Sottrazione del minore all’altro genitore inconsapevole e art. 30 Cost.
Sottrazione del minore all’altro genitore inconsapevole e art. 30 Cost.
(Nota a Cass. pen., Sez. VI, Sent., 06 giugno 2023, n. 24325)
Con la presente sentenza, la Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla condotta di un genitore che, contro la volontà dell’altro, sottrae a quest’ultimo il figlio per un ampio lasso di tempo, impedendo così l’altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il soggetto coinvolto dall’abituale dimora. La vicenda prende le mosse dalla decisione di primo grado che statuisce la responsabilità della madre per avere sottratto – in violazione dell’affidamento congiunto disposto dal Tribunale di Enna – la minore al padre, fissando per la stessa un nuovo domicilio in assenza di un provvedimento autorizzativo del giudice. In seguito, la Corte d’Appello di Caltanissetta riforma parzialmente la decisione di primo grado, riconoscendo a beneficio dell’imputata – considerata responsabile del reato di cui all’art. 574 c.p. – le circostanze attenuanti generiche e ridetermina in sei mesi e dieci giorni di reclusione la pena irrogatele, confermando la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.
Alla luce di ciò, il difensore di fiducia solleva ricorso in Cassazione. Entrando nei dettagli, si dichiara che la donna non aveva mai intralciato i contatti tra la figlia e l’altro genitore, in quanto questi aveva potuto esercitare il proprio diritto di visita e tutti i diritti connessi al rapporto genitoriale nel periodo in contestazione. Si aggiunge che le dichiarazioni rese dal padre, il quale sosteneva di non incontrare la minore per un periodo prolungato (pari a quaranta giorni) non corrispondano alla realtà dei fatti. Infine sono ritenute irrilevanti rispetto alla situazione sostanziale le risultanze anagrafiche secondo cui la figlia minore era ancora residente nel primo Comune di residenza della figura materna, in ragione del loro omesso tempestivo aggiornamento.
Il ricorso è rigettato. I giudici di legittimità puntualizzano che la sentenza impugnata tiene conto delle implicazioni logicamente sottese al pacifico insegnamento della stessa Corte (Cass., Sez. VI, n. 22911/2013; Cass., Sez. V, n. 28561/2018), in virtù del quale integra il reato di cui all’art. 574 c.p. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell’altro, sottragga a quest’ultimo la prole per un periodo di tempo significativo, impedendo l’altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il figlio minore dall’ambiente di abituale dimora.
In primo luogo, la Suprema Corte ribadisce che il Tribunale di Enna non aveva autorizzato la donna a portare con sé il soggetto minore in altro Comune, ma si era invece limitato ad incaricare i Servizi Sociali di redigere una relazione sull’idoneità genitoriale del padre e della madre, sul loro attuale stato di vita e sulle condizioni abitative e di coabitazione che la minore avrebbe trovato nella nuova residenza materna, senza esprimersi in relazione al domicilio o alla dimora della minore stessa. Ad aggravare la situazione dell’imputata è la
relazione elaborata dai Servizi Sociali, nella quale emerge che la stessa non aveva ancora provveduto al cambio della residenza della figlia. In secondo luogo, la Corte statuisce che
il trasferimento della minore dal luogo della sua abituale dimora è avvenuto di fatto contro la volontà della figura paterna, non essendo stato implicato nella decisione assunta dalla madre e dunque impedito nell’esercizio della propria potestà genitoriale. In aggiunta, si tiene a ricordare che il diritto di visita prevede incontri costanti da tenersi nel corso della settimana.
In definitiva, nel rigettare il ricorso, la Cassazione condanna la donna al pagamento delle spese processuale, oltre che alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Giunti a tale punto, appare doveroso compiere brevi considerazioni in ordine alle ricadute della condotta oggetto di discussione sull’impianto costituzionale e, in particolare sull’art. 30, comma 1, Cost., ai sensi del quale “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. La disposizione in commento, pur valorizzata in dottrina per l’equiparazione tra prole nata da soggetti uniti in matrimonio e quella nata fuori dallo stesso, deve considerarsi innovativa anche nel preciso punto in cui specifica che mantenere, educare ed istruire la prole costituisce tanto un “dovere” quanto un “diritto” dei genitori. In epoca fascista, il rapporto genitore-figlio era inquadrato sotto il mero profilo del potere-dovere; al contrario, con l’entrata in vigore della Costituzione, la posizione del genitore non si concretizza in un potere di supremazia verso il figlio, ma costituisce anche un diritto, da concepirsi come interesse proprio del genitore ad istruire, educare e mantenere la prole. L’origine di tale aggiunta si rinviene nella necessità di porre un limite di intervento all’ordinamento giuridico nell’educazione dei giovani, riservando tale potere ai genitori. Merita peculiare attenzione anche la scelta dei Costituenti di optare per il termine declinato al plurale (“genitori”, anziché “genitore”), con la quale si intende trasmettere un messaggio di solidarietà, nonché l’importanza da parte di ciascun genitore
di contribuire – in maniera paritaria – alla regolare ed equilibrata crescita della prole, in modo tale da escludere un’eventuale prevaricazione dell’uno sull’altro.
Le considerazioni riportate risultano sufficienti per giungere alla conclusione secondo cui la condotta condannata si pone in netto contrasto con l’art. 30 Cost., condividendo in toto la decisione in commento.