La maturità dell’infrattore minorenne

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La maturità dell’infrattore minorenne

 

L'età minima imputabile

L'età minima imputabile muta a seconda dei vari Diritti Penali nazionali. In effetti, a ragion veduta, Vigoni (2016)[1]afferma che “la fissazione delle soglie di imputabilità è, notoriamente, un'operazione legislativa assai delicata, frutto di precise scelte politico-criminali. I nodi più problematici da sciogliere sono quello dell'età a partire dalla quale un soggetto entra a contatto con il Diritto Penale e, viceversa, quello dell'età al di sotto della quale un soggetto che viola le norme penali non è imputabile. La definizione di queste due soglie viene sovente messa in discussione: su entrambe influiscono diversi fattori, che le rendono, per così dire, delle frontiere mobili”. Prevale, del resto, la tutela del bambino, ma esiste pure lo speculare problema della fine dell'età infantile. Ovverosia, ciascun soggetto reca un proprio personale percorso di maturazione. A tal proposito, Padovani (2017)[2] si dichiara nemico delle generalizzazioni, in tanto in quanto “occorre effettuare delle presunzioni che, basandosi come tutti i giudizi presuntivi, sull'id quod plerumque accidit, possono poi non attagliarsi alla generalità delle situazioni che sono destinate a giuridificare. La certezza dei rapporti giuridici impone, peraltro, che si utilizzi questo tipo di generalizzazione in via preventiva”.

Dunque, come si nota, anche Padovani (ibidem)[3] sostiene che non tutti i percorsi evolutivi sono uguali, come dimostra, a parere di chi redige, la maturità precoce degli infrattori minorenni di etnia rom. Come direbbe Abukar Hayo (2010)[4], esistono infra-14enni che, perlomeno sotto il profilo naturalistico, sono (rectius: sarebbero) già imputabili, poiché perfettamente capaci di intendere e di volere.

Tuttavia, a prescindere dalle singole analisi criminologiche e personologiche, nell'Ordinamento giuridico italiano, l'Art. 97 CP statuisce che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 14 anni”. Dopodiché, il correlato Art. 98 CP dichiara che “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18, se aveva capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita. Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l'interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale”. Quindi, come sottolineato da Antolisei (2003)[5], “[ex Art. 98 CP], a 18 anni, si è raggiunta una piena maturità, sotto il profilo intellettuale e volitivo; l'imputabilità potrà essere esclusa soltanto per una causa diversa dall'età (vizio di mente, sordomutismo ...)”.

Pure Marinucci & Dolcini & Gatta (2020)[6] mettono in evidenza la radicale rigidità dell'Art. 97 CP, perché detta norma “stabilisce una presunzione assoluta di incapacità di intendere e di volere, che preclude al giudice di ritenere imputabile, ad esempio, un 13enne, benché questo dimostri di aver raggiunto la piena capacità di rendersi conto di quello che fa e di dominare le sue scelte di comportamento”. Ecco, di nuovo, la problematica della discrasia tra osservazione criminologica, dunque personalizzante, ed osservazione legale, dunque generalizzante.Provvidenzialmente e ragionevolmente, come mette in risalto Manna (2020)[7], nella fascia d'età tra i 14 ed i 17 anni, “in questo caso, la legge subordina la dichiarazione di imputabilità all'accertamento, caso per caso, della capacità di intendere e di volere del minore al momento del fatto”. Tale Autore, pertanto, si dimostra consapevole circa la potenziale piena capacità dell'adolescente, che, specialmente se esposto precocemente alla vita lavorativa, coniugale e sociale, supera ben presto le ordinarie crisi emotive post-infantili. P.e., si pensi all'ultra-13enne femmina non europea che ha già conosciuto l'esperienza della genitorialità. Analoga osservazione vale pure per la maggior parte dei minorenni clandestini giunti non accompagnati in territorio italiano.

D'altronde, con afferenza ai minori di età compresa tra i 14 ed i 17 anni, Palazzo (2021)[8] parla di “incapacità a carattere relativo […] perché i criteri di accertamento della capacità di intendere e di volere del minore con un'età compresa tra i 14 ed i 17 anni mutano in relazione alla natura del reato commesso. Per i reati più gravi, il cui disvalore è facilmente percepibile, la valutazione è più rigorosa e più difficilmente viene riconosciuta l'incapacità di intendere e di volere”. Nuovamente, Palazzo (ibidem)[9] nega anch'egli una erronea e fuorviante infantilizzazione del minore adolescente. Il maggiore degli anni 13 sovente manifesta una lucidità impeccabile nel delinquere. Nella Dottrina criminologica, non mancano spinte retribuzionistiche. P.e., Galuppi & Grasso (1993)[10] notano che “negli ultimi anni, una parte della Dottrina ha messo in discussione questa netta suddivisione tra fasce d'età. Alcuni Autori ritengono infatti che, nell'attuale temperie, vi sia uno sviluppo più precoce della persona e che sia necessario, quindi, un abbassamento dell'età per essere ritenuti imputabili”. Del resto, pure a parere di chi redige, la sessualizzazione precoce delle bambine ha alterato gli equilibri imposti dagli Artt. 97 e 98 CP.

Parimenti, negli Anni Duemila, Marinucci & Dolcini & Gatta (ibidem)[11] hanno messo in risalto che “la soglia dei 14 anni è frutto di una scelta politico-criminale oggi al centro di valutazioni contrastanti, influenzate dall'enfatizzazione di fenomeni quali l'utilizzazione dei minori nell'ambito della criminalità organizzata per la commissione dei più diversi tipi di reato. [Si pensi anche alle] bande giovanili, protagoniste di svariate forme di criminalità da strada”. Senza dubbio,  a parere di chi commenta, l'ultra-13enne europeo contemporaneo si discosta nettamente dalle costumanze degli adolescenti tipici del Novecento, il che aumenta la capacità di “volere”, ancorché non quella di “intendere”. Di avviso completamente difforme è, invece, Dünkel (2004)[12], secondo cui “oggigiorno, si riscontra un rallentamento del processo di assunzione di responsabilità e ]perciò è necessario] uno spostamento in avanti della soglia di ingresso nel processo penale […]. Negli ultimi cinquant'anni, il periodo di formazione professionale e di integrazione nella vita professionale e familiare degli adulti (fondazione di una famiglia …) perdura oltre l'età di 20 anni. Per i giovani adulti e anche per i giovani di età fino ai 25 anni, saranno di conseguenza tipiche le situazioni di crisi ed i problemi di natura psicologica dell'età evolutiva”. Come si nota, Dünkel (ibidem)[13] non nega, nell'ultra-13enne, la capacità di “volere”, bensì quella di “intendere”. P.e., un minore affetto da delirio di onnipotenza “vuole” trasgredire le norme giuridiche, ma non “intende” l'antisocialità della propria infrazione.

Similmente, Moro (2008)[14] evidenzia che “nell'ultimo secolo, c'è stata un'anticipazione significativa della maturazione puberale, definita tendenza secolare, alla quale, tuttavia, non è seguita una parallela anticipazione della maturità cerebrale”. Pertanto, nell'ottica di Moro (ibidem)[15], chi redige rimarca che l'anticipo della sessualizzazione non ha migliorato la percezione dei pericoli antisociali ed antigiuridici. Prudente è pure Manna (ibidem)[16], secondo il quale “si deve ritenere, come sostenuto nella recente Dottrina, che, nell'attuale contesto sociale, economico e culturale, il minore infra-14enne è senza dubbio in grado di autodeterminarsi, grazie soprattutto ai moderni mezzi di comunicazione di massa, che ne accelerano lo sviluppo. Tuttavia, l'attuale apparato sanzionatorio per gli imputabili, in particolare la pena detentiva, non appare la sanzione adeguata ad un minore di anni 14”. Parimenti, Galuppi & Grasso (ibidem)[17] sottolineano, con fare abolizionista o, perlomeno, riduzionista, che “sarebbe auspicabile la creazione di un circuito sanzionatorio ad hoc con forti connotazioni rieducative”. A parere di chi scrive, in effetti, spesso, in maniera populista, si dimentica che gli Artt. 97 e 98 CP sono pur sempre connessi al comma 3 Art. 27 Cost. .

 

L'approccio criminologico alla problematica

La Criminologia e la Giuspenalistica italiana, in tema di baby gangs, non sono certo immuni da un retribuzionismo giustizialista, che pretenderebbe pene detentive “esemplari”, così facendo venir meno la proporzionalità e la rieducatività della carcerazione. Svariati partiti politici cavalcano i malumori popolari, tradendo, per tal via, trecento anni di Illuminismo democratico-sociale. Con attinenza a siffatta tematica, Abukar Hayo (ibidem)[18] ha messo in evidenza che “l'altalenanza di opinioni esistenti si riflette sul potere legislativo. Periodicamente, e solitamente in concomitanza con l'enfatizzazione , anche mediatica, di fenomeni in cui i minorenni sono parte attiva di vicende criminali o protagonisti di gravi episodi delittuosi, vengono presentate in Parlamento proposte di riduzione della soglia minima dell'età imputabile, probabilmente nella convinzione di offrire una soluzione rapida, efficace, ma, soprattutto, capace di placare nell'immediatezza l'allarme sociale e soddisfare l'esigenza di sicurezza dei cittadini”.

P.e., in Italia, la proposta di legge AC 1580 dello 07/02/2019 ha proposto di novellare gli Artt. 97 e 98 CP abbassando l'età della (semi)imputabilità minorile a 12 anni compiuti. In sostanza, la follia neo-retribuzionista si sta trasformando in un Leviatano che inghiotte anche il bambino nella fauci di un Diritto Penale anti-democratico, pur di placare certune distimie populiste estranee a qualsivoglia fondamento scientifico. Per il vero, tale volgarità giustizialista non costituisce soltanto un problema italico, giacché, come notato da Larizza (2005)[19], “l'instabilità che caratterizza l'attuale approccio normativo non riguarda solo l'Italia, ma emerge anche da diverse esperienze legislative europee”. Questa deminutio del garantismo accusatorio si è palesata, in special modo, in Germania, Regno Unito, Portogallo, Spagna e Francia. Del pari, Vigoni (ibidem)[20] asserisce amaramente che “nell'ultimo periodo, [molti Ordinamenti giuridici] hanno abbassato l'età dell'imputabilità rilevante ai fini penali, come se la scelta di far entrare, nel sistema penale, un minore a 10, a 12, ovvero a 14 anni non fosse gravida di conseguenze e, soprattutto, espressiva di modi diametralmente opposti di intendere e gestire la questione”.

Gli asserti di Vigoni (ibidem)[21] fanno inevitabilmente correre la mente ai procurati allarmi di cui si rende responsabile un giornalismo televisivo che amplia a dismisura episodi bagatellari di devianza giovanile. Non esiste la prova scientifica di una maggiore delittuosità minorile negli Anni Duemila; anzi, la criminalità minorile risulta financo migliorata rispetto a quanto censito durante i cc.dd. “anni di piombo”. P.e., nell'ultimo ventennio, l'omicidio volontario ha fatto registrare una diminuzione drastica, pur se ogni episodio viene artificiosamente ampliato dai mass-media politicizzati. D'altronde, come asserisce Larizza (ibidem)[22], “in diversi Paesi si è proceduto a modificare la soglia dell'età a partire dalla quale un minore può essere ritenuto imputabile, perdendo di vista le esortazioni rivolte agli Stati membri della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, secondo cui è necessario evitare ai minori un contatto troppo precoce con il Sistema Penale, per le influenze negative che [esso] potrebbe esercitare sul loro armonico sviluppo”.

Più nel dettaglio, il comma 3 Art. 40 della predetta Convenzione ONU del 1989 recita “gli Stati parti devono […] fissare un'età minima al di sotto della quale i fanciulli devono essere considerati non capaci di infrangere la legge penale […] [e bisogna] adottare misure, ogniqualvolta risulti possibile ed auspicabile, per trattare i casi di tali fanciulli senza far ricorso a procedimenti giudiziari, a condizione che il Diritto umano e le garanzie legali siano pienamente rispettati”. Ecco, di nuovo, la differenziazione, nel bambino nonché nell'adolescente, tra una perfetta capacità di “volere” e, viceversa, una carente capacità di “intendere” i profili dell'antigiuridicità e dell'antisocialità delle infrazioni penalmente rilevanti.

In Occidente, i vari Ordinamenti penali non sono tra di loro omogenei e molto, dunque, dipende dai singoli Legislatori. Tuttavia, rimangono le comuni regole o raccomandazioni, più o meno vincolanti, dell'ONU e del Consiglio d'Europa. Attualmente, gli Atti Normativi principali in tema di imputabilità minorile sono la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, le Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile (le cc.dd. “Regole di Pechino” del 1985) e, in Europa, la Raccomandazione CM/Rec (2008)11 del Comitato dei Ministri sulle regole europee per i minori autori di reato sottoposti a sanzioni o a misure. Da notare è che tutte le tre summenzionate Normative internazionali manifestano un tendenziale sfavor nei confronti di un abbassamento dell'età (semi)imputabile al di sotto del limite indicativo dei 13/14 anni.

Le Regole di Pechino sono state adottate con la Risoluzione ONU 40/33 del 1985, ma si tratta di principi generali non vincolanti. Nei propri Lavori Preparatori, le Regole di Pechino affermano che “[...] la giustizia minorile dev'essere caratterizzata, ancor più della giustizia per gli adulti, dalla finalità rieducativa e da un trattamento del minore volto al reinserimento sociale. […]. La detenzione dev'essere l'ultima ratio e deve sussistere l'esigenza di tener sempre in considerazione la particolare condizione di vulnerabilità del minore”. Pertanto, la Convenzione di Pechino si dimostra consapevole circa le carenze intellettive, ancorché non volitive, dell'infra-18enne. In effetti, nelle Regole di Pechino, la Regola 4.1, rubricata “Età della responsabilità penale” statuisce che “nei sistemi giuridici che riconoscono la nozione di soglia della responsabilità penale, tale inizio non dovrà essere fissato ad un limite troppo basso, tenuto conto della maturità affettiva, mentale ed intellettuale del soggetto, poiché […] si rischierebbe, altrimenti, di pregiudicare la nozione stessa di responsabilità, che implica consapevolezza e discernimento individuale”. Come si vede, pure le Regole di Pechino prendono le distanze dalla figura contemporanea del bambino iper-sessualizzato, ancorché “incapace di intendere” il disvalore antisociale ed eterolesivo dei propri eventuali reati.

Pure Fadiga (1989)[23] si dichiara contrario ad un abbassamento del limite dell'età imputabile e commenta le Regole di Pechino segnalando che “se l'età della responsabilità penale è fissata troppo in basso, o se non vi fosse affatto un limite minimo di età, l'età della responsabilità diverrebbe senza significato. In generale, v'è uno stretto rapporto tra il concetto della responsabilità per un comportamento delinquenziale o criminale e gli altri diritti e responsabilità sociali (come lo stato coniugale e la maggiore età civile). Dovrebbero, quindi, essere compiuti sforzi per stabilire un ragionevole limite minimo di età che sia applicabile in tutti i Paesi”. A parere di chi scrive, i postulati criminologici di Fadiga (ibidem)[24]risultano, tuttavia, inapplicabili ai minorenni rom e, più in generale, a tutti gli infra-18enni oriundi da etnie nelle quali manca la fase dell'adolescenza. Tuttavia, Vigoni (ibidem)[25] rimarca che “[le Regole di Pechino] nonostante il condivisibile intento [di non criminalizzare il minore, ndr] risentono di un duplice limite di fondo. In primo luogo, esse non contengono un'espressa indicazione della soglia minima auspicabile. In secondo luogo, considerata la natura giuridica delle Regole di Pechino, esse risultano sfornite di efficacia vincolante”.

Dunque, anche le Regole di Pechino patiscono l'astrattezza retorica ed inconcludente tipica della maggior parte delle Normazioni appartenenti al Diritto Internazionale Pubblico. Per conseguenza, l'ultima parola, in tema di imputabilità del minorenne, spetta a ciascun singolo Stato sovrano. Provvidenzialmente, la Convenzione ONU per i diritti del fanciullo, aperta in data 20/11/1989, nell'Art. 40 (3) risulta meno generica, sebbene anch'essa non indichi espressamente una soglia minima anagrafica cogente per tutti gli Ordinamenti ratificanti. In Dottrina, ognimmodo, van Bueren (1998)[26] precisa che sia le Regole di Pechino sia la suddetta Convenzione ONU “escludono la legittimazione degli Stati a fissare limiti di età eccessivamente bassi, che non tengano in considerazione lo sviluppo e la maturità del minore”.

Nell'ambito della Legislazione comunitaria europea spicca la Raccomandazione CM/Rec (2008)11 del Comitato dei Ministri sulle Regole europee per i minori autori di reato sottoposti a sanzioni o a misure restrittive. Siffatta Raccomandazione, all'Art. 4, stabilisce che “l'età minima per l'imposizione di sanzioni in conseguenza alla commissione di un reato non dev'essere troppo bassa e dev'essere predeterminata dalla legge”. Da citare, sempre con attinenza alla Racc. CM/Rec (2008)11, sono pure i Lavori Preparatori, ove si precisa che “l'età imputabile deve corrispondere ad un'età accettabile a livello internazionale e […], sebbene sia difficile individuare un European Consensus sul tema, la soglia minima non dev'essere troppo bassa e dev'essere collegata all'età in cui i minori acquisiscono responsabilità in altri ambiti, quali il matrimonio, la fine della scuola dell'obbligo ed il diritto a svolgere un'attività lavorativa. A tal proposito, […] dovrebbe essere adottata la soglia di età fissata dalla maggioranza dei Paesi europei, ossia 14/15 anni”. Dunque, gli Artt. 97 e 98 CP risultano discretamente ben allineati ai limiti menzionati dal Consiglio d'Europa nella Racc. CM/Rec (2008)11.

Da notare è pure la totale esclusione del bambino, nella Normativa europea, dall'incontro/scontro con il Sistema Penale, la cui ratio rieducativa non è idonea al di sotto della soglia dei 14 anni d'età. Prima, infatti, di tale limite anagrafico, debbono prevalere le tecniche (ri)educative esperibili dalle tradizionali agenzie di controllo, quali la famiglia, la scuola ed il gruppo religioso di appartenenza. Inoltre, come si evince dalla Racc. CM/Rec (2008)11, la carcerazione del minorenne infrattore rimane, senza alcun dubbio, l'extrema ratio, ciò a prescindere dall'odierno neo-retribuzionismo populista alimentato da un certo giornalismo ideologizzato e demagogico. Anzi, nel Diritto Comunitario Europeo, la Regola 4 della Regole CM (2008)128 allegato 1 invita gli Stati membri a scindere il più possibile l'imputabilità penale dalla sanzione detentiva di tipo intra-murario. In buona sostanza, nella Legislazione del Consiglio d'Europa, abbondano, a beneficio dell'infra-18enne, misure rieducative alternativa alla tradizionale esecuzione penitenziaria.

Molti Ordinamenti hanno ben assimilato la ratio del trattamento “non-penale” del minore che abbia delinquito. P.e., la soglia anagrafica dell'imputabilità è stata portata da 8 a 10 anni in Australia, da 7 a 12 anni in Irlanda, da 9 a 14 anni a Malta, da 12 a 14 anni in Nuova Zelanda e da 8 a 12 anni in Scozia. Viceversa, la “Minimum Age of Criminal Responsability” è ancora eccessivamente alta nel Regno Unito, ad Hong Kong ed in Svizzera. Con afferenza alla Common Law statunitense, l'età imputabile è abbastanza ragionevole in soli 19 Stati, mentre, nel resto degli USA, non esiste una “minimum age” e si valuta la maturità del minorenne caso per caso.

 

La nozione di “maturità”

Cipriani (2016)[27] sostiene che “la definizione della soglia dell'età imputabile a scopi penali, soprattutto in riferimento ad individui molto giovani, addirittura di età inferiore ai 14 anni, è senza dubbio una questione molto complessa e, per questo, periodicamente al centro dell'agenda pubblica ed istituzionale. In questo contesto, può essere utile fare riferimento alle ricerche neuroscientifiche, che possono fornire un contributo per valutare il problema da altre angolature e suggerire possibili soluzioni”.

Centonze (2005)[28] afferma anch'egli che “negli ultimi anni, i risultati delle ricerche scientifiche hanno favorito l'ingresso delle neuroscienze nel processo penale che coinvolge imputati adulti. Gli ambiti di applicazione, tuttavia, hanno riguardato quasi esclusivamente la valutazione della prova scientifica o della capacità di intendere e di volere dell'imputato”. A parere di chi commenta, le neuroscienze non meritano una fiducia cieca ed illimitata, in tanto in quanto esse sono sovente espressione di una Medicina onnipotente ed onnipresente che finisce per annichilire il “libero e prudente apprezzamento” del giudice. Spesso, nel Procedimento Penale, al CTU/psichiatra compete, erroneamente, l'ultima parola, come se la devianza antigiuridica altro non fosse se non la conseguenza algebrica del malfunzionamento degli ormoni cerebrali. Purtroppo, l'intera personalità del reo è valutata sulla base di presunte malattie del cervello, è negato qualsivoglia legittimo spazio alla ratio tradizionale del “libero arbitrio”.

Estremamente e generosamente fiducioso nella psichiatria degli Anni Duemila è Siegel (2001)[29], a parere del quale “se si volge lo sguardo al Diritto Minorile, è agevole constatare come lo stesso sia stato interessato solo in minima parte dalla contaminazione neuroscientifica, sebbene le metodologie di esplorazione funzionale del cervello e le tecniche di neuroimaging abbiano implementato sensibilmente anche la conoscenza del funzionamento e dello sviluppo del cervello degli individui minorenni”. Ecco, nuovamente, nel summenzionato Dottrinario, il fuorviante mito di un adolescente perennemente e sistematicamente affetto da forme di (semi)infermità mentale. Dunque, delinque il cervello e non la persona nella sua duplice integrità volitiva e cognitiva. Si tratta di un sinistro ritorno alle ideologia deterministiche di Lombroso. Malaugurevolmente, analoga “psichiatrizzazione” dell'infra-18enne si rinviene pure in Vicari & Di Vara & Milone (2018)[30], i quali esaltano la presunta modernità rivoluzionaria delle neuroscienze, che fornirebbero chiavi di lettura perfette per la comprensione della devianza minorile, la quale non potrebbe, secondo tali Autori, essere valutata in autonomia dal solo Magistrato

Senza dubbio, nel tema dell'imputabilità, o meno, del minorenne, la Criminologia e la Pedagogia rivestono un ruolo primario. Tant'è vero che, giustamente, Belloni (2009)[31] asserisce che “la tematica dell'imputabilità del minorenne, pur nella sua schietta connotazione giuridico-penalistica, non può prescindere dalla considerazione della dimensione extra-giuridica della minore età, che si compone di elementi variabili, diversificati e sfuggenti, legati sia all'essenza stessa della persona minorenne e della sua personalità, in evoluzione, sia alla considerazione sociale assegnata all'età minorile”. Tuttavia, a parere di chi redige, gli aspetti “extra-giuridici” dell'adolescenza non consentono allo psicologo ed allo psichiatra di sostituirsi nell'attività valutativa complessiva del Magistrato. I profili medico-forensi della devianza dell'infra-18enne non debbono intaccare l'autonomia del giudice. Né, tantomeno, il medico/CTU può o deve influenzare in modo totalizzante il libero apprezzamento dell'Operatore giuridico. Ogni analisi psicologica dell'ultra-13enne dev'essere fatta poi rientrare, in ultima istanza, all'interno delle determinazioni del Magistrato. Similmente, tale divieto di “medicalizzare” l'analisi del minore infrattore è ripreso da Amisano (2005)[32], il quale evidenzia che “il canone dell'imputabilità [dell'adolescente] si pone al crocevia tra il sapere giuridico e quello scientifico e determina una nozione che è stata traslitterata, dalla Giurisprudenza minorile, nel concetto di maturità, che, a sua volta, è stato definito come un costrutto da riempire”. Parimenti, anche Scivoletto (2012)[33] parla di una “difficile definizione” della ratio della “maturità”, in tanto in quanto questo concetto si colloca a metà strada tra la psicologia ed il Diritto, il che, in ogni caso, non deve legittimare l'onnipresenza e l'onnipotenza ermeneutica delle neuroscienze, le quali non possono e non debbono prevaricare le valutazioni del Giurista. Detto in altri termini, gli Artt. 97 e 98 CP sono e rimangono Norme giuridiche e non nozioni mediche deterministicamente e lombrosianamente legate alo studio degli ormoni secreti dal cervello.

In effetti, in maniera lodevole, Palomba (1989)[34] ribadisce, nel processo penale, la supremazia esegetica del Diritto sulla medicina, ovverosia, alla luce degli Artt. 97 e 98 CP, “il livello di maturazione individuale [dell'ultra-13enne] [va contestualizzato, ndr] sotto il profilo fisiologico, psicologico e sociale”, ma ciò che conta è “l'antigiuridicità dell'atto deviante” e tale variabile reca sempre un aspetto eminentemente giuridico e non o non solo psico-sanitario. Palomba (ibidem)[35] invita il Magistrato ad affrancare dall'analisi puramente medica la ratio della “capacità di intendere e di volere” del minorenne responsabile di un reato. Come mettono in risalto pure Lanotte & Capri (1997)[36], è soltanto dopo l'analisi giuridica che interviene quella psichiatrica e pedagogica; solo con e per il Magistrato, lo psicologo potrà mettere in evidenza quale sia il “processo di strutturazione delle funzioni psichiche [poiché] […] nell'adolescente esiste ambivalenza nei confini tra il mondo interno e quello esterno, fra il sé ed il non-sé, fra i vissuti soggettivi e l'esame della realtà”. Viceversa, in epoca odierna, le neuroscienze tendono a sottovalutare l'analisi prettamente giuridica della personalità dell'infrattore ultra-13enne. La scienza sperimentale medica viene erroneamente presentata alla stregua di una modalità interpretativa assoluta ed assolutizzante.

Senza alcun bisogno della tracotante saccenza delle neuroscienze, Goleman (1996)[37], con linearità, chiarezza e semplicità, precisa che “il processo di maturazione si configura come un graduale passaggio di un individuo da una fase di disorganizzazione psicologica, caratteristica  fisiologica normale nei primi anni di vita, alla integrazione di coerenza, costruttività, assertività, creatività dell'età matura e più adulta”. Ora, la delittuosità minorile, nella Dottrina criminologica e pedagogica, altro non è, in fondo, che una carenza di maturità. A tal proposito, in tempi lontani dalla “psichiatrizzazione” del bambino, Citterio & Piscopo & Rasio (1974)[38] postulavano che “nel caso del minore autore di reato, ci si imbatte nella c.d. immaturità mentale, [che è] una formula discorsiva che viene adottata ovunque si vogliano avanzare asserzioni, tanto negative quanto apodittiche, su un soggetto umano; una formula che viene altresì impiegata proprio nelle sedi giudiziarie, laddove non vi è solo un discorso purchessia sul riferimento della non-imputabilità a quel protagonista di illeciti che, nel momento del fatto, aveva compiuto i 14 anni ma non ancora i 18, ma laddove è in atto la decisione sulla imputabilità o non imputabilità”. Dunque, come si nota, in maniera indiretta, Citterio & Piscopo & Rasio (ibidem)[39] invitano il Magistrato ad impiegare la massima prudenza nell'apprezzamento della ratio della “maturità”. Si tratta di una valutazione che condizionerà l'intera futura vita adulta dell'ultra-13enne.

Analogamente, pure Balloni & Bisi & Sette (2020)[40] ribadiscono l'estrema delicatezza della variabile della “maturità”, soprattutto perché “tra le varie fasi della crescita di un individuo, l'adolescenza, secondo gli Studi di psicopatologia forense, è la più complessa. Non è un caso, infatti, che la maggior parte dei minori che commettono reati siano adolescenti”. Pertanto, anche secondo i predetti Autori degli Anni Duemila, giudicare imputabile o non imputabile un minorenne è un'operazione valutativa che condizionerà la persona anche nella vita lavorativa, familiare e sociale adulta. Similmente, nella Dottrina anglofona, la decisività e la basilarità del Processo Minorile è evidenziata anche da Herting & Sowell (2017)[41], in tanto in quanto “l'adolescenza rappresenta un momento [irripetibile, ndr] di profonde trasformazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso, che si verificano durante la crescita, accompagnate da variazioni ormonali e biologiche, stimoli culturali e psicosociali. I fenomeni neurobiologici dell'adolescente sono associati a cambiamenti nella sfera cognitiva ed emotiva, che gli permettono di sviluppare nuove capacità di adattamento mentale, comportamentale e socio-affettivo”. Detto in altri termini, un eventuale errore giudiziario del Magistrato minorile segnerà il giovane imputato infra-18enne per tutta la vita. Il Diritto Penale Minorile ha il potere di condizionare, nel bene o nel male, l'intera successiva esistenza socio-familiare del reo.

 

[1]Vigoni, Il difetto d'imputabilità del minorenne, Giappichelli, Torino, 2016

 

[2]Padovani, Diritto Penale, Giuffrè, Milano, 2017

 

[3]Padovani, op. cit.

 

[4]Abukar Hayo, Lineamenti generali della pretesa punitiva, Manuale di Diritto Penale, Feltrinelli, Torino, 2010

 

[5]Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, Giuffrè, Milano, 2003

 

[6]Marinucci & Dolcini & Gatta, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, Giuffrè, Milano, 2020

[7]Manna, Corso di Diritto Penale. Parte generale, Wolters Kluver, Milano, 2020

 

[8]Palazzo, Corso di Diritto Penale, Giappichelli, Torino, 2021

 

[9]Palazzo, op. cit.

 

[10]Galuppi & Grasso, Infraquattordicenni: recrudescenza criminale e prospettive di modificazione della normativa penale vigente, in Diritto, Famiglia e Persona, 1993

 

[11]Marinucci & Dolcini & Gatta, op. cit.

 

[12]Dünkel, Il problema della criminalità minorile in Europa. Un confronto, in La nuova Giurisprudenza civile commentata, fascicolo speciale, 2004

 

[13]Dünkel, op. cit.

 

[14]Moro, Manuale di Diritto Minorile, Zanichelli, Bologna, 2008

 

[15]Moro, op. cit.

 

[16]Manna, op. cit.

 

[17]Galuppi & Grasso, op. cit.

 

[18]Abukar Hayo, op. cit.

 

[19]Larizza, Il Diritto Penale dei minori. Evoluzione e rischi di involuzione, Cedam, Padova, 2005

 

[20]Vigoni, op. cit.

 

[21]Vigoni, op. cit.

 

[22]Larizza, op. cit.

 

[23]Fadiga, Le Regole di Pechino e la giustizia minorile, in Giustizia e Costituzione, n. 2, 1989

 

[24]Fadiga, op. cit.

 

[25]Vigoni, op. cit.

 

[26]Van Bueren, The International Law and the Rights of the Child, in The Hague, 1998

[27]Cipriani, Children's Rights and The Minimum Age of Criminal Responsability: A Global Perspective, Routledge, London, 2016

 

[28]Centonze, L'imputabilità, il vizio di mente e i disturbi della personalità, in Rivista italiana di Diritto processuale penale, 2005

 

[29]Siegel, La mente relazionale. Neurobiologia dell'esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001

 

[30]Vicari & Di Vara & Milone,  Profili cognitivi e disturbi psicopatologici. Evidenze neurobiologiche, diagnosi, trattamento. Erickson, Trento. 2018

 

[31]Belloni, in Carriero, Bambini, IRIS Unimol, Roma, 2009

 

[32]Amisano, Incapacità per vizio totale di mente ed elemento psicologico del fatto,  Giappichelli, Torino, 2005

 

[33]Scivoletto, Sistema penale e minori, Carocci Editore, Roma, 2012

 

[34]Palomba, Il sistema del nuovo processo minorile, Giuffrè, Milano, 1989

 

[35]Palomba, op. cit.

 

[36]Lanotte & Capri, I Test Proiettivi in ambito giudiziario: limiti e possibilità di utilizzo, in AA.VV., Abuso sessuale di minore e processo penale: ruoli e responsabilità, Cedam, Padova, 1997

 

[37]Goleman, L'intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1996

 

[38]Citterio & Piscopo & Rasio, Analisi psichiatrico-forense della categoria giuridica dell'immaturità mentale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, 1974 (edizione fuori corso)

 

[39]Citterio & Piscopo & Rasio, op. cit.

 

[40]Balloni & Bisi & Sette, Criminologia e psicopatologia forense, Cedam, Padova, 2020

 

[41]Herting & Sowell, Puberty and structural brain development in humans, in Front Neuroendocrinol, 2017