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Il partito fascista e le sue propaggini di fatto “tollerate” da una legislazione farraginosa

scorci romani
Ph. Andrea Pantarelli / scorci romani

Lo scioglimento delle organizzazioni, movimenti o associazioni di carattere fascista non si risolve con la presentazione di mozioni ma con l’approvazione di una legge organica giacente in Commissione Giustizia dall’ottobre del 2018. Tutte le disposizioni vigenti rimettono all'autorità di Governo (Ministro dell'Interno, o Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri) la decisione circa lo scioglimento, diversamente la proposta di seguito esaminata ne attribuisce la decisione al giudice.

 

Le mozioni lasciano il tempo che trovano, il Parlamento affronti seriamente il problema ed esamini la proposta di legge presentata il 31 ottobre 2018, giacente in Commissione Giustizia, in tema di “Disposizioni in materia di sospensione dell’attività, scioglimento e confisca dei beni di gruppi, organizzazioni, movimenti, associazioni e partiti di carattere fascista o che propugnano la discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

I recenti avvenimenti hanno ridestato la politica dal torpore sull’annosa questione, mai affrontata in maniera compiuta, delle procedure necessarie per procedere in tempi certi e con procedure standard allo scioglimento o sospensione delle attività di gruppi, movimenti e organizzazioni che si rifanno all’ideologia fascista.

Nel nostro Paese, come in altre realtà del continente europeo, negli ultimi anni sono aumentati esponenzialmente atti intimidatori, violenze, attacchi fisici e verbali da parte di gruppi, più o meno organizzati, di matrice fascista e antidemocratica declinata nelle più variegate e mutevoli forme. Si tratta di movimenti che inneggiano all’odio e alla discriminazione razziale, etnica e religiosa. La cronaca nazionale è quotidianamente costellata di gravi episodi che sembrano provenire da un passato evidentemente non così remoto e ci attesta una preoccupante e crescente normalizzazione di manifestazioni di fascismo, razzismo e xenofobia. È compito della politica nonché delle istituzioni democratiche opporre un forte argine a tale deriva.

La proposta di legge n. 1327 è finalizzata a un immediato intervento che semplifichi e giurisdizionalizzi le procedure di sospensione dell’attività e di scioglimento di tali sodalizi, siano essi gruppi, organizzazioni, movimenti, associazioni o partiti politici.

A tale riguardo, il 25 ottobre 2018, il Parlamento europeo in seduta plenaria ha approvato la risoluzione 2018/2869 (RSP) con cui chiede all’Unione europea e agli Stati membri di garantire che siano effettivamente bandite le organizzazioni neonaziste e neofasciste e qualsiasi tipo di fondazione e associazione che glorifichi il fascismo e il nazismo, poiché l’impunità di cui godono tali gruppi è una delle principali ragioni dell’aumento delle azioni violente che si rivolgono contro particolari minoranze e colpiscono la società nel suo complesso.

In Italia sembra siano stati dimenticati i caratteri fondamentali che l’antifascismo aveva dato alla nostra democrazia. La Costituzione italiana è fondata sul valore dell’antifascismo e, in quanto legge fondamentale della Repubblica, deve essere fedelmente osservata da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato. L’ordinamento italiano si oppone, oltre che ai progetti di ricostituzione del fascismo storico, anche e più generalmente a tutti gli atteggiamenti e i comportamenti antidemocratici, di autoritarismo e di intolleranza ritenuti riconducibili a quella stessa esperienza come a una comune categoria politica.

Ricordiamo le parole che l’onorevole Aldo Moro pronunciò il 13 marzo 1947 dinanzi all’Assemblea costituente, durante la discussione generale, affermando che la nostra Costituzione non poteva essere afascista ma doveva essere chiaramente antifascista, poiché “non possiamo prescindere – egli avvertiva – da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima il quale nella sua negatività ha travolto per anni la coscienza e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione oggi emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”. Oggi i princìpi enunciati sono presenti, dunque, nel testo costituzionale ma anche in diverse leggi ordinarie susseguitesi nel tempo. Ci si riferisce, nello specifico, alla legge 20 giugno 1952, n. 645 (cosiddetta « legge Scelba »), di attuazione della XII disposizione transitoria e finale sul divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, alla legge 9 ottobre 1967, n. 962, sulla prevenzione e repressione del delitto di genocidio, alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, recante ratifica ed esecuzione della convenzione di New York del 7 marzo 1966 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (cosiddetta « legge Mancino »), recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, nonché agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Pertanto, il nostro ordinamento prevede una normativa che punisce chi propaganda idee discriminatorie, chi commette o istiga a commettere atti discriminatori di natura razziale, etnica, nazionale o religiosa, chi organizza movimenti che hanno tra i loro scopi quelli indicati o partecipa ad essi.

Tuttavia, i meccanismi oggi in vigore, volti alla sospensione cautelativa dell’attività e allo scioglimento di tali organizzazioni, sono previsti in disposizioni distinte, farraginose, inefficaci e, purtroppo, di fatto inapplicate. Ne consegue la necessità di introdurre un unico procedimento, semplificato e interamente giurisdizionalizzato, sottratto alla discrezionale iniziativa dell’esecutivo, condizionata per natura dalla maggioranza politica del momento.

A tale fine, all’articolo 1 della presente proposta di legge sono elencate le fattispecie alle quali si applicano le disposizioni introdotte.

Gli articoli 2 e 3 disciplinano le procedure per la sospensione dell’attività del gruppo (organizzazione, movimento, associazione o partito), per il suo scioglimento e per la confisca dei suoi beni.

 

Esame della proposta e ambiti applicativi

La proposta di legge disciplina un procedimento uniforme volto a consentire la sospensione delle attività, in via cautelare, e lo scioglimento e la confisca dei beni, in via definitiva, di associazioni, gruppi organizzati e partiti i cui esponenti abbiano commesso specifici delitti.

Il catalogo dei delitti che delimita il campo d'applicazione della legge è contenuto all'articolo 1. Si tratta delle seguenti fattispecie penali:

propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa (art. 604-bis del codice penale);

L'art. 604-bis del codice penale (già art. 3 della legge 654/1975, di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966) punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato:

chiunque propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (primo comma, lett. a): reclusione fino ad un anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro);

chiunque, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (primo comma, lett. b): reclusione da 6 mesi a 4 anni);

chiunque partecipa o presta assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (secondo comma: reclusione da 6 mesi a 4 anni);

chiunque promuove o dirige organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (secondo comma: reclusione da 1 a 6 anni).

Il terzo comma dell'art. 604-bis, infine, prevede un'aggravante speciale (reclusione da 2 a 6 anni) quando la propaganda, l'istigazione e l'incitamento alla discriminazione o all'odio razziale, etnico o religioso siano commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione e si fondino "in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra" come definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale (art. 6, crimine di genocidio; art. 7, crimini contro l'umanità; art. 8, crimini di guerra), ratificato dall'Italia con la legge n. 232 del 1989.

Pubbliche manifestazioni esteriori o ostentazione di emblemi o simboli propri o usuali di organizzazioni razziste o assimilate (art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 122 del 1993);

 L'art. 2, comma 1, della c.d. Legge Mancino (decreto-legge n. 122 del 1993, convertito dalla legge n. 205 del 1993) punisce con la reclusione fino a 3 anni e con la multa da 103 a 258 euro chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 604-bis del codice penale (v. sopra). Per la Cassazione penale integra gli estremi di questo delitto il gesto del cd. "saluto romano" o "saluto fascista" (nella specie accompagnato dall'espressione "presenti e ne siamo fieri") in quanto manifestazione esteriore inequivocabilmente diretta a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico (cfr. Sez. I, Sent. n. 21409 del 27/03/2019, Sez. I, Sent. n. 25184 del 4/03/2009) nonché l'esposizione di un drappo tricolore con fascio littorio (Sez. III Sent. n. 37390 del 10/07/2007).

Reati aggravati dalla finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero commessi al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità (art. 604-ter del codice penale);

L'articolo 604-ter c.p. (già articolo 3 del decreto-legge n. 122 del 1993) prevede la circostanza aggravante della finalità di discriminazione: per qualsiasi reato - ad eccezione di quelli per i quali è previsto l'ergastolo - commesso per le finalità di discriminazione o di odio o per agevolare le associazioni che hanno tra i propri scopi le medesime finalità, la pena viene aumentata fino alla metà (primo comma). In caso di concorso di circostanze, il giudice non può ritenere le attenuanti equivalenti o prevalenti rispetto all'aggravante della finalità di discriminazione e le eventuali diminuzioni di pena devono essere calcolate sulla pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante. Tale principio non opera rispetto all'attenuante della minore età (secondo comma). La giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che al fine della configurazione dell'aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, non è necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all'esterno ed a suscitare il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, giacché ciò varrebbe ad escludere l'aggravante in questione in tutti i casi in cui l'azione lesiva si svolga in assenza di terze persone (Sez. V, sent. n. 37609 del 11-07-2006 ). In altra sentenza sempre del 2006 (Sez. V, sentenza n. 42258 del 2006) la Cassazione ha affermato che «La finalità di odio o di discriminazione prevista come circostanza aggravante (art. 3 del D.L. 26 aprile 1993 n. 122) non può essere confusa con i "motivi" dell'azione criminosa, dovendo questa risultare non semplicemente il frutto di riconoscibili pulsioni interne di un certo tipo (eventualmente valutabili sotto diversi profili quali, ad es., quelli di cui all'art. 61 n. 1 c.p.), ma lo strumento per il conseguimento, da parte dell'agente, di obiettivi costituiti: -quanto all'odio, proprio dalla sua voluta e ricercata manifestazione, onde renderlo percepibile all'esterno dal destinatario dell'azione criminosa e, eventualmente, anche da terzi estranei; -quanto alla discriminazione, dall'adozione di comportamenti che non si limitino ad esprimere sentimenti di generico rifiuto o di antipatia, pur se possano ritenersi censurabili, ma (secondo la nozione di "discriminazione" contenuta nell'art. 1 della Convenzione di New York del 7 marzo 1966, resa esecutiva in Italia con la legge 11 ottobre 1975 n. 654), abbiano "lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica» .

Delitti di riorganizzazione del partito fascista (art. 2 della legge n. 645 del 1952), apologia di fascismo (art. 4 della legge n. 645 del 1952) e manifestazioni fasciste (art. 5 della legge n. 645 del 1952);

La Legge Scelba punisce chiunque promuove, organizza, dirige o semplicemente partecipa ad una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone (minimo 5), che persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista. Tali organizzazioni vengono infatti ritenute una riorganizzazione del disciolto partito fascista e dunque vietate dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

In particolare l'art. 2 della legge n. 645 del 1952 punisce il partecipante all'organizzazione con la reclusione da 2 a 5 anni e con la multa da 516 a 5.164 euro; il promotore, l'organizzatore o il dirigente dell'organizzazione con la reclusione da 5 a 12 anni e con la multa da 1.032 a 10.329 euro e raddoppia tali pene quando l'organizzazione è armata (i partecipanti hanno comunque la disponibilità di armi o esplosivi ovunque custoditi). L'art. 4 punisce invece chiunque fa propaganda per la costituzione di una tale organizzazione (reclusione da 6 mesi a 2 anni e multa da 206 a 516 euro), oltre a chiunque, pubblicamente, esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da 1 a 3 anni e della multa da 516 a 1.032 euro. Le pene sono più severe se tali fatti sono commessi con il mezzo della stampa (reclusione da 2 a 5 anni e multa da 516 a 2.065 euro. L'art. 5 punisce invece chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste (reclusione sino a 3 anni e multa da 206 a 516 euro). Per tutti i delitti la Legge Scelba consente l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Delitti di genocidio (articoli da 1 a 8 della legge n. 962 del 1967).

La legge del 1967 prevede anzitutto il delitto di colui che compie atti diretti a commettere genocidio (art. 1 della legge n. 962 del 1967), che si perfeziona quando, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, sono commessi atti diretti a cagionare lesioni personali gravi a persone appartenenti al gruppo (reclusione da 10 a 18 anni) o a cagionare la morte o lesioni personali gravissime a persone appartenenti al gruppo (reclusione da 24 a 30 anni. La stessa pena si applica a chi, allo stesso fine, sottopone persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale del gruppo stesso.

L'art. 2 della legge n. 962 del 1967 punisce la deportazione a fine di genocidio, che si realizza quando, con le medesime finalità dell'art. 1, sono deportate persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso (reclusione da 15 a 24 anni).

L'art. 4 della legge n. 962 del 1967 punisce chiunque impone o attua misure tendenti ad impedire o a limitare le nascite in seno ad un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso, allo scopo di distruggere in tutto o in parte il 2 gruppo stesso (si tratta degli atti diretti a commettere genocidio mediante limitazione delle nascite, puniti con la reclusione da 12 a 21 anni).

Gli atti diretti a commettere genocidio mediante sottrazione di minori degli anni quattordici, per trasferirli ad un gruppo diverso, sono puniti (con la reclusione da 12 a 21 anni) dall'art. 5 della legge n. 962 del 1967.

L'art. 6 della legge n. 962 del 1967 punisce (con la reclusione da 4 a 10 anni) l'imposizione di marchi o segni distintivi, che consiste nella condotta di colui che costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso, a portare marchi o segni distintivi indicanti la appartenenza al gruppo stesso. La pena è aggravata (reclusione da 12 a 21 anni) ove il fatto sia stato commesso al fine di predisporre la distruzione totale o parziale del gruppo.

L'art. 7 della legge n. 962 del 1967 punisce (con la reclusione da 1 a 6 anni) l'accordo per commettere genocidio, che si configura quando più persone si accordano per commettere uno dei suddetti delitti e l'art. 8 della legge n. 962 del 1967 punisce (con la reclusione da 3 a 12 anni) la pubblica istigazione e apologia di un delitto di genocidio.

 

Sospensione dell'attività

In base all'articolo 2, comma 1, quando il pubblico ministero procede per uno dei suddetti reati, «o comunque per fattispecie di reato aggravate dal movente del fascismo o della discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi», nei confronti di una persona o di più persone che siano «esponenti» di un gruppo, di un'organizzazione, un movimento, un'associazione o un partito politico, deve chiedere al giudice competente per il giudizio l'applicazione della «misura cautelare» della sospensione immediata dell'attività del relativo gruppo, organizzazione, movimento, associazione partito.

La disposizione è in parte mutuata dall'art. 7 del decreto-legge n. 122 del 1993 (c.d. Legge Mancino), in base al quale quando si procede per un reato aggravato ai sensi dell'art. 604-ter c.p. o per uno dei reati previsti dall'art. 604-bis c.p. o per uno dei reati di genocidio previsti dalla legge n. 962 del 1967, "e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che l'attività di organizzazioni, di associazioni, movimenti o gruppi favorisca la commissione dei medesimi reati", può essere disposta cautelativamente, ai sensi dell'art. 3 della legge sulla P2 (legge n. 17 del 1982), la sospensione di ogni attività associativa. La richiesta è presentata al giudice competente per il giudizio in ordine ai predetti reati e avverso il provvedimento è ammesso ricorso, anche per motivi di merito, alla Corte di cassazione, che decide, in camera di consiglio e in contraddittorio delle parti, entro 10 giorni dalla presentazione dei motivi del ricorso stesso. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato. Il provvedimento di sospensione delle attività è revocato in ogni momento quando vengono meno i presupposti indicati al medesimo comma. La legge sullo scioglimento della associazione denominata Loggia P2 prevede infatti, all'art. 3, comma 3, che "In qualunque stato e grado del procedimento, qualora vi sia pericolo nel ritardo, il procuratore della Repubblica presso il giudice competente per il giudizio, anche su istanza del Governo, può richiedere che sia cautelativamente disposta la sospensione di ogni attività" della presunta associazione segreta (coma definita dall'art. 1 della legge). In tal caso "Il provvedimento è adottato dal giudice competente per il giudizio, in camera di consiglio in contraddittorio delle parti, entro dieci giorni dalla richiesta". Se l'istanza per la sospensione delle attività è giunta al PM dal Governo, il Governo dovrà riferirne immediatamente alle Camere.

Per quanto riguarda il campo d'applicazione di questa misura, la proposta richiama il catalogo dei reati di cui all'articolo 1, cui aggiunge i reati aggravati dal movente della discriminazione o del fascismo. Se per l'aggravante discriminatoria il riferimento è ai reati di cui all'art. 604-ter del codice penale, già ricompresi nell'art. 1, resta dubbio il riferimento alle "fattispecie di reato aggravate dal movente del fascismo". Nel nostro ordinamento, infatti, tale aggravante non è prevista. Inoltre, il successivo art. 3 della proposta, che prevede lo scioglimento delle organizzazioni, si riferisce alle sole sentenze di condanna per i reati di cui all'art. 1 (v. infra). Si valuti l'opportunità di circoscrivere il campo d'applicazione della norma al catalogo di reati di cui all'art. 1.

Per quanto riguarda, invece, i destinatari della misura, la proposta di legge individua cinque categorie - gruppo, organizzazione, movimento, associazione, partito politico - diversamente disciplinate dall'ordinamento giuridico. Il concetto di associazione, anche non riconosciuta, rinvia alla disciplina del codice civile (art. 14 e ss.), che trova applicazione anche in relazione ai partiti politici (stante l'inattuazione dell'art. 49 della Costituzione); il concetto di "movimento" è accomunato dal legislatore a quello di partito politico (cfr. legge n. 2 del 1997), cui sono assimilati i "gruppi politici organizzati" (cfr. art. 18 del D.L. n. 149 del 2013), mentre più generico resta il termine "organizzazione". La proposta di legge, peraltro, sembra aver mutuato le espressioni "organizzazione, associazione, movimento o gruppo" dall'art. 604-bis c.p., essendosi limitata poi ad aggiungere il "partito politico".

Il legame tra il presunto autore (o i presunti autori) di uno dei reati di cui all'art. 1 e, genericamente, l'organizzazione della quale il PM chiede la sospensione delle attività, è individuato dalla proposta di legge nel fatto che la persona fisica incriminata è esponente dell'organizzazione.

La definizione di "esponente" è data nel nostro ordinamento Articolo 2 Richiesta del PM 3 unicamente in relazione alla disciplina aziendale, che qualifica gli esponenti come coloro che svolgono "funzioni di amministrazione, direzione e controllo" della società (cfr. art. 26 TU bancario, d.lgs. n. 385 del 1993; art. 13 del TUIF, d.lgs. n. 58 del 1998); se si accogliesse dunque anche in questo caso questa definizione, la misura della sospensione non potrebbe essere richiesta se presunti autori dei reati fossero meri partecipanti all'organizzazione. Si valuti l'opportunità di meglio definire la natura del legame tra il singolo e il gruppo.

In base alla formulazione della norma non sono rilevanti, ai fini della sospensione dell'attività, le finalità perseguite dall'organizzazione, né il ruolo che essa abbia svolto in relazione alla commissione del reato. Attualmente invece in base all'art. 7 della legge Mancino (vedi sopra) per la sospensione delle attività, devono sussistere "concreti elementi che consentano di ritenere che l'attività di organizzazioni, di associazioni, movimenti o gruppi favorisca la commissione dei medesimi reati".

Si valuti l'opportunità di specificare tali profili nella disposizione in esame. Per quanto riguarda la natura della misura della sospensione delle attività, chiesta al giudice dal PM, la proposta di legge la definisce una "misura cautelare".

Si ricorda che la disciplina delle misure cautelari è contenuta nel Libro IV del codice di procedura penale. Si tratta di provvedimenti emessi nel periodo intercorrente tra l'inizio del procedimento penale e l'emanazione della sentenza, adottati dall'autorità giudiziaria per evitare che si verifichino alcuni pericoli:

1) difficoltà nell'accertamento del reato;

2) difficoltà nell'esecuzione della sentenza;

3) possibilità che vengano compiuti altri reati o che si aggravino le conseguenze di un reato.

Le misure cautelati sono strumentali al procedimento penale, perchè mirano ad evitare che si verifichino i summenzionati pericoli; per le stesse ragioni sono anche provvedimenti urgenti; sono incidentali in quanto è necessaria l'esistenza di un procedimento penale; agli atti deve sussistere una prognosi di colpevolezza che però, in ossequio all'art. 27 Cost., comma II, deve essere ponderata alla luce del principio di presunzione di innocenza fino alla definitività della sentenza; sono provvedimenti immediatamente esecutivi, sebbene provvisori, in quanto oltre a venir meno con l'emissione della sentenza definitiva, possono essere revocate o modificate; sono impugnabili tramite i meccanismi previsti dal codice (riesame, appello e ricorso per Cassazione); sono espressamente tipizzate dalla legge; infine possono essere disposte solo con un provvedimento del giudice di cui la giurisdizionalità delle stesse.Vi sono diversi tipi di misure cautelari:

personali (titolo I, artt. 272-315 c.p.p.). Si distinguono a loro volta in:

- coercitive (artt. 280-286 c.p.p.), che limitano alcune libertà dell'individuo. Possono essere obbligatorie (divieto di espatrio, il divieto o l'obbligo di dimora, l'obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, l'allontanamento dalla casa familiare) o custodiali (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari, custodia cautelare in luogo di cura);

 - interdittive (artt. 287-290 c.p.p.), che incidono su alcune facoltà del soggetto (includono la sospensione dell'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori, il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali);

- di sicurezza, che vengono applicate momentaneamente con scopi cautelari (es. ricovero in ospedale psichiatrico per soggetto affetto dal totale vizio di mente).

reali (titolo II, artt. 316-325 c.p.p.), che impediscono la disposizione di determinati beni o cose (incidendo sull'aspetto patrimoniale dei beni) e si distinguono nel sequestro conservativo (art. 316 c.p.p.) e nel sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.).

L'attuale disciplina delle misure cautelari ne prevede l'applicazione nei confronti della persona fisica presunta responsabile del reato; le organizzazioni, i gruppi o le associazioni non possono delinquere (societas delinquere non potest), ma possono essere costituite allo scopo di commettere reati (cfr. art. 416 c.p.); anche in tal caso, peraltro, la costituzione dell'associazione determina un aggravamento della pena per le persone fisiche coinvolte. Nel caso di specie, dunque, la disciplina delle misure cautelari non pare applicabile alla sospensione richiesta dal PM, e dunque presumibilmente l'espressione "misura cautelare" è impiegata all'art. 2 in senso atecnico. Trattandosi di un procedimento che si inserisce all'interno del più ampio procedimento penale, si valuti l'opportunità di chiarire la natura della misura e, conseguentemente, di individuare le disposizioni applicabili.

Si ricorda, peraltro, che attualmente la Legge Mancino prevede che possa essere disposta cautelativamente la sospensione delle attività specificando tuttavia che ciò è possibile quando sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che l'attività di organizzazioni, di associazioni, movimenti o gruppi favorisca la commissione dei reati di discriminazione.

L'articolo 2, comma 2, prevede che sulla richiesta del PM il giudice competente per il giudizio debba pronunciarsi entro 10 giorni, potendo - "valutata la gravità del reato" - con decreto disporre la sospensione delle attività dell'organizzazione (del gruppo, del Decisione del giudice 4 movimento, dall'associazione o del partito politico). Il decreto è reclamabile entro 15 giorni dalla comunicazione. Nel decidere, dunque, il giudice dovrà tener conto della sola gravità del reato e non anche del legame esistente tra colui che ne è il presunto autore e l'organizzazione stessa. Organizzazione, peraltro, che non necessariamente sarà a conoscenza del procedimento penale avviato nei confronti del proprio esponente, e che non essendo parte di quel procedimento penale potrebbe non avere strumenti per difendersi in sede di reclamo della misura della sospensione delle attività. Si valuti l'opportunità di ancorare a più stringenti parametri i presupposti per il decreto di sospensione delle attività pronunciato dal giudice, di definire una durata massima della misura stessa, e di meglio disciplinare il reclamo.

 

Scioglimento e confisca

L'articolo 3 prevede che con la sentenza di condanna per i reati di cui all'art. 1, il giudice debba disporre:

Lo scioglimento del gruppo, organizzazione, movimento, associazione o partito politico di cui il condannato è esponente;

La confisca delle somme di denaro e delle altre utilità di cui l'organizzazione, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo.

La norma sullo scioglimento e la confisca è in parte mutuata dall'art. 3 della legge n. 645 del 1952 (Legge Scelba), in base alla quale, quando con sentenza risulti accertata la riorganizzazione del disciolto partito fascista, il Ministro per l'interno, sentito il Consiglio dei Ministri, ordina lo scioglimento e la confisca dei beni dell'associazione, del movimento o del gruppo.

Analogamente, l'art. 3 della legge n. 17 del 1982 (Scioglimento della P2) dispone che qualora con sentenza irrevocabile sia accertata la costituzione di una associazione segreta, il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso, ne ordina con decreto lo scioglimento e dispone la confisca dei beni.

Disposizione simile è contenuta all'art. 7, comma 3, del decreto-legge n. 122 del 1993 (Legge Mancino), in base al quale quando con sentenza irrevocabile sia accertato che l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi abbia favorito la commissione di un reato aggravato ai sensi dell'art. 604-ter c.p., o per uno dei reati previsti dall'art. 604-bis c.p. e dalla legge sul genocidio (legge . 962 del 1967), il Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, ordina con decreto lo scioglimento dell'organizzazione, associazione, movimento o gruppo e dispone la confisca dei beni. Il provvedimento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Tutte le disposizioni rimettono all'autorità di Governo (Ministro dell'Interno, o Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri) la decisione circa lo scioglimento.

In particolare, per quanto riguarda lo scioglimento, la proposta di legge - diversamente da quanto previsto dalla normativa vigente - ne attribuisce la decisione al giudice.

La relazione illustrativa sottolinea infatti l'esigenza di introdurre un procedimento interamente giurisdizionalizzato, “sottratto alla discrezionale iniziativa dell'esecutivo, condizionata per natura dalla maggioranza politica del momento”.

In base all'art. 3, il giudice deve disporre lo scioglimento dell'organizzazione (dell'associazione, del gruppo, del movimento o del partito politico) a seguito della condanna (che nel silenzio del legislatore si presume essere divenuta irrevocabile) di un suo esponente, senza operare alcuna verifica circa la responsabilità dell'organizzazione stessa nella commissione del reato e, più in generale, circa le finalità perseguite dall'organizzazione.

In merito, si ricorda che l'art. 18 della Costituzione tutela la libertà di associazione e garantisce il diritto dei cittadini di associarsi liberamente per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale (primo comma). In forza di tale norma, lo scioglimento delle associazioni dovrebbe essere esercitato solo dopo l'accertamento, da parte del giudice penale, dell'illiceità dell'associazione o dei fatti posti in essere per il tramite dell'associazione. Si valuti dunque l'esigenza di prevedere un accertamento del ruolo svolto dell'associazione, organizzazione, gruppo o partito nella commissione dei reati.

Per quanto riguarda la confisca, l'art. 3 non si riferisce ai beni dell'organizzazione, come previsto dalla disciplina vigente, bensì alle somme di denaro e alle altre utilità di cui l'organizzazione risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, anche per interposta persona. Evidentemente, la titolarità di utilità da parte dell'organizzazione è da considerarsi riferibile solo a quelle organizzazioni che assumono la forma di associazioni, anche non riconosciute, tra le quali sono ricomprese i partiti politici. Tali enti hanno infatti una seppur limitata autonomia patrimoniale. In tutti gli altri casi, le somme di denaro o le Articolo 3 5 altre utilità saranno nella titolarità di persone fisiche che potrebbero non aver avuto a che fare con la commissione del reato.

Si ricorda che l'ordinamento giuridico italiano disciplina la confisca - consistente nell'espropriazione da parte dello Stato di beni appartenenti a privati e ritenuti connessi alla commissione di un crimine - tanto come misura di sicurezza, da applicare all'esito di un procedimento penale che ha accertato una colpevolezza, quanto come misura di prevenzione, da applicare a soggetti ritenuti pericolosi per la collettività, a prescindere dall'accertamento di una colpevolezza.

La misura di sicurezza patrimoniale della confisca è disciplinata dagli articoli 240 e 240-bis del codice penale e segue l'accertamento della commissione di un reato. In particolare, l'articolo 240 c.p. prevede l'espropriazione da parte dello Stato delle cose utilizzate o destinate a commettere il reato ovvero rappresentative del suo prodotto o profitto. Il profitto di reati consiste nel guadagno o vantaggio di natura economica derivante dall'illecito; il prodotto del reato è invece la cosa materiale che proviene dal reato stesso.

La confisca penale può essere facoltativa od obbligatoria. Si qualifica facoltativa la confisca applicata alle cose che sono servite o che sono state destinate a commettere il reato, ovvero alle cose che ne sono il prodotto o il profitto. Essa può essere ordinata dal giudice solo nel caso di sentenza di condanna sulla base della accertata pericolosità della cosa relativa all'uso che il reo può farne avendone la disponibilità. La confisca è obbligatoria quando la pericolosità è intrinseca alla cosa perché questa rappresenta il prezzo del reato o perché il suo stesso uso costituisce reato.

L'articolo 240-bis c.p. (già art. 12-sexies del decreto-legge n. 306/1992), prevede che al condannato (o a chi ha patteggiato la pena) per una serie di specifici gravi reati (associazione mafiosa e finalizzata al traffico di droga, terrorismo, numerosi reati contro la P.A., tratta, sequestro di persona a scopo di estorsione, riciclaggio, ecc.) sia sempre confiscato il denaro, i beni o le altre utilità di cui non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato o alla propria attività economica. Si tratta della c.d. confisca allargata o confisca obbligatoria di valori ingiustificati (primo comma). In tale caso, peraltro, quando non è possibile procedere alla confisca, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente (secondo comma). La confisca per equivalente prevede la possibilità di confiscare beni per un valore equivalente a quello del profitto o del prodotto del reato nell'eventualità che non si possa agire direttamente su di essi.

Si valuti l'opportunità di chiarire la natura della confisca prevista dall'art. 3, con particolare riferimento al rapporto tra il condannato per lo specifico reato (di cui all'art. 1) e i beni confiscati all'organizzazione della quale egli è esponente. Si valuti altresì l'esigenza di prevedere adeguate forme di tutela per i terzi, titolari delle utilità confiscate, che siano estranei alla commissione dei reati.

L'articolo 4, infine, prevede l'entrata in vigore della riforma senza l'ordinaria vacatio legis, il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La proposta di legge non contiene disposizioni di coordinamento con la normativa vigente, in particolare con il DL n. 122 del 1993 che all'articolo 7 disciplina un procedimento diverso di sospensione delle attività e scioglimento delle organizzazioni.