Ideazione ed esecuzione dell’opera d’arte contemporanea
A chi non è mai capitato di sentire la frase “Questo lo sapevo fare anche io!” di fronte ad un’opera d’arte contemporanea? È poi molto probabile che a questa frase sussegua un paragone con un grande artista passato del calibro di Caravaggio o Michelangelo.
Esiste, nell’immaginario comune delle persone, una connessione diretta, si potrebbe affermare quasi inevitabile, tra la nozione di “opera d’arte” ed i canonici concetti di scultura o di pittura. Tale connessione nel panorama artistico è stata messa in discussione da molto tempo.
Il Dadaismo è un lampante esempio delle conseguenze derivanti da questo mutamento di prospettiva nella concezione di “Opera d’arte”: si prende atto della evoluzione della società in cui l’artista opera e cioè una società industrializzata in cui il progresso tecnologico fa venire meno le necessità di rappresentazioni, cosicché finalmente l’artista possa permettersi di concentrare la propria attività creativa verso la produzione, la quale trascende da qualsivoglia contingenza umanissima.
Nel 1917, presso la Society of Indipendent Artists di New York, Marcel Duchamp presenta in mostra un orinatoio capovolto, un semplice oggetto di produzione industriale privo di qualsivoglia apporto umano finalizzato all’esposizione da un punto di vista esecutivo. Nonostante ciò, Duchamp concepisce l’orinatoio come una sua elaborazione - non materiale - dell’opera. Duchamp sceglie quello specifico oggetto ed attraverso la scelta ed il pensiero vi conferisce una nuova vita liberandolo dal suo normale significato domestico, il cd. readymade.
L’incipit di questa riflessione vuole essere una semplice provocazione che nasconde una grande verità, in quanto il rapporto tra ideazione dell’opera ed esecuzione della stessa è sicuramente complesso, in particolar modo quando l’esecuzione è affidata a soggetti terzi rispetto al titolare dei Diritti di Autore.
L’artista svizzero Daniel Spoerri è stato al centro di una disputa giurisprudenziale causata proprio dall’incertezza che deriva dalla scissione del momento ideativo dell’opera e quello esecutivo. Si tratta di un episodio certamente emblematico della difficile prevedibilità delle risoluzioni di dispute giuridiche concernenti le opere d’arte contemporanea.
Daniel Spoerri è uno dei più grandi maestri dell’arte contemporanea e del ready made, nonché inventore della Eat Articolo Spoerri entra nel panorama del Nuveau Realisme, di cui firmò, con altri celebri artisti come Klein o Chirsto, il manifesto scritto da Pierre Restany. Con le sue opere tableau piege, I cosidetti quadri trappola, Spoerri mostra il reale, l’espressione del rituale della quotidianità, e la funzione che I rituali svolgono nella cultura moderna, semplicemente fissando ciò che resta di un pasto sulla tavola con della colla: I piatti sporchi, le posate e gli avanzi del cibo.
La Corte di Cassazione francese, con una pronuncia del 2002, ha sancito la rilevanza della esecuzione materiale dell’opera. Questa infatti ha annullato la vendita dell’opera “tableau piege” di Daniel Spoerri, in quanto l’acquirente era convinto che l’opera fosse stata realizzata materialmente dall’artista.
Proprio a seguito della vendita di uno dei quadri trappola di Daniel Spoerri, la Court De Cassation francese ha dovuto prendere una posizione relativa al rapporto tra ideazione ed esecuzione dell’opera d’arte, in quanto l’acquirente dell’opera chiese al Tribunale francese di annullare la vendita dopo aver scoperto che l’opera era stata materialmente realizzata da un bambino di 11 anni, il quale aveva pedissequamente seguito le istruzioni dell’artista svizzero.
I giudici francesi inizialmente hanno negato l’annullabilità della vendita in quanto l’opera era stata comunque autenticata dall’artista, sottolineando che si può comunque considerare autore di un’opera un soggetto anche se l’esecuzione materiale dell’opera è affidata a terzi. I giudici hanno inizialmente legittimato il modus operandi dell’artista svizzero, riconoscendo rilevanza al nucleo dell’opera, il quale non ricade sull’individuazione del soggetto preposto alla composizione del “quadro trappola” nel momento in cui le modalità di composizione vengono indicate dall’artista ideatore dell’opera.
Spoerri avrebbe potuto comporre personalmente l’opera ma non lo ritenne rilevante. Infatti, si trattava di un’opera che ai fini della sua realizzazione non necessitava di particolari doti tecniche. Non si può certamente affermare il contrario e cioè che il bambino mero esecutore senza l’idea dell’artista non avrebbe realizzato l’opera oggetto di una riflessione sulla funzione dei rituali come il pasto nella cultura moderna.
Nonostante ciò, la Corte di Cassazione Francese nel bilanciamento degli interessi, ha deciso di far prevalere la tutela della convinzione da parte dell’acquirente che l’opera fosse stata materialmente realizzata dall’artista, il quale si era “limitato” ad autenticarla. Si è dunque preferito tutelare l’affidamento relativo all’esecuzione materiale dell’opera.
In Italia, la tutela del diritto d’autore non dispone che il titolare del diritto esegua materialmente l’opera. La legge italiana del Diritto di Autore, n. 633 del 29 aprile 1941 (infra “l.da”), stabilisce i requisiti minimi per l’esistenza di un’opera dell’ingegno; l’articolo 1 l.da prevede che l’opera sia dotata di carattere creativo e che sia dotata di una forma di espressione.
Il titolo originario d‘acquisto del diritto d‘autore è disciplinato dagli articolo 6 l.da e 2576 codice civile, i quali definiscono l‘opera come “particolare espressione del lavoro intellettuale”, senza cenni relativi alla necessità che questa debba essere materialmente creata dal soggetto titolare del diritto d’autore.
La disciplina italiana sembra abbastanza elastica, in quanto è sufficiente che il lavoro intellettuale provenga dal soggetto indicato come autore. La legge reputa autore dell’opera, ai sensi dell’articolo 8 l.da, colui che viene “indicato come tale, nelle forme d'uso, ovvero è annunciato come tale, nella recitazione, esecuzione, rappresentazione e radiodiffusione dell'opera stessa”. Vi è una presunzione di paternità dell’opera nei confronti di chi la presenta per la prima volta al pubblico, e spetta a chi contesta tale qualità di autore provare che in realtà la paternità dell’opera gli appartiene.
Nel caso di fattispecie soggettive complesse, effettivamente, non è semplice individuare l’autore dell’opera e chi tra i diversi soggetti che ha partecipato alla creazione dell’opera debba essere considerato autore, ma per la dottrina dominante bisogna prendere in considerazione i soggetti che abbiano realizzato degli apporti volti ad incidere sulla forma espressiva dell’opera, la quale non va confusa con la materialità dell’opera.
Articolo 15 Convenzione di Berna “Affinché gli autori di opere letterarie ed artistiche protette dalla presente Convenzione siano fino a prova contraria ritenuti tali, ed ammessi in conseguenza ad agire contro i contraffattori davanti ai tribunali dei Paesi dell'Unione, è sufficiente che il nome dell'autore sia indicato sull'opera nei modi d'uso. Il presente alinea è applicabile anche se il nome sia uno pseudonimo, purché questo non lasci dubbi sull'identità dell'autore”.
Inoltre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (infra “CGUE”) nel caso Cofemel, nella causa C‑683/17, ha specificato quali sono gli elementi necessari, i quali devono esistere cumulativamente, al fine di considerare un’opera d’arte alla stregua di opera tutelata ai sensi della normativa comunitaria. La CGUE precisa che la nozione di opera, così come intesa nella direttiva 29/2001 sulla armonizzazione di taluni aspetti del diritto di autore, risulta da costante giurisprudenza della Corte come “una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata e applicata in modo uniforme”. Da una parte l’opera implica l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività; in secondo luogo l’opera deve rappresentare una “creazione intellettuale propria del suo autore”, ovvero è “necessario e sufficiente che rifletta la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere e creative di quest’ultimo”. Da notare come la CGUE definisca il concetto di “creazione intellettuale propria del suo autore” ponendo l’accento sull’espressione della personalità dell’autore attraverso l’opera, senza fare menzione delle doti tecniche o dell’apporto conferito dall’autore all’esecuzione materiale dell’opera.
Giuseppe Panza di Biumo, nel suo scritto “Ricordi di un collezionista”, documenta la prassi dell’opera d’arte come descrizione della stessa iniziata negli anni Settanta.
Il collezionista è testimone di tale prassi e la descrive come di seguito: “In quegli anni avevo avuto lo stesso impegno verso le opere di grandi dimensioni di Morris, Andre, Serra, Lewitt, le stanze di Turrel, Irwin, Wheeler, Orr, Maria Nordman. Tutte bellissime opere, ma invendibili. Giacevano nel cassetto dell’artista o della galleria. Avevano un lato positivo: non erano oggetti, erano opere intellettuali che potevano diventare realtà in qualsiasi momento, prossimo o lontano, come un progetto per costruire un edificio o una macchina.....Gli artisti erano ben coscienti di questo fatto. Vendevano i certificati con tutte le indicazioni per costruirla, non vendevano una scultura esistente scolpita con le loro mani”.