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Indennità di maternità per le lavoratrici iscritte alla gestione separata in caso di adozione nazionale o internazionale

Nota a Corte Costituzionale, Sentenza 22 novembre 2012, n. 257
Alle lavoratrici (libere professioniste, lavoratrici a progetto e categorie assimilate) iscritte alla Gestione Separata presso l’INPS di cui all’art. 2, comma 26, della legge n° 335 del 1995, ai sensi dell’art. 80, comma 12, della legge n° 388/2000, spetta «la tutela della maternità nelle forme e con le modalità quali previste per il lavoro dipendente».

Ne consegue che le stesse non possono essere adibite al lavoro nei due mesi antecedenti la data presunta del parto, nel periodo (eventuale) intercorrente tra la data presunta e quella effettiva, nei tre mesi successivi al parto nonché negli ulteriori giorni (eventualmente) non goduti qualora il parto sia avvenuto prima della data presunta.

L’obbligo di astensione dal lavoro si estende anche nei periodi di interdizione anticipata dal lavoro per «gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza» accertate con le procedure di cui all’art. 17, comma 2, del decreto legislativo n° 151/2001.

Durante i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per le causali di cui sopra alla lavoratrice spetta, per una durata complessiva di cinque mesi, una indennità di maternità nella misura e con le modalità di erogazione quali previste dall’art. 2 del Decreto Ministeriale 4 aprile 2002.

L’indennità in interesse spetta anche al padre lavoratore, purché iscritto alla medesima gestione, per i tre mesi successivi alla data effettiva del parto o per il periodo residuo che sarebbe spettato alla lavoratrice madre in caso di morte o di grave infermità della stessa o di abbandono nonché in caso affidamento esclusivo del bambino al padre.

Condizione per la fruizione dei benefici anzidetti (congedo e indennità economica) è che la lavoratrice vanti, al momento dell’evento (data presunta del parto), oltre che l’iscrizione alla predetta gestione separata anche l’effettivo accreditamento di almeno tre mensilità di contribuzione nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile (art. 1 del già citato Decreto Ministeriale 4 aprile 2002).

La corresponsione dell’indennità economica è, in ogni caso, subordinata all’effettiva astensione dall’attività lavorativa dei soggetti richiedenti.

Il congedo e il trattamento economico di cui sopra spettano anche nei casi di adozione nazionale, di affidamento familiare, di adozione internazionale e affidamento preadottivo.

Relativamente a tali ultime fattispecie il congedo di maternità o di paternità è riconosciuto solo per i tre mesi successivi all’effettivo ingresso nella famiglia adottiva o affidataria del minore che, in caso di adozione nazionale o di affidamento familiare, non abbia superato i sei anni di età mentre in caso di adozione internazionale o di affidamento preadottivo (internazionale) il congedo spetta, sempre per il medesimo periodo (tre mesi), a prescindere dall’età del minore e, comunque, fino al compimento della maggiore età dello stesso.

In caso di adozione o di affidamento, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del più volte citato Decreto Ministeriale 4 aprile 2002, l’indennità, in alternativa alla madre lavoratrice che non ne faccia richiesta, spetta, alle medesime condizioni, al padre lavoratore.

Da quanto sin qui detto è evidente la disparità di trattamento dal momento che, limitatamente alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, in caso di maternità

• se madri biologiche beneficiano del congedo di maternità e della relativa indennità per una durata complessiva di cinque mesi;

• se madri adottive, in caso di adozione sia nazionale che internazionale, il congedo di maternità e la relativa indennità economica sono riconosciuti per soli tre mesi.

A disporre in tal senso è l’art. 2 del Decreto Ministeriale 4 aprile 2002 espressamente richiamato dall’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151 del 2001, come modificato dall’art. 5, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n° 115/2003 e dall’art. 1, comma 791, lettere a) e b), della legge n° 296/2006.

Al fine di adeguare la disciplina della tutela della maternità prevista per le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata a quella vigente per il lavoro dipendente con ulteriore Decreto Ministeriale del 12 luglio 2007 sono state dettate disposizioni attuative degli articoli 17 e 22 del decreto legislativo n° 151 del 2001.

Tanto premesso il Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, dubitando della legittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151 del 2001, con ordinanza del 27 settembre 2011 ha sollevato questione di legittimità costituzionale della richiamata norma nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla Gestione che abbiano adottato un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi.

Partendo dal disposto per il quale, per le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, la tutela della maternità avviene nelle forme e con le modalità proprie del lavoro dipendente, il giudice rimettente, dopo ampio approfondimento della normativa in interesse, ha riscontrato che, mentre per le lavoratrici dipendenti, siano esse madri biologiche o adottive, la tutela della maternità (congedo e relativa indennità per la durata di cinque mesi) è identica, per quelle iscritte alla Gestione Separata tale tutela, come già sottolineato, assume, invece, contenuti diversi a seconda che si tratti di madri biologiche o di madri adottive.

A tal riguardo sottolinea il giudice rimettente che, mentre nell’ambito del lavoro dipendente il legislatore realizza una completa equiparazione tra madri biologiche e madri adottive prevedendo per entrambe il congedo di maternità ed il relativo trattamento economico per un periodo massimo di cinque mesi, nell’ambito del lavoro autonomo tale equiparazione non è realizzata permanendo, alla luce delle richiamate disposizioni, un regime fortemente differenziato tra madri biologiche e madri adottive per cui mentre le prime godono del trattamento di maternità per cinque mesi (al pari di quello previsto nel lavoro dipendente) alle seconde è riconosciuto, invece, un trattamento per solo tre mesi.

Tale differenziazione, oltre che violare la parità di trattamento quale prevista dall’art. 3 della Costituzione, appare, altresì, irragionevole in quanto, a detta del giudice rimettente, le lavoratrici, siano esse autonome o dipendenti, hanno le stesse esigenze in ordine all’inserimento in famiglia del bambino adottato.

Da qui il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151 del 2001 e dei decreti ministeriali cui lo stesso rinvia per la disciplina, in dettaglio, delle condizioni, dei limiti e delle procedure per beneficiare, limitatamente alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, del congedo di maternità e del relativo trattamento economico.

La Corte Costituzionale, con sentenza n° 257 del 22 novembre 2012, ritenendo fondate le argomentazioni addotte dal giudice rimettente, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151/2001 (e, di conseguenza, anche del Decreto Ministeriale 4 aprile 2002) «nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi».

La sentenza assume un significato estremamente rilevante non solo perché equipara sul piano dei diritti le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata (libere professioniste, lavoratrici a progetto e categorie assimilate) e le lavoratrici dipendenti, ma anche perché, entrando nel merito di quanto in interesse, sottolinea con autorevolezza che gli istituti finalizzati alla salvaguardia della maternità «non hanno più, come per il passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati anche alla garanzia del preminente interesse del minore che va tutelato non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo collegate allo sviluppo della sua personalità».

Principio, quest’ultimo, già affermato in occasione di precedenti giudicati (vedi sentenza n° 385 del 14 ottobre 2005).

«Tale principio, continua la Corte, è tanto più presente nelle ipotesi di affidamento preadottivo e di adozione nelle quali l’astensione dal lavoro non è finalizzata solo alla tutela della salute della madre, ma mira anche ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino creando le condizioni di una più intensa presenza degli adottanti cui spetta la responsabilità di gestire la delicata fase dell’ingresso del minore nella sua nuova famiglia».

Per tutto quanto precede, per i Giudici Costituzionali appare, pertanto, manifestamente irragionevole che mentre alle lavoratrici dipendenti che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, ai sensi dell’art. 26, commi da 1 a 3, del decreto legislativo n° 151/2001, spetta un congedo di maternità regolarmente retribuito per un periodo massimo di cinque mesi, sia in caso di adozione o di affidamento nazionale che internazionale, alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata sia, invece, riconosciuta, ai sensi dell’art. 2 del Decreto Ministeriale 4 aprile 2002, richiamato dall’art. 64, comma 2, del citato decreto legislativo n° 151/2001, una indennità di maternità per soli tre mesi.

L’irragionevolezza di tale trattamento differenziato è tanto più palese ove si consideri che, in entrambi i casi, si tratta di adozione o di affidamento preadottivo.

Per tutto quanto precede la Corte ha, conseguentemente, dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151 del 2001, come integrato dal richiamo al decreto ministeriale 4 aprile 2002 del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, «nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n° 335/1995 che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi». Alle lavoratrici (libere professioniste, lavoratrici a progetto e categorie assimilate) iscritte alla Gestione Separata presso l’INPS di cui all’art. 2, comma 26, della legge n° 335 del 1995, ai sensi dell’art. 80, comma 12, della legge n° 388/2000, spetta «la tutela della maternità nelle forme e con le modalità quali previste per il lavoro dipendente».

Ne consegue che le stesse non possono essere adibite al lavoro nei due mesi antecedenti la data presunta del parto, nel periodo (eventuale) intercorrente tra la data presunta e quella effettiva, nei tre mesi successivi al parto nonché negli ulteriori giorni (eventualmente) non goduti qualora il parto sia avvenuto prima della data presunta.

L’obbligo di astensione dal lavoro si estende anche nei periodi di interdizione anticipata dal lavoro per «gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza» accertate con le procedure di cui all’art. 17, comma 2, del decreto legislativo n° 151/2001.

Durante i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per le causali di cui sopra alla lavoratrice spetta, per una durata complessiva di cinque mesi, una indennità di maternità nella misura e con le modalità di erogazione quali previste dall’art. 2 del Decreto Ministeriale 4 aprile 2002.

L’indennità in interesse spetta anche al padre lavoratore, purché iscritto alla medesima gestione, per i tre mesi successivi alla data effettiva del parto o per il periodo residuo che sarebbe spettato alla lavoratrice madre in caso di morte o di grave infermità della stessa o di abbandono nonché in caso affidamento esclusivo del bambino al padre.

Condizione per la fruizione dei benefici anzidetti (congedo e indennità economica) è che la lavoratrice vanti, al momento dell’evento (data presunta del parto), oltre che l’iscrizione alla predetta gestione separata anche l’effettivo accreditamento di almeno tre mensilità di contribuzione nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile (art. 1 del già citato Decreto Ministeriale 4 aprile 2002).

La corresponsione dell’indennità economica è, in ogni caso, subordinata all’effettiva astensione dall’attività lavorativa dei soggetti richiedenti.

Il congedo e il trattamento economico di cui sopra spettano anche nei casi di adozione nazionale, di affidamento familiare, di adozione internazionale e affidamento preadottivo.

Relativamente a tali ultime fattispecie il congedo di maternità o di paternità è riconosciuto solo per i tre mesi successivi all’effettivo ingresso nella famiglia adottiva o affidataria del minore che, in caso di adozione nazionale o di affidamento familiare, non abbia superato i sei anni di età mentre in caso di adozione internazionale o di affidamento preadottivo (internazionale) il congedo spetta, sempre per il medesimo periodo (tre mesi), a prescindere dall’età del minore e, comunque, fino al compimento della maggiore età dello stesso.

In caso di adozione o di affidamento, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del più volte citato Decreto Ministeriale 4 aprile 2002, l’indennità, in alternativa alla madre lavoratrice che non ne faccia richiesta, spetta, alle medesime condizioni, al padre lavoratore.

Da quanto sin qui detto è evidente la disparità di trattamento dal momento che, limitatamente alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, in caso di maternità

• se madri biologiche beneficiano del congedo di maternità e della relativa indennità per una durata complessiva di cinque mesi;

• se madri adottive, in caso di adozione sia nazionale che internazionale, il congedo di maternità e la relativa indennità economica sono riconosciuti per soli tre mesi.

A disporre in tal senso è l’art. 2 del Decreto Ministeriale 4 aprile 2002 espressamente richiamato dall’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151 del 2001, come modificato dall’art. 5, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n° 115/2003 e dall’art. 1, comma 791, lettere a) e b), della legge n° 296/2006.

Al fine di adeguare la disciplina della tutela della maternità prevista per le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata a quella vigente per il lavoro dipendente con ulteriore Decreto Ministeriale del 12 luglio 2007 sono state dettate disposizioni attuative degli articoli 17 e 22 del decreto legislativo n° 151 del 2001.

Tanto premesso il Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, dubitando della legittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151 del 2001, con ordinanza del 27 settembre 2011 ha sollevato questione di legittimità costituzionale della richiamata norma nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla Gestione che abbiano adottato un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi.

Partendo dal disposto per il quale, per le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, la tutela della maternità avviene nelle forme e con le modalità proprie del lavoro dipendente, il giudice rimettente, dopo ampio approfondimento della normativa in interesse, ha riscontrato che, mentre per le lavoratrici dipendenti, siano esse madri biologiche o adottive, la tutela della maternità (congedo e relativa indennità per la durata di cinque mesi) è identica, per quelle iscritte alla Gestione Separata tale tutela, come già sottolineato, assume, invece, contenuti diversi a seconda che si tratti di madri biologiche o di madri adottive.

A tal riguardo sottolinea il giudice rimettente che, mentre nell’ambito del lavoro dipendente il legislatore realizza una completa equiparazione tra madri biologiche e madri adottive prevedendo per entrambe il congedo di maternità ed il relativo trattamento economico per un periodo massimo di cinque mesi, nell’ambito del lavoro autonomo tale equiparazione non è realizzata permanendo, alla luce delle richiamate disposizioni, un regime fortemente differenziato tra madri biologiche e madri adottive per cui mentre le prime godono del trattamento di maternità per cinque mesi (al pari di quello previsto nel lavoro dipendente) alle seconde è riconosciuto, invece, un trattamento per solo tre mesi.

Tale differenziazione, oltre che violare la parità di trattamento quale prevista dall’art. 3 della Costituzione, appare, altresì, irragionevole in quanto, a detta del giudice rimettente, le lavoratrici, siano esse autonome o dipendenti, hanno le stesse esigenze in ordine all’inserimento in famiglia del bambino adottato.

Da qui il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151 del 2001 e dei decreti ministeriali cui lo stesso rinvia per la disciplina, in dettaglio, delle condizioni, dei limiti e delle procedure per beneficiare, limitatamente alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, del congedo di maternità e del relativo trattamento economico.

La Corte Costituzionale, con sentenza n° 257 del 22 novembre 2012, ritenendo fondate le argomentazioni addotte dal giudice rimettente, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151/2001 (e, di conseguenza, anche del Decreto Ministeriale 4 aprile 2002) «nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi».

La sentenza assume un significato estremamente rilevante non solo perché equipara sul piano dei diritti le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata (libere professioniste, lavoratrici a progetto e categorie assimilate) e le lavoratrici dipendenti, ma anche perché, entrando nel merito di quanto in interesse, sottolinea con autorevolezza che gli istituti finalizzati alla salvaguardia della maternità «non hanno più, come per il passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati anche alla garanzia del preminente interesse del minore che va tutelato non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo collegate allo sviluppo della sua personalità».

Principio, quest’ultimo, già affermato in occasione di precedenti giudicati (vedi sentenza n° 385 del 14 ottobre 2005).

«Tale principio, continua la Corte, è tanto più presente nelle ipotesi di affidamento preadottivo e di adozione nelle quali l’astensione dal lavoro non è finalizzata solo alla tutela della salute della madre, ma mira anche ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino creando le condizioni di una più intensa presenza degli adottanti cui spetta la responsabilità di gestire la delicata fase dell’ingresso del minore nella sua nuova famiglia».

Per tutto quanto precede, per i Giudici Costituzionali appare, pertanto, manifestamente irragionevole che mentre alle lavoratrici dipendenti che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, ai sensi dell’art. 26, commi da 1 a 3, del decreto legislativo n° 151/2001, spetta un congedo di maternità regolarmente retribuito per un periodo massimo di cinque mesi, sia in caso di adozione o di affidamento nazionale che internazionale, alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata sia, invece, riconosciuta, ai sensi dell’art. 2 del Decreto Ministeriale 4 aprile 2002, richiamato dall’art. 64, comma 2, del citato decreto legislativo n° 151/2001, una indennità di maternità per soli tre mesi.

L’irragionevolezza di tale trattamento differenziato è tanto più palese ove si consideri che, in entrambi i casi, si tratta di adozione o di affidamento preadottivo.

Per tutto quanto precede la Corte ha, conseguentemente, dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del decreto legislativo n° 151 del 2001, come integrato dal richiamo al decreto ministeriale 4 aprile 2002 del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, «nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n° 335/1995 che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi».