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Il tramonto italiano del semipresidenzialismo “squilibrato”

Mattarella e Draghi
Mattarella e Draghi

Come risaputo, la salita al Colle di Mario Draghi è auspicata da quasi tutte le forze politiche. Qualche giorno fa, il Ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti ha prospettato uno scenario emblematico, interessante da analizzare e commentare, ma costituzionalmente impossibile da attuare.

Nell’autunno 2020, lo stesso aveva indicato come possibile soluzione la conferma di Sergio Mattarella al Colle, almeno per un anno; in seguito, tale ipotesi è stata accolta anche da altri leader politici, al fine di consentire al Presidente del Consiglio Draghi di completare il proprio operato fino al 2023, portare avanti il Recovery Plan e la complessa lotta contro il Covid-19. Esclusa l’ipotesi appena riportata per volontà dell’attuale Presidente della Repubblica apparso in linea con i suoi predecessori sul tema, il Ministro Giorgetti ha avanzato la seguente proposta, considerata da molti esponenti politici surreale: lasciare all’ex presidente della BCE la guida del Convoglio assolvendo contestualmente la carica di Capo dello Stato. In concreto, la proposta si traduce in un “semipresidenzialismo de facto”, in cui il Presidente della Repubblica “allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole”.

Uno scenario così inverosimile richiederebbe la nomina a Palazzo Chigi di un uomo di fiducia dell’attuale Presidente del Consiglio Draghi; quest’ultimo continuerebbe a dirigere la politica nazionale e la realizzazione del PNRR dal Quirinale. Tale proposta – secondo taluni – trova l’appoggio di quei “deputati e senatori che temono di non essere rieletti, e vogliono a qualsiasi costo arrivare alla fine della legislatura”.  

Da diverso tempo, la dottrina italiana si interroga sui pregi e sui difetti della forma di governo della Quinta Repubblica francese. In realtà, fatta eccezione per la breve e profonda vampata di fine anni Novanta, nel dibattito italiano sulle riforme istituzionali non è mai stata avanzata l’opzione semipresidenziale di stampo francese.

È opportuno segnalare la diffidenza palesata dagli studiosi italiani verso le pratiche di potere adottate da De Gaulle, ritenute una minaccia al principio democratico. Lo scopo perseguito dal generale era quello di demolire il principio della centralità del Parlamento, su cui si incentrava la Costituzione del 1946. In una Francia in evidente difficoltà politica, tale idea aveva ottenuto grande consenso; al contrario, in Italia, essa destava forte preoccupazione, in ragione della crescente influenza del sistema dei partiti.

Nel corso della XIII Legislatura, i lavori della Commissione Bicamerale del 1997 ruotarono intorno a due opzioni opposte: quella di una forma di governo neoparlamentare incentrata sullo stretto rapporto governo-parlamento-elettori, e quella di una forma di governo definita “semipresidenziale”, ossia imperniata sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

Quest’ultima assume – a parere di chi scrive – le sembianze di una strategia politica, in quanto il modello francese venne corretto introducendo istituti ricavati da diversi sistemi di governo, in modo tale da conquistare il consenso di varie personalità e combinare obiettivi divergenti, persino in contrasto tra loro. Del prototipo francese, il semipresidenzialismo italiano finiva per mantenere solo l’elezione diretta del Presidente. La Bicamerale incontrava due difficoltà

la prima riguardava il mancato accoppiamento della forma di governo con il maggioritario uninominale a doppio turno. A tale riguardo, appare necessario segnalare che proprio la legge elettorale aveva permesso il funzionamento della forma di governo francese. In Italia, invece, il “doppio turno di coalizione” era ritenuto svincolato dalla forma di governo, dal momento che rispondeva a logiche ben differenti.

La seconda atteneva al potere di scioglimento così come delineato nel progetto della Bicamerale: esso non era discrezionale, ma circoscritto a specifiche situazioni di arbitrato politico; al Presidente era concessa unicamente la possibilità di sciogliere l’Assemblea appena eletta, al fine di riconciliare le maggioranze, mentre non gli era consentito lo scioglimento in caso di elezioni parlamentari conseguenti.

Dai lavori della Commissione Bicamerale usciva un modello distante dal prototipo francese: un semipresidenzialismo “instabile”, ossia non in grado di funzionare secondo i presupposti del modello “duale”. Di conseguenza, le pretese affinità con il sistema costituzionale francese erano apparenti: il voto di sfiducia, pur essendo espresso a maggioranza assoluta, presentava una disciplina non comparabile con quella dell’art. 49, comma 3, della Costituzione francese del 1958.

A distanza di anni, coloro che avevano abbracciato l’ipotesi semipresidenziale ritenevano che il modello scaturito dalla Bicamerale difficilmente avrebbe contribuito a risolvere i problemi di governabilità del Paese. Occorre evidenziare – a giudizio di chi scrive – il silenzio intorno alla questione della irresponsabilità presidenziale, nonché uno dei problemi più significativi e rimasti in sospeso nel sistema istituzionale francese. Un’irresponsabilità non solo giuridica, ma anche e soprattutto politica. Quel che desta stupore è l’assenza di un dibattito al riguardo in tale periodo storico, assenza che sembra essere giustificata dalla confusione sul ruolo del Presidente della Repubblica.

Con il ritiro della Bicamerale tramonta anche ogni concreta ipotesi di introdurre in Italia una forma di governo semipresidenziale di stampo francese. Negli anni a venire, infatti, vengono intraprese vie differenti: il progetto di riforma del 2015, rigettato nel 2006, introduceva una forma di premierato, mediante il potenziamento dei poteri del Governo nel quadro monistico di un parlamento razionalizzato; parimenti, la riforma c.d. “Renzi-Boschi”, bocciata nel 2016, puntava a rafforzare la posizione dell’Esecutivo e del Presidente del Consiglio dei Ministri, con l’intento di trasformare la forma di governo in un vero stabile Premierato.

Si tratta di interventi improvvisi, non accompagnati da una profonda riflessione sulle virtù e sulle debolezze del semipresidenzialismo, oltre che privi di un’attenta analisi delle condizioni materiali che permettono il funzionamento di tale forma di governo in Francia.

Oggi, come allora, l’ipotesi del semipresidenzialismo viene sollevata con l’intento egoistico di appianare disordini politici. In concreto, essa non rappresenta il serio tentativo di ricercare una formula in grado di risolvere le anomalie del sistema politico-istituzionale italiano.

A differenza della Francia della V Repubblica, capace di mantenere le proprie caratteristiche adeguandole alle esigenze di equilibrio tra gli organi costituzionali ed i soggetti in campo, la ricostruzione del sistema politico-costituzionale italiano manca di partecipazione politica, di equilibrio, ma soprattutto di coerenza nel disegno istituzionale.