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La primavera dell’uomo

Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro, 1498-1499
Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro, 1498-1499

Le tre prigionie

Spesso mi è capitato di meditare sul parallelismo che la liturgia della Veglia Pasquale propone fra la Risurrezione del Signore ed altri due momenti della storia della salvezza, ossia la creazione e l’esodo dall’Egitto.

Di recente ho trovato una esposizione tanto esplicita quanto antica di questa analogia in un ciclo di omelie scritte da Eliseo l’Armeno, un autore del V secolo dopo Cristo[1]. Egli propone come punto di contatto fra questi tre momenti il mese di Nisan, nel quale la legislazione mosaica poneva la pasqua ebraica[2]: l’autore, cogliendo il legame di questo periodo dell’anno con la primavera, lo presenta come scelto da Dio per esplicare l’elemento comune a questi episodi biblici. Se infatti la primavera è la stagione che scioglie la morsa dell’inverno, permettendo così l’esplosione della vita, allora ognuna di queste fasi della Salvezza porterà sarà caratterizzata da questi due momenti: la liberazione e l’esplosione vitale.

Ripercorrendo brevemente la riflessione di Eliseo, vediamo che considera della creazione il ritiro delle acque dalla terra: solo quando questa viene liberata allora può esplodere nella ricchezza della vita vegetale[3]. Il mare, spesso preso nella Scrittura come simbolo del male[4], è visto da Eliseo come un elemento opprimente quella potenza vitale della terra che, dopo la sua liberazione, esprime tutta la sua varietà. Ancora più esplicito è l’episodio dell’Esodo: un elemento di costrizione, ossia la dominazione egiziana, diventa occasione di liberazione e, di conseguenza, anche dell’esplosione vitale del popolo ebraico nell’Alleanza mosaica[5].

Utilizzando quindi questa lettura, basata sul binomio liberazione - esplosione vitale, Eliseo propone una chiave ermeneutica della Salvezza non semplicemente come passaggio dalla schiavitù alla libertà, bensì più propriamente dalla delimitazione alla piena espressione di sé[6].

 

La vita è libera

Continuando a riflettere sulle implicazioni di questo binomio, vediamo che il momento precedente alla liberazione, ossia l’oppressione, si presenta come negazione della piena vitalità. Difatti è lecito affermare che se la rimozione di un elemento produce la massima espressione di ciò che ne subisce l’influsso, allora detto elemento esercita un’impropria delimitazione alla vitalità del soggetto.

Riprendendo i tre momenti, vediamo che prima del ritiro delle acque la terra, che pure esisteva, era limitata alla sua funzione di sostegno, di substrato per i vasti mari; solo dopo può esprimere appieno la sua natura diventando madre di una vasta moltitudine di forme di vita. Allo stesso modo, prima della liberazione il popolo ebraico era concepito, dagli egiziani, solo in virtù di due elementi: la sua capacità lavorativa ed il pericolo potenziale che costituiva. La stessa negazione da parte del faraone del diritto di rendere omaggio a Dio[7] può essere letta come un rifiuto di considerarlo sotto ogni aspetto. Anche in questo caso, come detto sopra, solo la liberazione consente alla comunità di esprimersi appieno, raggiungendo il suo culmine nella costituzione dell’Alleanza del Sinai.

Applicando quest’analisi alla Salvezza operata da Cristo con la Sua Pasqua, vediamo che la condizione di peccato dalla quale Egli ci libera non è solamente una limitazione alla libertà, ma anche e soprattutto un circoscrivere l’uomo. Se quindi il male, che attanaglia il cuore umano, è qualcosa che limita la concezione dell’uomo stesso ad alcuni suoi aspetti, lasciandone altri nell’ombra, allora è necessario concludere che noi non sappiamo davvero cosa sia l’umanità.

 

L’uomo vero

Non si può negare infatti che per conoscere davvero qualcosa bisogna riuscire a concepirne, se non proprio a comprenderne, tutti gli aspetti. Ecco che se l’uomo, ossia la nostra stessa natura, è dal peccato ridotto ad una versione più piccola e ristretta di sé, allora chi non è stato liberato da Cristo non conosce davvero l’umanità ma solo quella scimmiottatura che il male propone.

Chi è immerso nell’errore assomiglia, in un certo senso, ad un terreno secco che, privo della possibilità di produrre frutti, si concepisce solo alla luce delle più basse fra le sue peculiarità, come quella di essere calpestato.

Alla luce di ciò scopriamo che la Salvezza operata da Cristo con la Santa Pasqua non è semplicemente una meravigliosa possibilità che si offre all’umanità, bensì una vera e propria ricreazione, nella quale impariamo a “[…] rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità[8]”.

Gesù Risorto quindi non rivela ai suoi soltanto la Volontà del Padre, ma anche quell’umana realtà che avevamo dimenticato. Solo così possiamo comprendere, secondo me, quel senso di attrazione e di sconcerto che il Signore, con la Sua vita e con il Suo insegnamento, lascia nei nostri cuori; una percezione di alterità verso l’umanità a noi nota che però pretende di essere letta alla luce di una profonda e misteriosa sensazione di appartenenza.

Nella Santa Pasqua, all’interno di quell’Alleanza Nuova che Cristo ha istituito a prezzo del Suo sangue, noi abbiamo la possibilità di manifestare al massimo la vitalità che ci è stata concessa e che in Gesù ha trovato la sua perfetta espressione. Non più legati ad una percezione distorta di noi stessi, ad un senso di nudità che dipinge il nostro essere come staccato da Dio[9], ci si apre quella primavera spirituale i cui frutti, proprio come l’umanità redenta di Cristo, ci appaiono tanto alieni quanto visceralmente familiari.

A fronte di ciò, l’invito che lascio a tutti voi, cari lettori, è lo stesso che rivolgo anche al mio cuore: non abbiate paura del domani. Lasciate cioè che la Santa Pasqua sia un’occasione per fiorire, per germogliare in quella bellezza che rende gloria al Creatore e che trasforma anche la morte in una dolce sorella che ci conduce, in silenzio, alla nostra primavera.

 

[1] Cf. Eliseo l’Armeno, Sulla Passione, Morte e Risurrezione del Signore (a cura di Riccardo Pane), ESD, Bologna 2010.

[2] Es 12, 1-3.

[3] Gen 1, 9-13.

[4] Questa associazione è la base della simbologia battesimale; cf. Mc 1, 9-11.

[5] Es, 1-24.

[6] Per la riflessione qui brevemente esposta cf. Eliseo l’Armeno, Sulla Passione (ed. cit.), pp. 29.35.

[7] Es 5, 6-9.

[8] Ef 4, 24.

[9] Gen 3, 7.

Testo consigliato:

  • Eliseo l’Armeno, Sulla Passione, Morte e Risurrezione del Signore (a cura di Riccardo Pane), ESD, Bologna 2010.