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Il bullismo, forme di tutela civile e penale

Tra le varie tipologie di danni che possono venire in considerazione nello svolgimento di attività scolastiche, ricomprendendo in esse, quindi, tanto i momenti di lezione in classe quanto le parentesi extrascolastiche quali, tra tutte, i momenti delle cd. “gite”, non possono essere trascurati i danni derivanti da condotte cd. bullistiche.

È pur vero che attualmente manca una precisa legislazione che disciplini i danni provocati da adolescenti nei confronti di coetanei attraverso condotte prevaricatrici e vessatorie; tuttavia, la dottrina ha cercato, e tuttora sta cercando, di riempire un siffatto vuoto normativo applicando per analogia la normativa in materia di mobbing.

È chiaro, infatti, che si tratterà di adattare quest’ultima disciplina – anch’essa diretta a reprimere vessazioni, sebbene di diversa natura – di matrice più che altro giurisprudenziale, ai fenomeni di bullismo tra adolescenti; non esistendo allo stato una norma che disciplini dettagliatamente le conseguenze civilistiche che discendono da tali condotte, dovrà farsi riferimento a casi analoghi e, per l’appunto, per i fenomeni di bullismo medesima ratio si rinviene nel cd. mobbing.

A conferma della riconosciuta identità di ratio esistente tra i casi di mobbing e di bullismo, la primissima dottrina che si è occupata di tali ultimi fenomeni ha qualificato le condotte bullistiche come “mobbing adolescenziale” ovvero “mobbing in età evolutiva”.

Negli ultimi tempi, invero, abbiamo assistito ad eclatanti episodi di cronaca giudiziaria che hanno visto come protagonisti ragazzi violenti che, approfittando della loro posizione di superiorità, rappresentata dall’età, forza fisica o addirittura dal sesso, hanno compiuto atti aventi natura prevaricatrice e persecutoria nei confronti di coetanei-deboli, anch’essi in età adolescenziale, che, per le loro caratteristiche fisiche o psicologiche, sono più inclini alla vittimizzazione e non sanno, o non possono, difendersi adeguatamente.

Ora, volendo considerare innanzitutto le conseguenze civilistiche discendenti dalle più svariate manifestazioni di bullismo, l’analisi del problema non può prescindere da un suo inquadramento sistematico nell’ampio schema dell’illecito civile, in particolar modo extracontrattuale.

Come noto al lettore, l’illecito contrattuale, o meglio aquiliano, si fonda sulla clausola generale di ingiustizia del danno, espressione dell’imperativo, anch’esso generale, del neminem laedere.

Tale richiamata tipologia di responsabilità sussiste ogni qualvolta concorrono tre elementi, ovverosia: dal lato oggettivo fatto materiale e antigiuridicità; dal punto di vista soggettivo, la colpevolezza dell’autore dell’illecito.

Proprio la colpevolezza, intesa quale imputabilità colpevole all’autore del fatto lesivo, rappresenta l’elemento fondamentale per affrontare un’indagine che miri a valutare le possibili responsabilità da condotte bullistiche.

A questo proposito viene in considerazione l’art. 2046 c.c., il quale pone una regola fondamentale del nostro ordinamento – e di eccezionale rilevanza per i casi di bullismo – per la quale chiunque è autore di un fatto lesivo risponde esclusivamente nei limiti in cui è in grado di comprendere la portata ed il del significato della propria condotta, purché lo stato di incapacità non derivi da sua colpa.

Da tale indicazione discende un’importante conseguenza: anche il minore, se capace di intendere di volere, può essere chiamato a rispondere degli atti compiuti in danno a terzi.

Il quadro che può delinearsi nel caso di danni commessi da minori nei confronti di propri compagni e nell’ambito di condotte cd. vessatorie o prevaricatrici è davvero variegato:

A) se il minore ha compiuto il fatto in uno stato di incapacità di intendere o di volere non risponde dei danni arrecati a terzi ai sensi dell’art. 2046 c.c.;

• in mancanza di imputabilità, tuttavia, il nostro ordinamento viene in soccorso del danneggiato individuando comunque un soggetto che potremo definire “patrimonialmente responsabile”. Ecco che in questo caso viene in considerazione innanzitutto la norma di cui all’art. 2047 c.c., che pone una responsabilità sostitutiva in capo a colui che era tenuto alla sorveglianza dell’incapace (cd. culpa in vigilando);

B) nel caso in cui, invece, il minore autore del danno debba considerarsi capace di intendere e di volere, esso risponde dei danni arrecati ai terzi;

• in questa seconda ipotesi, il legislatore ha stabilito una fondamentale distinzione, non tanto relativamente alla capacità naturale, quanto piuttosto con riferimento alla capacità d’agire: viene quindi in soccorso la norma di cui all’art. 2048 c.c., la quale individua, in capo ai genitori e al tutore, un titolo di responsabilità civile per i danni cagionati dai figli minori non emancipati o dalle persone soggette alla tutela che abitano con essi;

C) nel caso di illeciti civili compiuti da minori o interdetti, ancorché capaci di intendere e di volere, questi rispondono del fatto in concorso (ex art. 2055 c.c.) con i genitori o il tutore [In tal senso Cass. Civ., sez. III, 13 settembre 1996, n. 8263, la quale ha disposto che “la responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei figli minori ai sensi dell’art. 2048 c.c. può concorrere con quella degli stessi minori fondata sull’art. 2043 c.c. se capaci di intendere e di volere”, in Giust. Civ. Mass., 1996, p. 1278];

D) conclusivamente, se l’autore del fatto illecito e lesivo sia capace di intendere e di volere e capace d’agire – si fa riferimento, dunque, all’ipotesi del minore emancipato che ha contratto matrimonio o direttamente del maggiore di età – questi sarà l’unico responsabile per gli illeciti commessi.

Chiarito il quadro normativo di riferimento al quale riferirsi nel caso di illeciti commessi da minori attraverso condotte bullistiche nei confronti di coetanei, va segnalato – sebbene la circostanza dovrà essere ampiamente approfondita [Sui profili giuridici del Bullismo si veda il testo “Bullismo, tutela giuridica alla luce della Direttiva Ministeriale n. 16/2007”, HALLEY ed. 2007] – che le norme di riferimento sono quelle contenute agli artt. 2047, 2048 e 2049 c.c..

Lasciando da parte i dibattiti in ordine all’esatta qualificazione di tali disposizioni che, da buona parte della dottrina sono state definite di responsabilità cd. indiretta, mentre da altri più coraggiosamente ritenute “per fatto altrui” o “oggettiva” e, infine, di “responsabilità vicaria”, si tratterà di verificare se, allo stato, attraverso l’applicazione delle disposizioni richiamate sia possibile rispondere fermamente, e soprattutto efficacemente, alle richieste di tutela dei minori lesi da coetanei nell’ambito di condotte prevaricatrici e vessatorie.

Deve conclusivamente essere evidenziato che il fenomeno del bullismo, valutate la particolarità dei soggetti che prendono parte a tali fattispecie, richiede, per sua natura, che intervengano a supporto forme di responsabilità per fatto altrui. Nonostante ciò, i soggetti che rispondono per una imputazione cd. per fatto altrui, non sono chiamati unicamente in ragione del ruolo organizzativo svolto, come è unicamente nel caso di cui all’art. 2049 c.c., ma più frequentemente per omessa sorveglianza discendente dalla legge o da altro titolo, quale ad esempio una educazione non confacente o del tutto carente.

Non è di poco conto, se si presta attenzione, svolgere siffatte considerazioni, soprattutto se si considera che la legittimazione processuale nei casi di soggetti incapaci d’agire subisce deroghe importanti che possono condizionare addirittura il buon esito della domanda di ristoro dei soggetti lesi, o da parte dei loro rappresentanti legali.

Sarà, dunque, necessario applicare forme di responsabilità che si possono definire complesse, sia per la necessaria sussistenza di una pluralità di circostanze per la loro operatività, sia la peculiarità della prova liberatoria loro sottesa e, non da ultimo, per il fatto che generalmente individuano soggetti totalmente estranei alle dinamiche causative del danno e che di regola non sarebbero chiamati a rispondere.

Scopo principale della responsabilità per fatto altrui, quindi, è offrire la possibilità di garantire al soggetto leso di conseguire con maggior probabilità il ristoro del danno patito, potendosi esso rivolgere nei confronti di più soggetti, o meglio di un soggetto più solvibile del minore che, nella maggior parte dei casi, è nullatenente.

Non è né la sede né tantomeno l’occasione di indugiare su un esame approfondito delle singole disposizioni di legge richiamate. Bastino le generali considerazioni svolte, non mancando di ricordare che sarebbe opportuno svolgere ulteriori specifiche argomentazioni sulla responsabilità dei genitori, insegnanti e, addirittura, dei Dirigenti scolastici [Per un’analisi esaustiva sul tema del bullismo dal punto di vista giuridico, si rinvia a ASCIONE, “Bullismo, tutela giuridica aggiornato alla Direttiva Ministeriale n. 16/2007”, Matelica (MC), 2007].

Sotto il profilo penale, invece, va rilevato che il bullismo, all’evidenza, materializza una devianza deliberatamente prevaricatrice dell’altrui personalità, in virtù dell’affermazione di una prepotenza certamente del tutto eccentrica rispetto a quanto viene richiesto anche dalle più comprensive regole esistenziali.

Non può non essere rilevato che tutti attendono un intervento immediato ed efficace del legislatore nei confronti di un fenomeno, quale quello del bullismo, che geneticamente possiede tutti i tipici germi della devianza violenta ovvero minatoria, in totale controtendenza con l’esigenza di sempre maggiore maturazione del senso civico.

Le cronache di questi ultimi anni sono sistematicamente testificatrici della violenza di gruppo esprimentesi nella commissione di delitti a sfondo sessuale ovvero di regolamenti di conto tra bande rivali.

Il bullismo, di per sé, non è sempre tutto ciò, ma il discrimine è minimo, e se anche il bullismo non sia sempre tutto ciò, occorre riflettere circa la ragione per la quale tale forma di prevaricazione possa essere penalmente non significativa, mentre continua ad esserlo il piccolo insignificante illecito appropriativo di una cosa qualsiasi, così come più sopra esemplificativamente ricordato.

Ciò premesso, va chiarito che non tutti i reati commessi da minori denotano un comportamento connotato da atteggiamenti di bullismo.

Pertanto in primo luogo è necessario circoscrivere gli elementi caratterizzanti della condotta per identificare tra tutti i reati astrattamente commettibili da minori quali possono ascriversi al fenomeno del bullismo e quali, invece, pur presentando caratteristiche esecutive simili non si ritiene debbano essere catalogati come espressione di bullismo.

Solo successivamente a tali valutazioni, tuttavia, ci si scontrerà con la particolare disciplina del processo minorile e le specifiche caratteristiche di questo, ancor più orientato rispetto al procedimento ordinario al reinserimento del minore reo e, quindi, fortemente condizionato nell’applicazione di severe misure interdittive e cautelari.

Recentemente è stata istituita presso il Ministero della Pubblica Istruzione una Commissione che analizzerà i profili giuridici ed operativi di tale importante fenomeno e, con buona probabilità, a breve potremmo finalmente assistere ad una normativa che si ponga quantomeno al passo con quella dei vicini paesi europei.

Tra le varie tipologie di danni che possono venire in considerazione nello svolgimento di attività scolastiche, ricomprendendo in esse, quindi, tanto i momenti di lezione in classe quanto le parentesi extrascolastiche quali, tra tutte, i momenti delle cd. “gite”, non possono essere trascurati i danni derivanti da condotte cd. bullistiche.

È pur vero che attualmente manca una precisa legislazione che disciplini i danni provocati da adolescenti nei confronti di coetanei attraverso condotte prevaricatrici e vessatorie; tuttavia, la dottrina ha cercato, e tuttora sta cercando, di riempire un siffatto vuoto normativo applicando per analogia la normativa in materia di mobbing.

È chiaro, infatti, che si tratterà di adattare quest’ultima disciplina – anch’essa diretta a reprimere vessazioni, sebbene di diversa natura – di matrice più che altro giurisprudenziale, ai fenomeni di bullismo tra adolescenti; non esistendo allo stato una norma che disciplini dettagliatamente le conseguenze civilistiche che discendono da tali condotte, dovrà farsi riferimento a casi analoghi e, per l’appunto, per i fenomeni di bullismo medesima ratio si rinviene nel cd. mobbing.

A conferma della riconosciuta identità di ratio esistente tra i casi di mobbing e di bullismo, la primissima dottrina che si è occupata di tali ultimi fenomeni ha qualificato le condotte bullistiche come “mobbing adolescenziale” ovvero “mobbing in età evolutiva”.

Negli ultimi tempi, invero, abbiamo assistito ad eclatanti episodi di cronaca giudiziaria che hanno visto come protagonisti ragazzi violenti che, approfittando della loro posizione di superiorità, rappresentata dall’età, forza fisica o addirittura dal sesso, hanno compiuto atti aventi natura prevaricatrice e persecutoria nei confronti di coetanei-deboli, anch’essi in età adolescenziale, che, per le loro caratteristiche fisiche o psicologiche, sono più inclini alla vittimizzazione e non sanno, o non possono, difendersi adeguatamente.

Ora, volendo considerare innanzitutto le conseguenze civilistiche discendenti dalle più svariate manifestazioni di bullismo, l’analisi del problema non può prescindere da un suo inquadramento sistematico nell’ampio schema dell’illecito civile, in particolar modo extracontrattuale.

Come noto al lettore, l’illecito contrattuale, o meglio aquiliano, si fonda sulla clausola generale di ingiustizia del danno, espressione dell’imperativo, anch’esso generale, del neminem laedere.

Tale richiamata tipologia di responsabilità sussiste ogni qualvolta concorrono tre elementi, ovverosia: dal lato oggettivo fatto materiale e antigiuridicità; dal punto di vista soggettivo, la colpevolezza dell’autore dell’illecito.

Proprio la colpevolezza, intesa quale imputabilità colpevole all’autore del fatto lesivo, rappresenta l’elemento fondamentale per affrontare un’indagine che miri a valutare le possibili responsabilità da condotte bullistiche.

A questo proposito viene in considerazione l’art. 2046 c.c., il quale pone una regola fondamentale del nostro ordinamento – e di eccezionale rilevanza per i casi di bullismo – per la quale chiunque è autore di un fatto lesivo risponde esclusivamente nei limiti in cui è in grado di comprendere la portata ed il del significato della propria condotta, purché lo stato di incapacità non derivi da sua colpa.

Da tale indicazione discende un’importante conseguenza: anche il minore, se capace di intendere di volere, può essere chiamato a rispondere degli atti compiuti in danno a terzi.

Il quadro che può delinearsi nel caso di danni commessi da minori nei confronti di propri compagni e nell’ambito di condotte cd. vessatorie o prevaricatrici è davvero variegato:

A) se il minore ha compiuto il fatto in uno stato di incapacità di intendere o di volere non risponde dei danni arrecati a terzi ai sensi dell’art. 2046 c.c.;

• in mancanza di imputabilità, tuttavia, il nostro ordinamento viene in soccorso del danneggiato individuando comunque un soggetto che potremo definire “patrimonialmente responsabile”. Ecco che in questo caso viene in considerazione innanzitutto la norma di cui all’art. 2047 c.c., che pone una responsabilità sostitutiva in capo a colui che era tenuto alla sorveglianza dell’incapace (cd. culpa in vigilando);

B) nel caso in cui, invece, il minore autore del danno debba considerarsi capace di intendere e di volere, esso risponde dei danni arrecati ai terzi;

• in questa seconda ipotesi, il legislatore ha stabilito una fondamentale distinzione, non tanto relativamente alla capacità naturale, quanto piuttosto con riferimento alla capacità d’agire: viene quindi in soccorso la norma di cui all’art. 2048 c.c., la quale individua, in capo ai genitori e al tutore, un titolo di responsabilità civile per i danni cagionati dai figli minori non emancipati o dalle persone soggette alla tutela che abitano con essi;

C) nel caso di illeciti civili compiuti da minori o interdetti, ancorché capaci di intendere e di volere, questi rispondono del fatto in concorso (ex art. 2055 c.c.) con i genitori o il tutore [In tal senso Cass. Civ., sez. III, 13 settembre 1996, n. 8263, la quale ha disposto che “la responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei figli minori ai sensi dell’art. 2048 c.c. può concorrere con quella degli stessi minori fondata sull’art. 2043 c.c. se capaci di intendere e di volere”, in Giust. Civ. Mass., 1996, p. 1278];

D) conclusivamente, se l’autore del fatto illecito e lesivo sia capace di intendere e di volere e capace d’agire – si fa riferimento, dunque, all’ipotesi del minore emancipato che ha contratto matrimonio o direttamente del maggiore di età – questi sarà l’unico responsabile per gli illeciti commessi.

Chiarito il quadro normativo di riferimento al quale riferirsi nel caso di illeciti commessi da minori attraverso condotte bullistiche nei confronti di coetanei, va segnalato – sebbene la circostanza dovrà essere ampiamente approfondita [Sui profili giuridici del Bullismo si veda il testo “Bullismo, tutela giuridica alla luce della Direttiva Ministeriale n. 16/2007”, HALLEY ed. 2007] – che le norme di riferimento sono quelle contenute agli artt. 2047, 2048 e 2049 c.c..

Lasciando da parte i dibattiti in ordine all’esatta qualificazione di tali disposizioni che, da buona parte della dottrina sono state definite di responsabilità cd. indiretta, mentre da altri più coraggiosamente ritenute “per fatto altrui” o “oggettiva” e, infine, di “responsabilità vicaria”, si tratterà di verificare se, allo stato, attraverso l’applicazione delle disposizioni richiamate sia possibile rispondere fermamente, e soprattutto efficacemente, alle richieste di tutela dei minori lesi da coetanei nell’ambito di condotte prevaricatrici e vessatorie.

Deve conclusivamente essere evidenziato che il fenomeno del bullismo, valutate la particolarità dei soggetti che prendono parte a tali fattispecie, richiede, per sua natura, che intervengano a supporto forme di responsabilità per fatto altrui. Nonostante ciò, i soggetti che rispondono per una imputazione cd. per fatto altrui, non sono chiamati unicamente in ragione del ruolo organizzativo svolto, come è unicamente nel caso di cui all’art. 2049 c.c., ma più frequentemente per omessa sorveglianza discendente dalla legge o da altro titolo, quale ad esempio una educazione non confacente o del tutto carente.

Non è di poco conto, se si presta attenzione, svolgere siffatte considerazioni, soprattutto se si considera che la legittimazione processuale nei casi di soggetti incapaci d’agire subisce deroghe importanti che possono condizionare addirittura il buon esito della domanda di ristoro dei soggetti lesi, o da parte dei loro rappresentanti legali.

Sarà, dunque, necessario applicare forme di responsabilità che si possono definire complesse, sia per la necessaria sussistenza di una pluralità di circostanze per la loro operatività, sia la peculiarità della prova liberatoria loro sottesa e, non da ultimo, per il fatto che generalmente individuano soggetti totalmente estranei alle dinamiche causative del danno e che di regola non sarebbero chiamati a rispondere.

Scopo principale della responsabilità per fatto altrui, quindi, è offrire la possibilità di garantire al soggetto leso di conseguire con maggior probabilità il ristoro del danno patito, potendosi esso rivolgere nei confronti di più soggetti, o meglio di un soggetto più solvibile del minore che, nella maggior parte dei casi, è nullatenente.

Non è né la sede né tantomeno l’occasione di indugiare su un esame approfondito delle singole disposizioni di legge richiamate. Bastino le generali considerazioni svolte, non mancando di ricordare che sarebbe opportuno svolgere ulteriori specifiche argomentazioni sulla responsabilità dei genitori, insegnanti e, addirittura, dei Dirigenti scolastici [Per un’analisi esaustiva sul tema del bullismo dal punto di vista giuridico, si rinvia a ASCIONE, “Bullismo, tutela giuridica aggiornato alla Direttiva Ministeriale n. 16/2007”, Matelica (MC), 2007].

Sotto il profilo penale, invece, va rilevato che il bullismo, all’evidenza, materializza una devianza deliberatamente prevaricatrice dell’altrui personalità, in virtù dell’affermazione di una prepotenza certamente del tutto eccentrica rispetto a quanto viene richiesto anche dalle più comprensive regole esistenziali.

Non può non essere rilevato che tutti attendono un intervento immediato ed efficace del legislatore nei confronti di un fenomeno, quale quello del bullismo, che geneticamente possiede tutti i tipici germi della devianza violenta ovvero minatoria, in totale controtendenza con l’esigenza di sempre maggiore maturazione del senso civico.

Le cronache di questi ultimi anni sono sistematicamente testificatrici della violenza di gruppo esprimentesi nella commissione di delitti a sfondo sessuale ovvero di regolamenti di conto tra bande rivali.

Il bullismo, di per sé, non è sempre tutto ciò, ma il discrimine è minimo, e se anche il bullismo non sia sempre tutto ciò, occorre riflettere circa la ragione per la quale tale forma di prevaricazione possa essere penalmente non significativa, mentre continua ad esserlo il piccolo insignificante illecito appropriativo di una cosa qualsiasi, così come più sopra esemplificativamente ricordato.

Ciò premesso, va chiarito che non tutti i reati commessi da minori denotano un comportamento connotato da atteggiamenti di bullismo.

Pertanto in primo luogo è necessario circoscrivere gli elementi caratterizzanti della condotta per identificare tra tutti i reati astrattamente commettibili da minori quali possono ascriversi al fenomeno del bullismo e quali, invece, pur presentando caratteristiche esecutive simili non si ritiene debbano essere catalogati come espressione di bullismo.

Solo successivamente a tali valutazioni, tuttavia, ci si scontrerà con la particolare disciplina del processo minorile e le specifiche caratteristiche di questo, ancor più orientato rispetto al procedimento ordinario al reinserimento del minore reo e, quindi, fortemente condizionato nell’applicazione di severe misure interdittive e cautelari.

Recentemente è stata istituita presso il Ministero della Pubblica Istruzione una Commissione che analizzerà i profili giuridici ed operativi di tale importante fenomeno e, con buona probabilità, a breve potremmo finalmente assistere ad una normativa che si ponga quantomeno al passo con quella dei vicini paesi europei.