x

x

La reintroduzione del contratto di lavoro a chiamata o "job on call"

Ratio, presupposti ed effetti della fattispecie contrattuale
LA REINTRODUZIONE

Come noto, questa particolare tipologia di contratto di lavoro era stata quasi del tutto abrogata dalla Legge 24 dicembre n. 247/2007 (c.d. Finanziaria 2008). Tuttavia, il combinato disposto dei commi 10, lett. M, e 11 dell’articolo 39 del D.L. 112/2008, poi convertito in legge 133/2008, ha abrogato le disposizioni contenute nelle legge “Finanziaria 2008”, così reintroducendo appieno nel nostro ordinamento la figura contrattuale del contratto a chiamata.

IL CONTRATTO DI LAVORO A CHIAMATA

La riforma sul diritto del lavoro (così detta "Riforma Biagi") aveva introdotto nel nostro ordinamento dall’articolo 33 all’articolo 40 del Decreto Legislativo n. 276/03 il contratto di lavoro a chiamata (o job-on-call). Detta figura contrattuale era, ed è tuttora, finalizzata a soddisfare sia specifiche necessità di flessibilità nell’ambito lavorativo sia l’esigenza di regolarizzare i tanti lavoratori irregolari.

Il contratto de quo consiste in un contratto di lavoro mediante il quale il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro per fornire prestazioni lavorative discontinue. In generale, i contratti collettivi (in mancanza il ministero del Lavoro) stabiliscono le condizioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto succitato.

La fattispecie negoziale in esame necessita della forma scritta e si può stipulare sia a tempo indeterminato sia a termine. Inoltre, la figura in questione deve contenere gli elementi essenziali quali previsti dall’articolo 35 del decreto Biagi (le esigenze che giustificano il ricorso al lavoro a chiamata, la sua durata, l’indicazione dei tempi e delle modalità con cui il datore può richiedere la prestazione, il trattamento economico e normativo, i tempi di corresponsione della retribuzione e, se prevista, dell’indennità di chiamata nonchè le misure di sicurezza specifiche per l’attività lavorativa considerata).

Al lavoratore intermittente deve essere garantito il medesimo trattamento normativo, economico e previdenziale riconosciuto ai colleghi di pari livello. L’importo minimo dell’indennità di chiamata è fissato dai contratti collettivi di settore, e non può essere inferiore a circa il 20% della retribuzione mensile prevista per quel determinato tipo di impiego.

È escluso il ricorso al lavoro intermittente nei casi elencati dall’articolo 34 del Dlgs 276/03, come, per esempio, nella sostituzione dei lavoratori in sciopero o se l’azienda abbia eseguito licenziamenti collettivi nei 6 mesi precedenti.

L’INDENNITA’ DI CHIAMATA

L’elemento caratterizzante detti contratti è l’istituto dell’indennità di chiamata. Infatti, i contratti ricompresi nella suddetta categoria possono essere connotati dalla previsione o meno della succitata indennità. Nel primo caso il lavoratore si impegna a rispondere alla chiamata e pertanto, nell’ipotesi di mancata chiamata, ha comunque diritto all’indennizzo predetto; nel secondo, invece, non è vincolato e quindi non gode dell’indennizzo in questione.

Tale principio vale anche per i contratti a chiamata stipulati per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, che sono i più diffusi nella pratica, ma con una particolarità: se viene pattuito che lavoratore sia obbligato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, il lavoratore stesso ha diritto a percepire l’indennità di disponibilità solo se la chiamata arriva effettivamente. In questa ipotesi, il datore di lavoro deve versare l’indennità per tutto il periodo di inattività precedente e seguente alla chiamata. Se, al contrario, il datore non lo chiama per tutta la durata del rapporto, fermo restando l’obbligo del lavoratore di “essere a disposizione” dell’altro, il datore stesso non è tenuto a pagargli alcunchè. Il lavoro intermittente previsto per i week-end, che corrisponde alla fattispecie di massima utilizzo della figura contrattuale de qua, segue questa disciplina.

Come detto sopra, l’importo minimo dell’indennità di chiamata è fissato dai contratti collettivi di settore, e non può essere inferiore a circa il 20% della retribuzione mensile.

PROBLEMATICHE APPLICATIVE RIGUARDO ALLE FERIE ED AL TRATTAMENTO PREVIDENZIALE

L’applicazione del contratto a chiamata ha dato luogo ad alcune problematiche, soprattutto riguardo agli istituti delle ferie e del trattamento di previdenza.

Innanzitutto, l’articolo 38 II comma Legge Biagi stabilisce che “il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente e’ riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonchè delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità, congedi parentali”.

Con tale articolo si prescrive esplicitamente che il lavoratore deve ricevere un trattamento economico e normativo “complessivamente” non inferiore a quello di un altro dipendente, dello stesso livello, a parità di mansioni svolte, assunto con normale contratto di lavoro a tempo determinato o determinato. Ciò significa che, in proporzione (principio del “pro rata temporis”, rinvenibile d’altro canto anche nei rapporti a tempo parziale), il trattamento a cui il lavoratore ha diritto deve essere riconosciuto sulla base del lavoro effettivamente svolto, sia per la retribuzione globale che per le ferie nonchè per trattamenti di malattia e di infortunio sul lavoro, la maternità, le malattie professionali ed i congedi parentali.

In particolare, le ferie nell’ordinamento italiano sono istituto necessario e non rinunciabile previsto esplicitamente dall’articolo 36 III comma della Costitutuzione e dall’art. 2109 II comma codice civile. Pertanto, una eventuale negazione, rinuncia o la mancata disciplina del singolo contratto di lavoro riguardo alle ferie comporta l’applicazione d’imperio della normativa delle ferie come prevista dei maggiori contratti a livello nazionale riguardanti quello specifico settore lavorativo.

Inoltre, in base ad uno specifico richiamo dell’articolo 38 II comma della legge Biagi, viene maturato il diritto alle ferie in proporzione al lavoro svolto. Diritto che, a sua volta, se non “utilizzato”, viene convertito in proporzionale retribuzione sulla busta paga. Infine, è necessario tenere presente che, sempre in tema di ferie e riposi non goduti, le relative erogazioni pecuniarie avrebbero, in base ad un orientamento giurisprudenziale ed in forza del carattere retributivo, una prescrizione di cinque anni, che decorrerebbe dal momento in cui viene meno il rapporti di lavoro (Cass. Civ. 927/1989). Viceversa, in forza di un differente orientamento, l’obbligazione predetta, per il contenuto risarcitorio, sarebbe soggetta alla prescrizione decennale, decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro (Cass. Civ. 827/1992).

Stesso discorso vale quanto allo stato di malattia e/o infortunio sul lavoro, previsti inderogabilmente dall’articolo 38 II comma della costituzione e dall’articolo 2110 codice civile.

Infatti, la Legge Biagi dispone che, nel caso in cui lo stato di malattia o di infortunio sia avvenuto durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, valgono le regole generali sul lavoro subordinato (cosa che non si verifica nei periodi di inattività), e che, se compatibili, si applicano tutti gli istituti normativi e previdenziali concernenti il lavoro subordinato in genere.

Quindi, anche nell’ipotesi di mancata previsione nel contratto di lavoro, il lavoratore gode del diritto al trattamento di malattia come un lavoratore con contratto “ordinario”.

POSSIBILITA’ DI TRASFORMAZIONE IN UN RAPPORTO DI LAVORO “ ORDINARIO” A TEMPO DETERMINATO O INDETERMINATO

Quanto all’ipotesi di continuità temporale effettiva nell’impiego del lavoratore “a chiamata”, alla luce dell’esame specifico della legge Biagi e degli interventi normativi seguenti, non è previsto da nessuna norma che, in caso di insussistenza della discontinuità lavorativa, sia possibile la trasformazione del rapporto di lavoro o a tempo determinato o a tempo indeterminato.

D’altro canto, si potrebbe argomentare sulla mancanza di un presupposto essenziale dell’applicazione del contratto a chiamata, cioè la sussistenza in capo al datore delle esigenze che giustificherebbero un impiego intermittente, disattendendo così l’articolo 35 legge Biagi.

Inoltre, come accade con una certa frequenza all’atto pratico, si potrebbe fare valere la tesi che la forma di contratto a chiamata è stata scelta solo per privare, o comunque renderne difficile ed incerto il godimento, i lavoratori del diritto al godimento alle ferie, ai permessi retribuiti o al trattamento previdenziale in caso di malattia.

Tale argomentazione, infatti, potrebbe discendere da una applicazione per analogia dell’articolo 27, comma 1, del D. L.vo n. 276/2003 dettata per il lavoro irregolare, ove, in presenza di fattispecie del tutto analoghe, il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale ex articolo 414 c.p.c., la conversione della forma del contratto di lavoro.

E’ comunque chiaro che, una eventuale trasformazione del rapporto di lavoro non opererebbe “di diritto”, ma presupporrebbe un ricorso in tal senso al giudice del lavoro.

LA REINTRODUZIONE NEL NOSTRO ORDINAMENTO

Infine, come detto sopra, questa tipologia di contratto di lavoro è stata abrogata dalla Legge 24 dicembre n. 247 (c.d. Finanziaria 2008). La figura de qua non era scomparsa, però, totalmente dall’ordinamento: infatti, continuavano ad essere efficaci i contratti sottoscritti prima dell’entrata in vigore della Finanziaria 2008 e, inoltre, nei settori del turismo e dello spettacolo si potevano ancora stipulare specifici contratti per lo svolgimento di prestazioni durante il fine settimana, nelle festività, nei periodi di vacanze scolastiche e ulteriori casi. Invece, l’articolo 39 del D.L. 112/2008, poi convertito in legge 133/2008, ha abrogato le disposizioni contenute nelle legge “Finanziaria 2008”, ed ha reintrodotto, senza limitazioni di sorta, nel nostro ordinamento la fattispecie contrattuale sopra descritta.

LA REINTRODUZIONE

Come noto, questa particolare tipologia di contratto di lavoro era stata quasi del tutto abrogata dalla Legge 24 dicembre n. 247/2007 (c.d. Finanziaria 2008). Tuttavia, il combinato disposto dei commi 10, lett. M, e 11 dell’articolo 39 del D.L. 112/2008, poi convertito in legge 133/2008, ha abrogato le disposizioni contenute nelle legge “Finanziaria 2008”, così reintroducendo appieno nel nostro ordinamento la figura contrattuale del contratto a chiamata.

IL CONTRATTO DI LAVORO A CHIAMATA

La riforma sul diritto del lavoro (così detta "Riforma Biagi") aveva introdotto nel nostro ordinamento dall’articolo 33 all’articolo 40 del Decreto Legislativo n. 276/03 il contratto di lavoro a chiamata (o job-on-call). Detta figura contrattuale era, ed è tuttora, finalizzata a soddisfare sia specifiche necessità di flessibilità nell’ambito lavorativo sia l’esigenza di regolarizzare i tanti lavoratori irregolari.

Il contratto de quo consiste in un contratto di lavoro mediante il quale il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro per fornire prestazioni lavorative discontinue. In generale, i contratti collettivi (in mancanza il ministero del Lavoro) stabiliscono le condizioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto succitato.

La fattispecie negoziale in esame necessita della forma scritta e si può stipulare sia a tempo indeterminato sia a termine. Inoltre, la figura in questione deve contenere gli elementi essenziali quali previsti dall’articolo 35 del decreto Biagi (le esigenze che giustificano il ricorso al lavoro a chiamata, la sua durata, l’indicazione dei tempi e delle modalità con cui il datore può richiedere la prestazione, il trattamento economico e normativo, i tempi di corresponsione della retribuzione e, se prevista, dell’indennità di chiamata nonchè le misure di sicurezza specifiche per l’attività lavorativa considerata).

Al lavoratore intermittente deve essere garantito il medesimo trattamento normativo, economico e previdenziale riconosciuto ai colleghi di pari livello. L’importo minimo dell’indennità di chiamata è fissato dai contratti collettivi di settore, e non può essere inferiore a circa il 20% della retribuzione mensile prevista per quel determinato tipo di impiego.

È escluso il ricorso al lavoro intermittente nei casi elencati dall’articolo 34 del Dlgs 276/03, come, per esempio, nella sostituzione dei lavoratori in sciopero o se l’azienda abbia eseguito licenziamenti collettivi nei 6 mesi precedenti.

L’INDENNITA’ DI CHIAMATA

L’elemento caratterizzante detti contratti è l’istituto dell’indennità di chiamata. Infatti, i contratti ricompresi nella suddetta categoria possono essere connotati dalla previsione o meno della succitata indennità. Nel primo caso il lavoratore si impegna a rispondere alla chiamata e pertanto, nell’ipotesi di mancata chiamata, ha comunque diritto all’indennizzo predetto; nel secondo, invece, non è vincolato e quindi non gode dell’indennizzo in questione.

Tale principio vale anche per i contratti a chiamata stipulati per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, che sono i più diffusi nella pratica, ma con una particolarità: se viene pattuito che lavoratore sia obbligato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, il lavoratore stesso ha diritto a percepire l’indennità di disponibilità solo se la chiamata arriva effettivamente. In questa ipotesi, il datore di lavoro deve versare l’indennità per tutto il periodo di inattività precedente e seguente alla chiamata. Se, al contrario, il datore non lo chiama per tutta la durata del rapporto, fermo restando l’obbligo del lavoratore di “essere a disposizione” dell’altro, il datore stesso non è tenuto a pagargli alcunchè. Il lavoro intermittente previsto per i week-end, che corrisponde alla fattispecie di massima utilizzo della figura contrattuale de qua, segue questa disciplina.

Come detto sopra, l’importo minimo dell’indennità di chiamata è fissato dai contratti collettivi di settore, e non può essere inferiore a circa il 20% della retribuzione mensile.

PROBLEMATICHE APPLICATIVE RIGUARDO ALLE FERIE ED AL TRATTAMENTO PREVIDENZIALE

L’applicazione del contratto a chiamata ha dato luogo ad alcune problematiche, soprattutto riguardo agli istituti delle ferie e del trattamento di previdenza.

Innanzitutto, l’articolo 38 II comma Legge Biagi stabilisce che “il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente e’ riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonchè delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità, congedi parentali”.

Con tale articolo si prescrive esplicitamente che il lavoratore deve ricevere un trattamento economico e normativo “complessivamente” non inferiore a quello di un altro dipendente, dello stesso livello, a parità di mansioni svolte, assunto con normale contratto di lavoro a tempo determinato o determinato. Ciò significa che, in proporzione (principio del “pro rata temporis”, rinvenibile d’altro canto anche nei rapporti a tempo parziale), il trattamento a cui il lavoratore ha diritto deve essere riconosciuto sulla base del lavoro effettivamente svolto, sia per la retribuzione globale che per le ferie nonchè per trattamenti di malattia e di infortunio sul lavoro, la maternità, le malattie professionali ed i congedi parentali.

In particolare, le ferie nell’ordinamento italiano sono istituto necessario e non rinunciabile previsto esplicitamente dall’articolo 36 III comma della Costitutuzione e dall’art. 2109 II comma codice civile. Pertanto, una eventuale negazione, rinuncia o la mancata disciplina del singolo contratto di lavoro riguardo alle ferie comporta l’applicazione d’imperio della normativa delle ferie come prevista dei maggiori contratti a livello nazionale riguardanti quello specifico settore lavorativo.

Inoltre, in base ad uno specifico richiamo dell’articolo 38 II comma della legge Biagi, viene maturato il diritto alle ferie in proporzione al lavoro svolto. Diritto che, a sua volta, se non “utilizzato”, viene convertito in proporzionale retribuzione sulla busta paga. Infine, è necessario tenere presente che, sempre in tema di ferie e riposi non goduti, le relative erogazioni pecuniarie avrebbero, in base ad un orientamento giurisprudenziale ed in forza del carattere retributivo, una prescrizione di cinque anni, che decorrerebbe dal momento in cui viene meno il rapporti di lavoro (Cass. Civ. 927/1989). Viceversa, in forza di un differente orientamento, l’obbligazione predetta, per il contenuto risarcitorio, sarebbe soggetta alla prescrizione decennale, decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro (Cass. Civ. 827/1992).

Stesso discorso vale quanto allo stato di malattia e/o infortunio sul lavoro, previsti inderogabilmente dall’articolo 38 II comma della costituzione e dall’articolo 2110 codice civile.

Infatti, la Legge Biagi dispone che, nel caso in cui lo stato di malattia o di infortunio sia avvenuto durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, valgono le regole generali sul lavoro subordinato (cosa che non si verifica nei periodi di inattività), e che, se compatibili, si applicano tutti gli istituti normativi e previdenziali concernenti il lavoro subordinato in genere.

Quindi, anche nell’ipotesi di mancata previsione nel contratto di lavoro, il lavoratore gode del diritto al trattamento di malattia come un lavoratore con contratto “ordinario”.

POSSIBILITA’ DI TRASFORMAZIONE IN UN RAPPORTO DI LAVORO “ ORDINARIO” A TEMPO DETERMINATO O INDETERMINATO

Quanto all’ipotesi di continuità temporale effettiva nell’impiego del lavoratore “a chiamata”, alla luce dell’esame specifico della legge Biagi e degli interventi normativi seguenti, non è previsto da nessuna norma che, in caso di insussistenza della discontinuità lavorativa, sia possibile la trasformazione del rapporto di lavoro o a tempo determinato o a tempo indeterminato.

D’altro canto, si potrebbe argomentare sulla mancanza di un presupposto essenziale dell’applicazione del contratto a chiamata, cioè la sussistenza in capo al datore delle esigenze che giustificherebbero un impiego intermittente, disattendendo così l’articolo 35 legge Biagi.

Inoltre, come accade con una certa frequenza all’atto pratico, si potrebbe fare valere la tesi che la forma di contratto a chiamata è stata scelta solo per privare, o comunque renderne difficile ed incerto il godimento, i lavoratori del diritto al godimento alle ferie, ai permessi retribuiti o al trattamento previdenziale in caso di malattia.

Tale argomentazione, infatti, potrebbe discendere da una applicazione per analogia dell’articolo 27, comma 1, del D. L.vo n. 276/2003 dettata per il lavoro irregolare, ove, in presenza di fattispecie del tutto analoghe, il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale ex articolo 414 c.p.c., la conversione della forma del contratto di lavoro.

E’ comunque chiaro che, una eventuale trasformazione del rapporto di lavoro non opererebbe “di diritto”, ma presupporrebbe un ricorso in tal senso al giudice del lavoro.

LA REINTRODUZIONE NEL NOSTRO ORDINAMENTO

Infine, come detto sopra, questa tipologia di contratto di lavoro è stata abrogata dalla Legge 24 dicembre n. 247 (c.d. Finanziaria 2008). La figura de qua non era scomparsa, però, totalmente dall’ordinamento: infatti, continuavano ad essere efficaci i contratti sottoscritti prima dell’entrata in vigore della Finanziaria 2008 e, inoltre, nei settori del turismo e dello spettacolo si potevano ancora stipulare specifici contratti per lo svolgimento di prestazioni durante il fine settimana, nelle festività, nei periodi di vacanze scolastiche e ulteriori casi. Invece, l’articolo 39 del D.L. 112/2008, poi convertito in legge 133/2008, ha abrogato le disposizioni contenute nelle legge “Finanziaria 2008”, ed ha reintrodotto, senza limitazioni di sorta, nel nostro ordinamento la fattispecie contrattuale sopra descritta.