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Il Presidio della qualità di Ateneo: organo oppure organismo? - Parte II

PRESIDIO DELLA QUALITÀ DI ATENEO
PRESIDIO DELLA QUALITÀ DI ATENEO

Indice

1. I compiti del Presidio secondo ANVUR

2. La qualità di Ateneo tra il Presidio e il Nucleo

3. Riflessioni e proposte conclusive. La possibile evoluzione del Presidio quale organo collegiale d’Ateneo

 

1. I compiti del Presidio secondo ANVUR

L’ANVUR, di converso, nel proprio complesso documento aveva analizzato con puntuale lucidità i compiti attribuibili al PQA a seguito dell’adozione di un modello di valutazione fondato su un sistema di assicurazione della qualità delle università italiane uniforme, in grado di consentirne la normalizzazione a livello nazionale, non senza però fraintendimenti terminologici, dovuti, a parere di chi scrive, proprio dall’incerta conformazione della struttura organizzativa del Presidio.

Non può difatti sfuggire al lettore più attento che quando l’ANVUR parla del sistema di assicurazione della qualità (AQ) lo definisce “un sistema attraverso il quale gli organi di governo realizzano la propria politica della qualità. Comprende azioni di progettazione, messa in opera, osservazione (monitoraggio) e controllo, condotte sotto la supervisione di un responsabile[1].

La scelta della terminologia usata da ANVUR rivela l’esigenza dell’individuazione di attori ben precisi nel processo di assicurazione della qualità: da un lato, infatti, vengono coinvolti gli organi di governo (tassativamente indicati dall’articolo 2 della legge n. 240/2010), mentre, dall’altro, la supervisione del complesso delle azioni è ricondotta ad un responsabile (concetto che può, ma non necessariamente, essere riconducibile al ruolo apicale di un sistema organizzativo burocratico), senza attori intermedi.

Eppure, prosegue il documento, alla sezione C.3 compare un soggetto ben preciso che è proprio il Presidio della qualità di Ateneo, istituito e organizzato in modo proporzionato alla numerosità e alla complessità delle attività formative e di ricerca dell’Ateneo [il quale] assume un ruolo centrale nella AQ di Ateneo attraverso:

  • la supervisione dello svolgimento adeguato ed uniforme delle procedure di AQ di tutto l’Ateneo;
  • la proposta di strumenti comuni per l’AQ e di attività formative ai fini della loro applicazione;
  • il supporto ai corsi di studio e ai loro referenti e ai Direttori di dipartimento per le attività comuni.

La composizione del Presidio della qualità e i compiti previsti sono indicati nell’Allegato 1”[2].

Anche qui le formule utilizzate non sono troppo precise e rilevano la difficoltà dell’estensore del documento a trovare un appiglio certo, al punto di dire che l’istituzione (e quindi anche la composizione) e l’organizzazione [del presidio] è proporzionale alla numerosità e alla complessità delle attività formative e di ricerca dell’Ateneo, con l’unico obbligo per gli atenei di evidenziarne la composizione attraverso la compilazione dei campi della scheda di rilevazione dei dati fornita all’Allegato 1 al documento istruttorio.

Ma se l’obiettivo era quello di costituire un sistema di assicurazione della qualità delle università italiane uniforme, in grado di consentirne l’equiparazione a livello nazionale, è evidente, quanto imprescindibile, che fosse necessaria anche un’omogeneità di regole per la costituzione del soggetto preposto al funzionamento del sistema stesso, onde evitare macroscopiche differenze di competenza nella composizione e nei risultati attesi di lavoro. 

Eppure questo documento redatto dall’ANVUR, così articolato e puntuale, di poco antecedente il DM n. 47/2013 che aveva proprio quale ambito di applicazione (articolo 1) il “potenziamento dell’autovalutazione, dell’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari, nonché alla valutazione periodica delle Università, con riferimento alle Università statali, agli Istituti universitari ad ordinamento speciale, alle Università non statali legalmente riconosciute, alle Università telematiche”, di cui è parte integrante il sistema AQ, non beneficia di alcun recepimento nel decreto ministeriale ultimo, né tantomeno definisce il presidio di qualità, al punto che, nell’elencazione dei criteri di cui all’articolo 3 (accreditamento delle sedi) comma 5 lettera e) fa genericamente riferimento alle “analisi delle risultanze dell’attività di monitoraggio e di controllo della qualità dell’attività didattica e di ricerca svolta da tutti i soggetti coinvolti nel sistema di qualità di ateneo”, mentre con riferimento all’accreditamento dei corsi di studio (articolo 4) tratta del ruolo dei Nuclei di valutazione che svolgono l’attività di verifica sul sistema di AQ tenendo conto anche della relazione delle Commissioni Paritetiche o, relativamente alle Università non statali, degli organismi che svolgono le medesime funzioni previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19”, senza alcun ulteriore rinvio al ruolo dei presidi di qualità, che quindi assumono, sempre di più, la connotazione di strutture organizzative necessarie al funzionamento del sistema di qualità, ma a rilevanza esclusivamente interna agli atenei, e quindi rimesse all’autonomia organizzativa dell’ente.

L’unico riferimento al Presidio compare infatti nel DM n. 47/2013, nelle disposizioni transitorie e finali (articolo 9), dove, per l’anno 2013/2014, è chiarito che “nella sua relazione il NdV riferisce sulle attività di assicurazione di qualità in fase di definizione o già svolte dal Presidio di qualità di ateneo e dalle commissioni paritetiche studenti-docenti o, relativamente alle università non statali, dagli organismi che svolgono le medesime funzioni previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19”, fino quasi a risultare un ingranaggio utile, ma non necessario, data la congiunzione con l’attività delle commissioni paritetiche studenti-docenti, queste sì previste da una fonte di rango primario (articolo 2, comma 2, lett. g) della legge n. 240/2010).

 

2. La qualità di Ateneo tra il Presidio e il Nucleo

In estrema sintesi, è possibile affermare che dalle fonti normative regolatrici dell’assetto organizzativo degli Atenei e dagli atti ministeriali che disciplinano il funzionamento di determinati settori, tra cui i processi volti all’assicurazione della qualità, funzionali e necessari alla corretta predisposizione dell’offerta formativa, non è possibile desumere una qualificazione omogenea, in termini amministrativi, del Presidio di qualità negli Atenei italiani, con le conseguenti distorsioni già osservate.

Questa conclusione, a parere di chi scrive, rappresenta un limite funzionale al lavoro delicatissimo che sono deputati a svolgere negli Atenei. L’enucleazione puntuale delle funzioni, presente solo nel documento ANVUR di Autovalutazione, valutazione e accreditamento del sistema universitario italiano del 9 gennaio 2013, rappresenta un importante avamposto per il sistema universitario italiano.

Esso, infatti, tende a diffondere una cultura della qualità di determinati processi (tra cui l’erogazione della didattica) e procedimenti (tra cui la predisposizione dell’offerta formativa). Su questo, tuttavia, insiste il grave vulnus di non potersi innestare su di una struttura organizzativa riconosciuta e a componenti definite, tanto per ragioni di adeguata competenza a svolgere il ruolo richiesto quanto per durata e, quindi, titolata della necessaria dignità organizzativa e istituzionale di cui necessita per assicurare il fondamentale lavoro che nei fatti su di essa è riposto.

Infine, con grande lucidità, il legislatore, in combinato con ANVUR, ha pubblicato il DM n. 987/2016, che sostituisce il D.M. n. 47/2013, e le nuove Linee guida per l’accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio di ANVUR del 10/08/2017[3].

In quest’ultimo documento, in particolare, a p. 16, § 3.1 si legge testualmente:

La presenza del PQA in ogni Ateneo costituisce un requisito per l’accreditamento.

A questo punto, risulta opportuno chiarire le differenze e le linee di confine delle competenze tra il Nucleo di valutazione e il Presidio della qualità di Ateneo. Per farlo, è sufficiente leggere insieme l’ultima versione delle Linee Guida ANVUR, § 3.2, p. 18:

Mentre il PQA attua le azioni di controllo e verifica (monitoraggio) dell’AQ, il NdV ne definisce la metodologia generale e valuta l’AQ complessiva dell’Ateneo. Valuta inoltre a rotazione, con una periodicità quinquennale, il funzionamento dei [Corsi di studio] e dei Dipartimenti attraverso l’analisi dei risultati ricorrendo, dove opportuno e necessario, alle audizioni.

Il NdV verifica l’esecuzione nei [Corsi di studio] e nei Dipartimenti delle raccomandazioni e delle condizioni formulate dalle CEV (Commissioni di esperti della valutazione) in occasione delle visite esterne; in presenza di elementi critici può richiedere la redazione di Rapporti di Riesame ciclico ravvicinati.

In conclusione, il Presidio della qualità di Ateneo, pur non essendo un organo universitario, secondo l’impostazione prevista dalla legge n. 240/2010, è un organismo imprescindibile per l’attività didattica e per l’assicurazione della qualità.

Il ruolo principale è quello di accompagnare il complesso processo amministrativo della qualità, ricco di procedimenti amministrativi e di procedure ad hoc con componenti esclusivamente interni; di contro, il Nucleo di valutazione che ha il ruolo di connessione tra l’Ateneo e ANVUR, è composto anche da componenti esterni, ed esercita in primis una funzione valutativa e di monitoraggio di tutto il sistema, passando in rassegna, nella Relazione annuale, tutte le criticità e i punti di miglioramento complessivo del sistema, dalla Commissione didattica paritetica studenti-docenti al corso di studio, grazie anche al controllo e alla verifica delle aree di miglioramento segnalate dalla CEV nella visita periodica.

Il Presidio, infine, è addirittura per ANVUR – e ciò ci trova pienamente concordi – un requisito di accreditamento. D’altronde, come possiamo parlare di qualità se non attraverso un soggetto che guida e accompagna questo processo delicatissimo?

 

3. Riflessioni e proposte conclusive. La possibile evoluzione del Presidio quale organo collegiale d’Ateneo

Conclusivamente, il dato che emerge con forza è quello relativo a un organismo (o struttura, o unità organizzativa, o altro ancora) titolare di funzioni indispensabili e indefettibili per il fine istituzionale degli atenei italiani.

Tali funzioni spaziano dal versante della didattica a quello, meno esplorato, della ricerca scientifica, ma l’organismo in esame, quasi come un figlio non ancora riconosciuto dal proprio genitore, non trova un’agnizione formale nella legge dello Stato, dal momento che ha la sua unica fonte di legittimazione e di esistenza in atti di normazione secondaria o addirittura in atti amministrativi di agenzie ministeriali, peraltro con buona pace del cosiddetto sistema di soft law.

Imprescindibilità, quindi, delle funzioni per le principali missioni istituzionali degli enti universitari, accompagnata e contraddetta, tuttavia, dall’assenza di un riconoscimento univoco e formale nella legislazione nazionale.

Siamo, dunque, di fronte a un insolito elemento di incoerenza in una filosofia legislativa volta viceversa, in modo lineare e logico, a implementare e a potenziare, in una condivisibile visione strategica, gli istituti e gli strumenti di assicurazione della qualità della didattica erogata e della ricerca scientifica effettuata dalle istituzioni universitarie.

Per porre rimedio a questa incongruenza, è auspicabile, de jure condendo, un intervento del legislatore che espressamente annoveri il Presidio della qualità tra gli organi necessari di ogni Ateneo. In questo modo, finalmente allineando forma e sostanza, si assicurerà rilevanza fondamentale delle funzioni svolte e il riconoscimento esplicito dell’imprescindibilità dell’organismo nell’organizzazione di ciascuna Università.

Una presa di posizione chiara da parte del legislatore avrebbe, infatti, l’innegabile pregio di superare una volta per tutte quell’ambiguità sul piano organizzativo e istituzionale che oggi connota ancora il Presidio, riconducendo tale struttura nell’alveo degli organi che non possono mancare in ogni ente universitario (in questo modo fornendolo di una adeguata dignità e di un preciso “stato civile”) e, soprattutto, compiendo una meritoria opera di uniformazione e di normalizzazione, a livello nazionale, in ordine alla composizione, ai requisiti dei membri, alla durata del mandato e a ogni altro aspetto inerente alla vita istituzionale del Presidio.

Va da sé, e dunque è appena il caso di evidenziarlo, che una scelta siffatta del legislatore andrebbe di pari passo con una regolamentazione (sempre a opera della normativa nazionale primaria) quanto più possibile completa di alcuni profili attinenti al funzionamento del (nuovo) organo, che l’esperienza amministrativa concreta degli Atenei si è trovata a fronteggiare senza disporre di adeguati strumenti, approntati in modo uniforme dalla legge.

È il caso, ad esempio, della possibilità di provvedere a qualche forma di remunerazione o di incentivazione economica ai componenti del Presidio, in considerazione soprattutto della complessità e dell’impegno significativi che connotano l’attività da svolgere.

Qualora, infatti, il Presidio assurgesse finalmente per disposizione di legge, e senza necessità di opere di intermediazione ermeneutica, al rango di organo collegiale delle Università, lo stesso potrebbe agevolmente essere inquadrato, a livello di finanza pubblica, nella previsione contenuta nell’articolo 6, comma 3 del DL 31 maggio 2010, n. 78 (convertito dalla legge n. 122/2010)[4].

Ciò consentirebbe di ricomprendere il Presidio e i propri componenti tra i destinatari di indennità, compensi o gettoni di presenza a carico del bilancio universitario; e questo a maggior ragione e senza alcuna soverchia criticità nel tempo attuale, avendo la recente legge di bilancio[5] omesso di prorogare, a decorrere dal 2018, il tetto agli emolumenti di tal natura, di anno in anno confermato dalle leggi precedenti.

Tale previsione avrebbe potuto astrattamente costituire l’unico ostacolo al riconoscimento di benefici economici a favore di componenti di organi di nuova istituzione.

Un altro campo di elezione in cui l’intervento del legislatore potrebbe spiegare i propri positivi effetti, ancora precipuamente sul versante della normalizzazione dei comportamenti amministrativi tenuti dalle diverse istituzioni universitarie, potrebbe ravvisarsi nel riconoscimento, in favore dei componenti del Presidio provenienti dai ruoli della docenza, del beneficio della limitazione dell’attività didattica[6].

Ciò, almeno a parere di chi scrive, attenendo alla tematica dello stato giuridico dei professori e dei ricercatori universitari, deve trovare la propria fonte di legittimazione nella normativa nazionale, non costituendo materia nella quale l’autonomia amministrativa possa esercitarsi liberamente.

Ebbene, come comprovato anche dall’esperienza maturata in diversi Atenei e dalle legittime istanze che in tal senso provengono dai docenti impegnati quali membri del Presidio della qualità, l’indubbio carico di lavoro che grava in maniera costante e continuativa su tale struttura potrebbe trovare una qualche forma di compensazione e di alleggerimento proprio attraverso il riconoscimento del beneficio in esame, il quale, come noto, dispensa il professore universitario dal dovere di prestare una quota, anche minima, dell’attività didattica positivamente stabilita.

Ma anche per questo, occorre ribadirlo, si renderebbe necessario un intervento del legislatore, come testimoniato anche dalla circostanza, storicamente verificatasi, per la quale, quando si è avvertita la necessità di introdurre ulteriori fattispecie di limitazione, si è provveduto con disposizioni della normativa nazionale[7].

Come è agevole per ognuno vedere, un’eventuale definizione dei travagli del parto, cominciato ormai più di dieci anni or sono, che conduca alla venuta al mondo del Presidio quale organo collegiale degli atenei italiani, contribuirebbe in modo significativo a una rilettura del quadro normativo di riferimento, uniformando finalmente l’attività amministrativa delle università (e ponendo fine a un concetto di autonomia delle stesse troppo di frequente non interpretata nel modo corretto).

Non solo. Ciò consentirebbe confronti e paragoni virtuosi sul versante dell’efficienza e dell’efficacia dell’operato del Presidio (che l’attuale varietà delle modalità organizzative rende di non semplice praticabilità) e finirebbe con il fornire strumenti concreti anche in ordine ad aspetti collaterali (ma non per questo meno essenziali) della vita e del funzionamento dell’organo.

L’accreditamento e la garanzia della qualità della didattica e della ricerca costituiscono ormai un elemento fondamentale per la valutazione e per lo stesso finanziamento delle istituzioni universitarie, in un sistema a vocazione concorrenziale sempre più accentuata nel quale l’utenza di riferimento è sempre più attenta alla coerenza e alla qualità dei servizi erogati e delle funzioni svolte.

In questo modo, poi, verrebbe a compiersi un processo virtuoso e del tutto condivisibile nelle proprie linee fondamentali, avviato in concomitanza con l’intera riforma del sistema accademico. In definitiva, anche il legislatore, con coraggio e lungimiranza, dovrà considerare la possibilità di dare al Presidio della qualità una piena definizione a tutela dell’interesse pubblico e degli utenti che usufruiscono dei servizi universitari.

 

 

Nella Parte I, pubblicata il 26 giugno 2019,  sono stati affrontati i seguenti argomenti:

Alle origini del Presidio della qualità di Ateneo

Dal CNVSU all’ANVUR

La mancata previsione statutaria del Presidio tra gli organi

 

[1] Cfr. Autovalutazione, valutazione e accreditamento del sistema universitario italiano – documento approvato dal Consiglio direttivo di ANVUR il 9 gennaio 2013, pagina 5;

[2] Cfr. Autovalutazione, valutazione e accreditamento del sistema universitario italiano – documento approvato dal Consiglio direttivo di ANVUR il 9 gennaio 2013, pagina 13;

[3] DM 12 dicembre 2016, n. 987, Autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari, ha sostituito il DM 30 gennaio 2013, n. 47, Decreto autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica. Le nuove linee guida ANVUR sono reperibili sul sito web istituzionale:

http://www.anvur.org/attachments/article/26/LG_AVA_10-8-17.pdf

[4] L’art. 6, comma 3 del DL n. 78/2010, nella sua formulazione attuale, dispone che: Fermo restando quanto previsto dall'art. 1 comma 58 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, a decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2017, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma [...].

[5] Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).

[6] Cfr. in particolare la disposizione dell’art. 13 del DPR 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica).

[7] Cfr. l’art. 6, comma 11 del DPR n. 95/2016, in tema di riduzione del carico didattico dei componenti le commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale.