Il contributo annuale al Consiglio dell’Ordine: disciplina, natura e conseguenze del suo mancato versamento
INDICE
1. Il contributo annuale ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati
2. La natura del contributo
3. La sanzione amministrativa
4. Il regime pubblicitario della sanzione
Abstract
Il versamento del contributo annuale ai Consigli dell’Ordine, al quale è stata riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità “natura tributaria”, costituisce per gli avvocati condizione per il legittimo esercizio della professione.
1. Il contributo annuale ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati
In virtù dell’articolo 29, comma 3, lett. a), della Legge 31 dicembre 2012, n. 242 (c.d. Ordinamento della professione forense), per provvedere alle spese di gestione e a tutte le attività indicate nel citato articolo e ad ogni altra attività ritenuta necessaria per il conseguimento dei fini istituzionali, per la tutela del ruolo dell’avvocatura nonché per l’organizzazione di servizi per l’utenza e per il miglior esercizio delle attività professionali, il Consiglio “è autorizzato […] a fissare e riscuotere un contributo annuale o contributi straordinari da tutti gli iscritti a ciascun albo, elenco o registro…”. Il successivo comma 5, inoltre, precisa che “il consiglio provvede alla riscossione dei contributi di cui alla lettera a) del comma 3 e di quelli dovuti al CNF, anche ai sensi del testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858, mediante iscrizione a ruolo dei contributi dovuti per l’anno di competenza”.Il sistema normativo, dunque, riconosce al Consiglio dell’Ordine locali una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che l’iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità di scegliere se versare o meno il contributo annuale, al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all’ordine. Siffatto “contributo” è stato qualificato dalla giurisprudenza di legittimità come “quota associativa” rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto l’iscrizione all’albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della professione (cfr. Cass. civ., Sezioni Unite, 26 gennaio 2011 n. 1782, in Ius&Lex dvd n. 2/2014), il cui importo è commisurato alle spese di gestione e a tutte le attività indicate nel citato articolo 29 della L. n. 242 del 2012 e ad ogni altra attività ritenuta necessaria per il conseguimento dei fini istituzionali, per la tutela del ruolo dell’avvocatura nonché per l’organizzazione di servizi per l’utenza e per il miglior esercizio delle attività professionali ed è fissato in misura tale da garantire il pareggio di bilancio del Consiglio (art. 29, comma 4, L. n. 242 del 2012).
2. La natura del contributo
Il contributo dovuto dagli iscritti al Consiglio dell’Ordine si configura, quindi, come una prestazione connessa alla pura iscrizione all’albo, elenco o registro, rispetto al quale il dato dell’effettivo svolgimento della professione rimane indifferente.Ne consegue che tale contributo ha “natura tributaria” (cfr. Cass. civ. n. 1782/2011 cit.), ma ciò “non comporta che la questione concernente l’incidenza del mancato pagamento dello stesso sul diritto del professionista al mantenimento dell’efficacia dell’iscrizione si risolva in una controversia che debba essere devoluta alla giurisdizione del giudice tributario: ciò che viene in discussione, infatti, è l’accertamento della sussistenza delle condizioni per l’iscrizione all’albo e per poter esercitare la professione, non anche la legittimità della pretesa del pagamento del contributo previsto dalla legge quale onere gravante sul professionista per effetto dell’iscrizione all’albo, sicché si rimane nell’ambito di questioni che rientrano appieno nella competenza dei Consigli dell’ordine e, in sede di impugnazione, del Consiglio nazionale forense, non essendo in alcun modo predicabile la giurisdizione del giudice tributario” (in questi termini, Cass. civ., Sezioni Unite, 24 marzo 2017 n. 7666, in www.italgiure.giustizia.it).
3. La sanzione amministrativa
L’iscritto che non versa nei termini stabiliti il contributo annuale è soggetto alla sanzione amministrativa della sospensione a tempo indeterminato dall’esercizio della professione, previa contestazione dell’addebito e sua personale convocazione (art. 29 L. 247/2012), inflitta con provvedimento non avente natura disciplinare ma comunque adottata secondo le forme del procedimento disciplinare (art. 29, comma 6, L. n. 242 del 2012).
L’applicazione della misura restrittiva della sospensione a tempo indeterminato per il caso del mancato adempimento dell’obbligo di contribuzione dell’iscritto all’albo in favore del Consiglio dell’Ordine discende, dunque, dalla mera situazione di morosità nella quale l’avvocato si trovi a versare, indipendentemente dall’accertamento della volontarietà o meno della condotta omissiva.
La sanzione che il Consiglio territoriale deve infliggere all’iscritto moroso non ha, però, natura disciplinare in quanto il potere disciplinare di primo grado appartiene ai Consigli distrettuali di disciplina forense. Tuttavia, il legislatore ha statuito che la sua adozione avvenga comunque secondo le forme del procedimento disciplinare al solo scopo di tutelare sia il principio del contraddittorio sia il diritto di difesa prima che la stessa possa, eventualmente, essere inflitta.
Secondo quanto chiarito di recente dalle Sezioni Unite della Cassazione, detto provvedimento è dotato di efficacia immediata e priva, fin dal momento della sua adozione, l’avvocato che ne venga colpito, del diritto di esercitare la professione, senza che, con riferimento ad esso, possa ritenersi realizzabile l’effetto sospensivo – correlato all’impugnazione dinanzi al Consiglio nazionale forense – previsto, per i provvedimenti applicativi di altre e diverse sanzioni disciplinari, dall’art. 50 comma sesto del R.D.L. n. 1578 del 1933” (Cass. civ. n. 7666/2017 cit.; in senso analogo, in precedenza, Cass. civ., Sezioni Unite, 19 maggio 2004 n. 9491, in www.codicedeontologico-cnf.it; in senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (CNF), 29 dicembre 2015 n. 227 e 23 luglio 2015 n. 124, in www.codicedeontologico-cnf.it).
Da ciò consegue l’illegittimità di un eventuale reclamo proposto in proprio, dinanzi al Consiglio nazionale forense, dall’avvocato sospeso, avverso il provvedimento disciplinare adottato dal locale Consiglio dell’ordine.
4. Il regime pubblicitario della sanzione
Con riferimento, infine, al regime di eventuale pubblicità interna del provvedimento di sospensione inflitto, secondo il parere espresso dal Consiglio Nazionale Forense trovano applicazione gli adempimenti previsti dall’art. 62, comma 5, della L. n. 247 del 2012, secondo cui della sanzione ne è data comunicazione ai capi degli uffici giudiziari del distretto ove ha sede il consiglio dell’ordine competente per l’esecuzione, ai presidenti dei consigli dell’ordine del relativo distretto e a tutti gli iscritti agli albi e registri tenuti dal consiglio dell’ordine stesso, “atteso che gli effetti inibitori dell’anzidetto provvedimento non differiscono da quelli propri della sospensione disciplinare” (così, CNF parere 10 dicembre 2014 n. 108, in www.codicedeontologico-cnf.it).
La sospensione, comunque, cessa nel momento in cui l’iscritto abbia provveduto al pagamento (art. 29, comma 6, ultimo periodo, L. n. 242 del 2012).
Infine, si rammenta che il versamento del contributo annuale costituisce anche un dovere deonotologico (artt. 16, comma 3, e 70, comma 4, del Codice deontologico forense), la cui violazione comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura (art. 70, comma 7, del Codice deontologico forense).