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I reati con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis c.p., in particolare la configurabilità del concorso esterno

I reati associativi rappresentano una forma di manifestazione del reato caratterizzata dalla presenza di una pluralità di agenti.

Si tratta di reati dislocati nella parte speciale del codice penale per i quali la connotazione plurisoggettiva vale a distinguerli dal concorso di persone nel reato, dove la pluralià di agenti è prevista dal legislatore per la realizzazione di una singola fattispecie di reato, ancorchè continuata. Di qui la denominazione di reati necessariamente plurisoggettivi, non essendo concepibile una loro configurazione monosoggettiva.

Questa categoria si divide in due tipologie: reati plurisoggettivi propri e impropri.

Nei primi (reati normativamente plurisoggettivi) c’è la previsione di un obbligo giuridico gravante su ciascuno dei soggetti: la violazione dell’obbligo da parte di ciascuno comporta l’integrazione del reato e l’assoggettamento a pena, come l’art. 416 c.p che punisce l’associazione per delinquere.

Per i secondi (reati naturalisticamente plurisoggettivi), l’obbligo giuridico incombe su soltanto uno dei soggetti: quest’ultimo sarà punibile per il reato realizzato, esemplare è il reato di corruzione impropria susseguente, ove è punita unicamente la condotta del corruttore.

Ciò posto, rientra nella categoria dei reati plurisoggettivi propri l’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico disciplinata dall’art. 270-bis.

Si tratta di un reato disciplinato dal libro II, titolo I, capoI del codice penale dedicato precisamente ai delitti contro la personalità internazionale dello stato.

La norma de qua introdotta dalla legge 15/1980, nella sua formulazione originaria, incriminava le associazioni aventi una finalità di eversione dell’ordine democratico, per tale dovendosi intendere il capovolgimento dei principi posti a fondamento dell’ordine democratico, alla stregua dei principi costituzionali. La fattispecie non trovava invece applicazione per i reati con finalità di terrorismo internazionale. Problematica infatti era la costituzione di associazioni con finalità di terrorismo internazionale, costituite nel territorio nazionale. La Cassazione talvolta tendeva a ricomprendere tali associazioni nella più ampia previsione dell’associazione per delinquere comune, per la struttura dell’art. 416 di reato di pericolo, per cui poteva intendersi consumato in Italia il delitto per il solo fatto che l’apparato organizzativo ivi era nato. Inoltre il 416 c.p. utilizza la locuzione più delitti senza fare alcun riferimento al territorio nazionale o internazionale in cui i reati fine avrebbero dovuto essere realizzati. La punibilità degli stessi poteva essere giustificata attraverso l’art. 10 c. p. che prevede la punibilità dei reati comuni all’estero.

Sull’onda degli attentati del’11 settembre 2001, il legislatore italiano ha messo mani all’art. 270 bis, per rimediare ai limiti di una lacuna della normativa interna.

La legge del 438 /2001 pur mantenendo invariata la struttura della norma, che prevede la creazione di un apparato organizzativo e il compimento di atti di violenza, ha rimodellato l’elemento soggettivo del reato introducendo espressamente l’elemento costitutivo della finalità di terrorismo alternativa a quella eversiva, introducendo il comma terzo che punisce altresì gli atti di violenza rivolti contro uno Stato estero.

In tal modo il riconoscimento della dimensione internazionale del terrorismo consente l’applicabilità del 270 bis anche ad associazioni che pur avendo una base logistica nel territorio nazionale sono volte a realizzare i reati fine a di fuori di esso.

La dottrina è divisa nella identificazione del bene protetto dalla norma . Tradizionalmente si è evidenziato che il bene giuridico protetto dalla norma fosse duplice, da un lato l’ordine pubblico dall’altro l’interesse relativo alla personalità dello Stato. Anche all’indomani della modifica legislativa del 2001 la dottrina ha continuato a sostenere che il bene giuridico protetto dalla norma fosse sempre l’ordinamento costituzionale italiano, anche in ipotesi di terrorismo internazionale.

Su altro versante invece c’è chi sostiene che il bene protetto è la cd. sicurezza mondiale ossia la sicurezza pubblica internazionale dagli attacchi terroristici pianificati ed organizzati.

Per comune opinione l’eversione è il capovolgimento del complesso degli istituti e principi nei quali si esprime la forma democratica dello Stato. Per finalità di terrorismo si ha riguardo alla condotta di incutere terrore nella collettività attraverso azioni criminose indiscriminate, dirette non contro singole persone ma contro la collettività indistintamente.

Le locuzioni "terrorismo" e "finalità terroristiche" non erano estranee al nostro ordinamento, che ad esse faceva esplicito riferimento in più disposizioni del codice penale: nello stesso art. 270 bis c.p., ("associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico"), nell’art. 280 c.p.,("attentato per finalità terroristiche o di eversione"), nell’art. 289 bis, ("sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione"), nella L. n. 15 del 1980, art. 1 concernente la circostanza aggravante ad effetto speciale applicabile ai reati qualificati dalla finalità di terrorismo. Delicato il problema sulla definizione di terrorismo internazionale dopo l’ampliamento della portata della norma incriminatrice ex art. 270 bis c.p. per effetto del D.L. n. 374 del 2001, art. 1 convertito nella L. n. 438 del 2001, poiché è stata subito avvertita, l’inadeguatezza della nozione fino ad allora elaborata in dottrina e giurisprudenza a descrivere i connotati specifici del terrorismo internazionale ed è stata sentita l’esigenza di individuare una definizione giuridica nella quale si riflettessero i peculiari caratteri delle condotte criminose attraverso l’analisi delle numerose fonti internazionali dirette a reprimere attività terroristiche. In mancanza di una convenzione globale in materia di terrorismo, va rilevato che la formulazione della Convenzione del 1999, resa esecutiva con L. 27 gennaio 2003, n. 7, ha una portata così ampia da assumere il valore di una definizione generale, applicabile sia in tempo di pace che in tempo di guerra e comprensiva di qualsiasi condotta diretta contro la vita o l’incolumità di civili o, in contesti bellici, contro "ogni altra persona che non prenda parte attiva alle ostilità in una situazione di conflitto armato", al fine di diffondere il terrore fra la popolazione o di costringere uno Stato o un’organizzazione internazionale a compiere o ad omettere un atto. Oltre ad essere connotata da tali elementi oggettivi e soggettivi, nonché dalla identità delle vittime, è opinione comune che per essere qualificata terroristica la condotta deve presentare, sul piano psicologico, l’ulteriore requisito della motivazione politica, religiosa o ideologica, conformemente ad una norma consuetudinaria internazionale.

La definizione degli atti terroristici contenuta nell’art. 1 della Decisione quadro dell’Unione Europea è basata, invece, sull’elencazione di una serie determinata di reati, considerati tali dal diritto nazionale, che possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione o di costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, ovvero di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale. La decisione quadro ha ampliato la nozione delle attività terroristiche prevedendo che queste siano connotate anche dalla finalità eversiva, vale a dire dallo scopo di "destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale".

Quanto all’elemento materiale l’art. 270 bis fa riferimento a due distinte ipotesi. Da un lato quelle di promozione costituzione organizzazione direzione e finanziamento, dall’altro la condotta di mera partecipazione. Si ritiene che ai fini della configurazione del reato sia comunque necessaria la presenza di un struttura organizzata con un programma comune finalizzato a sovvertire violentemente l’ordinamento di uno Stato. Irrilevante la durata dell’associazione nonché la limitazione della sua operatività, poiché trattandosi di un reato a pericolo presunto deve ritenersi sufficiente l’esistenza della struttura che persegua un programma di eversione o terroristico. Particolare importanza ha assunto con la novella del 2001 la condotta di finanziamento che rappresenta una novità nel panorama dei reati associativi del codice penale, tale condotta infatti ha un precedente solo per la figura dei reati associativi finalizzati al traffico di sostanze stupefacenti. Quanto alle altre condotte la giurisprudenza ha distinto tra organizzazione e direzione, poiché in materia di reati associativi non è detto che chi organizza il sodalizio assuma poi la direzione. Condotta residuale assume invece la partecipazione prevista dal secondo comma del 270 bis per la quale la giurisprudenza richiama i principi enunciati dalle Sezioni Unite a proposito del delitto associativo previsto dell’art. 416 bis cip.. Sul punto ha chiarito che si definisce partecipe colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo è, ma fa parte della stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perchè l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima. Ancora si evidenzia che in tal senso deve essere intesa la partecipazione ad associazioni terroristiche che non può essere desunta dal solo riferimento all’adesione psicologica o ideologica al programma criminale, ma la dichiarazione di responsabilità presuppone la dimostrazione dell’effettivo inserimento nella struttura organizzata attraverso condotte univocamente sintomatiche consistenti nello svolgimento di attività preparatorie rispetto alla esecuzione del programma oppure nell’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale. Ne segue che la partecipazione di un soggetto al gruppo terroristico può concretarsi anche in condotte strumentali e di supporto logistico alle attività dell’associazione che rivelino il suo inserimento nell’organizzazione, semprechè un segmento di dette condotte si svolga in Italia. Sul piano soggettivo, quello previsto dall’art. 270 bis c.p. è un tipico delitto a dolo specifico, nel quale la consapevolezza e la volontà del fatto di reato devono essere indirizzate al perseguimento della peculiare finalità di terrorismo che connota l’attività dell’intera associazione, che la stessa legge indica, alternativamente, nell’obiettivo di spargere terrore tra la popolazione o in quello di costringere gli Stati o le organizzazioni internazionali a fare o ad omettere un determinato atto.

La giurisprudenza sostiene che la struttura della fattispecie delineata dall’art. 270 bis c.p. è compatibile con l’applicazione dei principi elaborati dalla stessa in materia di concorso eventuale nel delitto associativo. Il concorso esterno nel reato di associazione di stampo mafioso - e per estensione giurisprudenziale il 270 bis - può atteggiarsi secondo i principi generali in materia di concorso di persone nel reato, coma partecipazione materiale o morale. Mentre la partecipazione morale è stata pacificamente sempre ammessa, per quanto riguarda la partecipazione materiale in passato si sono registrate due posizioni. Per una prima tesi infatti si negava l’ammissibilità di un concorso esterno perché si diceva che argomentando a contrario ci sarebbe stata una sovrapponibilità del 110 c.p. con la partecipazione sia sotto il profilo oggettivo (contributo in entrambi i casi eziologicamente rilevante) che sotto il profilo soggettivo (dolo nel reato associativo).

In secondo luogo si poneva l’accento su incriminazioni espresse riconducibili di fatto al concorso esterno come il 378 comma 2 cip. La tesi prevalente invece ammette la configurabilità del concorso esterno nell’associazione di stampo mafioso contestando le argomentazioni della prima teoria. Significativo contributo di chiarificazione e di sistemazione concettuale del tema è stato infatti offerto dalle Sezioni Unite (sentenza Mannino 12 luglio 2005 n. 33748) per la quali il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell’ipotesi del "patto di scambio politico-mafioso", in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale (dunque non inserito stabilmente nel relativo tessuto organizzativo e privo dell’"affectio societatis") si impegna, a fronte dell’appoggio richiesto all’associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo: con la precisazione che, per l’integrazione del reato, è necessario che: a) gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione mafiosa presentino il carattere della serietà e della concretezza, in ragione della affidabilità e della caratura dei protagonisti dell’accordo, dei caratteri strutturali del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti; b) all’esito della verifica probatoria "ex post" della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sè ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali

La Corte di legittimità è stata incisiva per le argomentazioni addotte a sostegno della configurabilità del concorso esterno nel delitto associativo precisando che neppure un’ampia e diffusa frammentazione legislativa in autonome e tipiche fattispecie criminose dei vari casi di contiguità mafiosa, com’è avvenuto, ad esempio, sul terreno del distinto fenomeno terroristico, mediante l’introduzione delle nuove figure del "finanziamento" di associazioni con finalità di terrorismo - art. 270 bis c.p., comma 1, inserito dal D.L. n. 374 del 2001, art. 1, comma 1, convertito in L. n. 438 del 2001 - ovvero dell’"arruolamento" e "addestramento" di persone per il compimento di attività con finalità di terrorismo anche internazionale - artt. 270 quater e 270 quinquies c.p., inserito dal D.L. n. 144 del 2005, art. 15, comma 1, convertito in L. n. 155 del 2005 sarebbe comunque in grado di paralizzare l’espansione operativa della clausola generale di estensione della responsabilità per i contributi atipici ed esterni diversi da quelli analiticamente elencati, secondo il modello dettato dall’art. 110 c.p. sul concorso di persone nel reato, se non introducendosi una disposizione derogatoria escludente l’applicabilità della suddetta clausola per i reati associativi".

In questa prospettiva la Cassazione penale sez. I, 12 gennaio 2007, n. 1072 afferma la trasposizione di tali principi al reato di cui all’art. 270 bis c.p.; pone in luce che l’applicazione dello schema concorsuale tracciato nell’art. 110 c.p. rende ammissibile la figura del concorso esterno anche rispetto alla fattispecie associativa con finalità di terrorismo internazionale nei confronti di quei soggetti che, pur restando estranei alla struttura organizzativa, apportino un concreto e consapevole apporto eziologicamente rilevante sulla conservazione, sul rafforzamento e sul conseguimento degli scopi dell’organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali, sempre che, ovviamente, sussista la consapevolezza della finalità perseguita dall’associazione a vantaggio della quale è prestato il contributo.

I reati associativi rappresentano una forma di manifestazione del reato caratterizzata dalla presenza di una pluralità di agenti.

Si tratta di reati dislocati nella parte speciale del codice penale per i quali la connotazione plurisoggettiva vale a distinguerli dal concorso di persone nel reato, dove la pluralià di agenti è prevista dal legislatore per la realizzazione di una singola fattispecie di reato, ancorchè continuata. Di qui la denominazione di reati necessariamente plurisoggettivi, non essendo concepibile una loro configurazione monosoggettiva.

Questa categoria si divide in due tipologie: reati plurisoggettivi propri e impropri.

Nei primi (reati normativamente plurisoggettivi) c’è la previsione di un obbligo giuridico gravante su ciascuno dei soggetti: la violazione dell’obbligo da parte di ciascuno comporta l’integrazione del reato e l’assoggettamento a pena, come l’art. 416 c.p che punisce l’associazione per delinquere.

Per i secondi (reati naturalisticamente plurisoggettivi), l’obbligo giuridico incombe su soltanto uno dei soggetti: quest’ultimo sarà punibile per il reato realizzato, esemplare è il reato di corruzione impropria susseguente, ove è punita unicamente la condotta del corruttore.

Ciò posto, rientra nella categoria dei reati plurisoggettivi propri l’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico disciplinata dall’art. 270-bis.

Si tratta di un reato disciplinato dal libro II, titolo I, capoI del codice penale dedicato precisamente ai delitti contro la personalità internazionale dello stato.

La norma de qua introdotta dalla legge 15/1980, nella sua formulazione originaria, incriminava le associazioni aventi una finalità di eversione dell’ordine democratico, per tale dovendosi intendere il capovolgimento dei principi posti a fondamento dell’ordine democratico, alla stregua dei principi costituzionali. La fattispecie non trovava invece applicazione per i reati con finalità di terrorismo internazionale. Problematica infatti era la costituzione di associazioni con finalità di terrorismo internazionale, costituite nel territorio nazionale. La Cassazione talvolta tendeva a ricomprendere tali associazioni nella più ampia previsione dell’associazione per delinquere comune, per la struttura dell’art. 416 di reato di pericolo, per cui poteva intendersi consumato in Italia il delitto per il solo fatto che l’apparato organizzativo ivi era nato. Inoltre il 416 c.p. utilizza la locuzione più delitti senza fare alcun riferimento al territorio nazionale o internazionale in cui i reati fine avrebbero dovuto essere realizzati. La punibilità degli stessi poteva essere giustificata attraverso l’art. 10 c. p. che prevede la punibilità dei reati comuni all’estero.

Sull’onda degli attentati del’11 settembre 2001, il legislatore italiano ha messo mani all’art. 270 bis, per rimediare ai limiti di una lacuna della normativa interna.

La legge del 438 /2001 pur mantenendo invariata la struttura della norma, che prevede la creazione di un apparato organizzativo e il compimento di atti di violenza, ha rimodellato l’elemento soggettivo del reato introducendo espressamente l’elemento costitutivo della finalità di terrorismo alternativa a quella eversiva, introducendo il comma terzo che punisce altresì gli atti di violenza rivolti contro uno Stato estero.

In tal modo il riconoscimento della dimensione internazionale del terrorismo consente l’applicabilità del 270 bis anche ad associazioni che pur avendo una base logistica nel territorio nazionale sono volte a realizzare i reati fine a di fuori di esso.

La dottrina è divisa nella identificazione del bene protetto dalla norma . Tradizionalmente si è evidenziato che il bene giuridico protetto dalla norma fosse duplice, da un lato l’ordine pubblico dall’altro l’interesse relativo alla personalità dello Stato. Anche all’indomani della modifica legislativa del 2001 la dottrina ha continuato a sostenere che il bene giuridico protetto dalla norma fosse sempre l’ordinamento costituzionale italiano, anche in ipotesi di terrorismo internazionale.

Su altro versante invece c’è chi sostiene che il bene protetto è la cd. sicurezza mondiale ossia la sicurezza pubblica internazionale dagli attacchi terroristici pianificati ed organizzati.

Per comune opinione l’eversione è il capovolgimento del complesso degli istituti e principi nei quali si esprime la forma democratica dello Stato. Per finalità di terrorismo si ha riguardo alla condotta di incutere terrore nella collettività attraverso azioni criminose indiscriminate, dirette non contro singole persone ma contro la collettività indistintamente.

Le locuzioni "terrorismo" e "finalità terroristiche" non erano estranee al nostro ordinamento, che ad esse faceva esplicito riferimento in più disposizioni del codice penale: nello stesso art. 270 bis c.p., ("associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico"), nell’art. 280 c.p.,("attentato per finalità terroristiche o di eversione"), nell’art. 289 bis, ("sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione"), nella L. n. 15 del 1980, art. 1 concernente la circostanza aggravante ad effetto speciale applicabile ai reati qualificati dalla finalità di terrorismo. Delicato il problema sulla definizione di terrorismo internazionale dopo l’ampliamento della portata della norma incriminatrice ex art. 270 bis c.p. per effetto del D.L. n. 374 del 2001, art. 1 convertito nella L. n. 438 del 2001, poiché è stata subito avvertita, l’inadeguatezza della nozione fino ad allora elaborata in dottrina e giurisprudenza a descrivere i connotati specifici del terrorismo internazionale ed è stata sentita l’esigenza di individuare una definizione giuridica nella quale si riflettessero i peculiari caratteri delle condotte criminose attraverso l’analisi delle numerose fonti internazionali dirette a reprimere attività terroristiche. In mancanza di una convenzione globale in materia di terrorismo, va rilevato che la formulazione della Convenzione del 1999, resa esecutiva con L. 27 gennaio 2003, n. 7, ha una portata così ampia da assumere il valore di una definizione generale, applicabile sia in tempo di pace che in tempo di guerra e comprensiva di qualsiasi condotta diretta contro la vita o l’incolumità di civili o, in contesti bellici, contro "ogni altra persona che non prenda parte attiva alle ostilità in una situazione di conflitto armato", al fine di diffondere il terrore fra la popolazione o di costringere uno Stato o un’organizzazione internazionale a compiere o ad omettere un atto. Oltre ad essere connotata da tali elementi oggettivi e soggettivi, nonché dalla identità delle vittime, è opinione comune che per essere qualificata terroristica la condotta deve presentare, sul piano psicologico, l’ulteriore requisito della motivazione politica, religiosa o ideologica, conformemente ad una norma consuetudinaria internazionale.

La definizione degli atti terroristici contenuta nell’art. 1 della Decisione quadro dell’Unione Europea è basata, invece, sull’elencazione di una serie determinata di reati, considerati tali dal diritto nazionale, che possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione o di costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, ovvero di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale. La decisione quadro ha ampliato la nozione delle attività terroristiche prevedendo che queste siano connotate anche dalla finalità eversiva, vale a dire dallo scopo di "destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale".

Quanto all’elemento materiale l’art. 270 bis fa riferimento a due distinte ipotesi. Da un lato quelle di promozione costituzione organizzazione direzione e finanziamento, dall’altro la condotta di mera partecipazione. Si ritiene che ai fini della configurazione del reato sia comunque necessaria la presenza di un struttura organizzata con un programma comune finalizzato a sovvertire violentemente l’ordinamento di uno Stato. Irrilevante la durata dell’associazione nonché la limitazione della sua operatività, poiché trattandosi di un reato a pericolo presunto deve ritenersi sufficiente l’esistenza della struttura che persegua un programma di eversione o terroristico. Particolare importanza ha assunto con la novella del 2001 la condotta di finanziamento che rappresenta una novità nel panorama dei reati associativi del codice penale, tale condotta infatti ha un precedente solo per la figura dei reati associativi finalizzati al traffico di sostanze stupefacenti. Quanto alle altre condotte la giurisprudenza ha distinto tra organizzazione e direzione, poiché in materia di reati associativi non è detto che chi organizza il sodalizio assuma poi la direzione. Condotta residuale assume invece la partecipazione prevista dal secondo comma del 270 bis per la quale la giurisprudenza richiama i principi enunciati dalle Sezioni Unite a proposito del delitto associativo previsto dell’art. 416 bis cip.. Sul punto ha chiarito che si definisce partecipe colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo è, ma fa parte della stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perchè l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima. Ancora si evidenzia che in tal senso deve essere intesa la partecipazione ad associazioni terroristiche che non può essere desunta dal solo riferimento all’adesione psicologica o ideologica al programma criminale, ma la dichiarazione di responsabilità presuppone la dimostrazione dell’effettivo inserimento nella struttura organizzata attraverso condotte univocamente sintomatiche consistenti nello svolgimento di attività preparatorie rispetto alla esecuzione del programma oppure nell’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale. Ne segue che la partecipazione di un soggetto al gruppo terroristico può concretarsi anche in condotte strumentali e di supporto logistico alle attività dell’associazione che rivelino il suo inserimento nell’organizzazione, semprechè un segmento di dette condotte si svolga in Italia. Sul piano soggettivo, quello previsto dall’art. 270 bis c.p. è un tipico delitto a dolo specifico, nel quale la consapevolezza e la volontà del fatto di reato devono essere indirizzate al perseguimento della peculiare finalità di terrorismo che connota l’attività dell’intera associazione, che la stessa legge indica, alternativamente, nell’obiettivo di spargere terrore tra la popolazione o in quello di costringere gli Stati o le organizzazioni internazionali a fare o ad omettere un determinato atto.

La giurisprudenza sostiene che la struttura della fattispecie delineata dall’art. 270 bis c.p. è compatibile con l’applicazione dei principi elaborati dalla stessa in materia di concorso eventuale nel delitto associativo. Il concorso esterno nel reato di associazione di stampo mafioso - e per estensione giurisprudenziale il 270 bis - può atteggiarsi secondo i principi generali in materia di concorso di persone nel reato, coma partecipazione materiale o morale. Mentre la partecipazione morale è stata pacificamente sempre ammessa, per quanto riguarda la partecipazione materiale in passato si sono registrate due posizioni. Per una prima tesi infatti si negava l’ammissibilità di un concorso esterno perché si diceva che argomentando a contrario ci sarebbe stata una sovrapponibilità del 110 c.p. con la partecipazione sia sotto il profilo oggettivo (contributo in entrambi i casi eziologicamente rilevante) che sotto il profilo soggettivo (dolo nel reato associativo).

In secondo luogo si poneva l’accento su incriminazioni espresse riconducibili di fatto al concorso esterno come il 378 comma 2 cip. La tesi prevalente invece ammette la configurabilità del concorso esterno nell’associazione di stampo mafioso contestando le argomentazioni della prima teoria. Significativo contributo di chiarificazione e di sistemazione concettuale del tema è stato infatti offerto dalle Sezioni Unite (sentenza Mannino 12 luglio 2005 n. 33748) per la quali il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell’ipotesi del "patto di scambio politico-mafioso", in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale (dunque non inserito stabilmente nel relativo tessuto organizzativo e privo dell’"affectio societatis") si impegna, a fronte dell’appoggio richiesto all’associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo: con la precisazione che, per l’integrazione del reato, è necessario che: a) gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione mafiosa presentino il carattere della serietà e della concretezza, in ragione della affidabilità e della caratura dei protagonisti dell’accordo, dei caratteri strutturali del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti; b) all’esito della verifica probatoria "ex post" della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sè ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali

La Corte di legittimità è stata incisiva per le argomentazioni addotte a sostegno della configurabilità del concorso esterno nel delitto associativo precisando che neppure un’ampia e diffusa frammentazione legislativa in autonome e tipiche fattispecie criminose dei vari casi di contiguità mafiosa, com’è avvenuto, ad esempio, sul terreno del distinto fenomeno terroristico, mediante l’introduzione delle nuove figure del "finanziamento" di associazioni con finalità di terrorismo - art. 270 bis c.p., comma 1, inserito dal D.L. n. 374 del 2001, art. 1, comma 1, convertito in L. n. 438 del 2001 - ovvero dell’"arruolamento" e "addestramento" di persone per il compimento di attività con finalità di terrorismo anche internazionale - artt. 270 quater e 270 quinquies c.p., inserito dal D.L. n. 144 del 2005, art. 15, comma 1, convertito in L. n. 155 del 2005 sarebbe comunque in grado di paralizzare l’espansione operativa della clausola generale di estensione della responsabilità per i contributi atipici ed esterni diversi da quelli analiticamente elencati, secondo il modello dettato dall’art. 110 c.p. sul concorso di persone nel reato, se non introducendosi una disposizione derogatoria escludente l’applicabilità della suddetta clausola per i reati associativi".

In questa prospettiva la Cassazione penale sez. I, 12 gennaio 2007, n. 1072 afferma la trasposizione di tali principi al reato di cui all’art. 270 bis c.p.; pone in luce che l’applicazione dello schema concorsuale tracciato nell’art. 110 c.p. rende ammissibile la figura del concorso esterno anche rispetto alla fattispecie associativa con finalità di terrorismo internazionale nei confronti di quei soggetti che, pur restando estranei alla struttura organizzativa, apportino un concreto e consapevole apporto eziologicamente rilevante sulla conservazione, sul rafforzamento e sul conseguimento degli scopi dell’organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali, sempre che, ovviamente, sussista la consapevolezza della finalità perseguita dall’associazione a vantaggio della quale è prestato il contributo.