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La famiglia secondo papa Giovanni Paolo II e papa Francesco

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Ph. Arbër Arapi / viaggio

Dati i crescenti problemi delle famiglie non solo cristiane, i papi degli ultimi decenni hanno rivelato ancor di più sensibilità per la famiglia e ogni suo membro scrivendo pagine ricche di spunti, anche di natura giuridica. Tra questi Giovanni Paolo II e papa Francesco, provenienti da realtà geografiche lontane e piuttosto difficili in cui, però, la famiglia è stata sempre importante.

Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica “Mulieris dignitatem” (15 agosto 1988, n. 7), scrive: “Nell’«unità dei due» l’uomo e la donna sono chiamati sin dall’inizio non solo ad esistere «uno accanto all’altra» oppure «insieme», ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente «l’uno per l’altro»”. La realtà è sempre più popolata da coppie i cui componenti sono uno accanto all’altra, ma non l’uno per l’altra. Così come c’è diversità (e non “divergenza” che, alla lunga, porta al “divorzio”) tra essere l’uno con l’altra, l’uno e l’altra e l’uno è l’altra. Nella disciplina codicistica (articoli 143 e ss. codice civile) si parla di “coniugi” e non di “coppia”, perché i due, pur uniti dal coniugio (etimologicamente “insieme con il giogo”), conservano la loro individualità. È importante intendersi sulle parole e sul loro senso (con-senso) e significato perché anche su questo si basa la comunicazione di coppia.

“Le parole del consenso matrimoniale definiscono ciò che costituisce il bene comune della coppia e della famiglia. Anzitutto, il bene comune dei coniugi: l’amore, la fedeltà, l’onore, la durata della loro unione fino alla morte: «per tutti i giorni della vita». Il bene di entrambi, che è al tempo stesso il bene di ciascuno, deve diventare poi il bene dei figli. Il bene comune, per sua natura, mentre unisce le singole persone, assicura il vero bene di ciascuna” (Giovanni Paolo II nella Lettera alle famiglie del 2 febbraio 1994, n. 10, in occasione del 1994 anno della famiglia). Elemento fondamentale del matrimonio è il consenso, come si legge nell’articolo 16 par. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nei codici. Il consenso matrimoniale è prendere un impegno non solo per sé ma anche e soprattutto per gli altri, in primo luogo i figli. Non è una formalità ma cambiare il corso della propria vita e quella delle persone che più contano nella vita, a cominciare dai propri genitori che diventano affini del proprio coniuge e per i quali è dovuto il rispetto (poiché l’affetto non si può obbligare) e l’approccio senza pregiudizi e barriere o convenzioni sociali.

La famiglia si basa sulla “verità”, etimologicamente da “credere, scegliere, volere”. Una coppia non può stare insieme solo per provare o provare a fare un figlio per continuare a stare insieme. “La famiglia non può vivere senza verità, anzi essa è il luogo in cui esiste una sensibilità estrema per la verità. Se manca la verità nella relazione, nella comunione delle persone - marito, moglie, padri, madri, figli - se manca la verità si rompe la comunione, si distrugge la missione. Voi tutti sapete bene come questa comunione della famiglia sia veramente sottile, delicata, facilmente vulnerabile. […] La famiglia è in missione, e questa missione è fondamentale per ogni popolo, per l’umanità intera; è la missione dell’amore e della vita, è la testimonianza dell’amore e della vita” (Giovanni Paolo II il 30 dicembre 1988 a Porto San Giorgio, Ascoli Piceno). Parole che riecheggiano quelle della definizione di famiglia nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “Convinti che la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri debba ricevere l’assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità”.

La famiglia può essere considerata un orto didattico, dove si coltiva con amore e ci si educa all’amore. “[…] l’amore crea l’onore, la stima reciproca, la cura premurosa, sia nel rapporto dei figli verso i genitori, sia in quello dei genitori verso i figli, e soprattutto nel rapporto fra i coniugi. In questo modo il matrimonio e la famiglia diventano quell’ambiente educativo, che è assolutamente insostituibile: il primo e fondamentale e più consistente ambiente umano […]. Si può dire che nella famiglia anche l’educazione diventa, in modo spesso inavvertito, un’autoeducazione, perché una sana comunità familiare permette di per sé lo sviluppo normale di ogni persona che la compone” (Giovanni Paolo II il 29 dicembre 1985 a Roma). La famiglia si distingue dagli altri gruppi perché coniuga in sé amore, vita e educazione. “Famiglia”, “fa miglia”: la famiglia fa miglia nella vita di ciascuno e nella vita di tutti.

“[…] la famiglia è anche la scuola perché i primi insegnamenti li riceviamo nella famiglia e poi, ottenuti questi primi insegnamenti, andiamo a scuola perché la famiglia ha bisogno di essere aiutata per la nostra formazione, per la nostra educazione. In tanti campi non possono essere i nostri genitori specialisti per tutte le materie, devono portare i loro figli a scuola dove ci sono più insegnanti, maestri, professori per educarci, insegnarci queste diverse materie” (Giovanni Paolo II, ad Acilia, domenica 17 marzo 1991). Famiglia e scuola, insegnamento e educazione, vita e materie di vita: solo così sono efficaci. Non a caso nella Costituzione è disciplinata prima la famiglia e poi la scuola.

I genitori, con il loro generare e con le loro funzioni genitoriali, possono essere considerati “geniali costruttori di bellezza” (espressione coniata da Giovanni Paolo II rivolgendosi agli artisti nella sua Lettera del 4 aprile 1999). I genitori sono datori e latori di vita (“diritto innato alla vita”, articolo 6 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), promotori dell’ambiente familiare e dell’atmosfera di felicità, amore e comprensione necessari per il pieno ed armonioso sviluppo della personalità del fanciullo (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), responsabili dello sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale del fanciullo (articolo 27 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

La genitorialità è relazione tra i due genitori e dei genitori con i figli, è sostanziata dalla paternità e dalla maternità. “La maternità è relazione tra persona e persona: una madre non è madre soltanto del corpo o della creatura fisica uscita dal suo grembo, ma della persona che genera” (papa Giovanni Paolo II). La maternità è una relazione, primaria, esistenziale, essenziale, la relazione delle relazioni: è apertura alla vita e apre alla vita, accorpa la vita e accorda la vita. Non può essere possesso perché limiterebbe la vita.

Il pensiero di papa Francesco rimarca quello del papa polacco: “La madre, che protegge il bambino con la sua tenerezza e la sua compassione, lo aiuta a far emergere la fiducia, a sperimentare che il mondo è un luogo buono che lo accoglie, e questo permette di sviluppare un’autostima che favorisce la capacità di intimità e l’empatia. La figura paterna, d’altra parte, aiuta a percepire i limiti della realtà e si caratterizza maggiormente per l’orientamento, per l’uscita verso il mondo più ampio e ricco di sfide, per l’invito allo sforzo e alla lotta. Un padre con una chiara e felice identità maschile, che a sua volta unisca nel suo tratto verso la moglie l’affetto e l’accoglienza, è tanto necessario quanto le cure materne. Vi sono ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle circostanze concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara e ben definita delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla maturazione del bambino” (papa Francesco in “Amoris laetitia”, n. 175). Una pagina attuale e reale di pedagogia e psicologia e che tocca una questione sempre viva, discussa e discutibile: ruoli, compiti e figure nella famiglia. Una cosa è certa: i genitori devono trasmettere vita, fiducia e spinta verso la vita con l’apporto delle loro differenze e con chiarezza soprattutto in se stessi, come la chiarezza che caratterizza i bambini. 

“I bambini sono così: sorridono e piangono, due cose che in noi grandi spesso “si bloccano”, non siamo più capaci… Tante volte il nostro sorriso diventa un sorriso di cartone, una cosa senza vita, un sorriso che non è vivace, anche un sorriso artificiale, di pagliaccio. I bambini sorridono spontaneamente e piangono spontaneamente.  Dipende sempre dal cuore, e spesso il nostro cuore si blocca e perde questa capacità di sorridere, di piangere. E allora i bambini possono insegnarci di nuovo a sorridere e a piangere. Ma, noi stessi, dobbiamo domandarci: io sorrido spontaneamente, con freschezza, con amore o il mio sorriso è artificiale? Io ancora piango oppure ho perso la capacità di piangere? Due domande molto umane che ci insegnano i bambini” (papa Francesco nell’udienza generale in piazza San Pietro del mercoledì 18 marzo 2015). “Egli [il bambino] ha diritto alla spensieratezza, a ridere, al gioco, e anche a un avvenire professionale” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance, Parigi, giugno 2007). Si deve consentire al bambino di sperimentare e manifestare tutte le sue peculiarità, tra cui il ridere (secondo alcuni etimologi il verbo “ridere” ha la stessa origine di “stridere”, per cui è azionare i muscoli) e sorridere, perché possa crescere verso il futuro, perché solo un buon presente porta il futuro e al futuro, altrimenti si hanno ragazzi spenti, sospesi in una dimensione virtuale (dove ci sono portenti ma non c’è nessun portentoso) e senza sogni né speranze.