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Il delitto di rapina tra elementi oggettivi e soggettivi

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Il delitto di rapina tra elementi oggettivi e soggettivi

 

Abstract

Scopo dello scritto è quello di offrire, a mezzo di uno schema riassuntivo, una visione completa delle possibili variazioni dei profili soggettivi ed oggettivi della fattispecie astratta plurioffensiva disciplinata dall’art. 628 cp.

 

Premessa: il delitto di rapina come fonte inesauribile di risorse giuridiche

Il delitto di rapina ha sempre rappresentato, sin dalla sua introduzione, una fonte inesauribile di risorse per gli studiosi del diritto penale. E’ un delitto “delicato”, in quanto racchiude in sé tutto il diritto penale di parte generale. E’ un reato complesso ex lege che ha costituito terreno fertile per l’analisi di alcune sfaccettature in materia di delitto tentato, sfociate nella nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 34952 del 2012. E’ altresì un delitto plurioffensivo, in quanto capace di ledere sia la sfera psicofisica della vittima designata sia il suo patrimonio. E’ un delitto che ammette il concorso di persone nel reato tanto nella forma ordinaria quanto nella sua variante anomala ex art. 116 cp. E’ un delitto, dunque, sempre meritevole di grande attenzione.

 

Segue: il delitto di rapina nella giurisprudenza. Focus su Corte di cassazione, SSUU, n. 34952 del 2012

Volendo soffermare brevemente l’attenzione sul binomio rapina-delitto tentato (nuovamente, trattandosi, per chi scrive, del terzo contributo sul tema) prima di affrontare la complessa tematica del concorso di persone, può essere interessante riportare alcuni passaggi motivazionali espressi dalle Sezioni Unite.

Nel 2012 i Supremi Giudici hanno avuto modo di precisare che il delitto di rapina sia nella forma propria che in quella impropria, costituisce un tipico delitto di evento, suscettibile come tale di arrestarsi allo stadio del tentativo, qualora la sottrazione non si verifichi.

Proviamo ad esaminare per punti i passaggi motivazionali.

  1. “[…] si precisa che la violenza successiva alla sottrazione non sta a rappresentare, in questa prospettiva, un concetto di esaurimento “consumativo” del primo momento in cui si articola la condotta criminosa, ma intende normativamente sottolineare esclusivamente il profilo cronologico e funzionale che colloca quella condotta come un prius rispetto all'altra, lasciando inalterata l’applicabilità, a quella stessa condotta, degli ordinari principi in tema di tentativo (Sez. II, n. 19645 del 2008, cit.). […]”.

 

  1. “[…] L’orientamento minoritario prende le mosse da Sez. 5, n. 3796 del 12/07/1999, Jovanovic, Rv.  215102, che, per la prima volta, contrasta la consolidata giurisprudenza, aprendosi piuttosto alle argomentazioni della dottrina maggioritaria, seguendola nell'opposta direzione della non ipotizzabilità del tentativo di rapina aggravata in mancanza del presupposto dell'avvenuta sottrazione della cosa, dovendosi configurare, nel caso in cui l’agente, sorpreso prima di aver effettuato la sottrazione, usi violenza o minaccia al solo fine di fuggire o di procurarsi altrimenti l'impunità, un tentato furto in aggiunta ad altro autonomo reato che abbia come elemento costitutivo la violenza o la minaccia. Rimasta inizialmente del tutto isolata, detta tesi è stata, successivamente, seguita anche da [numerose altre pronunce], […]”.

     
  2. Tale ultimo orientamento, tuttavia, non ha trovato accoglimento.

     
  3. Infatti, “[…] occorre, in primo luogo, sgombrare il campo dalla suggestiva argomentazione, [spesso sostenuta in dottrina], secondo la quale il tenore letterale del capoverso dell’art. 628 cod. pen. sarebbe tale che la tesi della configurabilità del tentativo di rapina impropria nel caso in esame contrasterebbe con il principio di legalità e con il divieto di analogia […]”.

 

  1. Ciò premesso, occorre evidenziare che “[…] alla tesi della configurabilità del tentativo di rapina impropria anche nel caso in cui non venga portata a compimento la sottrazione della cosa mobile altrui si muove, principalmente, la critica di trascurare il dato testuale del capoverso dell'art. 628 cod. pen., che sarebbe esplicito nel richiedere che violenza e minaccia siano utilizzate “dopo la sottrazione” […]”.

 

  1. Tale critica appare infondata. “[…] Deve osservarsi che la formulazione della norma in esame ha una spiegazione logica ben precisa: il legislatore, con l’espressione “immediatamente dopo” intendeva stabilire il nesso temporale che deve intercorrere tra i segmenti dell’azione criminosa complessa, ma non anche definire le caratteristiche, consumate o tentate, di tali segmenti. […] E’ necessario e sufficiente che tra le due diverse attività concernenti il patrimonio e la persona intercorra un arco temporale tale da non interrompere il nesso di contestualità dell'azione complessiva posta in essere. Questo è il punto centrale e il solo indefettibile della norma incriminatrice dell’art. 628 cod. pen., comma secondo che giustifica l'equiparazione del trattamento sanzionatorio tra la rapina propria e quella impropria, indipendentemente dall'essere quelle stesse condotte consumate o solo tentate […]”.

 

  1. “[…] La tesi propugnata dal ricorrente richiama quella dottrina che configura la sottrazione come un mero presupposto del reato di rapina impropria e non come parte della condotta di tale reato. Ma proprio tale ricostruzione teorica della fattispecie dimostra che il semplice dato testuale non è così chiaro e univoco come si afferma, se per interpretarlo è necessario fare ricorso a categorie dogmatiche quanto meno di dubbia applicabilità nel caso di specie. Secondo tale tesi, la sottrazione del bene è presupposto di fatto e non condotta tipica del reato, con la conseguenza che, se l’art. 56 c.p. consente di equiparare sul piano della tipicità la condotta compiuta e gli atti idonei diretti in modo non equivoco al suo compimento, la clausola di apertura del tentativo può riguardare solo la condotta tipica del reato e non i presupposti di fatto della condotta. In questa costruzione teorica, inoltre, non ha senso porsi il problema di una causazione volontaria del presupposto, essendo invece determinante ai fini del dolo che il soggetto se ne rappresenti l'esistenza […]”.  

 

  1. “[…] Di contro deve osservarsi che è ben difficile attribuire natura di mero presupposto alla sottrazione, trattandosi pur sempre di una condotta consapevole e già illecita dello stesso agente e non certo di un elemento naturale o giuridico anteriore all'azione delittuosa ed indipendente da essa. L’unico presupposto della rapina, nelle sue varie forme, è la mancanza di possesso della cosa oggetto dell'azione. Non si comprende, poi, perchè nella struttura della rapina propria, in cui la violenza o la minaccia precedono e sono funzionali all'impossessamento, si possano ravvisare due condotte tipiche, entrambe suscettibili di estensione con il meccanismo del tentativo, mentre nel caso della rapina impropria la sola condotta tipica sarebbe quella della violenza o minaccia e la sottrazione si configurerebbe come mero presupposto. Il delitto di rapina ha, nelle sue due configurazioni, natura unitaria, quale reato plurioffensivo, in cui, con l'azione violenta e la sottrazione del bene, si aggrediscono contemporaneamente due beni giuridici, il patrimonio e la persona. Del resto, è opinione ampiamente condivisa quella della natura unitaria del reato complesso; pertanto, se la rapina costituisce un reato composto risultante dalla fusione di due reati, non se ne può scindere l'unità valutando separatamente i componenti costitutivi delle figure criminose originarie; e se l'art. 628 cod. pen. opera un'unificazione tra fattispecie consumate, la stessa unificazione dovrebbe continuare a valere, salvo il diverso titolo di responsabilità, quando una di esse si presentasse nello stadio del tentativo […]”.

 

  1.  Volendo operare una breve digressione ed affrontare anche la tematica dell’elemento soggettivo, appare opportuno chiarire che: “[…] il dolo richiesto dalla fattispecie è stato definito doppiamente specifico, in quanto integrato dal dolo del furto, implicitamente richiamato, e dall'ulteriore scienza e volontà di usare la violenza o minaccia al fine di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o di procurare a sé o ad altri l'impunità […]”.  

 

  1. In conclusione: “[…] non si vede, pertanto, la ragione di negare la configurabilità del tentativo nel caso in cui rimanga incompiuta l'azione di sottrazione della cosa altrui. […] Il requisito della violenza o minaccia che caratterizza il delitto di rapina, certamente può comportare una differenziazione in ordine al momento consumativo rispetto al furto. Mentre, infatti, con riferimento al furto, finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore questi è ancora in grado di recuperarla, così facendo degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo, al contrario, nella rapina, la modalità violenta o minacciosa dell'azione non lascia alla vittima alcuna possibilità di esercitare la sorveglianza sulla res. Per la consumazione del delitto di rapina è quindi sufficiente che la cosa sia passata sotto l'esclusivo potere dell'agente, essendone stata la vittima spossessata materialmente, così perdendo di fatto i relativi poteri di custodia e di disposizione fisica. In considerazione della successione “invertita” delle due condotte di aggressione al patrimonio e alla persona che caratterizza la rapina impropria, il legislatore, al fine di mantenere equiparate le due fattispecie criminose del primo e dell'art. 628 cod. pen., comma secondo non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell'agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la sola sottrazione […]”.

 

  1. Principio di diritto: “[…] E’ configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l'impunità […]”.

 

Il delitto di rapina, il concorso di persone e la “variabile” dell’elemento soggettivo: uno schema riassuntivo

Ricordati (doverosamente, occorre aggiungere) i granitici assunti espressi dalle famosissime Sezioni Unite del 2012, che confermano sotto il profilo concettuale quanto indicato in premessa in questo scritto, si possono provare a “schematizzare” le variabili oggettive e soggettive che discendono dalle situazioni più pratiche sussumibili sotto la fattispecie astratta del delitto in esame.

Il caso che si è scelto di esaminare è tra i più frequenti in assoluto.

E’ sufficiente una veloce e pigra lettura dei titoli delle più note testate giornalistiche per rendersi conto della facilità con cui ci si può trovare di fronte a danni, anche enormi, provocati durante “roccambolesche e disperate” fughe in moto, in macchina, in bicicletta, in aereo o, peggio ancora, a nuoto (si, succede!) effettuate pur di sottrarsi agli arresti delle forze dell’ordine.

Consci della frequenza con cui ciò che si esamina può concretamente verificarsi nella vita reale, si vuol provare a tradurre in termini scientifici e, dunque, in “giuridichese” il caso pratico.

Si precisa che lo schema offerto è solo uno dei tanti possibili e che la ricchezza applicativa della realtà sociale impone sempre di volta in volta una indagine approfondita, estenuante e puntigliosa degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto.

Con questa premessa, si ipotizzi la configurabilità della responsabilità del partecipe del delitto di rapina che, consapevole della condotta del concorrente, cagiona la morte della vittima del delitto patrimoniale mediante poderosa spinta da veicolo in movimento (es. una moto).

Si provi, dunque, ad ipotizzare, altresì, la configurabilità della responsabilità penale del terzo concorrente che, rimasto inerte durante la prima fase delle azioni (delitto di rapina) abbia abbandonato la scena delittuosa prima del verificarsi dell’evento morte.


Possibile ricostruzione

1. Il delitto di rapina configura in automatico un addebito ai sensi dell’artt.110 cp. e 628 cp (Corte di cassazione n. 9612 del 1987).

2. La fuga in moto, tuttavia, cagiona, mediante una spinta data a bordo del mezzo da parte di uno dei soggetti seduti sul sellino, la morte del proprietario della refurtiva. L’addebito ai sensi degli artt. 110 cp. e 575 cp. a titolo di dolo non è configurabile poiché manca l’elemento della volizione dell’evento morte.

3. Non è facilmente configurabile (secondo alcuni, ma l’opinione non è unanime) neppure a titolo di dolo eventuale, dal momento che la spinta data dalla moto non lascia presagire con immediatezza la morte del soggetto che ne subisce gli effetti (Corte di cassazione n. 32644 del 2013; particolarmente rilevante anche Corte di cassazione Pen. 14 marzo 1996, n. 5188).

4. Appare parimenti difficilmente configurabile anche l’omicidio colposo dal momento che l’evento si inserisce in una catena più complessa di eventi in cui la morte non era facilmente prevedibile. Appare più corretto parlare di una delle ipotesi di cd. dolo misto a responsabilità oggettiva mitigato dalla colpa, ovvero di morte come conseguenza di altro delitto ex art. 586 cp. (Corte di cassazione n. 1567 del 1986; Corte di cassazione n. 19179 del 2006).

5. Quindi l’evento morte può essere addebitato tramite applicazione degli artt.110 cp., 586 cp. e 628 cp. (Corte di cassazione n. 1567 del 1986).

6. Riguardo alla figura del terzo concorrente estraneo, occorrerà verificare se, nella prima fase delle operazioni (rapina) abbia agevolato anche in minima parte la verificazione dell’evento e/o se abbia aderito psicologicamente al compimento dello stesso.

7. In caso contrario, si potrà parlare di connivenza non punibile.

8. La seconda parte, in assenza di contributi psichici o causali ed in assenza di presenza fisica del soggetto sul luogo del delitto, può manifestarsi come priva di rilevanza penale.

Bibliografia e letture consigliate

CASSAZIONE PENALE, SS.UU., sentenza 12.09.2012 n° 34952;

Sul punto, precedentemente: M. LOPINTO, Tipicità e delitto tentato nell’ottica della rapina impropria. Dal binomio tentato furto/tentata rapina impropria delle Sezioni Unite 2012 alle pronunce del 2017, in Diritto.it – Giurisprudenza Commentata, 06.11.2017;

M. LOPINTO, Tipicità, tentativo e circostanze del reato: l’importanza della qualificazione giuridica dei segmenti delle fattispecie delittuose, in Diritto.it, 30.09.2019;

G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto Penale. Parte Speciale, Vol. II, V Ed., 2012, p. 117;

Corte di cassazione n. 9612 del 1987; Corte di cassazione, Sez. V, 10 Febbraio 1998 – 10 Marzo 1998, n. 2998; Corte di cassazione n. 9612 dell’01.10.1988; Corte di cassazione n. 1567 del 1986; Corte di cassazione n. 19179 del 2006 (tutte in Codice Penale – Annotato con la giurisprudenza, a cura di Giorgio Lattanzi, Giuffrè, 2016 ed in Codice Penale e delle Leggi penali speciali – Annotato con la giurisprudenza, Giuffrè, 2015); Corte di cassazione n. 32644 del 2013; Uff. Indagini Preliminari Torino, 19 Giugno 2012; Corte di cassazione Pen. 14 marzo 1996, n. 5188.

Sull’art. 586 cp. e sulla sua applicabilità ai casi pratici, ex multis: V. SANTORO, Approfondimenti su: aberratio delicti e morte o lesioni come conseguenza non voluta di un reato doloso – Corso di preparazione esame avvocato, Appunti dell’anno 2016.

L. DELPINO – R. PEZZANO, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Ed. XXIII, Simone, 2016, pp. 542 e ss.