La legge del più forte
Siamo soliti, anche nel giornalismo sportivo, vivere di bilanci immediati.
Sentiamo l’esigenza assoluta e improrogabile di tracciare linee, esprimere opinioni definitive, mischiando fatti, piani e discorsi differenti.
Ma come se non bastasse, tutto ciò innanzitutto è condizionato dalla sindrome del giorno dopo – per cui ci bastano una partita e un paio di gol per cambiare idea e proporre il nuovo punto di vista come definitivo – ma, soprattutto, questa nostra necessità ci spinge a perpetrare una vera e propria violenza allo stato dei fatti.
Il modo in cui il giornalismo crea e, successivamente, affronta la dicotomia Messi vs Cristiano Ronaldo, ad esempio, getta discredito sull’intera categoria.
Un paragone letteralmente improprio che, di volta in volta, richiama elementi diversi per giustificarsi ed alimentarsi, con patetici sondaggi dei migliori giornali su “Chi è il più forte” e orde di analfabeti pallonari che nelle migliaia di commenti si accapigliano su un quesito, in realtà, privo di senso o quantomeno mal posto.
Cosa vuol dire infatti “chi è il più forte” o anche semplicemente “il migliore”? A quali elementi ricorriamo per stabilirlo? Ai dati, ai numeri? E quali numeri, solo quelli delle gare importanti – che poi, chi lo stabilisce quali sono le gare importanti?
Inoltre si devono considerare le variabili, per cui Ronaldo bene o male ha vinto un titolo con la nazionale a differenza di Messi, ha giocato nei tre maggiori campionati europei dimostrando il proprio valore in ambienti differenti, e teoricamente è un calciatore più “completo” (essendo fisicamente più forte, con uno stacco di testa migliore etc etc).
Ma se ragionassimo sui numeri e anche sulle variabili, dovremmo concludere, ad esempio, che Maradona sia stato nettamente inferiore al portoghese della Juventus. Eppure Maradona era Maradona, investito direttamente dal dio del calcio, talento allo stato puro, spirito creatore; era in definitiva il calcio stesso.
Tuttavia non si può nemmeno valutare il solo talento, altrimenti in molti potrebbero reclamare il proprio posto nella storia del pallone. Dovremmo quindi in definitiva, secondo i più esperti di simili questioni, incrociare talento, numeri, grado di decisività, carattere, vittorie in patria e all’estero, e così via. Ma ci rendiamo conto dell’assurdità? Soprattutto per due calciatori così diversi come Messi e Ronaldo, che bene o male agiscono come “attaccanti” in senso lato ma che hanno caratteristiche sportive ed umane quasi opposte.
Ronaldo è un cyborg, l’uomo bionico, forgiato da allenamenti durissimi, diete ferree, una fame di vittorie imparagonabile e un carattere da vero e proprio vincente; in più è un trascinatore, un leader dello spogliatoio, un motivatore dei compagni. Messi al contrario è tutto ciò che di meraviglioso il pallone ci ha lasciato: un genio del calcio, scelto da Eupalla per esserne rappresentante in terra. Basta vedere una partita del fuoriclasse argentino per comprendere come il suo talento vada molto al di là dei numeri, e giudicarlo con le statistiche sarebbe come valutare una religione dal solo numero dei fedeli.
Il confronto tra Messi e Ronaldo allora è improprio perché i due non si possono valutare con le stesse categorie: Ronaldo è il più forte tra gli uomini-calciatori, Messi semplicemente è altro. E con il metodo numerico, tipicamente umano, gelido, addizionale, il portoghese potrà anche risultare in più occasioni “superiore” al rivale”, come dimostrano molti dati e i cinque meritatissimi palloni d’oro vinti (che probabilmente dovevano pure essere sei, uno in più dello stesso Messi).
Però alla fine è come nel tennis: Djokovic e Nadal potranno anche vincere più titoli di Federer, sconfiggerlo negli scontri diretti e batterlo in ripetute finali, ma Roger resterà sempre il Re di questo sport. I suoi sostenitori sono fedeli mentre quelli di Djokovic e Nadal sono semplicemente tifosi, in quanto Federer è il tennis: come detto da John Isner, un atleta americano, «se il tennis fosse una religione Federer ne sarebbe il dio».
Lo stesso discorso vale per Messi e Ronaldo:
se il calcio fosse una religione, Maradona sarebbe il dio e avrebbe Messi alla sua destra, con Ronaldo a capeggiare gli umani, a superarli, a trascenderli e ad acquisire lo status di super-uomo, ma pur sempre uomo.
Alimentare il paragone tra i due, fondandolo su numeri, vittorie, riconoscimenti, personalità, è assolutamente fuorviante: possiamo sostenere che Ronaldo sia più decisivo, che sia un trascinatore con un carattere da vincente rispetto a quel timido piccoletto di Leo, o anche che abbia dimostrato il suo valore in ambienti differenti, ma non possiamo concludere che sia migliore di Messi. Così come non dovremmo, dopo l’ennesima superba prestazione dell’argentino, scrivere ed affermare che invece sia lui “il più forte” basandoci sulla partita appena archiviata. È un modo disonesto di interpretare i fatti, un paragone che mette insieme due elementi ontologicamente diversi.
Ecco, c’è una differenza ontologica tra i due, come direbbero i filosofi: tentare di spiegarla ricorrendo ai numeri è un torto enorme non solo nei confronti dell’argentino, ma della nostra stessa intelligenza.