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Eppur si muove!

Fatata te Miti, Gauguin, 1892, National Gallery of Art di Washington.
Fatata te Miti, Gauguin, 1892, National Gallery of Art di Washington.

L’esperienza di questi mesi recenti, dovuta alla pandemia e al conseguente lockdown che ha portato i cittadini di molti paesi industrializzati a starsene confinati all’interno delle loro abitazioni, ha portato e porterà molte conseguenze da un punto di vista sociale ed economico.

Ha aperto gli occhi di tutti noi su cose che prima non vedevamo e ci ha fatto riflettere su quanto ci possono mancare cose che normalmente davamo per scontate, come uscire di casa per una passeggiata od un drink con gli amici, o quanto tutto sia collegato in un unico filo che unisce i vari settori di tutte le economie mondiali.

Ma ci siamo anche accorti di come tante cose si possono fare diversamente, grazie al digitale che è stato indispensabile in questo periodo.

Fino a pochi mesi fa il digitale in Italia è sembrato più un vorrei ma non posso per le aziende in termini di approccio al mercato ed un potrei ma non voglio per i clienti che avevano a disposizione nuovi strumenti digitali in molti ambiti, ma faticavano ad adottarli un po’ per pigrizia, un po’ per abitudine alle modalità tradizionali.

Siamo, tra i paesi più avanzati, quello che usa meno i pagamenti digitali o le carte di credito, l’e-commerce, l’home banking e tutto quanto semplifica la vita ai cittadini dei principali paesi industrializzati.

Ma durante la pandemia ed il lockdown ci siamo accorti che in fondo l’e-commerce non è così complicato, anzi può essere molto comodo, che andare in banca per un bonifico è inutile, che pagare con le app funziona e che i negozi accettano anche il pagamento e che si possono firmare documenti, fare riunioni e incontri di lavoro che prima richiedevano spostamenti “inevitabili” stando seduti comodamente davanti al nostro pc od usando uno smartphone. E questo avrà anche per noi delle conseguenze, dal punto di vista sociale ed economico che potranno essere positive se mixate in modo giusto con la realtà precedente.

Uno dei primi effetti positivi sull’economia, evidenziato da articoli di stampa di questo periodo post-lockdown, pare essere il crescente interesse a concentrarsi sull’innovazione da parte di aziende consolidate e di dimensioni rilevanti, legate soprattutto a business più “tradizionali”.

Questo elemento, unito al senso di inadeguatezza dei modelli di business tradizionali emerso nel lockdown e al senso di urgenza nell’adattarsi per non perdere il treno della ripresa, ha accelerato il processo, anche se i segnali sono per ora ancora pochi seppur significativi.

Mi sto riferendo alle recenti operazioni straordinarie effettuate da Poste Italiane, Campari ed Eni nel mondo delle startup, rispettivamente con Milkman, Tannico e Tate.

Tre operazioni diverse.

Soprattutto le prime due si distinguono dalla terza che resta più nel solco della “tradizione italiana”, almeno per quanto riguarda la forma e la sostanza dell’operazione, effettuata in una fase molto anticipata della vita della startup per poterla definire un’acquisizione o una proto acquisizione come le altre due. Accomunate però dall’interesse per un modello di business nuovo per l’acquirente.

E la notizia più interessante è proprio questa: l’innovazione entrata nel focus di queste aziende non è solo quella di prodotto, tradizionalmente attrattiva per molte di loro, ma quella di modello di business. Una novità per il mercato italiano, una realtà consolidata per tutte le altre economie avanzate da almeno una decina di anni. La consapevolezza cioè che i nuovi bisogni dei consumatori richiedono nuovi modelli per soddisfarli e per gestirli diventando pertanto una parte considerevole dei nuovi “prodotti” utili allo scopo.

Il passaggio più rilevante però sta proprio nella dimensione delle operazioni e nel livello di maturità delle prime due società oggetto delle operazioni citate.

Investire in innovazione del modello di business, significa investire in modelli che abbiano validato il mercato e che abbiano dimostrato che il loro modello funziona e che può essere ulteriormente espanso con ulteriori competenze e capitali.

Questo comporta che gli investimenti in queste realtà da parte di aziende più grandi, per essere profittevole, debba essere effettuato quando le società target abbiano raggiunto una dimensione importante in conseguenza della dimostrazione del gradimento del mercato per il nuovo modello. È un passaggio epocale perché finora la prevalente innovazione di prodotto ha privilegiato acquisizioni di realtà molto “giovani” che venivano poi “assorbite” dal modello di business consolidato e spesso poi soffocate.

L’ecosistema startup italiano ha di conseguenza sofferto in questi anni della mancanza di un mercato nazionale di acquisizioni importanti che è stato finora l’anello mancante di un ecosistema che con molto ritardo rispetto ad altri paesi ha cercato di strutturarsi. Fino ad ora le exit più significative di realtà digitali italiane erano avvenute all’estero (come Musement acquisita dal gruppo tedesco TUI nel 2018), come all’estero si erano dovute spostare le realtà più promettenti per raccogliere fondi rilevanti (Prima.it col suo round da 100 Milioni raccolto da Goldman Sachs e Blackstone sempre nel 2018).

Ma il cambio di passo del digitale, in questo periodo buio per l’intera società, ha fatto fare in pochi mesi quello che in termini di sviluppo del mercato aveva richiesto anni e non solo in Italia, ma in tutto il mondo. E le aziende italiane sembrano essersene accorte.

Come sempre avviene è l’obiettivo finale che crea le condizioni per migliorare tutti gli strumenti per raggiungerlo e questo nuovo “mood” può dare, se sarà confermato, un nuovo impulso all’industria del venture capital e a tutta la filiera dell’innovazione legata alle startup.

Il lavoro da fare per portare il nostro ecosistema dell’innovazione ai livelli dei principali paesi, che continuano a macinare numeri che sono almeno di un ordine di grandezza superiore ai nostri, sarà ancora molto lungo e faticoso ma perlomeno un soggetto fondamentale che era sempre mancato al tavolo inizia a comprendere il suo ruolo e a giocarlo realmente.