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JAMES ENSOR: nella bottega materna imparò il mistero della fantasia

James Ensor
James Ensor

JAMES ENSOR: nella bottega materna imparò il mistero della fantasia

Se tra gli antichi predilige il Rembrandt dei paesaggi sconfinati, felicemente risolti con pochi e sicuri segni, o i mulini solitari che appaiono come resti imponenti di fantastiche architetture, tra i moderni egli sa di potersi inserire a pieno titolo nell’impressionismo. Colmandone addirittura la lacuna, appunto, dell’incisione, come giustamente ha rilevato Beppi Zancan: “Ensor è l’unico incisore che sia riuscito a rendere la nebbia. È anche l’unico incisore impressionista perché gli impressionisti, come incisori, non era impressionisti e forse neppure veri incisori”.

James Ensor

Come ogni artista di forte tempra, il maestro belga si muove in totale libertà: può rifarsi a Rembrandt per liberare il segno dalle coercizioni accademiche, a Meryon e Rops per la fantasia metropolitana e agli impressionisti per l’en plein aire ma resterà ovviamente sé stesso mantenendo un’aura sognante che è mitica e moderna al contempo, fiabesca e realissima. La sua punta d’acciaio corre sulla preparazione della lastra con estrema disinvoltura e non curanza, mestiere e sapienza tecnica cedono quello che sarebbe il loro ruolo. Sembra che Ensor affronti ogni volta il lavoro come un eterno principiante, reinventandosi un proprio metodo con estremo candore e sapienza.

È proprio grazie alla libertà che si concede se anche i suoi temi macabri, sulla vecchiaia e sulla morte, sfuggono al gusto romanticamente decadente del momento (si pensi alla stanca letteratura presente nelle opere di Rops), superano la maniera e la caducità della moda per ritrovare un filone già caro al Medioevo e godibile ora come fantasia o costruzione onirica. Ensor è il precursore che suggerisce il -nuovo- attualizzando i valori degli antichi, sgombrando il campo dalla ricorrente caduta nell’accademia e da ogni sofisticazione intellettuale. Ricco unicamente di poesia e libero da ogni pastoia, può confessare candidamente di non conoscere il -mestiere- dell’acquafortista: “Io non conosco nulla del mestiere dell’acquafortista. So disegnare e incidere correttamente, ma in seguito a decidere è il caso. Non mi posso piegare a tutti i fili fitti e minuziosi dell’incisione. Inoltre, ho rovinato diverse lastre e mi sono stancato gli occhi inutilmente”. I nostri Giovanni Fattori e Luigi Bartolini avrebbero potuto dire le stesse cose, ma non è forse proprio questo che fa la loro qualità e vitalità?

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Ensor non è acquafortista, anzi, quando gli fa comodo, e succede frequentemente, tritura il segno, lo rende vibratile e magari lo confonde in una macchia nera. Sa curvarsi alla ricerca dei grigi con segni finissimi allineati o incrociati, sa essere sintetico e minuzioso; può risolvere un’atmosfera con segni delicati o con tratti neri e scabri, con veemenza ed estrema pacatezza. Il segno per lui non è linea che scorre, che profila o contorna; immaginiamo la sua mano saltabeccante, armata di stilo e guidata da leggeri fremiti, che pizzica, tratteggia, insiste nel precisare un’architettura seguendola nelle sue forme e decorazioni, passando dal punto al tratteggio fino a linee sottilissime. Linee più o meno lunghe o mosse per rendere l’idea di giovani pioppi, chiari e allineati; ma anche tratti vicinissimi, leggermente curvi e paralleli tra loro, per dare tono e volume a scuri tronchi d’albero.  Le case lontane di un paese, brune, strette le une alle altre e dai tetti tormentati, sembrano invece risolte a grumi sovrapposti come quelli di sabbia bagnata che i bambini edificano sulla spiaggia, e che possono ricordare la pennellata mossa di Van Gogh o la plastica architettura di Gaudi.

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L’atmosfera un po’ stanca e il sapore antico delle stampe di Ensor, quel sembrare spesso vittime consenzienti del tempo, come esemplari tolti da una teca dimenticata, sono il logico retaggio del senso di abbandono, di polvere e di vita immobile con la quale, fin da bambino, aveva imparato a convivere nella bottega della madre muovendosi tra bambole, animali impagliati, maschere, cineserie e altre fortuite chincaglierie. Sicuramente apprese tra quei reperti il mistero della fantasia, la capacità di dare una vita alle cose inanimate e, grazie alla magia dell’arte, di poter essere contemporaneo di Bruegel, di Rembrandt e degli Impressionisti.

James Ensor

Nella tranquilla Ostenda il successo gli arrise presto e si diffuse per l’Europa. L’artista che penseremmo quasi misantropo, scontroso e chiuso nel protettivo silenzio dello studio, in realtà doveva, con il successo, amare anche i titoli e le decorazioni, visto che accettò la Croce di Cavaliere, il titolo di Barone e le insegne della Legion d’Onore: un aspetto difficile da conciliarsi con la felice anarchia del suo mondo artistico.