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Indicatori della crisi d’impresa: rilevazione e misurazione per una “vera” azione tempestiva?

La città muta - Riflessi (IV)
Ph. Anuar Arebi / La città muta - Riflessi (IV)

*Contributo sottoposto con esito positivo a referaggio secondo le regole della rivista

 

Abstract

È noto che la riforma della crisi d’impresa introdotta con il D. Lgs. 14/2019 sia considerata una vera e propria “rivoluzione” nell’ambito del diritto concorsuale applicato all’impresa. Tale normativa, infatti, esprime abbastanza chiaramente la volontà di anticipare il momento riguardante l’emersione della crisi d’impresa con l’obiettivo di ridurre il più possibile il lasso di tempo entro il quale le scelte aziendali dovrebbero essere prese per mitigare le conseguenze degli effetti della crisi. Il presente scritto si propone di argomentare, secondo una prospettiva economico-aziendale, come il sistema di “early warning” previsto dal Codice della Crisi (definito “sistema d’allerta”) non abbia come finalità esclusiva quella di monitorare “passivamente” lo stato di crisi d’impresa, quale presupposto oggettivo per attivare uno strumento concorsuale tipicamente liquidatorio, ma che tale “sistema” possa essere considerato un idoneo “strumento” di monitoraggio “proattivo”, che dovrà inserirsi nell’ambito di un adeguato e proporzionato sistema di controllo interno e di gestione dei rischi (SCIGR), che ogni realtà aziendale di successo dovrà implementare, così come previsto dal secondo comma dall’art. 2086 del codice civile.

It is known that the reform of the business crisis introduced with Legislative Decree 14/2019 is considered a real "revolution" in the context of insolvency law applied to the company. This legislation, in fact, quite clearly expresses the will to anticipate the moment concerning the emergence of the business crisis with the aim of reducing as much as possible the time frame within which business decisions should be taken to mitigate the consequences of effects of the crisis. This paper aims to argue, according to an economic-business perspective, how the "early warning" system provided for by the Crisis Code (defined "alert system") does not have the exclusive purpose of monitoring "passively" the state business crisis, as an objective prerequisite for activating a typically liquidatory insolvency instrument, but that this "system" can be considered a suitable "proactive" monitoring "tool", which must be part of an adequate and proportionate internal control and risk management (SCIGR), which every successful company must implement, as required by the second paragraph of art. 2086 of the civil code.

 

Sommario:

1. L’introduzione al tema della crisi d’impresa e al “nuovo” codice

2. La crisi d’impresa dal punto di vista aziendale

3. L’azione tempestiva

4. Gli indicatori e gli indici della crisi: alcune possibili criticità

5. Conclusioni

 

1. L’introduzione al tema della crisi d’impresa e al “nuovo” codice

Il D. Lgs. 14/2019, definito “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza[1], emanato in seguito all’attuazione della Legge 155/2017, e la cui entrata in vigore – inizialmente prevista per il 15 agosto 2020 – è, al momento in cui si scrive, fissata al 1° settembre 2021, per le motivazioni che si riporteranno a breve, è ragionevole ritenere che sarà oggetto di modifiche e, forse, di ulteriori rinvii.

L’ipotesi ventilata dagli addetti ai lavori, in merito alla necessità di apportare eventuali correttivi ai capisaldi della vigente versione del Codice, è determinata da almeno due ordini di motivi. Il primo riguarda il mutato contesto economico e sociale che la pandemia da COVID-19 ha determinato nel sistema produttivo italiano che, essenzialmente costituito da piccole e medie imprese, vale a dire le realtà economiche più colpite dalla crisi sanitaria legata alla pandemia. Il secondo motivo è ascrivibile al fatto che, per effetto dell’emanazione della Direttiva 2019/1023/UE riguardante la “Ristrutturazione, l’insolvenza e l’esdebitazione”, che modifica in parte anche la Direttiva 2017/1132 che ha dato origine al Codice della Crisi, è stata istituita nello scorso aprile 2021 una Commissione di esperti in seno al Ministero di Grazia e Giustizia, avente come obiettivo l’elaborazione di disposizioni correttive ed integrative al suddetto Codice.

Nel prosieguo del presente scritto si analizzeranno alcuni aspetti relativi alla crisi d’impresa da un punto di vista economico-aziendale, cercando di evidenziare quelli che, a prescindere dalle norme di riferimento, si reputano imprescindibili con riguardo al modus operandi che occorrerebbe impiegare nella gestione della crisi d’impresa, in un’ottica “anticipatoria”.

 

2. La crisi d’impresa dal punto di vista economico-aziendale

Da un punto di vista economico-aziendale, la crisi d’impresa può avere diverse e molteplici cause, che non necessariamente determinano uno stato d’insolvenza[2] dell’impresa stessa.

Essa si potrebbe considerare quale condizione antecedente e presupposto essenziale per determinare la condizione d’insolvenza che la dottrina economico-aziendale[3] definisce come “quel processo degenerativo che rende la gestione aziendale non più in grado di seguire condizioni di economicità a causa di fenomeni di squilibrio o di inefficienza, di origine interna o esterna, che determinano appunto la produzione di perdite di varia entità che, a loro volta, possono determinare l’insolvenza che costituisce più che la causa, l’effetto, la manifestazione ultima del dissesto”.

Una volta individuata la natura della crisi, è utile soffermarsi sulle cause che l’hanno determinata.

In dottrina, sono state rilevate le seguenti quattro fasi che possono caratterizzare il percorso di tale processo:

  1. incubazione: primi segnali di temporaneo squilibrio economico-finanziario dell’azienda;
  2. maturazione: perdite economiche significative e progressiva diminuzione del valore del capitale economico della stessa;
  3. ripercussione sui flussi di cassa: tensioni di natura finanziaria, sempre più frequenti, con conseguenti squilibri e deficit “cronici” di carattere finanziario;
  4. esplosione della crisi: emersione dell’incapacità conclamata di far fronte con regolarità alle obbligazioni sociali, con conseguente possibile lesione degli interessi dei principali stakeholder.

È, quindi, possibile ritenere che la crisi d’impresa possieda un proprio ciclo di vita, degenerativo, e che, se individuata tempestivamente, possa aiutare a ridurre gli effetti del dissesto.

Le determinanti di una crisi possono essere sia di natura economica che finanziaria, e solitamente non sono mai riconducibili ad un’unica e specifica causa, ma sono diversi e molteplici i fattori – sia interni che esterni all’impresa – che giocano un ruolo rilevante nella sua determinazione. Tra i diversi, si citano a puro titolo d’esempio il posizionamento competitivo, il decadimento dei prodotti, le cause strategiche, il declino e le crisi dimensionali (eccessi di potenzialità organizzative e/o capacità produttiva), il declino e la crisi da inefficienze, il declino e la crisi da squilibrio finanziario/patrimoniale, la crescita eccessiva non supportata da sufficienti risorse, le dinamiche settoriali, i movimenti macro-economici e culturali, e gli eventi catastrofici.

È proprio sulla base di queste considerazioni che il legislatore è intervenuto nell’intento di riformare la legge fallimentare, con lo scopo di prevenire e di gestire al meglio la crisi d’impresa[4]. L’obiettivo del D.Lgs. 14/2019Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza”, già richiamato in apertura, è proprio quello di dotare le imprese e gli operatori economici di strumenti idonei per riuscire a cogliere tempestivamente le prime avvisaglie di difficoltà dell’impresa, in modo da evitare che l’insorgenza dell’insolvenza sia intercettata tardi, con elevati costi per la collettività (“too little too late”).

Il Codice, così com’è formulato, evidenzia l’importanza di procedure di allerta idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e suggerisce all’organo amministrativo gli strumenti considerati più idonei a farvi fronte, al fine ultimo di tentare di conservare e tutelare l’eventuale valore residuo dell’azienda in difficoltà, anziché “disperderlo” in una fase di liquidazione della stessa.

In particolare, il Codice qualifica la situazione di crisi come quello stato di “squilibrio economico/finanziario che rende probabile l’insolvenza”; la crisi è tale solo se non è destinata ad evolversi in dissesto, condizione che, invece, sarebbe da definirsi “insolvenza. Esso impone dunque una lettura prospettica dell’evoluzione delle variabili economiche e finanziarie dell’impresa, così come confermato nel prosieguo della stessa definizione[5].

Da una mera prospettiva economico-aziendale, si rammenta, la crisi d’impresa potrebbe non solo essere il frutto di uno squilibrio finanziario, più o meno profondo, ma anche la conseguenza della perdita di una o più condizioni di equilibrio, perpetrata nel tempo, segnatamente:

  • l’equilibrio strategico;
  • l’equilibrio reddituale;
  • l’equilibrio finanziario;
  • l’equilibrio patrimoniale.

Tali menzionati “equilibri”, se non preservati, possono determinare l’insorgenza di condizioni di assoluta criticità nella gestione di un ‘impresa.

 

3. L’azione tempestiva

Il nuovo Codice distingue tra la definizione di “crisi” e quella di “insolvenza, quest’ultima indicata come “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

Se sul piano teorico-concettuale la distinzione tra le due può risultare chiara, più complessa è nel concreto, la relativa verifica: l’impresa in crisi, come l’impresa insolvente, può manifestare difficoltà più o meno gravi ad adempiere alle proprie obbligazioni. Occorre considerare che, mentre gli inadempimenti nell’impresa in crisi debbono potersi considerare temporanei e, probabilmente, superabili, l’impresa insolvente si dimostra incapace di adempiere per ragioni strutturali e irreversibili.

Per queste ragioni è opportuno agire in modo tempestivo al fine di individuare i prodromi della crisi per tempo, e porre in essere tutti gli strumenti più idonei, così come proposti dal Codice e dal c.c., per affrontarla ed arginarla.

Si sottolinea inoltre come un’azione tempestiva che consenta di individuare potenziali situazioni di crisi, possa apportare molteplici benefici, non solo per l’impresa in sé, ma anche per i suoi interlocutori e per il sistema economico nel suo complesso.

Tra i benefici della “tempestiva” segnalazione della crisi di impresa, prevista dal Codice delle Crisi, si annoverano:

  • l’identificazione agevolata delle iniziative di salvaguardia dell’eventuale valore residuo della società, tra le quali si cita il mantenimento di idonei livelli occupazionali;
  • la maggiore probabilità di ripristino dell’equilibrio interrotto con la possibile mitigazione delle future perdite, anche “a carico” dei differenti stakeholder;
  • la possibilità di accesso a strumenti normativi più snelli e flessibili, in grado di contenere gli oneri sia diretti che indiretti, molto spesso legati alle tempistiche delle procedure concorsuali, altrimenti da attivarsi;
  • le premialità sia di natura patrimoniale sia in termini di responsabilità personale, previste dalla normativa, con specifico riferimento la pronta segnalazione della crisi da parte dell’organo amministrativo dell’azienda in crisi.

A tale scopo, il Codice ha dunque introdotto le cc.dd. “procedure di allerta e di composizione assistita della crisi”, da porre in azione in due momenti precisi dell’attività d’impresa:

  1. nel corso dell’ordinaria attività: in questa “fase” occorrerebbe effettuare una valutazione costante dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa, della sussistenza dell’equilibrio economico/finanziario, del prevedibile andamento di gestione e dell’esistenza di fondati indizi di crisi;
  2. in caso di “fondati indizi di crisi: in questa “fase”, rilevabile anche con appositi indici[6], sarebbe attivato l’Organismo di Composizione della Crisi (OCRI).

Nel secondo “momento”, patologico e sintomatico, è da ricercare, in un termine non superiore a 90 giorni (estendibile, eventualmente, di ulteriori 90 giorni), una soluzione concordata della crisi, auspicabilmente da evolversi in un accordo in forma scritta con i creditori del soggetto in pericolo di dissesto[7].

Diversamente, se tale procedura dovesse produrre esito negativo, non pervenendo a una soluzione concordata dei soggetti coinvolti, e la situazione patogena permanga, il debitore è tenuto a presentare domanda di accesso a una delle diverse “procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza[8], ovvero a fare ricorso allo strumento della “regolazione stragiudiziale[9].

L’art. 2086, comma 2, c.c., include uno specifico obbligo in capo a tutti gli imprenditori, disponendo che “l’imprenditore, che operi in forma societario o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale[10].

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[1] D’ora innanzi, se non diversamente specificato, si farà riferimento allo stesso con il “Codice”.

[2] Ai fini del presente scritto intenderemo “stato di insolvenza” non solo l’impossibilità assoluta ad adempiere regolarmente e tempestivamente alle obbligazioni assunte dalla società, e quindi alla situazione che determina la condizione di liquidazione della stessa, quanto anche alla situazione nella quale i creditori di una società ritengono probabile che il debitore, senza l’esclusione di eventuali garanzie, sia in grado di adempiere integralmente alle sue obbligazioni creditizie. Cfr. Definizione di UTP (“unlikely to pay”), Circolare Banca d’Italia n. 272 del 30 luglio 2008 (Fascicolo “Matrice dei Conti”) – 13° aggiornamento del 23 dicembre 2020.

[3] In questo paragrafo si è fatto riferimento a Stanghellini (2007) “Le crisi d’impresa fra diritto ed economia: le procedure d’insolvenza” – Il Mulino, a Guatri (1986) “Crisi e risanamento delle imprese” – Giuffrè Editore, e a Guatri (1995) “Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore” – Egea.

[4] Più volte si farà riferimento all’intervento di P. Tettamanzi del 3 dicembre 2020 “Strumenti e limiti della rilevazione tecnica della crisi d’impresa” nel corso del webinar organizzato da AODV231 di cui al seguente link: https://www.aodv231.it/images/image/3976-10-Programma%20Webinar%20AODV231_03%2012%202020.pdf.

[5] Nel Codice si legge che “per le imprese [la crisi] si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” – Art. 2, comma 1, lettera a).

[6] Si veda l’Art. 13 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, rubricato appunto “Indicatori e indici della crisi”.

[7] Si veda l’Art. 19 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, rubricato “Composizione della crisi”.

[8] Si veda l’Art. 21 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, rubricato “Conclusione del procedimento”.

[9] Cfr. Art. 56 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, rubricato “Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento” ovvero l’Art. 67 del Regio Decreto 267/1942 (i.e. Legge Fallimentare).

[10] Si segnala che, a differenza di quanto rilevato con riguardo all’entrata in vigore del Codice, la parte della riforma che ha novellato il c.c. (e qui discussa) è già in vigore dal 16 marzo 2019.