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Per la falsa dichiarazione conta il segreto professionale? La causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. comma 2 non si applica ai professionisti, tranne il caso in cui sono stati obbligati a deporre

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 4 marzo 2009, n. 9866
Il caso deciso

Il g.u.p. del tribunale di Milano ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di (… ) per il reato di falsa testimonianza ex art. 372 c.p. perché commesso in presenza della causa di non punibilità di cui all’art. 384 cpv. cod. pen. La (...) in un procedimento civile pendente innanzi al Tribunale di Milano, tra lo Studio s.a.s. di (...) e Unicredit Banca s.p.a., era stata chiamata a testimoniare su circostanze che aveva appreso nella veste di legale della (...) ed aveva reso dichiarazioni contraddette dai documenti agli atti.

Il Tribunale milanese, ravvisata la sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di falsa testimonianza, ha ritenuto che “la condotta dell’imputata non è punibile in quanto la (...), ai sensi del combinato disposto degli artt. 249 c.p.c, che prevede la facoltà di astensione del teste, e 200 c.p.p., che individua, tra i casi d’insussistenza dell’obbligo a deporre, il segreto professionale opponibile dall’avvocato, ovviamente in relazione a circostanza apprese "per ragione della propria professione", aveva la facoltà di astenersi dal deporre. (...) il fatto che la deposizione non sia stata preceduta dall’avviso alla testimone della facoltà di astensione, determina l’applicabilità dell’esimente dell’art. 384 co. 2 c.p.p., con conseguente non punibilità”.

La sezione VI della Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 9866 del 04.03.2009 accoglie il ricorso del Pubblico ministero pronunciando il seguente dispositivo: in tema di deposizione del testimone che possa eccepire un eventuale segreto professionale, la Corte ha stabilito: a) che l’obbligo di avvisare i testi della facoltà di astenersi, previsto dall’art. 199, comma secondo, cod. proc. pen., non è applicabile ai soggetti elencati nell’art. 200 dello stesso codice, per effetto del quale essi non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria; b) che l’esimente di cui all’art. 384, comma secondo, cod. pen., nella parte in cui prevede l’esclusione della punibilità se il fatto è commesso da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni o testimonianza, non si applica ai soggetti indicati nell’art. 200 cod. proc. pen., ai quali l’esimente è invece applicabile nel caso in cui essi siano stati obbligati a deporre o comunque a rispondere su quanto hanno conosciuto per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria. (Fattispecie relativa alle dichiarazioni testimoniali rese in un procedimento civile da un legale chiamato a deporre su circostanze apprese per ragione della sua attività professionale).

Nota esplicativa

La pronuncia della sezione VI della Suprema Corte merita di essere segnalata perchè la questione è stata oggetto di poche pronunce giurisprudenziali. In particolare la Corte fa un excursus dei pochi obiter che si sono registrati in giurisprudenza.

La VI sezione ricorda che in una lontana pronuncia del 1966 è stato affermato che l’obbligo di avvertire il legale della facoltà d’astenersi dal rendere testimonianza su ciò che a lui è stato confidato per ragione della sua professione è conditio sine qua non perché il teste sia ammesso a deporre.

Più recentemente, nel 2004 con riferimento alla previsione di cui all’art. 4, comma 4. L. 25.3.1985, il quale prevede che gli ecclesiastici non possono essere obbligati a deporre su quanto conosciuto a ragione del proprio ministero, è stato affermato che - esclusa ogni incapacità di testimoniare - l’ecclesiastico che abbia esercitato funzioni di giudice ecclesiastico ha la facoltà di eccepire, ricorrendone le condizioni, il segreto professionale sui fatti, comportamenti e notizie acquisiti attraverso l’intreccio della funzione giudiziaria con quella di ministro di culto. Nella motivazione di tale pronuncia si afferma che il giudice deve avvertire l’ecclesiastico della facoltà di astensione stabilita dal combinato disposto dell’art. 200 cod. proc. pen. e dell’art. 4 L. 121/1985.

Anche in materia civile è stata affrontata una questione analoga e la Cassazione ha ritenuto pienamente valida la deposizione resa da un consulente del lavoro anche nell’ipotesi in cui il giudice abbia omesso di avvertirlo del suo diritto di astenersi dal testimoniare, non potendosi l’obbligo di avvertimento previsto per i prossimi congiunti dell’imputato estendere ai professionisti elencati nell’art. 200 c.p.p. (Cass., sez. L, n. 2058/1996).

La sentenza in esame sottolinea che nel processo civile, "si applicano all’audizione dei testimoni le disposizioni degli artt..351 e 352 del codice di procedura penale relative alla facoltà di astensione dei testimoni” (art. 249 c.p.c). Naturalmente il richiamo agli articoli del codice di proceduta penale del 1930 va oggi riferito agli artt. 200-202 del codice di procedura penale del 1988. L’art. 200 cod. proc. pen. prevede che gli avvocati, alla pari di altri specificati professionisti, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragioni della propria professione, mentre l’art. 199 c.p. disciplina la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dell’imputato. Tali specifiche disposizioni non sono richiamate né direttamente né indirettamente dal codice di procedura civile, mancando nel processo civile un soggetto assimilabile all’imputato.

L’attuale normativa dispone che il giudice, a pena di nullità della deposizione, debba avvisare i prossimi congiunti dell’imputato della facoltà di astenersi (art. 199, commi 1 e 2 cod. proc. pen.); analoga, anche se ambigua (v. Cass. n. 7635/1974 ced 128281), era la precedente normativa, ritenendosi da taluno che spettasse al testimone di far valere il proprio interesse.

Nessun avvertimento al teste da parte del giudice è previsto dall’art. 200, per cui non può porsi per professionisti chiamati a rendere testimonianza, così come per gli altri soggetti indicati nell’art. 200 cod. proc. pen., alcuna questione di sanzione processuale per l’omesso avviso, dal momento che la materia delle nullità è presidiata dal principio di tassatività.

Il codice prescrive soltanto che tali soggetti non possono essere obbligati a deporre, ma non prevede alcun avvertimento analogo a quello imposto per i prossimi congiunti. Né vi è alcuna ragione per estendere analogicamente tale avviso ai professionisti di cui all’art. 200.

La Corte evidenzia la ratio della differente situazione che, rispetto al quivis de populo "prossimo congiunto dell’imputato", connota il professionista preso in considerazione dall’art. 200 c.p.p..

Ciò che differenzia i prossimi congiunti dal professionista è infatti che i primi possono legittimamente ignorare l’esistenza della facoltà d’astensione e trovarsi così in conflitto con i sentimenti di solidarietà familiare che potrebbero indurli a dichiarazioni menzognere. I professionisti elencati nell’art 200 c.p.p. sono, invece, caratterizzati da competenza tecnica professionale che implica la conoscenza dei doveri deontologici e giuridici connessi all’abilitazione ed all’esercizio della professione.

Pertanto ai professionisti spetta la scelta di deporre o meno su quanto hanno conosciuto per ragioni del ministero, ufficio o professione (fatti salvi i poteri del giudice di cui all’art. 200.2 e gli obblighi derivanti dal segreto di ufficio e dal segreto di Stato ex artt. 201 e 202 c.p.p.), fermo rimanendo l’obbligo di dire la verità in caso di deposizione.

Emerge quindi un profilo di primaria importanza che riguarda l’estensione dei casi di non punibilità oltre i casi espressamente previsti dal legislatore.

La Corte infatti evidenzia come l’estensione dell’obbligo di avvertire, a pena di nullità, il professionista chiamato a testimoniare della facoltà di astensione dalla deposizione implicherebbe un indebito allargamento dei casi di non punibilità previsti dall’art. 384 cod. pen.. Sul punto la Corte costituzionale ha espressamente affermato che "l’estensione di cause di non punibilità, le quali costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e configgenti, in primo luogo quelle che sorreggono le norme generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria: un giudizio che è da riconoscersi ed è stato riconosciuto da(lla) ... Corte Costituzionale appartenere primariamente al legislatore" (Corte cost. sent. n. 8/1996).

Il caso deciso

Il g.u.p. del tribunale di Milano ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di (… ) per il reato di falsa testimonianza ex art. 372 c.p. perché commesso in presenza della causa di non punibilità di cui all’art. 384 cpv. cod. pen. La (...) in un procedimento civile pendente innanzi al Tribunale di Milano, tra lo Studio s.a.s. di (...) e Unicredit Banca s.p.a., era stata chiamata a testimoniare su circostanze che aveva appreso nella veste di legale della (...) ed aveva reso dichiarazioni contraddette dai documenti agli atti.

Il Tribunale milanese, ravvisata la sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di falsa testimonianza, ha ritenuto che “la condotta dell’imputata non è punibile in quanto la (...), ai sensi del combinato disposto degli artt. 249 c.p.c, che prevede la facoltà di astensione del teste, e 200 c.p.p., che individua, tra i casi d’insussistenza dell’obbligo a deporre, il segreto professionale opponibile dall’avvocato, ovviamente in relazione a circostanza apprese "per ragione della propria professione", aveva la facoltà di astenersi dal deporre. (...) il fatto che la deposizione non sia stata preceduta dall’avviso alla testimone della facoltà di astensione, determina l’applicabilità dell’esimente dell’art. 384 co. 2 c.p.p., con conseguente non punibilità”.

La sezione VI della Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 9866 del 04.03.2009 accoglie il ricorso del Pubblico ministero pronunciando il seguente dispositivo: in tema di deposizione del testimone che possa eccepire un eventuale segreto professionale, la Corte ha stabilito: a) che l’obbligo di avvisare i testi della facoltà di astenersi, previsto dall’art. 199, comma secondo, cod. proc. pen., non è applicabile ai soggetti elencati nell’art. 200 dello stesso codice, per effetto del quale essi non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria; b) che l’esimente di cui all’art. 384, comma secondo, cod. pen., nella parte in cui prevede l’esclusione della punibilità se il fatto è commesso da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni o testimonianza, non si applica ai soggetti indicati nell’art. 200 cod. proc. pen., ai quali l’esimente è invece applicabile nel caso in cui essi siano stati obbligati a deporre o comunque a rispondere su quanto hanno conosciuto per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria. (Fattispecie relativa alle dichiarazioni testimoniali rese in un procedimento civile da un legale chiamato a deporre su circostanze apprese per ragione della sua attività professionale).

Nota esplicativa

La pronuncia della sezione VI della Suprema Corte merita di essere segnalata perchè la questione è stata oggetto di poche pronunce giurisprudenziali. In particolare la Corte fa un excursus dei pochi obiter che si sono registrati in giurisprudenza.

La VI sezione ricorda che in una lontana pronuncia del 1966 è stato affermato che l’obbligo di avvertire il legale della facoltà d’astenersi dal rendere testimonianza su ciò che a lui è stato confidato per ragione della sua professione è conditio sine qua non perché il teste sia ammesso a deporre.

Più recentemente, nel 2004 con riferimento alla previsione di cui all’art. 4, comma 4. L. 25.3.1985, il quale prevede che gli ecclesiastici non possono essere obbligati a deporre su quanto conosciuto a ragione del proprio ministero, è stato affermato che - esclusa ogni incapacità di testimoniare - l’ecclesiastico che abbia esercitato funzioni di giudice ecclesiastico ha la facoltà di eccepire, ricorrendone le condizioni, il segreto professionale sui fatti, comportamenti e notizie acquisiti attraverso l’intreccio della funzione giudiziaria con quella di ministro di culto. Nella motivazione di tale pronuncia si afferma che il giudice deve avvertire l’ecclesiastico della facoltà di astensione stabilita dal combinato disposto dell’art. 200 cod. proc. pen. e dell’art. 4 L. 121/1985.

Anche in materia civile è stata affrontata una questione analoga e la Cassazione ha ritenuto pienamente valida la deposizione resa da un consulente del lavoro anche nell’ipotesi in cui il giudice abbia omesso di avvertirlo del suo diritto di astenersi dal testimoniare, non potendosi l’obbligo di avvertimento previsto per i prossimi congiunti dell’imputato estendere ai professionisti elencati nell’art. 200 c.p.p. (Cass., sez. L, n. 2058/1996).

La sentenza in esame sottolinea che nel processo civile, "si applicano all’audizione dei testimoni le disposizioni degli artt..351 e 352 del codice di procedura penale relative alla facoltà di astensione dei testimoni” (art. 249 c.p.c). Naturalmente il richiamo agli articoli del codice di proceduta penale del 1930 va oggi riferito agli artt. 200-202 del codice di procedura penale del 1988. L’art. 200 cod. proc. pen. prevede che gli avvocati, alla pari di altri specificati professionisti, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragioni della propria professione, mentre l’art. 199 c.p. disciplina la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dell’imputato. Tali specifiche disposizioni non sono richiamate né direttamente né indirettamente dal codice di procedura civile, mancando nel processo civile un soggetto assimilabile all’imputato.

L’attuale normativa dispone che il giudice, a pena di nullità della deposizione, debba avvisare i prossimi congiunti dell’imputato della facoltà di astenersi (art. 199, commi 1 e 2 cod. proc. pen.); analoga, anche se ambigua (v. Cass. n. 7635/1974 ced 128281), era la precedente normativa, ritenendosi da taluno che spettasse al testimone di far valere il proprio interesse.

Nessun avvertimento al teste da parte del giudice è previsto dall’art. 200, per cui non può porsi per professionisti chiamati a rendere testimonianza, così come per gli altri soggetti indicati nell’art. 200 cod. proc. pen., alcuna questione di sanzione processuale per l’omesso avviso, dal momento che la materia delle nullità è presidiata dal principio di tassatività.

Il codice prescrive soltanto che tali soggetti non possono essere obbligati a deporre, ma non prevede alcun avvertimento analogo a quello imposto per i prossimi congiunti. Né vi è alcuna ragione per estendere analogicamente tale avviso ai professionisti di cui all’art. 200.

La Corte evidenzia la ratio della differente situazione che, rispetto al quivis de populo "prossimo congiunto dell’imputato", connota il professionista preso in considerazione dall’art. 200 c.p.p..

Ciò che differenzia i prossimi congiunti dal professionista è infatti che i primi possono legittimamente ignorare l’esistenza della facoltà d’astensione e trovarsi così in conflitto con i sentimenti di solidarietà familiare che potrebbero indurli a dichiarazioni menzognere. I professionisti elencati nell’art 200 c.p.p. sono, invece, caratterizzati da competenza tecnica professionale che implica la conoscenza dei doveri deontologici e giuridici connessi all’abilitazione ed all’esercizio della professione.

Pertanto ai professionisti spetta la scelta di deporre o meno su quanto hanno conosciuto per ragioni del ministero, ufficio o professione (fatti salvi i poteri del giudice di cui all’art. 200.2 e gli obblighi derivanti dal segreto di ufficio e dal segreto di Stato ex artt. 201 e 202 c.p.p.), fermo rimanendo l’obbligo di dire la verità in caso di deposizione.

Emerge quindi un profilo di primaria importanza che riguarda l’estensione dei casi di non punibilità oltre i casi espressamente previsti dal legislatore.

La Corte infatti evidenzia come l’estensione dell’obbligo di avvertire, a pena di nullità, il professionista chiamato a testimoniare della facoltà di astensione dalla deposizione implicherebbe un indebito allargamento dei casi di non punibilità previsti dall’art. 384 cod. pen.. Sul punto la Corte costituzionale ha espressamente affermato che "l’estensione di cause di non punibilità, le quali costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e configgenti, in primo luogo quelle che sorreggono le norme generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria: un giudizio che è da riconoscersi ed è stato riconosciuto da(lla) ... Corte Costituzionale appartenere primariamente al legislatore" (Corte cost. sent. n. 8/1996).