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App Immuni e la lezioni delle copycat

App Immuni
App Immuni

Copycat è un termine inglese che può essere sia un sostantivo che un aggettivo. Nel primo caso indica una persona che ha poche idee originali e imita esattamente quello che fanno gli altri. Come aggettivo indica una cosa creata e realizzata per essere molto simile ad una cosa già esistente.

Nel mondo delle startup il termine copycat sta ad indicare quelle società che prendono l’idea ed il modello di business già realizzato in altre geografie e lo importano su un diverso mercato. Sono società del tutto nuove, che non hanno nulla a che fare con le società originali, che copiano un modello che già funziona in altri contesti economici e geografici.

Il modello da prendere come riferimento è quasi sempre americano, tipicamente creato in Silicon Valley, e l’operazione si basa sulla capacità di adattarlo ad una realtà con una complessità diversa, come di solito sono il mercato europeo, quello cinese o quello indiano che hanno diverse strutture economiche, linguistiche e culturali rispetto al mercato americano.

Esistono esempi molto conosciuti di copycat startup di successo che sono comunque riuscite ad adattare un modello che funzionava negli USA alle specificità del mercato di riferimento, concentrandosi più che sull’idea di prodotto e di business, sulla sua implementazione in un contesto con specificità differenti.

Tra i più conosciuti: Alibaba, nata come copycat di eBay o WeChat di Whatsapp. In Germania ha avuto molto successo Rocket Internet, una società che ha fatto della creazione di copycat il suo modello di business e ha creato diversi copycat venduti poi in molti casi al modello originale come ad esempio Alando, copycat ancora di eBay venduta ad eBay stessa, mentre l’esempio di maggior successo della galassia Rocket Internet è sicuramente Zalando, nata come copycat di Zappos e divenuta molto più grande del modello originale. In Italia cito l’esempio di Supermercato24, nata come copycat dell’americana Instacart.

Ecco allora che, se uno startupper avesse dovuto affrontare il problema di sviluppare una soluzione al tracciamento dei contatti positivi al Covid 19 avrebbe probabilmente scelto la strada del copycat, e forse avrebbe fatto bene. Perché questo non significava semplicemente creare un’app con le funzionalità adatte (come è stato chiesto di fare a Bending Spoons che è molto brava nel fare questo), ma soprattutto significava trovare il modo più efficace perché quello strumento servisse al suo scopo, a tracciare cioè efficacemente i contatti delle persone positive per limitare al massimo la possibilità della diffusione incontrollata del contagio.

Nel caso in esame il modello però non proveniva dagli Stati Uniti ma dalla Corea del Sud, paese a noi più lontano, anche culturalmente, ma che ha una solida struttura democratica.

Però la Corea del Sud aveva sperimentato l’epidemia di MERS nel 2012 e aveva approvato una legge che metteva la salute dei cittadini ed il destino economico del paese davanti ai temi di privacy (almeno ai più capziosi). E forte di questa esperienza e delle contromisure adottate e perfezionate dopo di essa, la Corea del Sud è stata in grado (tra i pochissimi paesi al mondo) di sconfiggere l’epidemia di Covid 19 senza ricorrere ad un lockdown, se non parziale nelle zone del focolaio iniziale.

L’elemento centrale del successo della Corea del Sud è stata proprio una strategia di tracciamento basata anche su una apposita app che ha dato risultati brillanti.

È vero che noi siamo italiani e non coreani, ma proprio qui stava la capacità degli “startupper” che avrebbero voluto creare un copycat del modello coreano.

Applicare la tecnica del copycat al modello coreano avrebbe significato perdere poco tempo per reinventare la ruota creando un’app del tutto nuova che rispetta la privacy (magari) ma che non ottiene lo scopo per il quale è nata. Operazione che peraltro ha richiesto un’infinità di tempo facendo perdere all’iniziativa il “momentum” di mercato che era la fine del lockdown. Come le startup sanno il “momentum” è fondamentale per avere successo sul mercato, soprattutto quando il problema che si vuole risolvere si concentra alla sua massima forza in un momento temporale breve e definito.

Ma non sarebbe certo bastato copiare pedissequamente l’app coreana. Era necessario invece studiare a fondo il modello di adozione e cercare di adattare questo alla realtà italiana che è sicuramente molto diversa da quella coreana, ma che poteva prendere spunti interessanti non tanto dalla grafica dell’app, ma dai motivi che hanno indotto i coreani ad usarla e che hanno permesso al paese asiatico di raggiungere gli obiettivi di contenimento prefissati.

Concentrarsi su come rendere possibile una efficace adozione del mercato di riferimento può sembrare una banalità, ma è tutto quello che conta nella realizzazione di un copycat. E se fosse stata presa questa strada, già da marzo ci si sarebbe potuti concentrare su quello che veramente contava e non arrivare così impreparati al momento topico.

Il percorso è stato invece esattamente l’opposto di quello che avrebbe fatto una startup e cioè ci si è focalizzati sulle features di una app, senza preoccuparsi di come poi renderne efficace l’utilizzo per ottenere gli obiettivi finali prefissati.

Il risultato che abbiamo ottenuto è che dopo tutte le peripezie già descritte in molti articoli, abbiamo un’app che non funziona allo scopo per una serie di problemi tecnici (ben illustrati nell’ultima puntata di Report su RaiTre proprio dai team di una startup italiana – di Cosenza – esperta in tracciamento e localizzazione).

Ma soprattutto che, non avendo dedicato tempo e sforzi alla “customer acquisition” (all’adozione da parte degli utenti) e utilizzando tecniche di marketing del tutto discutibili ed inefficaci (e non mi riferisco agli spot televisivi, ma a tutta la strategia di promozione che parte dall’analisi del problema degli utenti e dal facilitare la loro adozione attraverso tutti i canali informativi possibili), non ha molte chance di risultare efficace nella reale prevenzione di un’eventuale nuova ondata di contagi.

Ci auguriamo tutti che il pericolo principale di questa pandemia sia alle nostre spalle, ma sappiamo ancora troppo poco di questo virus e della malattia correlata per stare tranquilli e pensare che non ci sarà una recrudescenza il prossimo inverno.

La lezione che possiamo trarre è però che, pandemia a parte, se proviamo a guardare il mondo con occhi nuovi, anche quando stiamo copiando gli altri, e non perdiamo di vista i veri obiettivi che abbiamo davanti, forse riusciamo ad ottimizzare meglio i nostri sforzi e ad ottenere migliori risultati.

Questo fanno le startup.

Applicare maggiormente i loro modelli virtuosi invece di considerarle fenomeni da circo o specie protette da salvare, porterebbe maggior valore alla nostra società e ci aiuterebbe almeno a fare tesoro di quanto è successo, se ci sarà una prossima volta … come hanno fatto i coreani.