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La Cassazione si pronuncia sulla interposizione di manodopera prevista dalla riforma Biagi

La Corte di Cassazione si è pronunciata ancora una volta sul Decreto Legislativo 276/2003 di attuazione della Legge Biagi con riferimento alla interposizione di manodopera.

La Cassazione ha ribadito l’orientamento elaborato in diverse precedenti pronunce, i cui principi vengono riproposti integralmente.

La Corte di Cassazione nella pronuncia in oggetto ha ripercorso le norme di interesse: “L’articolo 29 del Decreto Legislativo 276/2003 ribadisce i criteri distintivi tra la somministrazione di lavoro e l’appalto d’opera o di servizio di cui all’articolo 1655 Codice Civile, che sono identificati nella organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché nella assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.

L’articolo 18 infine sanziona penalmente l’esercizio non autorizzato delle attività riservate alle agenzie iscritte all’albo, nonché l’esercizio abusivo della attività di intermediazione, e quindi ogni attività non autorizzata di somministrazione di lavoro o di utilizzazione di somministrazione di lavoro da parte di soggetti non autorizzati”, concludendo che “La nuova normativa ha solo ampliato il previgente sistema derogatorio ad una attività generalmente illecita, prevedendo che tale attività possa essere lecitamente svolta purché nel rispetto di plurime e specifiche condizioni”.

“Quello che secondo la legge abrogata era considerato appalto di mere prestazioni di lavoro, perché l’appaltatore impiegava capitali, macchine e attrezzature fornite dal committente (articolo 1, comma 3, Legge 1369/1960), è ora qualificato come somministrazione di lavoro ed è ugualmente punito se esercitato da soggetti non abilitati o fuori dalle ipotesi previste dalla nuova legge”.

Secondo la Corte di Cassazione, in definitiva, “l’articolo 29 del Decreto Legislativo 276/2003 ha meglio definito la distinzione tra appalto di servizi e somministrazione di lavoro, recependo peraltro la elaborazione giurisprudenziale in materia, formulando più chiaramente i parametri e criteri distintivi occorrenti per configurare il legittimo appalto, criteri che ora sono sostanzialmente due:

a) l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto;

b) la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.

(Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 21 novembre 2005, n.41701).  

La Corte di Cassazione si è pronunciata ancora una volta sul Decreto Legislativo 276/2003 di attuazione della Legge Biagi con riferimento alla interposizione di manodopera.

La Cassazione ha ribadito l’orientamento elaborato in diverse precedenti pronunce, i cui principi vengono riproposti integralmente.

La Corte di Cassazione nella pronuncia in oggetto ha ripercorso le norme di interesse: “L’articolo 29 del Decreto Legislativo 276/2003 ribadisce i criteri distintivi tra la somministrazione di lavoro e l’appalto d’opera o di servizio di cui all’articolo 1655 Codice Civile, che sono identificati nella organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché nella assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.

L’articolo 18 infine sanziona penalmente l’esercizio non autorizzato delle attività riservate alle agenzie iscritte all’albo, nonché l’esercizio abusivo della attività di intermediazione, e quindi ogni attività non autorizzata di somministrazione di lavoro o di utilizzazione di somministrazione di lavoro da parte di soggetti non autorizzati”, concludendo che “La nuova normativa ha solo ampliato il previgente sistema derogatorio ad una attività generalmente illecita, prevedendo che tale attività possa essere lecitamente svolta purché nel rispetto di plurime e specifiche condizioni”.

“Quello che secondo la legge abrogata era considerato appalto di mere prestazioni di lavoro, perché l’appaltatore impiegava capitali, macchine e attrezzature fornite dal committente (articolo 1, comma 3, Legge 1369/1960), è ora qualificato come somministrazione di lavoro ed è ugualmente punito se esercitato da soggetti non abilitati o fuori dalle ipotesi previste dalla nuova legge”.

Secondo la Corte di Cassazione, in definitiva, “l’articolo 29 del Decreto Legislativo 276/2003 ha meglio definito la distinzione tra appalto di servizi e somministrazione di lavoro, recependo peraltro la elaborazione giurisprudenziale in materia, formulando più chiaramente i parametri e criteri distintivi occorrenti per configurare il legittimo appalto, criteri che ora sono sostanzialmente due:

a) l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto;

b) la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.

(Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 21 novembre 2005, n.41701).