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Infortunio sul lavoro: il RSPP è sempre il garante della prevenzione in azienda

I colori delle albe e dei tramonti
Ph. Ermes Galli / I colori delle albe e dei tramonti

Abstract

Deve attribuirsi al RSPP uno specifico ruolo di garante nella materia prevenzionistica avendo l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri.

 

Indice

1. RSPP: tra semplice operatore o responsabile di sicurezza organizzativa

2. RSPP: la vicenda e le difese circa l’assenza della posizione di garanzia rispetto allosservanza della normativa antinfortunistica

3. RSPP: la decisione sulla posizione di garanzia in materia prevenzionistica

4. RSPP: gli aspetti identificativi del ruolo

5. RSPP: riflessioni conclusive e qualificazione extra-contrattuale della relativa responsabilità

 

1. RSPP: tra semplice operatore o responsabile di sicurezza organizzativa

Il ruolo di garante in materia prevenzionistica, dunque, espressamente riconosciuto al RSPP viene poi dalla Corte Suprema delineato anche nei suoi elementi identificativi, riconducibili, almeno nel caso che oggi si prospetta alla nostra attenzione, anzitutto nel dovere dello stesso di redigere e sottoscrivere un piano di sicurezza da sottoporre all’attenzione del datore di lavoro che sia rispettoso dei contenuti minimi previsti dall’articolo 96 comma 1 lett. g) del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 ed in ogni caso, completo ed esauriente nelle indicazioni in ordine alle procedure da seguire per le differenti lavorazioni e/o attività di lavoro da compiersi sui luoghi di lavoro.

Con la pronuncia oggi in commento, pertanto, possiamo dire che si concluda quell’evoluzione ermeneutica che nel tempo ha portato a vedere il RSPP non più solo come operatore di una “sicurezza di tipo meccanicistico”, e dunque proiettata unicamente sulla valutazione dei rischi derivanti dai processi operativi della lavorazione, ma anche come responsabile della “sicurezza organizzativa” e quindi diretto protagonista dell’organizzazione aziendale in materia di sicurezza e salute dei lavoratori e titolare a pieno diritto di funzioni progettuali ed attuative delle misure di sicurezza; in poche parole un vero e proprio “manager” in ausilio permanente al datore di lavoro e come tale co-responsabile di quest’ultimo.

 

2. RSPP: la vicenda e le difese circa l’assenza della posizione di garanzia rispetto allosservanza della normativa antinfortunistica

Il procedimento penale di cui alla pronuncia oggi in esame prende spunto dall’evento mortale e di lesioni personali che aveva interessato due dipendenti della ditta presso il cui cantiere l’imputato svolgeva le funzioni di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e a fronte del quale lo stesso imputato, in cooperazione colposa con altri soggetti, era stato ritenuto colpevole per i reati di cui all’articolo 113 Codice Penale (Cooperazione nel delitto colposo) e all’articolo 589 commi 1, 2, e 4 Codice Penale (Omicidio colposo).

Avverso la sentenza di colpevolezza emessa dai Giudici di appello, dunque, il professionista ricorreva in cassazione sostenendo la violazione di legge in cui fosse incorso il Giudice di merito per erronea valutazione del suo ruolo di RSPP.

Lo stesso, infatti, deduceva a propria discolpa come la definizione di RSPP contenuta nell’articolo 2 lettera f) del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 preveda che tale figura risponda del suo operato direttamente nei confronti del datore di lavoro, il quale rimane unico soggetto giuridico che debba adempiere agli obblighi prevenzionali di legge, poiché, a dire dell’imputato, una profonda differenza separa il ruolo manageriale del RSPP da quello tecnico-specialistico del tradizionale “responsabile della sicurezza”.

Il ricorrente, pertanto, evidenziava come nel caso specifico avesse valutato e preventivato l’esistenza dei rischi potenziali per i lavoratori e i soggetti terzi che interagivano con i servizi offerti dall’impresa, redigendo il relativo documento e come, di conseguenza, le presunte omissioni contestategli fossero frutto soltanto di un errato inquadramento del suo operato, dal momento che era stato esplicitato in tutti i documenti a tal fine redatti il fattore di rischio che poi ha determinato l’evento lesivo e che il suo ruolo rimaneva comunque un ruolo tecnico di staff, di natura consultiva e propositiva senza titolarità di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica.

 

3. RSPP: la decisione sulla posizione di garanzia in materia prevenzionistica

Con la sentenza n. 28468 del 22 luglio 2021 la Corte di Cassazione Penale - Sezione Quarta, invece, a conferma del giudizio di responsabilità espresso anche dai Giudici di merito, dichiarava anzitutto inammissibile il ricorso proposto dinanzi a sé ritenendolo generico e aspecifico, posto che le censure non si confrontano adeguatamente con le specifiche argomentazioni delle conformi sentenze di merito, che hanno chiarito come lincidente sia stato conseguenza di una serie di omissioni e di errato inquadramento dei lavori appaltati alla ditta per conto della quale  limputato svolgeva le funzioni di RSPP.

In ogni caso, tra le pieghe della motivazione come formulata, i Giudici di legittimità evidenziavano anche l’infondatezza delle tesi difensive opposte dall’imputato riconoscendo in capo a quest’ultimo la accertata responsabilità penale nella sua qualità di garante in materia prevenzionistica.

 

4. RSPP: gli aspetti identificativi del ruolo

Con la sentenza in commento ancora una volta la Corte Suprema si dimostra attenta e scrupolosa osservatrice di quelle che sono le implicazioni pratiche ed operative delle disposizioni generali dettate in materia di sicurezza sul lavoro e prevenzione degli infortuni nei contesti lavorativi dal noto Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro e pietra miliare della normativa prevenzionistica in Italia.

In particolare, in questa occasione, come oltretutto abbiamo visto essere ormai una consuetudine dei Giudici di legittimità (vedi, ad esempio, a proposito della figura del Coordinatore per la esecuzione dei lavori (CSE) in questa Rivista, 13 luglio 2021, la mia nota “Infortunio sul lavoro: il Coordinatore per l’esecuzione dei lavori risponde solo del c.d. rischio interferenziale”), le vicende giudiziali diventano giustamente spunto per individuare, con sempre maggiore chiarezza, i dati e gli elementi identificativi delle diverse figure che il Legislatore speciale ha introdotto in questa così complessa e delicata materia e che talvolta si frappongono tra loro quanto a ruoli e responsabilità.

A ciò si aggiunga anche l’evoluzione continua e permanente che il lavoro, nelle sue diverse esplicazioni pratiche, assume al punto da costringere gli operatori del diritto, ed in primis proprio la giurisprudenza, ad adeguarsi a detti mutamenti e ai rischi sempre più imprevedibili e sconosciuti che ne derivano, mutuando di volta in volta, a seconda anche dello sviluppo incessante delle conoscenze e delle cognizioni tecniche, le rispettive caratteristiche delle diverse figure previste dal citato Decreto Legislativo n. 81/2008.

Nel novero di queste figure, quella del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione o anche RSPP è certamente tra le più rilevanti e accreditate e, pertanto, come tale, è tra quelle che maggiormente suscitano difficoltà interpretative per l’esatta individuazione del ruolo, delle relative responsabilità e dei conseguenti obblighi nonché dei compiti alla stessa rimessi a supporto del datore di lavoro.     

Come è dato leggere in qualunque scritto che lo riguardi, il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione è definito compiutamente dall’articolo 32 del citato Decreto Legislativo 81/2008 ed è, appunto, la persona, in possesso di apposite capacità e requisiti professionali, designata dal datore di lavoro per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, e cioè l’insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati a prevenire e proteggere i lavoratori dai rischi professionali. La legge oltretutto ci ricorda, non a caso, come detta figura sia obbligatoria ai sensi dell’articolo 17 del Decreto Legislativo n. 81/2008 e come lo stesso RSPP assurga a consulente del datore di lavoro in materia di sicurezza, essendogli demandato specificatamente il compito di valutare i fattori di rischio presenti all’interno di un’attività lavorativa e, di conseguenza, quello di progettare e pianificare il programma di miglioramento per garantire la sicurezza dei lavoratori.

In questo contesto normativo è certamente significativo rammentare come la legge non preveda sanzioni contravvenzionali per il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e come quest’ultimo possa, invece, essere ritenuto colpevole per i fatti di reato derivanti da eventi lesivi che si siano verificati a causa di una sua errata o inadeguata consulenza ovvero qualora detti infortuni siano oggettivamente riconducibili ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare al datore di lavoro.

In tutto questo, pertanto, risiede la evidente rilevanza tecnica e professionale che la figura del RSPP assume in seno all’azienda, non sempre tuttavia limitata a quella funzione meramente consultiva e propositiva che si vorrebbe far passare, come si deduce anche dalle conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza oggi in commento.

 

5. RSPP: riflessioni conclusive e qualificazione extra-contrattuale della relativa responsabilità

I Giudici di legittimità in questa occasione sanciscono il principio secondo il quale debba ritenersi ormai indiscutibile, in ossequio al proprio prevalente orientamento giurisprudenziale, l’attribuzione alla figura del RSPP di uno specifico ruolo di garante nella materia prevenzionistica, dal momento che lo stesso, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, possa essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (vedi anche Cass. Civ. Sez. Quarta, sentenza n. 11708 del 21.12.2018).

Il ruolo di garante in materia prevenzionistica, dunque, espressamente riconosciuto al RSPP viene poi dalla Corte Suprema delineato anche nei suoi elementi identificativi, riconducibili, almeno nel caso che oggi si prospetta alla nostra attenzione, anzitutto nel dovere dello stesso di redigere e sottoscrivere un piano di sicurezza da sottoporre all’attenzione del datore di lavoro che sia rispettoso dei contenuti minimi previsti dall’articolo 96 comma 1 lett. g) del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 ed in ogni caso, completo ed esauriente nelle indicazioni in ordine alle procedure da seguire per le differenti lavorazioni e/o attività di lavoro da compiersi sui luoghi di lavoro.

Nella fattispecie in esame, inoltre, la responsabilità penale dell’imputato RSPP è stata anche rinvenuta nell’inadeguatezza della segnaletica utilizzata nel cantiere, ritenuta dai Giudici tale da non aver consentito la percezione dei rischi reali cui si andava incontro accedendo allo stesso cantiere e nell’omessa informativa, del pari ascritta alla posizione di esso imputato, in favore dei lavoratori circa la pericolosità di determinate zone di effettuazione dei lavori e dei correlativi rischi che ne conseguivano, come poi effettivamente si è verificato.

La Corte di Cassazione, pertanto, ha correttamente affermato la responsabilità del RSPP “sulla base di una inadeguata valutazione dei rischi ed in considerazione della omessa individuazione delle misure per la sicurezza dello specifico ambiente di lavoro, con particolare riguardo a quella parte del cantiere in cui si è verificato l’infortunio, rivelatasi oltremodo pericolosa”.

Più specificatamente, gli Ermellini hanno stigmatizzato la condotta dell’imputato nell’assolvimento della sua funzione aziendale per la mancata informazione del datore di lavoro in ordine al rischio in quel dato luogo di lavoro evidentemente esistente e per l’omesso suo intervento, in ausilio allo stesso datore di lavoro, circa l’ideazione e la costruzione di una struttura idonea, che la Corte testualmente afferma sarebbe stata “da verificare e collaudare prima del suo utilizzo” e per la predisposizione di un’adeguata segnaletica di sicurezza che consentissero agli operatori di percepire i rischi reali cui si andava incontro accedendo al cantiere.

Ora, pur nella relatività di questi giudizi e di siffatte valutazioni, dalla stessa Corte riconosciuti come esclusivamente di merito, e quindi non sindacabili in alcun modo dinanzi a sé, dalla lettura di queste considerazioni si percepisce agevolmente ciò che si pretenda avere dal RSPP nell’espletamento della sua funzione di garante in materia prevenzionistica, sotto forma di assolvimento ai fondamentali doveri non solo di predisposizione di un adeguato piano di sicurezza dell’intero perimetro logistico aziendale, ma anche e soprattutto di segnalazione dei possibili rischi, di intervento immediato per la predisposizione delle misure di sicurezza necessarie, anche sotto forma di strutture e/o manufatti, e, non da ultimo, di informazione della situazione riscontrata e dei rischi connessi sia in favore del datore di lavoro che, ed a maggior ragione, dei lavoratori.

È infatti evidente come la difesa opposta dall’imputato nel caso in commento, e tendente a “scaricare” interamente sul datore di lavoro le responsabilità di una situazione di rischio chiaramente rinvenuta in corso di causa in considerazione del suo ruolo asseritamente ritenuto solo di mero consulente, in applicazione dei principi delineati dalla normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro, non appaia comunque plausibile e fondata già solo sotto un profilo squisitamente ermeneutico.

In realtà, occorre anche dire come la posizione dell’imputato non sia del tutto peregrina poiché la stessa riprenderebbe pur sempre un orientamento della Corte Suprema, sebbene evidentemente ormai superato e non più confermato, secondo il quale, appunto, il RSPP è stato ritenuto “un mero consulente del datore di lavoro” (Cass. Pen. Sez. Quarta n. 23929 del 10.06.2009) e non è stato individuato come “titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica; lo stesso opera, piuttosto, quale ‘consulente’ in tale materia del datore di lavoro, il quale è e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio” (Cass. Pen. Sez. Quarta n. 11492 dell’11.03.2013).

La stessa Corte, però, da un certo momento in poi sembra avere assunto una posizione diversa, e soprattutto ormai molto più netta e chiara, nel ridefinire i confini del proprio orientamento giungendo dunque ad affermare come il RSPP non abbia un ruolo operativo ma, proprio per la specificità della sua funzione, non possa nemmeno assolvere a compiti esclusivamente consulenziali (Cass. Pen. n. 34311 del 20.07.2018) partecipando piuttosto con le proprie decisioni, ovvero come accade nella maggior parte dei casi con le proprie omissioni, alle colpe ed alle responsabilità che competono al datore di lavoro, intendendosi quest’ultimo, in una accezione più ampia, quale è appunto quella che si è ricavata negli anni dallo sviluppo giurisprudenziale e dottrinario, “qualsiasi persona fisica o giuridica che sia titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e abbia la responsabilità dell’impresa e/o dello stabilimento” (articolo 2 comma 1, lett. b), del Decreto Legislativo n. 626/1994) o anche “il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, (…) in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa” (articolo 2, c. 1, d. lgs 242/1996).

In questa normativa, infatti, rimane fermo in ogni caso il principio che sia sempre e solo l’imprenditore, quale titolare del potere organizzativo primario, a definire quantitativamente e qualitativamente le porzioni di potere organizzativo che ciascun dirigente sarà chiamato ad esercitare” secondo una ripartizione di tali prerogative e dei relativi compiti che in concreto viene realizzata attraverso le c.d. deleghe di esecuzione o collaborazione “con le quali egli, pur conservando la titolarità del relativo potere decisionale in materia di sicurezza, coinvolge tuttavia i dirigenti nei relativi processi (a livello propositivo, consultivo o istruttorio) ovvero nella fase attuativa delle decisioni adottate”  (F. Stolfa, L’individuazione e le responsabilità del datore di lavoro e dei dirigenti in materia di sicurezza sul Lavoro, I WORKING PAPERS DI OLYMPUS n. 33/2014, http://olympus.uniurb.it).

Si tratta in ogni caso di deleghe ovviamente distinte ed estranee rispetto al regime di quelle di funzioni di cui agli artt. 17 e 18 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, tant’è che esse non necessitano di particolari formalità poiché non implicano una traslazione dei poteri decisionali e, di conseguenza, non determinano, di norma, il trasferimento delle responsabilità penali ma solo un coinvolgimento in esse anche dei dirigenti, e dobbiamo anche ritenere dei consulenti quale è il RSPP se di tanto appositamente incaricato, secondo una logica, espressione della normativa comunitaria, che non ammette una deresponsabilizzazione del datore di lavoro ma, al contrario, introduce una duplicazione delle responsabilità e dunque un rafforzamento della tutela alla salute accordata ai dipendenti.

Non dobbiamo oltretutto mai tralasciare di considerare la diversità di qualificazione del rapporto sottostante che determina, a seconda della figura e del ruolo della persona colpevole per il fatto lesivo, la responsabilità in questione verso il lavoratore danneggiato, poiché il datore di lavoro è incontestabilmente legato al proprio dipendente sia sotto il profilo civilistico e negoziale per il rapporto contrattuale con lo stesso stipulato che per l’avvenuta lesione del precetto ordinario del neminem laedere ex articolo 2043 c.c., mentre il RSPP, al pari di ogni altro soggetto che rivesta solo un ruolo organico all’interno dell’azienda senza alcuna diretta e personale responsabilità per le vicende societarie di questa, quali sono, ad esempio, i dirigenti e gli esponenti in genere del management aziendale ovvero il “preposto” del datore di lavoro, assume una responsabilità di natura esclusivamente extra-contrattuale o, appunto, aquiliana per l’eventuale violazione del sopradetto precetto (Cass. Pen. Sezione Quarta – n. 2814 del 27.01.2011).

Resta ovviamente inteso che, in applicazione dei principi generali di diritto in materia di obbligazioni, il RSPP sarà anche passibile di responsabilità civile, ma unicamente nei confronti del datore di lavoro o dell’imprenditore in forza dei doveri negoziali che gli derivano dal contratto di consulenza o di servizi a tal fine stipulato ovvero in relazione all’eventuale rapporto di lavoro che le parti possano avere instaurato. 

Con la pronuncia oggi in commento, pertanto, possiamo dire che si concluda quell’evoluzione ermeneutica che nel tempo ha portato a vedere il RSPP non più solo come operatore di una “sicurezza di tipo meccanicistico”, e dunque proiettata unicamente sulla valutazione dei rischi derivanti dai processi operativi della lavorazione, ma anche come responsabile della “sicurezza organizzativa” e quindi diretto protagonista dell’organizzazione aziendale in materia di sicurezza e salute dei lavoratori e titolare a pieno diritto di funzioni progettuali ed attuative delle misure di sicurezza; in poche parole un vero e proprio “manager” in ausilio permanente al datore di lavoro e come tale co-responsabile di quest’ultimo.