato con decreto del Ministero della salute. La prescrzione dei medicinali indicati nella tabella dei medicinali, sezione a, di cui all’Art. 14 può comprendere un solo medicinale, per una cura di durata non superiore a trenta giorni”.

Nella Giurisprudenza di legittimità, lo stretto legalismo filo-proibizionista degli Artt. 72 e 43 TU 309/90 è stato qualificato come “coerente” e, anzi, “indispensabile” da Cass., sez. pen. VI, 10 febbraio 2016, n. 10169, Cass., sez. pen., 4 dicembre 2019, n. 12198, Cass., sez. pen. VI, 13 marzo 2013, n. 16581 nonché da Cass., sez. pen. IV, 16 febbraio 2011, n. 13778.

Dunque, il medico che prescrive farmaci a base di stupefacenti è gravato dalla massima responsabilità professionale, come sancito pure nell’Art. 83 TU 309/90 (“Prescrizioni abusive. Le pene previste dall’Art. 73 commi 1, 4 e 5 si applicano altresì a carico del medico chirurgo o del medico veterinario che rilascia prescrizioni delle sostanze stupefacenti o psicotrope ivi indicate per uso non terapeutico”). Tale stretto regime ex Artt. 72,43 ed 83 TU 309/90 è ribadito pure in Cass., sez. pen. VI, 13 marzo 2013, n. 16581, in tanto in quanto “la somministrazione di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti deve avvenire all’interno di un trattamento correttamente prescritto ai sensi dell’Art. 43 TU 309/90 e coerente con gli obiettivi clinici […]. la somministrazione di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti è consentita, ai sensi dell’Art. 72 comma 2 TU 309/90, solo qualora il medico agisca effettivamente per finalità terapeutiche, praticando un trattamento debitamente prescritto ai sensi dell’Art. 43 TU 309/90 e coerente, secondo le conoscenze scientifiche del momento, con gli obiettivi clinici perseguiti”. Come si può notare, Cass., sez. pen. VI, 13 marzo 2013, n. 16581 ribadisce la ratio strettamente legalistica in tema di farmaci a base di stupefacenti. L’uso farmacologico delle droghe, nel TU 309/90, non è libertario, pur se Internet ha, di fatto, annichilito la precettività concreta degli Artt. 72, 43 ed 83 TU 309/90. Ciò è vero al punto che Cass., sez. pen. VI, 4 dicembre 2019, n. 12198 ha qualificato come “illegale” l’uso di farmaci stupefacenti nella medicina estetica, che rappresenta una velleità non terapeutica.

Molto controverso è l’uso rituale della pianta dell’ayahuasca, la quale non è illegale, ma, se opportunamente lavorate, consente l’estrazione della DM1 (dimetiltriptammina), vietata dalle tabelle. A tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 6 ottobre 2005, n. 44232 ha precisato che l’ayahuasca bollita può essere vietata se essa, a livello di prodotto finale, rilascia DM1 in una quantità bastevole per provocare stupor nell’assuntore. Quel che conta, quindi, è, come sempre, il risultato fattuale, anche se il tipo botanico del vegetale “crudo” non è vietato. La fattualità prevale sempre sulla formalità.

Ma la prevalenza del dato fattuale è, invece, smentita dalla disciplina del khat, pianta non inserita, fino a pochi anni orsono, nelle tabelle, che vietano la catina, ma non le foglie di khat “crude” da masticare. Infatti, con un formalismo iperbolico inaccettabile, Cass., sez. pen. VI, 23 giugno 2003, n. 34072 (ripresa da Cass., sez. pen. IV, 18 aprile 2005, n. 20907) ha asserito che coltivare, cedere e vendere la pianta non è proibito, poiché le tabelle criminalizzano solo il principio attivo. A parere di chi redige, la Suprema Corte, in tema di khat, ha strumentalizzato e distorto il sistema tabellare, che va interpretato sempre alla luce della ratio della tutela della salute pubblica ex comma 1 Art. 32 Cost. . Distinguere tra la legalità del vegetale e l’illegalità del principio attivo significa tradire i principi di ordine e pace sociale posti a fondamento dell’intero TU 309/90. La tossicità fattuale di un vegetale non può essere negata con una probatio diabolica che snatura le autentiche finalità del sistema tabellare.

Una fattispecie completamente a-tipica è quella del CBD, contenuto nel farmaco antidolorifico denominato “Sativex”. A tal proposito, l’ufficio centrale stupefacenti del Ministero della salute, con nota del 27/02/2018, ha affermato che il Sativex va sussunto entro la categoria dei farmaci derivati da stupefacenti, e ciò a-tipicamente, in tanto in quanto il CBD, nelle tabelle allegate al TU 309/90, non è affatto contemplato tra le sostanze psicotrope. Anzi, in tale nota del 2018, si precisa che il Sativex, o altri preparati equivalenti, non può essere venduto nei canapai che commercializzano marjuana light; l’alienazione di tale farmaco al di fuori delle farmacie integra gli estremi dell’”esercizio abusivo della professione di farmacista” p. e p. ex Art. 348 CP (“Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 ad euro 50.000”): In Dottrina ciononostante, non è mancato, con afferenza alla polemica circa il Sativex, chi ha rimarcato che il CBD non è inserito nelle tabelle, quindi può essere liberamente commercializzato senza restrizioni particolari. Per ora, la Giurisprudenza di legittimità ha deciso, pur se in maniera non unanime di depenalizzare, anche ex Art. 75 TU 309/90, la coltivazione rudimentale e casalinga di uno scarso numero di piante di cannabis destinate ad un uso terapeutico esclusivamente individuale. Naturalmente, come prevedibile, in questa zona precettiva ambigua non mancano le strumentalizzazioni ed i dubbi esegetici. Da segnalare è che, con DM del 2013, il ministero della salute ha autorizzato i medici chirurghi e veterinari a prescrivere la c.d. “cannabis medica”, poiché “l’uso medico della cannabis non può essere considerato una terapia propriamente detta, bensì un trattamento sintomatico di supporto, adatto ad alleviare numerose patologie […]. La cannabis non cura malattie, ma allevia il dolore”. A parere di chi scrive, il summenzionato DM del 2013 vale in via puramente sperimentale, in tanto in quanto, nella tossicologia forense, non esistono ancora certezze verificate nel lungo periodo.
 

I precursori di stupefacenti nel TU 309/90

Sotto il profilo definitorio, la Convenzione contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope delle Nazioni Unite del 1988 afferma che “i precursori di droghe sono sostanze chimiche [non tabellate tra gli stupefacenti, ndr] utilizzate nei normali processi industriali e farmaceutici e, in quanto tali, commercializzate in modo del tutto lecito, anche in quantitativi rilevanti, ma che sono suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope”. Taluni precursori sono di facile reperibilità, mentre altri vengono prodotti in appositi laboratori gestiti dalla criminalità organizzata. Dunque, nella prassi quotidiana della PG e dell’AG, il precursore, come spesso accade nel mondo delle sostanze illecite, si colloca in una zona grigia a metà strada tra la legalità e l’illegalità. Prevalentemente, i precursori vengono utilizzati per la raffinazione della cocaina, dell’eroina e delle amfetamine.

Ex comma 1 lett. a) Art. 70 TU 309/90, “ai fini del presente Articolo si intende per: a) sostanze suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, di seguito denominate sostanze classificate o precursori di droghe, tutte le sostanze individuate e classificate nelle categorie 1, 2 e 3 dell’allegato I al regolamento (CE) n. 273/2004 e dell’allegato al regolamento (CE) n. 111/2005, compresi miscele e prodotti naturali contenenti tali sostanze. Sono esclusi medicinali, preparati farmaceutici, miscele, prodotti naturali e latri preparati contenenti sostanze classificate, composti in modo tale da non poter essere facilmente utilizzati o estratti con mezzi di facile applicazione o economici”.

La lett. a) comma 1 Art. 70 TU 309/90 è stata emanata grazie all’Art. 1 comma 1 lett. c) DLVO 50/2011. In effetti, tale novella è giunta in ritardo, ovverosia solo dopo una formale condanna di Corte EDU vs. Italia nel 2010. Tutto sommato, ognimmodo, l’attuale Art. 70 TU 309/90 si è dimostrato ben dettagliato e, soprattutto, molto fedele alla onnipotente ed onnipresente Normativa UE, specialmente al regolamento (CE) 273/2004. Senza dubbio, l’Art. 70 TU 309/90, con i propri 21 commi, è una delle Norme più complesse dell’intera disciplina italiana degli stupefacenti. In buona sostanza, quando la PG accerta che il precursore è effettivamente impiegato per raffinare o sintetizzare droghe, scatta la disciplina penale di cui all’Art. 73 TU 309/90.

Nell’Art. 70 TU 309/90 sono previste quattro categorie di precursori, ovverosia:

  1. quelli che costituiscono materia prima delle droghe
  2. quelli con azione reagente
  3. quelli usati come solventi
  4. quelli ad uso veterinario

Allo stato attuale, l’eroina, la cocaina e l’MDMA sono prodotte grazie ai seguenti precursori: L’anidride acetica, il permanganato di potassio, l’efedrina, la pseudo-efedrina ed il piperonale. Dal 2013, è stata introdotta una speciale disciplina per precursori efedrinici/pseudo-efedrinici originariamente utilizzati nel campo della medicina veterinaria.

Dal punto di vista penalistico, ex comma 4 Art. 70 TU 309/90, “chiunque effettua, in relazione a sostanze classificate nella categoria 1 dell’allegato I al regolamento (CE) 273/2004 e dell’allegato al regolamento (CE) 111/2005, taluna delle operazioni di immissione sul mercato, importazione od esportazione indicate nel comma 1, ovvero comunque detiene tali sostanze, senza aver conseguito la licenza di cui al comma 3, è punito con la reclusione da quattro a sedici anni e con la multa da 15.000 euro a 150.000 euro. Se il fatto è commesso da soggetto titolare di licenza o autorizzazione relativa a sostanze diverse da quelle oggetto dell’operazione o della detenzione, ovvero da soggetto registratosi ai sensi del comma 5, la pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da 26.000 euro a 260.000 euro”. Al predetto comma 4 Art. 70 TU 309/90 è eventualmente applicabile l’aggravante dell’ingente quantità ex comma 2 Art. 80 TU 309/90 (“se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono aumentate dalla metà a due terzi [...]”). Né va dimenticato che la “pericolosità sociale non astratta” dei precursori è connessa, come sempre nel TU 309/90, al comma 1 Art. 32 Cost. (“La Repubblica [anche in tema di precursori] tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività”). D’altronde, sempre alla luce del comma 1 Art. 32 Cost., anche i Lavori Preparatori all’Art. 70 TU 309/90 ribadiscono che “la severità delle pene previste si giustifica in quanto la costante produzione ed immissione sul mercato di droghe sempre diverse e sempre più derivate da raffinazioni e produzioni di elevato livello scientifico, costituisce un sintomo che ha suscitato e deve suscitare un grado di allarme sociale massimo, in quanto si tratta di una situazione di vera e propria emergenza”. Stranamente, nonostante l’acuta antisocialità dei precursori, l’aggravante ex comma 1 Art. 74 TU 309/90 non è precettiva nei confronti delle sostanze per la raffinazione o la sintesi ex Art. 70 TU 309/90, tranne nel caso di acido cloridrico, acido solforico, taluene, etere etilico, acetone e metiletilchetone.