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Il danno da procreazione

quando la vita diventa fonte di sofferenza
Procreazione
Procreazione

Abstract: Il danno da procreazione coinvolge le situazioni giuridiche di numerosi soggetti, non solo del concepito; spesso dottrina e giurisprudenza si sono manifestate incerte nel prendere una posizione definita a causa della complessità della fattispecie. La vita va sempre tutelata, anche quando sia fonte di sofferenze? Questo è il quesito che ha da sempre mosso gli studiosi della materia, posti di fronte ad individui costretti ad affrontare quotidianamente innumerevoli difficoltà.

Abstract: The damage from procreation involves the legal situations of numerous subjects, not only of the conceived; Doctrine and jurisprudence have often shown themselves uncertain in taking a definite position due to the complexity of the case. Should life always be protected, even when it is a source of suffering? This is the question that has always moved scholars of the matter, faced with individuals forced to face countless difficulties daily.

 

Indice:

1. La tutela del concepito

2. Il danno da procreazione

3. Il caso di piacenza

4. Conclusioni

 

1. La tutela del concepito

Il nostro legislatore ha dedicato diverse norme alla tutela del concepito, riconoscendo ad esso, anche indirettamente, fondamentali tutele inalienabili (articolo 2 della Costituzione che tutela i diritti fondamentali ed inviolabili dell’uomo; articolo 32 della Costituzione che tutela il diritto alla salute).

Il concepito è oggetto di tutela e in quanto tale viene garantito nei suoi interessi fondamentali, ma la sua tutela dev’essere determinata con particolare attenzione; nella tutela del nascituro entrano infatti in gioco innumerevoli fattori, circostanze tra loro molto diverse; la scienza medica e la società evolvono costantemente, modificando aspetti essenziali della fattispecie, e con il loro fondamentale contributo è spesso necessario mettere tutto nuovamente in discussione.

L’ordinamento è sempre orientato alla tutela della vita (così come, apparentemente in modo paradossale, viene precisato anche nella legge 194/1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza), quindi anche alla tutela del concepito finalizzata alla nascita di un individuo sano.

 

2. Il danno da procreazione

I problemi insorgono nel momento in cui si contestualizza la tutela del concepito e il suo diritto a nascere sano in un sistema nel quale vi sono diversi interessi di altri soggetti direttamente coinvolti, che possono essere con esso contrastanti. Una situazione tipica che può porsi in questi termini concerne certamente il caso in cui i genitori siano portatori di malattie genetiche che saranno quindi, con variabile probabilità, trasmesse al nascituro. I diritti che inevitabilmente collidono sono il diritto a nascere sano del concepito ed il diritto alla procreazione dei genitori.

Il diritto alla procreazione è un diritto fondamentale della personalità dell’individuo e come tale, non solo inviolabile, ma il cui esercizio non può dar luogo ad un fatto illecito. Il diritto alla procreazione quindi non può in alcun modo essere negato o limitato, neanche quando ciò comporti la nascita di un individuo non sano; in caso contrario l’apparente interesse alla tutela della vita da parte dell’ordinamento, celerebbe in realtà una filosofia volta alla non vita, preferendo la non vita ad una vita “viziata” e limitando la libertà procreativa dei soggetti.

L’alternativa a nascere con un’infermità, non è nascere sani, ma non nascere, e questo non è mai ammissibile nel nostro sistema giuridico. Per dottrina e giurisprudenza ormai consolidate infatti non esiste alcun diritto a non nascere se non sani (si veda a tal proposito Cass., SS.UU., 22.12.2015, n. 25767). Il nostro ordinamento predilige la vita in ogni circostanza, non ammettendo la soluzione dell’aborto quale conseguenza del mero stato di salute viziato del concepito. La logica di un paradossale diritto a non nascere se non sani prevedrebbe l’evitabilità del danno da procreazione accedendo alle tecniche di interruzione volontaria della gravidanza, applicando quindi la logica che si applica alla donna in tema di aborto, ma al concepito.

I casi di danno da procreazione sono caratterizzati dal fatto che è lo stesso soggetto danneggiato ad agire autonomamente o, più spesso, rappresentato in giudizio dai genitori. Egli si pone come titolare di un’azione destinata all’ottenimento del risarcimento del danno per essere venuto al mondo con gravi malformazioni e deficit: il danno finisce col combaciare con la stessa esistenza.

Ciò che può considerarsi alla base dei diversi punti di vista in materia, è certamente la concezione che si ha della vita, ossia se essa sia sempre e comunque un bene da proteggere a prescindere dalla qualità con la quale si determina.

Pacificamente si ritiene che non sia risarcibile il danno che si sia determinato per effetto del concepimento medesimo in quanto il danno origina dallo stesso fatto da cui origina la vita; ammettendo una tutela di questo tipo si comporterebbe in via indiretta un’ammissione della fondatezza di un diritto a non nascere.

La decisione consapevole, quindi nel caso in cui la madre sia pienamente a conoscenza dello stato patologico che affligge il nascituro, di dare la vita ad un individuo affetto da invalidità, non può mai essere considerata in termini di ingiustizia del danno, di fatto colposo, in quanto da tale scelta origina la vita, tutelata in ogni sua forma e aspetto.

 

3. Il caso di piacenza

Il Tribunale di Piacenza nel 1950 (Trib. Piacenza 31 luglio 1950) propone un innovativo punto di vista in materia. Una giovane donna, nata con lue congenita, chiedeva il risarcimento del danno nei confronti dei propri genitori per averla concepita nonostante avessero la consapevolezza della malattia e della sua ereditarietà. In quel contesto il Tribunale di Piacenza intraprese un percorso totalmente nuovo ma anche molto pericoloso; decise infatti di riconoscere in capo all’attrice la legittimazione all’azione risarcitoria nei confronti dei genitori, andando a costituire un precedente nel riconoscere il diritto del figlio al risarcimento del danno per essere venuto al mondo con delle infermità trasmesse, in maniera consapevole, dai propri genitori. il Tribunale manifesta una rinnovata sensibilità per il tema del danno da procreazione. L’interesse del giudice si è soffermato sulle sofferenze che l’attrice ha patito e sarà costretta a patire, non solo fisiche ma anche psicologiche, a causa della qualità della sua vita.

Estremizzando i principi dell’ordinamento si è giunti a questa pronuncia che considera responsabili i genitori dell’attrice di aver generato, con piena consapevolezza, un individuo infermo, destinato a patire: la vita, sempre momento positivo di sviluppo e crescita, diviene un intollerabile percorso costellato di ostacoli e sofferenze.

Se non che, ampliando appena la prospettiva, si realizza immediatamente la distorsione concettuale operata dal giudice, in quanto è vero che i genitori hanno trasmesso la patologia alla propria figlia con il concepimento, ma è anche vero che il concepimento, fonte del contagio, è anche l’origine della vita; senza l’atto che genera il danno, il concepimento per l’appunto, non sarebbe venuto ad esistenza neanche il soggetto danneggiato. Sorge qui il primo fondamentale problema: si può pensare di condannare l’atto che ha portato alla vita, qualora esso abbia danneggiato il concepito?

Tale questione è quella che ha smosso il giudice del Tribunale di Piacenza (il Giudice, in un importante passo della pronuncia, infatti afferma: “la vita è un grande dono, un immenso dono. Ora il trasmettere attraverso la generazione una condizione morbosa che questo grande dono trasformi in una immensa infelicità è illecito, contrario al diritto, contrario al comportamento della persona quale le è imposto dall’ordinamento giuridico che la riconosce e la eleva”).

L’evoluzione della giurisprudenza ha portato a ritenere che non sia possibile ravvisare una legittimazione all’azione risarcitoria del figlio nei confronti dei genitori in casi analoghi a quello trattato a Piacenza nel 1950, per varie ragioni: l’inviolabile diritto a procreare in capo ai genitori, che, accogliendo la tesi del Tribunale di Piacenza, dovrebbe quindi essere limitato o vietato nei casi in cui ci sia la possibilità di trasmettere patologie; l’impossibilità di ravvisare un diritto a non nascere se non sani (oltre alla sentenza Cass., SS. UU. 25767/2015, si veda anche Cass. Civ., 29.7.2004, n. 14488, Cass. Civ., 11.5.2009, n. 10741, Cass. Civ., 2.10.2012, n. 16754).

Tale sentenza, pur essendo stata oggetto di forti critiche e le cui concezioni possono ormai ritenersi superate, è stata fondamentale nello studio del danno da procreazione, in quanto ha aperto uno spiraglio su questioni delle quali fino ad allora, anche per ragioni socio-culturali, si discuteva con grande timore e difficoltà.

 

4. Conclusioni

L’intera funzione di questa disciplina è quella di evitare di abbandonare un soggetto, lasciarlo inerme, a fronteggiare le difficoltà personali e sociali causate da una menomazione che ha origine in una fase nella quale l’individuo stesso era estremamente vulnerabile. L’intervento del legislatore è quindi volto a far sì che il concepito, comunque, una volta venuto al mondo, possa godere di tutte le tutele necessarie a far sì che la qualità della sua vita possa essere la migliore auspicabile.

LETTURE CONSIGLIATE:

  • G. BALDINI - G. CASSANO, Biblioteca di diritto di famiglia, Persona, biotecnologie e procreazione, XIII, Milanofiori, Assago, 2002.
  • A. PINNA, Nascere sani o non nascere: la Cassazione nega l’esistenza di un tale diritto, in Contratto e impresa, 2005, fasc. 1.
  • G. FERRANDO, Biblioteca giuridica, XXV – Libertà, responsabilità e procreazione, XIX, Padova, 1999.
  • S. PATTI, Pubblicazione della facoltà di giurisprudenza, Università di Sassari. Serie Giuridica., II-Famiglia e Responsabilità Civile, Milano, 1984.
  • P. RESCIGNO, Derive, IX – Danno da procreazione e altri scritti tra etica e diritto, XI, Milano, 2006.