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L'ammissione di colpevolezza non preclude la revisione della sentenza

la sera
Ph. Cinzia Falcinelli / la sera

Dichiararsi colpevoli, ma essere innocenti accade molto più spesso di quanto si creda.

I motivi possono essere legati ai costi della difesa e del processo, alla nausea del sistema giustizia, per proteggere una persona cara. Sono svariate le persone che optano per una richiesta di patteggiamento per porre fine a una sofferenza interiore o alle infinite lungaggini e costi di una giustizia penale sempre meno accessibile alle persone prive di mezzi economici.

In questi casi le sentenze di applicazione della pena emesse ai sensi dell'articolo 444 codice procedura penale sono revisionabili?

La Suprema Corte con la sentenza n. 40766 del 2 novembre 2021, nella parte motiva ribadisce come la revisione sia consentita anche per quanto riguarda le sentenze di applicazione della pena su richiesta tenendo presente che quando venga sollecitata per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, la loro valutazione deve essere effettuata alla luce della regola di giudizio stabilita per il rito alternativo, con la conseguenza che le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare la sussistenza di cause di proscioglimento dell'interessato secondo il parametro di giudizio dell'art. 129 cod. proc. pen., quale applicabile nel patteggiamento.

 

Revisione e declaratoria d'inammissibilità ex articolo 634 c.p.p.

Come è noto l'art. 634 cod.proc.pen., modificando la disciplina previgente prevista dal codice di procedura penale abrogato, prevede una fase preliminare che si svolge dinanzi al giudice competente per la revisione, volta ad effettuare un vaglio di ammissibilità al fine di fermare le iniziative proposte fuori dalle ipotesi previste dalla legge o senza l'osservanza delle forme prescritte ovvero quando la richiesta "risulta manifestamente infondata".

Alla Corte d'appello, nella fase preliminare, prevista dall'articolo 634 comma 1 cod.proc.pen., è attribuito il compito di valutare l'oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente ancorché costituiti da "prove" formalmente qualificabili come "nuove", a dar luogo, attraverso la necessaria disamina del loro grado di affidabilità e di coerenza, ad una pronuncia di proscioglimento.

Nel caso di ritenuta ammissibilità dell'istanza, il Presidente della Corte d'appello emette il decreto di citazione ex art. 610 cod. proc. pen. e al procedimento che ne scaturisce si applicano le disposizioni di cui agli artt. 465 e ss. cod. proc. pen. in quanto applicabili.

Il nuovo codice, che supera la struttura bifasica che caratterizzava la revisione nel codice abrogato, assegna il vaglio sulla ammissibilità della richiesta e la conseguente cognizione del merito alla Corte di appello nel cui distretto si trova il giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna di primo grado.

Muta, quindi, rispetto al passato sistema, non solo il criterio di determinazione della competenza, ma la stessa struttura del procedimento, ormai unificato, nelle sue cadenze, davanti ad un solo giudice (la Corte di appello) individuato, ratione loci, nei modi di cui si è detto.

Di fronte alla mutata struttura del giudizio di revisione, la giurisprudenza della Suprema Corte è concorde nell'affermare che, quanto alla fase preliminare della delibazione dell'ammissibilità, la verifica della potenzialità delle nuove prove a pervenire ad una pronuncia di proscioglimento ex art. 529, 530 e 531 cod. proc. pen. (art. 631 cod. proc. pen.) non può mai consistere in una penetrante anticipazione dell'apprezzamento di merito, riservato al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgere nel contraddittorio delle parti, ma implica soltanto una sommaria delibazione degli elementi di prova o della inerenza del contrasto di giudicati su fatti che evocano una alternativa ed inconciliabile ricostruzione della vicenda oggetto della domanda di revisione: sommaria delibazione finalizzata alla rilevazione della eventuale sussistenza di una infondatezza che, in quanto definita "manifesta", deve essere rilevabile íctu ocuti, senza necessità di approfonditi esami.

Da qui, l'assunto secondo il quale per manifesta infondatezza della richiesta di revisione che ne determina l'inammissibilità deve intendersi l'evidente inidoneità delle ragioni poste a suo fondamento a consentire una verifica circa l'esito del giudizio nei termini di cui all'art. 631 cod. proc. pen., mentre alla fase del giudizio di merito resta riservata ogni valutazione sull'effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato. (Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, Di Pressa, Rv. 266810; Sez. 2, n. 11453 del 0/03/2015 Risalli, Rv. 263162; Sez. 6, n. 18818 del 08/03/2013, Moneta Caglio Monneret De Villard, Rv. 255477; Sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010, Ferorelli e altro, Rv. 248463; Sez. 4, n. 18196 del 10/01/2013, Sioli, Rv 255477).

In altri termini, l'inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza, ai sensi dell'art. 634 cod. proc. pen., sussiste, dunque, solo quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all'evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l'esito del giudizio.

 

Revisione per fatti inconciliabili

Esponiamo brevemente le coordinate interpretative del mezzo straordinario di impugnazione della revisione, per il caso di una sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p.

L'articolo 630, comma 1, lettera a) cod. proc. pen., autorizza la richiesta di revisione qualora i fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna non possano conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza irrevocabile di assoluzione.

La giurisprudenza della Corte di legittimità ha chiarito che per fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna, la legge si riferisce agli elementi storici adottati per la ricostruzione del fatto - reato, ritenuto a carico di chi formula la richiesta (Sez. 5, n. 8462 del 09/07/1997, Garrone, Rv. 208608) e, per "fatti stabiliti a fondamento", devono intendersi i "fatti" ritenuti essenziali per la decisione e, quindi, posti a base delle rispettive pronunce (Sez. 3, n. 12320 del 03/11/1994, Masi, Rv. 200729).

La giurisprudenza di legittimità, come ha dato ampiamente atto anche il giudice della revisione, è ferma nel ritenere che l'inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non vada intesa quale semplice contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle pronunce, ma come oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui si fondano le rispettive sentenze (ex multis, Sez. 1, n. 36121 del 09.06.2004, Fursov, Rv 229531). E ciò in quanto, come chiarito in modo altrettanto netto, l'istituto della revisione non si configura come un'impugnazione tardiva, che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato o non è stato dedotto, ma costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, nei casi tassativi, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata, dando priorità alle esigenze di giustizia rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici.

Di conseguenza, la risoluzione del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto od un'inedita disamina del deducibile (il giudicato, infatti copre entrambi), bensì l'emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo (cfr. Sez. 6, n. 32384 del 18/06/2003, Fasiello, Rv. 22629101; conforme Sez. 3, n. 28358 del 30/03/2016, Frescura, Rv. 267531).

In altri termini, le situazioni di contrasto di giudicati che legittimano la revisione devono essere tali da dimostrare, rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale irrevocabilmente accertata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condannato, con la conseguenza che non possono ravvisarsi sulla base di un contrasto di principio tra due sentenze, che incide direttamente o indirettamente sulla valutazione del materiale probatorio acquisito.

In sostanza l'art. 630 comma 1 lett.a) cod. proc. pen., nel prevedere la richiesta di revisione per inconciliabilità di giudicati su "fatti" si riferisce agli elementi storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto - reato posto a carico di chi formula la richiesta.

 

Revisione di sentenze di applicazione pena ex art. 444 c.p.p.

In primo luogo, la cassazione evidenzia come la revisione sia consentita anche per quanto riguarda le sentenze di applicazione della pena su richiesta tenendo presente che quando venga sollecitata per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, la loro valutazione deve essere effettuata alla luce della regola di giudizio stabilita per il rito alternativo, con la conseguenza che le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare la sussistenza di cause di proscioglimento dell'interessato secondo il parametro di giudizio dell'art. 129 cod. proc. pen., quale applicabile nel patteggiamento (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 6, Sentenza n. 52:38 del 29/01/2018, Notarangelo, Rv. 272129; Sez. 5, Sentenza n. 12096 del 20/01/2021, Bersani, Rv. 280759, che ha giudicato inammissibile per manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 27 e 111 Cost., della disciplina in tema di revisione della sentenza di patteggiamento, nella interpretazione che, per simmetria, impone di valutare le prove nuove o sopravvenute secondo la regola di giudizio di cui all'art. 129, comma 1, cod. proc. pen. propria del patteggiamento, atteso che il consenso prestato per la definizione del processo con l'applicazione della pena implica l'accettazione integrale del relativo "statuto" anche per la fase di revisione).

Un caso specifico seguito personalmente riguardava la richiesta di revisione della sentenza di applicazione pena, emessa dal Gip di Roma, divenuta irrevocabile, con la quale è stata condannata alla pena di mesi 9 di reclusione la Signora G. V. per il reato di cui all’art. 378 c.p. : “perché, dopo che era stato commesso il reato di omicidio in danno di G. F., aiutava J. C. con cui intratteneva relazione sessuale, ad eludere le investigazioni fornendogli, con le dichiarazioni rese alla pg e al PM, il falso alibi secondo cui al momento del fatto erano insieme in altro luogo della città in compagnia di .... nonché influenzando la testimonianza di V. A. che asseverava tale non veritiera circostanza”.

Nel ricorso per revisione si sottolineava che i fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna emessa nei confronti della signora G. V. non possono conciliarsi con i fatti stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile, emessa dalla Corte di Assise di Roma divenuta irrevocabile in data ... in tale sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste del Sig. J. C. si è infatti affermato che : “Come accennato, poi, le prove dichiarative assunte coincidono in larghissima misura con i dati oggettivi appena evidenziati in ordine alla localizzazione del C. nel tempo in cui avveniva il decesso della C. F. Sul punto, hanno deposto le testi V.A. (all’udienza del 16.12.20..), P. S. (all’udienza del 22.11.20..) e, ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p. G. V.(all’udienza del 16.01.20... Invero alla stregua di dette testimonianze, è risultato pacifico che il Cadena quel 1.12.2008 si fosse recato a casa della G. per cambiare la serratura, ivi giungendo intorno alle 10,30, come peraltro riscontrato dagli orari dei tabulati telefonici prima ricordati. E’ ugualmente univoca l’indicazione delle testi circa la permanenza del C. nella casa assieme alla V., rientrata dal lavoro nel corso della mattinata – dato anche questo riscontrato dai tabulati telefonici inerenti la localizzazione del telefono della G., tanto che alle h. 11,23 aveva agganciato la cella di Via Clauzetto, alternativa e limitrofa a quella di Via Brembate, e alle 11,23 aveva agganciato la cella di Via Clauzetto, alternativa e limitrofa a quella di Via Brembate, e alle 13,20 la cella di Via Brembate che copre il territorio ove è sita la sua abitazione, come riferito sempre dal sost. Comm. M. – in ordine a un pasto consumato assieme, pur con qualche discordanza sull’ora in cui ciò sarebbe avvenuto e, last but not least, circa la costante presenza in quell’appartamento del C. in compagnia della G. anche per il tempo successivo al pranzo. Testimonianza, quest’ultime, che sono apparse intrinsecamente attendibili per provenire, specialmente quanto alla V. e alla P. da persone che non avevano alcun particolare rapporto con il C. e che hanno anche negato di aver subito alcuna influenza e pressione da parte della G. Deposizioni che, peraltro, quantomeno con riguardo ai risultati dei tabulati telefonici, hanno anche avuto importanti riscontri, tali da avvalorare la fondatezza e la credibilità di quanto riferito alla Corte da tali testi. La stessa G. V., poi, pur considerando il suo rapporto col C. in anni pregressi di legame sentimentale, più di recente di buona amicizia, è apparsa persona sincera, puntuale nella sua narrazione e, anche nel suo caso, la sua deposizione ha trovato conferme sia oggettive, sempre nell’analisi dei tabulati telefonici, sia soggettive, in base alle altre testimonianze appena sopra citate”.

La corte di appello di Perugia accoglieva la revisione ed emetteva sentenza, con la quale revocava la “sentenza emessa in data 15.07.20. dal Gup del Tribunale di Roma nei confronti di V. G.” ed assolveva l'interessata perché il fatto non sussiste.

 

Revisione e principio di prova nuova: definizione

È consolidato, nella giurisprudenza della Suprema Corte, il principio secondo cui per prove nuove rilevanti a norma dell'art. 630, lett. c), cod. proc. pen., ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario (cfr., Sez. 5 - , Sentenza n. 12763 del 09/01/2020, Eleuteri, Rv. 279068; Sez. 3, Sentenza n. 13037 del 18/12/2013, Segreto, Rv. 259739; Sez. 5, Sentenza n. 10167 del 24/11/2009, Zitouni Noiureddine, Rv. 246883).

Si tratta d'altra parte di un orientamento che si innesta sulla sentenza della Sezioni Unite n. 624 del 26/09/2001, Rv. 220443, che contiene importanti puntualizzazioni anche in ordine all'irrilevanza, ai fini della revisione, della concreta condotta processuale della parte interessata.

Quanto alla natura della "prova nuova", nessun dubbio che in tale nozione rientra anche la mancanza della condizione di procedibilità del reato per cui è stata emessa sentenza di condanna proprio perché, ai sensi e per gli effetti dell'art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen, devono considerarsi tali sia le prove preesistenti, non acquisite nel precedente giudizio, sia quelle già acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice (cfr., Sez. 4, Sentenza n. 17170 del 31/01/2017, M., Rv. 269826).

 

Revisione e la remissione della querela non valutata nel giudizio

Sulla scorta di questa premessa, perciò, si è chiarito che anche la remissione di querela, intervenuta in pendenza del giudizio ed acquisita al fascicolo processuale senza essere valutata ai fini della decisione, rientra nel concetto di "prova nuova", rilevante ai sensi dell'art. 630, lett. c), cod. proc. pen. (cfr., Sez. 6, Sentenza n. 24435 del 01/07/2020, Levi Giacomo, Rv. 279602, che ha annullato la decisione della Corte d'Appello che aveva ritenuto inammissibile la richiesta di revisione sul presupposto che la remissione non integrasse una "prova nuova", senza neppure acquisire il fascicolo del giudizio di cognizione, dai cui esame sarebbe emerso che la remissione di querela e l'accettazione, pur essendo state acquisite al fascicolo del dibattimento, non erano state valutate, neppure implicitamente, nella sentenza di condanna; conf., anche, Sez. 2, 16.11.2016 n. 51.579. Bianco, non massimata, in cui si è sottolineato che la remissione della querela si lega invece ad un evento storico documentale ovviamente non conoscibile né apprezzabile dal giudice se non attraverso l'esame dell'atto remissorio).

 

Revisione: la norma ed una rassegna della giurisprudenza della Suprema Corte

Il Link: art. 630 cod. proc. pen.