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La natura giuridica del diritto di accesso e la problematica dei rapporti tra accesso e riservatezza

1) Il diritto di accesso: fonti, fondamento e natura giuridica.

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è stato introdotto in via generalizzata nel nostro ordinamento dalla l. 241 del 1990, in attuazione dei principi di buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 Cost.

Già prima dell’avvento della legge sul procedimento, tuttavia, il legislatore aveva ritenuto operare degli interventi di carattere settoriale volti ad assicurare la trasparenza dell’agere amministrativo, anche in attuazione di spinte comunitarie in tal senso (art. 14 l. 346/1989, art 7 l. 142/1990).

Le disposizioni della legge sul procedimento (art. 22 l. 241/1990) che disciplinano l’accesso ai documenti hanno ricevuto applicazione da parte sia delle amministrazioni statali che delle amministrazioni territoriali e locali; con riferimento a queste ultime, la recente riforma attuata con l. 15 del 2005 ha stabilito che l’accesso attiene ai livelli essenziali delle prestazioni e rientra, dunque, nell’area della legislazione esclusiva dello Stato (art. 117 comma 2 Cost.), con la conseguenza che le disposizioni contenute nella l. 241 trovano applicazione anche nei confronti delle Regioni e degli Enti locali.

Sotto il profilo del fondamento costituzionale del diritto di accesso, mentre l’opinione prevalente ha ricondotto l’accesso alla regola del buon andamento e della trasparenza ex art. 97 Cost., una diversa costruzione ha fatto leva sul diritto all’ informazione ex art. 21 Cost., valutato non tanto dal versante attivo, ovvero come diritto ad informare, bensì dal versante passivo, ovvero come diritto ad essere informati.

In seguito all’introduzione ed alla successiva diffusione dello strumento dell’accesso nella prassi dei rapporti tra amministrazione e cittadino, si è sviluppato un acceso dibattito sulla natura giuridica dell’istituto in commento: una prima elaborazione, confermata nel 2006 dall’Adunanza Plenaria del C.d.S., propende per l’inquadrabilità dell’accesso nell’ambito dei diritto soggettivi; al contrario, la diversa soluzione dottrinale prospetta un interesse legittimo, rilevando la presenza di un potere discrezionale in capo alla parte pubblica, la quale sarebbe tenuta a ponderare le contrapposte esigenze, consentendo alla parte privata l’accesso ai documenti, solamente laddove l’interesse della parte privata sia ritenuto prevalente rispetto al contrapposto eventuale interesse di terzi a non divulgare determinati dati, oppure al contrapposto eventuale interesse pubblico alla segretezza di determinate informazioni; altre tesi, sviluppando ulteriormente la ricostruzione dell’interesse legittimo, affermano la necessità di distinguere i diversi tipi di accesso: nel caso di accesso a documenti contenenti dati di terzi, la posizione del richiedente sarebbe di interesse legittimo, poiché sussiste un potere della PA di bilanciare le contrapposte esigenze dando prevalenza all’una piuttosto che all’altra; nel caso di accesso a documenti amministrativi privi di dati di terzi, viceversa, la posizione del privato cittadino dovrebbe qualificarsi in termini di diritto soggettivo, stante l’assenza di poteri discrezionali in capo alla PA.

Come accennato, il Cds, in adunanza plenaria, ha sposato la ricostruzione unitaria del diritto soggettivo ponendo in rilievo, a suffragio della propria soluzione, le innovazioni introdotte con la legge di riforma del procedimento amministrativo (l. 15/05) ed in particolare la qualifica dell’accesso come attinente ai livelli essenziali delle prestazioni, nonchè la specificazione della natura esclusiva della giurisdizione del G.A., affermando inoltre la strumentalità ed accessorietà dell’accesso, il quale presuppone una posizione giuridica sottostante, alla cui tutela è preordinato.

L’adesione alla tesi giurisprudenziale del diritto soggettivo determina conseguenze di non poco momento sotto l’aspetto processuale, in considerazione del fatto che il giudizio amministrativo avrebbe ad oggetto non l’atto, ma il rapporto: in primo luogo, in caso di mancata notifica al controinteressato, il GA disporrà l’integrazione del contraddittorio, in luogo della declaratoria di inammissibilità del ricorso; in secondo luogo, dovrebbe ammettersi la soluzione della controversia mediante arbitrato rituale di diritto (art.6 L. 205/00); in terzo luogo, sotto il profilo istruttorio, il G. potrà avvalersi della testimonianza; inoltre sarà possibile impugnare eventuali provvedimenti sopravvenuti con l’istituto dei motivi aggiunti.

Un problema applicativo si è posto con riferimento alla questione della reiterabilità dell’istanza di accesso già oggetto di precedente diniego; nel caso in cui il provvedimento di diniego non sia stato impugnato nel termine decadenziale, l’Adunanza plenaria ha ritenuto che debba escludersi la reiterabilità dell’istanza poiché il termine di 30 gg. per l’impugnativa del diniego deve considerarsi perentorio. Questa soluzione, del resto, non è incompatibile con la qualifica di diritto soggettivo attribuita alla posizione del privato: infatti, anche il Codice civile prevede ipotesi di diritti soggettivi il cui esercizio è subordinato al rispetto di termini decadenziali, come nel caso della garanzia per i vizi e l’evizione, prevista a favore dell’acquirente. Ne deriva di conseguenza che a seguito del diniego di accesso, trascorso il termine decadenziale, non sarà più possibile reiterare l’istanza, salvo che, a fondamento della stessa, non si pongano elementi sopravvenuti o non individuati nella precedente istanza di accesso.

2) Il diritto alla riservatezza e l’ambito dei possibili conflitti con l’accesso.

Il diritto alla riservatezza, prima di ricevere specifico riconoscimento con la l. 675/1996, poi confluita nel Codice della Privacy (D. Lgs. 196 del 2003), ha ottenuto progressivo riconoscimento da parte della giurisprudenza che ne ha individuato le radici nell’art. 2 Cost.; il contenuto della riservatezza è stato individuato, in un primo tempo, nel diritto a non subire interferenze non autorizzate nella propria sfera privata, mentre, in un secondo momento, ha assunto i più specifici connotati del diritto a mantenere il controllo dei dati personali e professionali che concorrono ad individuare ciascun soggetto.

A tal proposito pare opportuno rilevare che l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale è giunta a riconoscere la possibilità che sia titolare della riservatezza non solo una persona fisica, ma altresì una persona giuridica, seguendo la più generale direzione dell’estensione alle persone giuridiche dei diritti della personalità, tradizionalmente allocati in capo alle persone fisiche: in tal senso la giurisprudenza in un noto precedente ha ritenuto che un partito politico possa essere titolare del diritto all’identità personale in seguito alla lesione del quale il partito stesso ha diritto al risarcimento del danno; analogamente a dirsi con riferimento all’ipotesi del c.d. danno da tangente per lesione dell’immagine della P.A.

Passando ad analizzare i rapporti che intercorrono tra accesso e riservatezza, pare opportuna una premessa che consente di delimitare l’ambito della questione: un possibile conflitto tra accesso e riservatezza può sussistere solamente nel caso in cui l’accesso abbia ad oggetto documenti che contengono dati personali di terzi, dal momento che, nella diversa ipotesi di accesso a documenti amministrativi non contenenti dati personali altrui manca il conflitto tra le due posizioni, poiché manca un diritto alla riservatezza che possa confliggere con il diritto di accesso.

3) I criteri regolatori del conflitto, tra ponderazione degli interessi in gioco ed indispensabilità dell’accesso.

Delimitata l’indagine alle ipotesi di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali altrui, pare opportuno procedere distinguendo i diversi periodi temporali, poiché gli interventi normativi che si sono susseguiti hanno regolato in modo diverso tra loro i rapporti tra accesso e riservatezza.

Dopo l’entrata in vigore della l. 241/90, ma prima della l. 675/96, si è ritenuto che l’accesso ai documenti amministrativi prevalesse sulla riservatezza, sia per la mancanza di una disciplina ad hoc in tema di riservatezza, sia per l’esigenza di tutela della ratio di trasparenza dell’azione amministrativa espressa con la l. 241/90.

Questa soluzione è stata confermata anche dopo l’entrata in vigore della l.675/96, ma si è posto il problema dei dati sensibili, per i quali parte della giurisprudenza ha ritenuto escludere l’accesso. Questa problematica è stata poi risolta nel ’99, allorquando il legislatore ha stabilito che per i dati super-sensibili l’accesso è ammissibile solo se il diritto da far valere è di rango almeno pari rispetto a quello dell’interessato; tale innovazione è stata recepita all’art. 60 del codice della Privacy.

L’attuale disciplina contenuta nel codice della Privacy, anche a seguito delle innovazioni introdotte con la l. 15/2005, risolve il conflitto accesso-riservatezza dettando un disciplina di carattere eterogeneo che distingue tre ipotesi: documenti contenenti dati comuni, documenti contenenti dati super-sensibili e documenti contenenti dati sensibili o giudiziari.

In caso di accesso a documenti contenenti dati comuni, il Codice della Privacy rinvia alla disciplina contenuta nella l. 241/90, la quale riconosce la prevalenza dell’accesso, a condizione che lo stesso sia finalizzato alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici. Prima del 2005 l’ostensibilità subiva una limitazione modale consistente nel limitarsi a prendere visione del documento, con esclusione della possibilità di ottenere il rilascio di copia; dopo la riforma del 2005 tale limitazione è stata cancellata.

Nel caso di accesso a documenti contenenti dati sensibilissimi, l’art.60 del codice della Prvacy, come detto, ne subordina l’ammissibilità alla necessità di tutelare un diritto di rango almeno pari rispetto a quello dell’interessato; val la pena ricordare, tuttavia, che il Garante ha ritenuto che la disposizione vada interpretata nel senso che, oltre alla ponderazione sul rango dei diritti in conflitto, si debba effettuare la verifica della necessarietà o meno dell’accesso ai fini dell’esercizio dell’azione giudiziale: in questo modo, il Garante aggiunge, in via interpretativa, al requisito della ponderazione del rango degli interessi in conflitto, l’ulteriore requisito dell’indispensabilità dell’accesso ai fini della cura o difesa dell’istante, pur non espressamente previsto dal legislatore.

Tale ultimo requisito, viceversa, è stato espressamente previsto dal legislatore del 2005 in caso di accesso a documenti contenenti dati sensibili o giudiziari: si è stabilito, infatti, che l’accesso a documenti contenenti dati sensibili o giudiziari è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini di cui all’art. 60 ove attenga a dati super-sensibili. In relazione a questo aspetto sono state prospettate due interpretazioni: secondo una prima tesi il legislatore avrebbe accomunato i dati sensibili e giudiziari a quelli attinenti a salute e sesso; secondo altra prevalente ricostruzione, il rinvio all’art. 60 riguarderebbe l’ipotesi di accesso a documenti contenenti dati super-sensibili e non dati sensibili. Aderendo a quest’ultima soluzione si è concluso nel senso che per i dati sensibili e giudiziari l’accesso è stato consentito non in base ad una ponderazione tra interesse sotteso all’istanza del richiedente ed interesse del titolare dei dati personali, bensì in base alla sola valutazione relativa all’indispensabilità dell’accesso ai fini della tutela della posizione del richiedente.

Ne risulta un quadro eterogeneo dei rapporti tra accesso e riservatezza, tale da mostrare la scelta del legislatore di fissare il criterio risolutore del conflitto nella natura dei dati personali del terzo e nell’entità del vulnus alla sua riservatezza: laddove il vulnus sia più intenso (dati sensibili e super-sensibili), l’accesso è consentito a condizioni più restrittive, laddove il vulnus sia meno pregiudizievole per il titolare dei dati (dati comuni), l’accesso è consentito a condizioni meno restrittive.

4) L’eterogeneità della disciplina che regola il conflitto accesso – riservatezza e la sua possibile incidenza sulla natura dell’accesso.

A questo punto, rilevata l’eterogeneità della disciplina relativa ai rapporti tra accesso e riservatezza, è possibile trarre alcune conseguenze sulla natura del diritto di accesso.

Nel caso di accesso a documenti amministrativi contenenti dati comuni di terzi, poichè manca una ponderazione tra i diversi interessi in gioco, si dovrebbe escludere la sussistenza di un potere discrezionale della P.A., dal momento che la P.A. si limita ad accertare se l’accesso è preordinato o meno alla cura dei propri interessi giuridici; trattandosi di attività vincolata della P.A., si è sostenuto che l’istante sarerbbe titolare di un diritto soggettivo; tuttavia parte della dottrina esclude che a fronte dell’attività vincolata sia possibile rinvenire solamente posizioni di diritto soggettivo, prospettando la presenza di interessi legittimi pur a fronte di un’attività vincolata della P.A., poichè è possibile che il vincolo all’agere pubblicistico sia finalizzato a tutelare interessi non privati, ma pubblici.

Diversamente, nel caso di accesso a documenti contenenti dati super-sensibili, dovendo la P.A. ponderare l’interesse dell’istante con quello del titolare dei dati in questione, è stata prospettata un’attività discrezionale della P.A., a fronte della quale la posizione del richiedente dovrebbe qualificarsi in termini di interesse legittimo (di tipo pretensivo).

Nell’ipotesi di dati sensibili e giudiziari, la valutazione della P.A. si fonda sulla stretta indispensabilità dell’accesso ai fini della tutela della propria posizione: a queste condizioni dovrebbe prospettarsi ugualmente un’attività discrezionale della P.A. ed una speculare posizione di interesse legittimo del privato.

Nelle diverse ipotesi in cui l’accesso ai documenti non confligga con interessi alla riservatezza dei dati personali, in tal caso, mancando un sindacato discrezionale della parte pubblica, dovrebbe ravvisarsi una posizione di diritto soggettivo del privato, analogamente al caso di accesso ai propri dati personali non contenuti in documenti amministrativi: in quest’ultimo caso non trova applicazione la l.241/90, bensì l’art.7 del codice della Privacy.

1) Il diritto di accesso: fonti, fondamento e natura giuridica.

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è stato introdotto in via generalizzata nel nostro ordinamento dalla l. 241 del 1990, in attuazione dei principi di buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 Cost.

Già prima dell’avvento della legge sul procedimento, tuttavia, il legislatore aveva ritenuto operare degli interventi di carattere settoriale volti ad assicurare la trasparenza dell’agere amministrativo, anche in attuazione di spinte comunitarie in tal senso (art. 14 l. 346/1989, art 7 l. 142/1990).

Le disposizioni della legge sul procedimento (art. 22 l. 241/1990) che disciplinano l’accesso ai documenti hanno ricevuto applicazione da parte sia delle amministrazioni statali che delle amministrazioni territoriali e locali; con riferimento a queste ultime, la recente riforma attuata con l. 15 del 2005 ha stabilito che l’accesso attiene ai livelli essenziali delle prestazioni e rientra, dunque, nell’area della legislazione esclusiva dello Stato (art. 117 comma 2 Cost.), con la conseguenza che le disposizioni contenute nella l. 241 trovano applicazione anche nei confronti delle Regioni e degli Enti locali.

Sotto il profilo del fondamento costituzionale del diritto di accesso, mentre l’opinione prevalente ha ricondotto l’accesso alla regola del buon andamento e della trasparenza ex art. 97 Cost., una diversa costruzione ha fatto leva sul diritto all’ informazione ex art. 21 Cost., valutato non tanto dal versante attivo, ovvero come diritto ad informare, bensì dal versante passivo, ovvero come diritto ad essere informati.

In seguito all’introduzione ed alla successiva diffusione dello strumento dell’accesso nella prassi dei rapporti tra amministrazione e cittadino, si è sviluppato un acceso dibattito sulla natura giuridica dell’istituto in commento: una prima elaborazione, confermata nel 2006 dall’Adunanza Plenaria del C.d.S., propende per l’inquadrabilità dell’accesso nell’ambito dei diritto soggettivi; al contrario, la diversa soluzione dottrinale prospetta un interesse legittimo, rilevando la presenza di un potere discrezionale in capo alla parte pubblica, la quale sarebbe tenuta a ponderare le contrapposte esigenze, consentendo alla parte privata l’accesso ai documenti, solamente laddove l’interesse della parte privata sia ritenuto prevalente rispetto al contrapposto eventuale interesse di terzi a non divulgare determinati dati, oppure al contrapposto eventuale interesse pubblico alla segretezza di determinate informazioni; altre tesi, sviluppando ulteriormente la ricostruzione dell’interesse legittimo, affermano la necessità di distinguere i diversi tipi di accesso: nel caso di accesso a documenti contenenti dati di terzi, la posizione del richiedente sarebbe di interesse legittimo, poiché sussiste un potere della PA di bilanciare le contrapposte esigenze dando prevalenza all’una piuttosto che all’altra; nel caso di accesso a documenti amministrativi privi di dati di terzi, viceversa, la posizione del privato cittadino dovrebbe qualificarsi in termini di diritto soggettivo, stante l’assenza di poteri discrezionali in capo alla PA.

Come accennato, il Cds, in adunanza plenaria, ha sposato la ricostruzione unitaria del diritto soggettivo ponendo in rilievo, a suffragio della propria soluzione, le innovazioni introdotte con la legge di riforma del procedimento amministrativo (l. 15/05) ed in particolare la qualifica dell’accesso come attinente ai livelli essenziali delle prestazioni, nonchè la specificazione della natura esclusiva della giurisdizione del G.A., affermando inoltre la strumentalità ed accessorietà dell’accesso, il quale presuppone una posizione giuridica sottostante, alla cui tutela è preordinato.

L’adesione alla tesi giurisprudenziale del diritto soggettivo determina conseguenze di non poco momento sotto l’aspetto processuale, in considerazione del fatto che il giudizio amministrativo avrebbe ad oggetto non l’atto, ma il rapporto: in primo luogo, in caso di mancata notifica al controinteressato, il GA disporrà l’integrazione del contraddittorio, in luogo della declaratoria di inammissibilità del ricorso; in secondo luogo, dovrebbe ammettersi la soluzione della controversia mediante arbitrato rituale di diritto (art.6 L. 205/00); in terzo luogo, sotto il profilo istruttorio, il G. potrà avvalersi della testimonianza; inoltre sarà possibile impugnare eventuali provvedimenti sopravvenuti con l’istituto dei motivi aggiunti.

Un problema applicativo si è posto con riferimento alla questione della reiterabilità dell’istanza di accesso già oggetto di precedente diniego; nel caso in cui il provvedimento di diniego non sia stato impugnato nel termine decadenziale, l’Adunanza plenaria ha ritenuto che debba escludersi la reiterabilità dell’istanza poiché il termine di 30 gg. per l’impugnativa del diniego deve considerarsi perentorio. Questa soluzione, del resto, non è incompatibile con la qualifica di diritto soggettivo attribuita alla posizione del privato: infatti, anche il Codice civile prevede ipotesi di diritti soggettivi il cui esercizio è subordinato al rispetto di termini decadenziali, come nel caso della garanzia per i vizi e l’evizione, prevista a favore dell’acquirente. Ne deriva di conseguenza che a seguito del diniego di accesso, trascorso il termine decadenziale, non sarà più possibile reiterare l’istanza, salvo che, a fondamento della stessa, non si pongano elementi sopravvenuti o non individuati nella precedente istanza di accesso.

2) Il diritto alla riservatezza e l’ambito dei possibili conflitti con l’accesso.

Il diritto alla riservatezza, prima di ricevere specifico riconoscimento con la l. 675/1996, poi confluita nel Codice della Privacy (D. Lgs. 196 del 2003), ha ottenuto progressivo riconoscimento da parte della giurisprudenza che ne ha individuato le radici nell’art. 2 Cost.; il contenuto della riservatezza è stato individuato, in un primo tempo, nel diritto a non subire interferenze non autorizzate nella propria sfera privata, mentre, in un secondo momento, ha assunto i più specifici connotati del diritto a mantenere il controllo dei dati personali e professionali che concorrono ad individuare ciascun soggetto.

A tal proposito pare opportuno rilevare che l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale è giunta a riconoscere la possibilità che sia titolare della riservatezza non solo una persona fisica, ma altresì una persona giuridica, seguendo la più generale direzione dell’estensione alle persone giuridiche dei diritti della personalità, tradizionalmente allocati in capo alle persone fisiche: in tal senso la giurisprudenza in un noto precedente ha ritenuto che un partito politico possa essere titolare del diritto all’identità personale in seguito alla lesione del quale il partito stesso ha diritto al risarcimento del danno; analogamente a dirsi con riferimento all’ipotesi del c.d. danno da tangente per lesione dell’immagine della P.A.

Passando ad analizzare i rapporti che intercorrono tra accesso e riservatezza, pare opportuna una premessa che consente di delimitare l’ambito della questione: un possibile conflitto tra accesso e riservatezza può sussistere solamente nel caso in cui l’accesso abbia ad oggetto documenti che contengono dati personali di terzi, dal momento che, nella diversa ipotesi di accesso a documenti amministrativi non contenenti dati personali altrui manca il conflitto tra le due posizioni, poiché manca un diritto alla riservatezza che possa confliggere con il diritto di accesso.

3) I criteri regolatori del conflitto, tra ponderazione degli interessi in gioco ed indispensabilità dell’accesso.

Delimitata l’indagine alle ipotesi di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali altrui, pare opportuno procedere distinguendo i diversi periodi temporali, poiché gli interventi normativi che si sono susseguiti hanno regolato in modo diverso tra loro i rapporti tra accesso e riservatezza.

Dopo l’entrata in vigore della l. 241/90, ma prima della l. 675/96, si è ritenuto che l’accesso ai documenti amministrativi prevalesse sulla riservatezza, sia per la mancanza di una disciplina ad hoc in tema di riservatezza, sia per l’esigenza di tutela della ratio di trasparenza dell’azione amministrativa espressa con la l. 241/90.

Questa soluzione è stata confermata anche dopo l’entrata in vigore della l.675/96, ma si è posto il problema dei dati sensibili, per i quali parte della giurisprudenza ha ritenuto escludere l’accesso. Questa problematica è stata poi risolta nel ’99, allorquando il legislatore ha stabilito che per i dati super-sensibili l’accesso è ammissibile solo se il diritto da far valere è di rango almeno pari rispetto a quello dell’interessato; tale innovazione è stata recepita all’art. 60 del codice della Privacy.

L’attuale disciplina contenuta nel codice della Privacy, anche a seguito delle innovazioni introdotte con la l. 15/2005, risolve il conflitto accesso-riservatezza dettando un disciplina di carattere eterogeneo che distingue tre ipotesi: documenti contenenti dati comuni, documenti contenenti dati super-sensibili e documenti contenenti dati sensibili o giudiziari.

In caso di accesso a documenti contenenti dati comuni, il Codice della Privacy rinvia alla disciplina contenuta nella l. 241/90, la quale riconosce la prevalenza dell’accesso, a condizione che lo stesso sia finalizzato alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici. Prima del 2005 l’ostensibilità subiva una limitazione modale consistente nel limitarsi a prendere visione del documento, con esclusione della possibilità di ottenere il rilascio di copia; dopo la riforma del 2005 tale limitazione è stata cancellata.

Nel caso di accesso a documenti contenenti dati sensibilissimi, l’art.60 del codice della Prvacy, come detto, ne subordina l’ammissibilità alla necessità di tutelare un diritto di rango almeno pari rispetto a quello dell’interessato; val la pena ricordare, tuttavia, che il Garante ha ritenuto che la disposizione vada interpretata nel senso che, oltre alla ponderazione sul rango dei diritti in conflitto, si debba effettuare la verifica della necessarietà o meno dell’accesso ai fini dell’esercizio dell’azione giudiziale: in questo modo, il Garante aggiunge, in via interpretativa, al requisito della ponderazione del rango degli interessi in conflitto, l’ulteriore requisito dell’indispensabilità dell’accesso ai fini della cura o difesa dell’istante, pur non espressamente previsto dal legislatore.

Tale ultimo requisito, viceversa, è stato espressamente previsto dal legislatore del 2005 in caso di accesso a documenti contenenti dati sensibili o giudiziari: si è stabilito, infatti, che l’accesso a documenti contenenti dati sensibili o giudiziari è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini di cui all’art. 60 ove attenga a dati super-sensibili. In relazione a questo aspetto sono state prospettate due interpretazioni: secondo una prima tesi il legislatore avrebbe accomunato i dati sensibili e giudiziari a quelli attinenti a salute e sesso; secondo altra prevalente ricostruzione, il rinvio all’art. 60 riguarderebbe l’ipotesi di accesso a documenti contenenti dati super-sensibili e non dati sensibili. Aderendo a quest’ultima soluzione si è concluso nel senso che per i dati sensibili e giudiziari l’accesso è stato consentito non in base ad una ponderazione tra interesse sotteso all’istanza del richiedente ed interesse del titolare dei dati personali, bensì in base alla sola valutazione relativa all’indispensabilità dell’accesso ai fini della tutela della posizione del richiedente. l diritto di accesso: fonti, fondamento e natura giuridica.

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è stato introdotto in via generalizzata nel nostro ordinamento dalla l. 241 del 1990, in attuazione dei principi di buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 Cost.

Già prima dell’avvento della legge sul procedimento, tuttavia, il legislatore aveva ritenuto operare degli interventi di carattere settoriale volti ad assicurare la trasparenza dell’agere amministrativo, anche in attuazione di spinte comunitarie in tal senso (art. 14 l. 346/1989, art 7 l. 142/1990).

Le disposizioni della legge sul procedimento (art. 22 l. 241/1990) che disciplinano l’accesso ai documenti hanno ricevuto applicazione da parte sia delle amministrazioni statali che delle amministrazioni territoriali e locali; con riferimento a queste ultime, la recente riforma attuata con l. 15 del 2005 ha stabilito che l’accesso attiene ai livelli essenziali delle prestazioni e rientra, dunque, nell’area della legislazione esclusiva dello Stato (art. 117 comma 2 Cost.), con la conseguenza che le disposizioni contenute nella l. 241 trovano applicazione anche nei confronti delle Regioni e degli Enti locali.

Sotto il profilo del fondamento costituzionale del diritto di accesso, mentre l’opinione prevalente ha ricondotto l’accesso alla regola del buon andamento e della trasparenza ex art. 97 Cost., una diversa costruzione ha fatto leva sul diritto all’ informazione ex art. 21 Cost., valutato non tanto dal versante attivo, ovvero come diritto ad informare, bensì dal versante passivo, ovvero come diritto ad essere informati.

In seguito all’introduzione ed alla successiva diffusione dello strumento dell’accesso nella prassi dei rapporti tra amministrazione e cittadino, si è sviluppato un acceso dibattito sulla natura giuridica dell’istituto in commento: una prima elaborazione, confermata nel 2006 dall’Adunanza Plenaria del C.d.S., propende per l’inquadrabilità dell’accesso nell’ambito dei diritto soggettivi; al contrario, la diversa soluzione dottrinale prospetta un interesse legittimo, rilevando la presenza di un potere discrezionale in capo alla parte pubblica, la quale sarebbe tenuta a ponderare le contrapposte esigenze, consentendo alla parte privata l’accesso ai documenti, solamente laddove l’interesse della parte privata sia ritenuto prevalente rispetto al contrapposto eventuale interesse di terzi a non divulgare determinati dati, oppure al contrapposto eventuale interesse pubblico alla segretezza di determinate informazioni; altre tesi, sviluppando ulteriormente la ricostruzione dell’interesse legittimo, affermano la necessità di distinguere i diversi tipi di accesso: nel caso di accesso a documenti contenenti dati di terzi, la posizione del richiedente sarebbe di interesse legittimo, poiché sussiste un potere della PA di bilanciare le contrapposte esigenze dando prevalenza all’una piuttosto che all’altra; nel caso di accesso a documenti amministrativi privi di dati di terzi, viceversa, la posizione del privato cittadino dovrebbe qualificarsi in termini di diritto soggettivo, stante l’assenza di poteri discrezionali in capo alla PA.

Come accennato, il Cds, in adunanza plenaria, ha sposato la ricostruzione unitaria del diritto soggettivo ponendo in rilievo, a suffragio della propria soluzione, le innovazioni introdotte con la legge di riforma del procedimento amministrativo (l. 15/05) ed in particolare la qualifica dell’accesso come attinente ai livelli essenziali delle prestazioni, nonchè la specificazione della natura esclusiva della giurisdizione del G.A., affermando inoltre la strumentalità ed accessorietà dell’accesso, il quale presuppone una posizione giuridica sottostante, alla cui tutela è preordinato.

L’adesione alla tesi giurisprudenziale del diritto soggettivo determina conseguenze di non poco momento sotto l’aspetto processuale, in considerazione del fatto che il giudizio amministrativo avrebbe ad oggetto non l’atto, ma il rapporto: in primo luogo, in caso di mancata notifica al controinteressato, il GA disporrà l’integrazione del contraddittorio, in luogo della declaratoria di inammissibilità del ricorso; in secondo luogo, dovrebbe ammettersi la soluzione della controversia mediante arbitrato rituale di diritto (art.6 L. 205/00); in terzo luogo, sotto il profilo istruttorio, il G. potrà avvalersi della testimonianza; inoltre sarà possibile impugnare eventuali provvedimenti sopravvenuti con l’istituto dei motivi aggiunti.

Un problema applicativo si è posto con riferimento alla questione della reiterabilità dell’istanza di accesso già oggetto di precedente diniego; nel caso in cui il provvedimento di diniego non sia stato impugnato nel termine decadenziale, l’Adunanza plenaria ha ritenuto che debba escludersi la reiterabilità dell’istanza poiché il termine di 30 gg. per l’impugnativa del diniego deve considerarsi perentorio. Questa soluzione, del resto, non è incompatibile con la qualifica di diritto soggettivo attribuita alla posizione del privato: infatti, anche il Codice civile prevede ipotesi di diritti soggettivi il cui esercizio è subordinato al rispetto di termini decadenziali, come nel caso della garanzia per i vizi e l’evizione, prevista a favore dell’acquirente. Ne deriva di conseguenza che a seguito del diniego di accesso, trascorso il termine decadenziale, non sarà più possibile reiterare l’istanza, salvo che, a fondamento della stessa, non si pongano elementi sopravvenuti o non individuati nella precedente istanza di accesso.

2) Il diritto alla riservatezza e l’ambito dei possibili conflitti con l’accesso.

Il diritto alla riservatezza, prima di ricevere specifico riconoscimento con la l. 675/1996, poi confluita nel Codice della Privacy (D. Lgs. 196 del 2003), ha ottenuto progressivo riconoscimento da parte della giurisprudenza che ne ha individuato le radici nell’art. 2 Cost.; il contenuto della riservatezza è stato individuato, in un primo tempo, nel diritto a non subire interferenze non autorizzate nella propria sfera privata, mentre, in un secondo momento, ha assunto i più specifici connotati del diritto a mantenere il controllo dei dati personali e professionali che concorrono ad individuare ciascun soggetto.

A tal proposito pare opportuno rilevare che l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale è giunta a riconoscere la possibilità che sia titolare della riservatezza non solo una persona fisica, ma altresì una persona giuridica, seguendo la più generale direzione dell’estensione alle persone giuridiche dei diritti della personalità, tradizionalmente allocati in capo alle persone fisiche: in tal senso la giurisprudenza in un noto precedente ha ritenuto che un partito politico possa essere titolare del diritto all’identità personale in seguito alla lesione del quale il partito stesso ha diritto al risarcimento del danno; analogamente a dirsi con riferimento all’ipotesi del c.d. danno da tangente per lesione dell’immagine della P.A.

Passando ad analizzare i rapporti che intercorrono tra accesso e riservatezza, pare opportuna una premessa che consente di delimitare l’ambito della questione: un possibile conflitto tra accesso e riservatezza può sussistere solamente nel caso in cui l’accesso abbia ad oggetto documenti che contengono dati personali di terzi, dal momento che, nella diversa ipotesi di accesso a documenti amministrativi non contenenti dati personali altrui manca il conflitto tra le due posizioni, poiché manca un diritto alla riservatezza che possa confliggere con il diritto di accesso.

3) I criteri regolatori del conflitto, tra ponderazione degli interessi in gioco ed indispensabilità dell’accesso.

Delimitata l’indagine alle ipotesi di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali altrui, pare opportuno procedere distinguendo i diversi periodi temporali, poiché gli interventi normativi che si sono susseguiti hanno regolato in modo diverso tra loro i rapporti tra accesso e riservatezza.

Dopo l’entrata in vigore della l. 241/90, ma prima della l. 675/96, si è ritenuto che l’accesso ai documenti amministrativi prevalesse sulla riservatezza, sia per la mancanza di una disciplina ad hoc in tema di riservatezza, sia per l’esigenza di tutela della ratio di trasparenza dell’azione amministrativa espressa con la l. 241/90.

Questa soluzione è stata confermata anche dopo l’entrata in vigore della l.675/96, ma si è posto il problema dei dati sensibili, per i quali parte della giurisprudenza ha ritenuto escludere l’accesso. Questa problematica è stata poi risolta nel ’99, allorquando il legislatore ha stabilito che per i dati super-sensibili l’accesso è ammissibile solo se il diritto da far valere è di rango almeno pari rispetto a quello dell’interessato; tale innovazione è stata recepita all’art. 60 del codice della Privacy.

L’attuale disciplina contenuta nel codice della Privacy, anche a seguito delle innovazioni introdotte con la l. 15/2005, risolve il conflitto accesso-riservatezza dettando un disciplina di carattere eterogeneo che distingue tre ipotesi: documenti contenenti dati comuni, documenti contenenti dati super-sensibili e documenti contenenti dati sensibili o giudiziari.

In caso di accesso a documenti contenenti dati comuni, il Codice della Privacy rinvia alla disciplina contenuta nella l. 241/90, la quale riconosce la prevalenza dell’accesso, a condizione che lo stesso sia finalizzato alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici. Prima del 2005 l’ostensibilità subiva una limitazione modale consistente nel limitarsi a prendere visione del documento, con esclusione della possibilità di ottenere il rilascio di copia; dopo la riforma del 2005 tale limitazione è stata cancellata.

Nel caso di accesso a documenti contenenti dati sensibilissimi, l’art.60 del codice della Prvacy, come detto, ne subordina l’ammissibilità alla necessità di tutelare un diritto di rango almeno pari rispetto a quello dell’interessato; val la pena ricordare, tuttavia, che il Garante ha ritenuto che la disposizione vada interpretata nel senso che, oltre alla ponderazione sul rango dei diritti in conflitto, si debba effettuare la verifica della necessarietà o meno dell’accesso ai fini dell’esercizio dell’azione giudiziale: in questo modo, il Garante aggiunge, in via interpretativa, al requisito della ponderazione del rango degli interessi in conflitto, l’ulteriore requisito dell’indispensabilità dell’accesso ai fini della cura o difesa dell’istante, pur non espressamente previsto dal legislatore.

Tale ultimo requisito, viceversa, è stato espressamente previsto dal legislatore del 2005 in caso di accesso a documenti contenenti dati sensibili o giudiziari: si è stabilito, infatti, che l’accesso a documenti contenenti dati sensibili o giudiziari è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini di cui all’art. 60 ove attenga a dati super-sensibili. In relazione a questo aspetto sono state prospettate due interpretazioni: secondo una prima tesi il legislatore avrebbe accomunato i dati sensibili e giudiziari a quelli attinenti a salute e sesso; secondo altra prevalente ricostruzione, il rinvio all’art. 60 riguarderebbe l’ipotesi di accesso a documenti contenenti dati super-sensibili e non dati sensibili. Aderendo a quest’ultima soluzione si è concluso nel senso che per i dati sensibili e giudiziari l’accesso è stato consentito non in base ad una ponderazione tra interesse sotteso all’istanza del richiedente ed interesse del titolare dei dati personali, bensì in base alla sola valutazione relativa all’indispensabilità dell’accesso ai fini della tutela della posizione del richiedente.

Ne risulta un quadro eterogeneo dei rapporti tra accesso e riservatezza, tale da mostrare la scelta del legislatore di fissare il criterio risolutore del conflitto nella natura dei dati personali del terzo e nell’entità del vulnus alla sua riservatezza: laddove il vulnus sia più intenso (dati sensibili e super-sensibili), l’accesso è consentito a condizioni più restrittive, laddove il vulnus sia meno pregiudizievole per il titolare dei dati (dati comuni), l’accesso è consentito a condizioni meno restrittive.

4) L’eterogeneità della disciplina che regola il conflitto accesso – riservatezza e la sua possibile incidenza sulla natura dell’accesso.

A questo punto, rilevata l’eterogeneità della disciplina relativa ai rapporti tra accesso e riservatezza, è possibile trarre alcune conseguenze sulla natura del diritto di accesso.

Nel caso di accesso a documenti amministrativi contenenti dati comuni di terzi, poichè manca una ponderazione tra i diversi interessi in gioco, si dovrebbe escludere la sussistenza di un potere discrezionale della P.A., dal momento che la P.A. si limita ad accertare se l’accesso è preordinato o meno alla cura dei propri interessi giuridici; trattandosi di attività vincolata della P.A., si è sostenuto che l’istante sarerbbe titolare di un diritto soggettivo; tuttavia parte della dottrina esclude che a fronte dell’attività vincolata sia possibile rinvenire solamente posizioni di diritto soggettivo, prospettando la presenza di interessi legittimi pur a fronte di un’attività vincolata della P.A., poichè è possibile che il vincolo all’agere pubblicistico sia finalizzato a tutelare interessi non privati, ma pubblici.

Diversamente, nel caso di accesso a documenti contenenti dati super-sensibili, dovendo la P.A. ponderare l’interesse dell’istante con quello del titolare dei dati in questione, è stata prospettata un’attività discrezionale della P.A., a fronte della quale la posizione del richiedente dovrebbe qualificarsi in termini di interesse legittimo (di tipo pretensivo).

Nell’ipotesi di dati sensibili e giudiziari, la valutazione della P.A. si fonda sulla stretta indispensabilità dell’accesso ai fini della tutela della propria posizione: a queste condizioni dovrebbe prospettarsi ugualmente un’attività discrezionale della P.A. ed una speculare posizione di interesse legittimo del privato.

Nelle diverse ipotesi in cui l’accesso ai documenti non confligga con interessi alla riservatezza dei dati personali, in tal caso, mancando un sindacato discrezionale della parte pubblica, dovrebbe ravvisarsi una posizione di diritto soggettivo del privato, analogamente al caso di accesso ai propri dati personali non contenuti in documenti amministrativi: in quest’ultimo caso non trova applicazione la l.241/90, bensì l’art.7 del codice della Privacy.