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Italian Open Innovation

Open innovation
Open innovation

Si è recentemente tenuto a Firenze un interessante convegno organizzato da Italian Angels for Growth sul tema dell’open innovation e di come i business angels possano contribuire efficacemente a favorire e migliorare il rapporto tra aziende e startup in tema di innovazione condivisa.

Il presidente di IAG, Antonio Leone, ha rivolto un accorato invito alle aziende presenti in sala ad interfacciarsi con i business angels per capire meglio le startup e rendere più efficace e virtuoso il processo di open innovation.

Ma perché le aziende italiane hanno ancora così poca familiarità con l’open innovation e hanno un problematico rapporto con le startup in questo senso?

L’open innovation in senso più ampio è un processo di innovazione che le aziende intraprendono aprendosi a contributi e collaborazioni esterne, con soggetti che possono essere università, istituti di ricerca, altre aziende e anche startups.

Quello dell’open innovation è soprattutto un mindset che le aziende devono acquisire e che parte dalla considerazione che in un mondo sempre più globalizzato e tecnologicamente avanzato è ormai impossibile fare vera innovazione restando all’interno delle mura della propria azienda, per grande che questa sia. Di fatto proprio le grandi aziende sono le prime e le più convinte utilizzatrici dell’open innovation. Le imprese più piccole, delle quali l’Italia è un campione mondiale, tendono maggiormente a pensare a difendere i loro segreti industriali e a convincersi di avere proprio nello sviluppo di soluzioni originali, il proprio punto di forza per competere sui mercati mondiali.

Purtroppo questa forza, seppur ancora presente, viene sempre più intaccata dallo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi modelli di business che, utilizzando metodi di ricerca e sviluppo più “aperti”, ottengono risultati esponenzialmente migliori in tempi molto più brevi.

Inoltre occorre notare come nelle aziende italiane, principalmente quelle di media dimensione, c’è anche e soprattutto una scarsa comprensione di cosa siano le startup e di come possano essere un attore determinante dell’open innovation.

Ne consegue che fondamentalmente sono tre le finalità principali per le quali le aziende italiane si interfacciano oggi con le startup per un contributo al proprio processo di innovazione:

1. ricerca di nuove idee su prodotti o servizi da poter poi sviluppare internamente all’azienda se ritenuti utili

2. reperimento di personale, soprattutto tecnico, di qualità da poter inserire in azienda a supporto dello sviluppo di nuovi prodotti

3. ricerca di fornitori di prodotti/servizi di nicchia per risolvere un problema legato al miglioramento dei prodotti esistenti dell’azienda

Le forme che il rapporto assume possono essere diverse e vanno dalle più frequenti collaborazioni a vario titolo ai molto più rari sono i casi d’entrata da parte di aziende nel capitale delle startup col ruolo di investitori, sottoscrivendo aumenti di capitale, alle pochissime acquisizioni delle startup rilevandone la totalità o l’assoluta maggioranza del capitale ed assumendone quindi il controllo.

Anche in questi più rari casi le operazioni delle aziende sul capitale delle startup avvengono essenzialmente per le finalità sopra esposte e pertanto si concretizzano quasi sempre in interventi in fasi troppo precoci della vita della startup. L’idea che sta alla base è che la startup non abbia la conoscenza del mercato che ha l’azienda consolidata e che quindi quest’ultima possa utilizzare efficacemente sul proprio mercato le idee generate e le risorse della startup.

In realtà non c’è nulla di più sbagliato e di più limitativo per creare vera innovazione.

È un po’ come avere un potente computer ed utilizzarlo solo per fare somme e sottrazioni, come una semplice calcolatrice.

La maggiore qualità delle migliori startup è invece proprio quella di capire i nuovi bisogni dei consumatori ed aprire nuovi mercati che le aziende non riescono a vedere perché sono concentrate sui propri prodotti e mercati tradizionali. La sperimentazione di nuovi modelli di business per prodotti innovativi che creano nuovi mercati è l’attività che le startup fanno meglio delle aziende. E queste dovrebbero semplicemente lasciargliela fare, monitorando il processo per apprenderne qualche segreto, ma senza interferire pensando di saperne di più.

Una volta che una startup abbia raggiunto il cosiddetto product/market fit, abbia cioè validato il fatto che il mercato riconosca il valore del proprio prodotto/servizio per risolvere un problema forte e reale, le aziende dovrebbero pensare ad acquisire le startup per diversificare ed ampliare il proprio modello di business.

Tutto quello che viene fatto nel frattempo, dalle collaborazioni agli investimenti di capitale dovrebbe essere finalizzato a questo.

Ovviamente gli USA sono il principale paese dove questo è divenuto chiaro alle aziende e molti settori crescono ormai per acquisizioni che spesso sono proprio di ex startup, una volta cresciute. Ma anche l’ecosistema, dai corporate incubators, ai corporate Venture Capital Funds, promuove e favorisce questo sviluppo in ottica non invasiva.

I settori più dinamici in questo senso sono quelli legati ai nuovi servizi digitali e all’information technology: Google, Facebook e Apple sono le aziende più attive nelle acquisizioni di Startup che da sole hanno acquisito più  startup che tutte le 15 più grandi aziende del vecchio continente con Apple che da sola ha investito oltre 50 miliardi di dollari negli ultimi 8 anni. Ma ormai tutti i settori sono interessati e le acquisizioni dal 2010 al 2018 sono state quasi 22mila a livello mondiale.

Per dare un’idea delle proporzioni del fenomeno, le acquisizioni che hanno coinvolto l’hub di Londra, l’unica che si avvicina a San Francisco e New York, leader indiscusse, sono state 1422 nel periodo, quelle di Milano, principale hub italiano solo 60 (Fonte MTB Techcrunch). E all’aspetto quantitativo si aggiunge quello qualitativo, con operazioni di acquisizione in fase ancora molto immatura.

Per completare il quadro occorre anche osservare come la principale operazione di acquisizione di una Startup italiana del mondo digital nel 2018, la milanese Musement sia stata effettuata dall’importante gruppo tedesco del travel TUI.

Come possono quindi fare le aziende italiane a colmare questo gap e sfruttare al massimo le potenzialità dell’open innovation e il contributo che ad essa possono dare le startup?

Come per molti altri elementi che compongono il puzzle del nuovo modello di sviluppo dell’economia e delle imprese, non c’è bisogno di inventarsi nulla. Occorre solo prendere il meglio di quanto avviene nel resto del mondo ed applicarlo alla nostra realtà, cercando di capire bene i motivi dello sviluppo di questi modelli da parte di chi li ha già adottati con successo.

So bene che è molto più facile da dire che non da fare, ma se le aziende italiane vogliono essere protagoniste anche domani e dopodomani sui mercati mondiali, devono necessariamente farlo e in questo tutte le componenti l’ecosistema, business angel compresi, possono e devono fare la loro parte.