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La postergazione dei finanziamenti anomali dei soci

Applicabilità alle società per azioni
finanziamenti anomali
finanziamenti anomali

Indice:

1. La sottocapitalizzazione nominale e la traslazione del rischio sui creditori sociali

2. I diversi orientamenti: la tesi restrittiva

3. La tesi estensiva: l’applicabilità a tutti i soci della s.p.a.

4. I recenti approdi della Suprema Corte

5. Considerazioni conclusive
 

1. La sottocapitalizzazione nominale e la traslazione del rischio sui creditori sociali

Uno degli strumenti essenziali per stimolare un potenziale imprenditore ad intraprendere una nuova attività economica, senza, però, essere costretto a rischiare l’intero patrimonio, è il riconoscimento della responsabilità limitata.

A differenza delle società di persone ove, generalmente, il socio è illimitatamente responsabile per i debiti sociali, le società di capitali sono contraddistinte dalla c.d. “autonomia patrimoniale perfetta”, grazie alla quale i soci rispondono per le obbligazioni assunte dall’ente limitatamente alle somme da essi conferite (c.d. capitale di rischio).

Il riconoscimento di tale beneficio, però, ha un prezzo. Infatti, la limitazione del rischio dei soci ha quale contraltare la traslazione di parte del rischio d’impresa a carico dei creditori sociali, amplificato da eventuali comportamenti opportunistici dei soci, i quali potrebbero dotare la società delle risorse necessarie per lo svolgimento dell’attività principale solo in parte mediante capitale di rischio (nella misura minima necessaria ex lege) e fornire l’eccedenza ricorrendo a finanziamenti (c.d. capitale di credito) secondo gli schemi di un comune rapporto creditizio, così da figurare anch’essi come creditori della società.

La condizione di sottocapitalizzazione nominale identifica proprio la situazione in cui versa una società che, pur non fornita di mezzi propri sufficienti al perseguimento dell’oggetto sociale, è posta nelle condizioni di esercizio dell’attività d’impresa grazie all’apporto di capitale di credito.

Inoltre, con il sopraggiungere di una situazione di crisi, il rischio dei creditori aumenta. Infatti, ai primi segnali di dissesto, i soci risultano ancor più incentivati a sovvenzionare le operazioni di salvataggio mediante la dotazione di capitale di credito in luogo di conferimenti: in caso di successo dell’operazione di salvataggio, il socio sarebbe remunerato sia quale fornitore del capitale di credito (riconoscimento di interessi sul capitale) sia quale fornitore del capitale di rischio (sotto forma di utile in proporzione alla propria partecipazione sociale); in caso d’insuccesso, al contrario, il socio non avrebbe quasi mai la possibilità di recuperare i propri conferimenti ma sarebbe legittimato a concorrere con gli altri creditori sociali, per il credito vantato a titolo di finanziamento, nella liquidazione dell’attivo fallimentare, ai sensi degli articoli 52 e 92 e seguenti Legge Fallimentare.

Peraltro, il mantenimento in vita di un’impresa ormai decotta induce l’ulteriore rischio di una possibile erosione della residua massa attiva, sulla quale i creditori terzi avrebbero potuto soddisfarsi ove fosse avviata una procedura di sistemazione concordata della crisi o di liquidazione fallimentare.  

Con la riforma del diritto societario del 2003, che ha introdotto nel nostro ordinamento l’articolo 2467 Codice Civile – nonché l’articolo 2497 quinquies Codice Civile, di cui si parlerà a breve - il legislatore, sulla falsariga di altri sistemi europei, ha intrapreso un’azione volta a contrastare la condizione di sottocapitalizzazione nominale delle società di capitali, così da “evitare che il rischio correlato all’impresa priva di adeguati mezzi propri sia posto a carico dei creditori esterni” (il Tribunale di Milano, sez. XV, il 3 giugno 2019, sentenza n. 5259).

L’articolo 2467 Codice Civile dispone, infatti, che i crediti dei soci di società a responsabilità limitata derivanti da finanziamenti “anomali” – cioè erogati alla società in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata, l’indebitamento risulta eccessivo rispetto al patrimonio netto oppure quando la situazione finanziaria avrebbe reso ragionevole un conferimento a capitale – siano postergati rispetto al soddisfacimento degli altri creditori sociali. Non solo, al secondo periodo del primo comma, prevede che ove il rimborso sia stato effettuato entro l’anno antecedente alla sentenza di fallimento, si debba procedere alla sua revoca.

Il legislatore della riforma non ha inteso, però, operare una “riqualificazione forzata” del finanziamento anomalo, il quale rimane, comunque, un vero e proprio debito della società e non è, quindi, assimilabile né ad un conferimento né ad un c.d. “apporto spontaneo”.

Ciò rilevato, non ci si occuperà, in questa sede del tema della qualificazione del versamento del socio, dei dubbi sui presupposti oggettivi della norma né dell’eventuale operatività della postergazione durante societate; piuttosto, oggetto del presente elaborato sarà la possibilità di applicare la regola enunciata anche oltre le società a responsabilità limitata e, in particolare, alle società per azioni.

Salta subito all’occhio del lettore, infatti, come il legislatore, nel tentativo di riequilibrare il rapporto tra capitale di rischio e di credito, si sia limitato al solo ambito della disciplina della s.r.l., nonostante il rischio della sottocapitalizzazione nominale sia fisiologico in ogni modello societario caratterizzato dalla limitazione della responsabilità.

Per tale ragione, uno dei principali problemi interpretativi, sul quale sono stati versati fiumi di inchiostro, è quello della possibile applicazione analogica della postergazione dei finanziamenti anomali ad altri modelli societari.

 

2. I diversi orientamenti: la tesi restrittiva

Le soluzioni sino ad ora prospettate possono essere ricondotte, principalmente, a due macro-filoni interpretativi, uno restrittivo ed uno estensivo, che, ora, sinteticamente, si procederà ad illustrare.

Il filone restrittivo ha radicalmente negato ogni tipo di interpretazione estensiva e/o analogica della disposizione, attribuendole carattere eccezionale e ricavandone, conseguentemente, l’incompatibilità con tutti gli altri modelli societari.

Tale tesi si basa su alcuni capisaldi: la diversa collocazione della norma, solo nell’ambito delle s.r.l.; la maggiore frequenza dei finanziamenti, in luogo dei conferimenti, nelle società medio-piccole; la profonda differenza dei poteri gestori dei soci, sia in termini partecipativi che di informazione e, infine, sulla contrapposizione tipologica tra i due modelli, s.r.l. ed s.p.a., che, dopo la riforma, rendono l’applicazione delle disposizioni da un tipo all’altro operazione estremamente delicata, avendo la riforma del diritto societario profondamente mutato la fisionomia della s.r.l. accentuandone l’autonomia ed affrancandola radicalmente dalla disciplina della s.p.a., sulla quale, prima, risultava appiattita.

Ulteriore argomento utilizzato dal filone in analisi, è il rilievo che la disciplina del finanziamento dei soci nelle s.p.a. sarebbe stata indirettamente prevista dal legislatore, con la previsione della facoltà di emettere strumenti finanziari partecipativi (articolo 2346 comma 6 Codice Civile) ed assegnare in misura non proporzionale le azioni ai soci (articolo 2346 comma 4 Codice Civile) legittimando i c.d. “conferimenti atipici”, escludendo, con tale escamotage, l’esistenza di una lacuna che renda necessario il ricorso all’analogia.

In merito, però, calzante rilievo avanzato sull’utilizzo dell’articolo 2346 Codice Civile è che esso regola la raccolta di mezzi propri da parte dell’organismo societario, lasciando impregiudicata la possibilità, da parte del socio, di concedere ulteriori finanziamenti nel quadro di un classico rapporto creditizio.

In secondo luogo, il problema della sottocapitalizzazione e delle modalità di finanziamento anomalo, come già precedentemente accennato, sono fenomeni diffusi in molte società a base azionaria ristretta, indipendentemente dal tipo; inoltre, l’introduzione dell’articolo 2497 quinquies Codice Civile, che estende la regola della postergazione ai finanziamenti infragruppo al di là dei confini delle s.r.l. e della stessa qualità di socio, rende applicabile l’articolo 2467 Codice Civile, in astratto, a qualsiasi tipo societario, purché appartenente al gruppo e beneficiaria di un finanziamento da parte dell’esercente l’attività di direzione e coordinamento.

L’orientamento restrittivo, peraltro sostenuto anche da autorevole dottrina, non ha mai avuto convinto seguito da parte della giurisprudenza, se non in sporadiche occasioni.

 

3. La tesi estensiva: l’applicabilità a tutti i soci della s.p.a.

Gli artefici della tesi estensiva sostengono che l'articolo 2467 Codice Civile, letto unitamente all'articolo 2497-quinquies, avrebbe la funzione di far emergere, nel sistema del diritto societario, un principio di ordine generale di corretto finanziamento dell'impresa sociale, come tale applicabile a ogni tipo di società di capitali.

Un primo filone all’interno della corrente estensiva ritiene, conseguentemente, che il presupposto unico sarebbe ravvisabile nel “diritto di concorrere alla definizione del livello di capitalizzazione dell’impresa” e, quindi, la “legittimazione a prendere parte alle deliberazioni dell’organo cui compete definire quel livello”, cioè l’assemblea dei soci.

Logica conseguenza di tale assunto è l’estensione della postergazione legale anche alle s.p.a., poiché ogni socio titolare di azioni ordinarie è legittimato a concorrere nelle deliberazioni assembleari.

Pertanto, secondo tale tesi, la selezione della postergazione si fonderebbe sulla titolarità del diritto di voto in assemblea, che controbilancerebbe il potere di partecipare alla definizione del rapporto di indebitamento tra mezzi propri e quelli forniti dai terzi, come anche delle informazioni a cui i soci potrebbero attingere prima di deliberare o effettuare il finanziamento.

Tale indirizzo risulta, però, criticabile. Infatti, tale ultima condizione decritta ricorre in particolare in capo ai soci delle s.r.l., capaci di impedire molte decisioni e titolari dei penetranti poteri informativi garantiti dall’articolo 2476 Codice Civile mentre, al socio di s.p.a. non titolare di un potere di controllo, è preclusa sia l’influenza deliberativa che il potere di monitoraggio informativo.

Per sanzionare il finanziamento del socio con la postergazione, non sembra sufficiente la mera “legittimazione a concorrere” ma la concreta possibilità di ingerenza nella determinazione del livello di capitalizzazione dell’impresa, congiunto alla effettiva conoscenza delle condizioni critiche della beneficiaria del finanziamento.

Correttivo della prima tesi estensiva

Secondo altra corrente che sostiene la lettura estensiva della disposizione, in base al combinato dagli articoli 2467 e 2497 quinquies Codice Civile, la postergazione non sarebbe estensibile a tutti i soci di s.p.a legittimati ad esprimere il proprio indirizzo in assemblea ma, invece, solo a quei soci delle società per azioni che, per entità o qualità partecipativa, possano essere in concreto assimilabili ai soci di società a responsabilità limitata.

In breve, l’iter argomentativo muove dal presupposto che la portata dell’articolo 2497 quinquies Codice Civile, nel quale, come già anticipato, non si opera una distinzione del tipo societario beneficiario del finanziamento, indurrebbe a ritenere che il legislatore abbia inteso circoscrivere l’ambito di applicazione della regola non già in ragione del tipo societario, ma in ragione del socio autore del finanziamento, introducendo, in tal modo, un accertamento che si incentra sulle qualità soggettive del soggetto finanziatori.

Infatti, in entrambe le fattispecie (s.r.l. e gruppi di società) il soggetto finanziatore dispone di ampi diritti di informazione ed esercita una influenza sulle scelte di gestione della società finanziata. Seguendo tale indirizzo, risulta possibile estendere la postergazione dei finanziamenti anomali dei soci, ad esempio, nelle società per azioni a controllo familiare. 

 

4. I recenti approdi della Suprema Corte

Tale conclusione è suffragata da un recente indirizzo giurisprudenziale, che ha preso le mosse dalla sentenza n. 14056/2015, la quale, però, pur nella sua autorevolezza, non esplicita limpidamente le considerazioni di cui sopra, limitandosi ad individuare nell’articolo 2497 quinquies Codice Civile un principio sanzionatorio valevole per tutte le società “chiuse” di modeste dimensioni e, comunque, a ristretta base azionaria o a carattere familiare.

L’anzidetta mancanza di un solido iter argomentativo ed una successiva pronuncia del 2016 della medesima sezione (Cass. Civ. sez. I., 20 maggio 2016, sentenza n. 10509), la quale ha affrontato il tema dell’applicabilità della disciplina dettata dall’articolo 2467 Codice Civile nell’ambito di una società cooperativa, poi fallita, hanno dato adito ad alcune critiche dottrinali, basate proprio sul presupposto che tale ultima decisione criticasse l’indirizzo estensivo, osteggiando il ricorso ad ogni tipo di operazione ermeneutica teleologica.

Come si illustrerà analizzando la predetta pronuncia, ogni critica deve essere respinta, in quanto muove da una errata lettura della sentenza in analisi.

Infatti, in tale pronuncia, i Giudici di Legittimità, hanno sì dato effettivamente atto che la tesi estensiva sostenuta dalla Cassazione opera una svalutazione della rilevanza distintiva dell’appartenenza ad un gruppo ma, a ciò si limitano, in quanto, nel caso di specie, hanno affermato che la disciplina dettata dall’articolo 2467 Codice Civile non sarebbe applicabile alle società cooperative “ per la mancanza di un espresso richiamo normativo, come anche di un’affinità di tipo sociale”( tra le cooperative e le s.r.l.).

Con riferimento all’espresso richiamo normativo, infatti, l’articolo 2519 Codice Civile (“Norme applicabili”) dispone che, per quanto non previsto dal presente titolo (VI°), sono applicabili alle società cooperative le norme sulle s.p.a., in quando compatibili; in alternativa, ove ne sia fatta espressa menzione nell’atto costitutivo, sono applicabili le norme sulle società a responsabilità limitata che rispettino determinate soglie quantitative.

La Corte sottolinea come, ai fini dell’applicabilità della disciplina delle s.r.l., “l’atto costitutivo della cooperativa non ne prevedesse espressamente l’applicabilità e, in merito al criterio dettato per l’applicabilità delle norme delle società per azioni, queste non riproducono l’effettivo postergativo previsto dall’articolo 2467 Codice Civile” ed il dato letterale non potrebbe essere neppure eluso da un’interpretazione teleologica che faccia leva sullo scopo della norma di evitare la traslazione del rischio d’impresa sui creditori sociali, che non può consentire il valicamento dei limiti oggettivi di applicabilità direttamente derivanti dal dato testuale dell’articolo 2519 comma 2 Codice Civile, come anche della diversa collocazione sistematica della norma.

In sintesi, risulta inammissibile una interpretazione estensiva/analogica mancando una disposizione espressa nella s.p.a.; in particolare, come nel caso di specie, quando la diversità del tipo (s.p.a. e cooperative) corrisponde anche ad una diversità di causa, rispettivamente, lucrativa e mutualistica.

Partendo da queste premesse, la Corte afferma che non sarebbe neppure invocabile l’orientamento estensivo riportato dalla sentenza n. 14056/2015, evidenziando la mancanza di un’affinità di tipo sociale, in quanto le società cooperative sono rette da principi, contrapposti ed estranei a quelli imperanti nelle società lucrative, volti a contenere, se non sminuire, proprio l’influenza del singolo socio sulle scelte gestionali dell’impresa, che è il requisito non prescindibile per l’estensione (anche analogica) della disciplina del finanziamento anomali dei soci.

Ad ulteriore suffragio delle proprie argomentazioni, la Corte evidenzia la circostanza che il socio che effettuò il finanziamento fosse anche “socio sovventore”, a cui ex lege è sottratto il controllo delle maggioranze in seno agli organi sociali, con conseguente impossibilità di indirizzare le scelte gestionali ed influire con manovre sul capitale e che, peraltro, il finanziamento erogato dallo stesso socio sovventore (compagnia finanziaria partecipata dal Ministero dello sviluppo economico) avesse natura di vera e propria sovvenzione pubblica, finalizzata a salvaguardare il livello occupazionale ai sensi della c.d. Legge Marcora, il cui credito, pertanto, non sarebbe comunque assoggettabile alla disciplina della postergazione.

Peraltro, tale pronuncia, tra i suoi passaggi, ha evidenziato un altro argomento proprio a sostegno della tesi estensiva, rappresentato dall'articolo 182-quater, comma 3, Legge Fallimentare, il quale, accordando la prededucibilità dei crediti per i finanziamenti in funzione ed in esecuzione di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione (in deroga agli articoli 2467 Codice Civile e 2479 quinquies Codice Civile) non procede per distinzioni a seconda del tipo societario.

Ora, dopo un’attenta lettura, possiamo affermare, quasi con certezza, che la sentenza del 2016 della prima sezione della Corte di Cassazione non si discosti affatto dall’indirizzo intrapreso con la sua precedente pronuncia ma, tutt’altro, pare averne rinforzato la fondatezza, chiarendo la sua portata ed evitandone un utilizzo forzato.

Dello stesso avviso paiono gli stessi Giudici della prima sezione che, a distanza di oltre due anni, nel 2018, sono tornati sul tema.

Dopo aver sostanzialmente avallato l’indirizzo seguito dai Giudici della prima sezione nel 2015, gli stessi hanno correttamente evidenziato, in linea con i precedenti rilievi, come tale principio non sia neppure contraddetto dal successivo arresto della sezione (sentenza n. 10509/2016), il quale ha escluso la postergazione a proposito dei crediti dei soci finanziatori di società cooperative. A loro dire, però, l’esito della suddetta pronuncia sarebbe ancorata essenzialmente all'ambito applicativo della Legge 27 febbraio 1985, n. 49, articolo 17 (cd. legge Marcora) che ha previsto l'erogazione di denaro pubblico in favore delle cooperative, e che, in quanto norma eccezionale, assumerebbe prevalenza sulla previsione dettata dall'articolo 2467 Codice Civile.

Per quanto dirimente e opportuno, l’ultimo intervento della Suprema Corte (2018) riduce l’iter logico utilizzato dai Giudici nel 2016 al solo carattere eccezionale della Legge Marcora che, però, nelle motivazioni della Corte, viene affrontato solo incidentalmente, dopo aver già escluso la possibilità di un’applicazione estensiva dell’articolo 2467 Codice Civile.

Al punto 6 della sentenza n. 16291/2018, la Suprema Corte, in breve, poi, puntualizza in qual senso operi la verifica di verosimiglianza della condizione di estensione dell’articolo 2467 Codice Civile, “che può certo essere dedotta su base presuntiva (in ragione delle ridotte dimensioni della società) ma si sostanzia, in ultima analisi, nell’essere i soci finanziatori della s.p.a. in posizione concreta simile a quelle dei soci finanziatori della s.r.l.”.

Ulteriore conclusione a cui perviene la Corte è che la sola condizione del “socio-amministratore” della società finanziata, può essere considerata alla stregua di elemento fondante una presunzione assoluta di conoscenza della situazione anomala in cui versa la beneficiaria, in quanto lo stesso sarebbe titolare di quei poteri gestori e informativi che caratterizzano sia i soci di s.r.l. che, nell’ambito dei gruppi di società, coloro i quali esercitino l’attività di direzione e coordinamento.

 

5. Considerazioni conclusive

Ad ogni modo, attenendoci al solo diritto vivente, devono essere accolte con favore le recenti pronunce della Corte di legittimità che, pare, stia consolidando un orientamento univoco sul tema.

A ben vedere, in una prospettiva de iure condendo, ci si potrebbe anche spingere oltre, circoscrivendo l’ambito applicativo della regola di postergazione a parametri più delineati.

Infatti, seguendo l’approdo della Corte di Cassazione, l’applicazione della regola è tutt’ora ancorata a parametri troppo incerti: l’estensione della postergazione dei finanziamenti anomali dei soci che, in concreto, abbiano poteri paragonabili a quelli dei soci di s.r.l. o di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento nell’ambito dei gruppi soffre di alcune debolezze.

Viene svalorizzare la differenza di poteri tra i soci non amministratori di s.p.a. e quelli di s.r.l. che è ben marcata e definita; inoltre, si rischia di far cadere nel vuoto il concetto di direzione e coordinamento, che il nuovo Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza ha, invece, valorizzato, introducendo una disciplina organica dei gruppi in crisi, i quali vengono identificati proprio in base a quell’attività di direzione e coordinamento definita ai sensi dell’articolo 2497 Codice Civile.

Al fine di evitare contraddizioni e storture su un tema centrale che, peraltro, collega il diritto societario e concorsuale, la migliore soluzione è ancorare l’applicazione della suddetta regola, magari con un opportuno intervento legislativo, al socio amministratore unico di s.p.a., evitando di svuotare troppo di significato lo status di gruppo e valorizzando la figura centrale che lì amministratore riveste nella gestione dell’ente.

Il collegamento sistematico potrebbe risiedere proprio nella normativa delle s.p.a., precisamente in una valorizzazione dell’articolo 2380 bis Codice Civile che prevede la gestione dell’impresa solo agli amministratori (sia di diritto che di fatto), “anche” non soci.

L’ultima congiunzione utilizzata dal legislatore evidenzia come non sia così scontato che nelle s.p.a. la persona non abbia rilevanza, come sostenuto da alcuni fautori della teoria restrittiva, ma, anzi, in un ordinamento come quello italiano, ove sono molto frequenti le imprese familiari (anche di notevoli dimensioni), la scissione tra titolarità dell’azione ed amministrazione è tutt’altro che scontata.

La norma, inoltre, esclude che chi non possa essere ricondotto alla figura dell’amministratore possa gestire l’impresa, rinvigorendo le disposizioni che caratterizzano i soci non amministratori delle s.r.l., titolari di poteri – articolo 2476 commi 2 e 3 Codice Civile in primis – esercitabili anche in modo strumentale per influenzare gli amministratori stessi nelle loro scelte; poteri che, invece, nelle s.p.a. non sono contemplati.

Questi temi e altri in materia di Diritto Societario e Corporate Governance sono approfonditi nel Master in Avvocato d’Affari e nel Master Giurista d’Impresa di MELIUSform Business School.