La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (caso UBER): una nuova prospettiva?

*Contributo sottoposto con esito positivo a referaggio secondo le regole della rivista
Abstract
Il presente commento ha lo scopo di formulare alcune riflessioni in merito alla tematica della gestione della salute e della sicurezza dei lavoratori alla luce delle considerazioni contenute nel provvedimento con cui il Tribunale di Milano, il 3.3.2021, ha revocato la misura dell’amministrazione giudiziaria in precedenza disposta a carico di UBER ITALY SRL.
Abstract
The purpose of this article is to formulate some reflections on the issue of the management of the health and safety of workers in the light of the considerations contained in the provision whereby the Court of Milan, on 3.3.2021, revoked the measure of judicial administration previously ordered against UBER ITALY SRL.
Sommario
1. Breve descrizione della vicenda processuale
2. Il contesto normativo di riferimento
3. La Decisione del Tribunale di Milano
Summary
1. Brief description of the case
2. The legal framework
3. The Decision of the Court of Milan
1. Breve descrizione della vicenda processuale
Con il decreto in esame il Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, ha revocato l’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34 c. 1 D. Lvo 159/2011 (come sostituito dalla Legge 161/2017) disposta nei confronti di UBER ITALY SRL (di seguito Uber) a fronte dell’ipotesi accusatoria di cui all’art. 603-bis c.p.
In particolare, era stata ritenuta sussistente un’attività agevolatrice da parte di Uber rispetto alla realizzazione della menzionata fattispecie di “Intermediazione illecita e sfruttamento di lavoro” da parte di cinque manager della stessa società e da parte di società cosiddette “fleet partners” (Flash Road City e FRC SRL), che erano legate ad Uber da un contratto di “prestazione tecnologica”, ma che, secondo l’impostazione accusatoria, si occupavano della selezione, del reclutamento e della gestione di flotte dei riders. [1]
Secondo la ricostruzione accolta dal Tribunale, Uber operava nel mercato italiano attraverso due differenti modalità: la prima, ricorrente e tipicamente utilizzata nella prassi delle piattaforme del ventunesimo secolo, vedeva la gestione diretta da parte di Uber dei propri riders (formalmente prestatori di lavoro autonomo o occasionale per Uber) ai quali venivano indirizzati gli ordini che si perfezionavano tra il consumatore ed il ristoratore mediante l’utilizzo della medesima piattaforma.
La seconda, introdotta successivamente per far fronte alle richieste di alcune catene di ristorazione, è stata censurata dalla Procura e dal Tribunale, poiché giudicata integratrice della fattispecie di cui all’art. 603-bis c.p. Tale modalità vedeva una interposizione degli intermediari (“fleet partner”) legati contrattualmente ad Uber, i quali gestivano e reclutavano direttamente le “flotte”.
Nello specifico, poi, dalla prospettazione accusatoria, sarebbe emersa la piena consapevolezza da parte di alcuni manager di Uber della illecita gestione dei riders ad opera delle “fleet partner”, fatto che ha portato il Tribunale ad applicare la misura di cui all’art. 34 D. Lvo 159/2011, al fine di consentire il risanamento della compagine societaria, ripristinando la legalità all’interno della stessa.
Per quanto attiene, più nello specifico, il tema oggetto della presente indagine, appare utile rimarcare che il Tribunale aveva censurato la gestione della sicurezza personale dei lavoratori, rappresentando all’amministratore giudiziario “la necessità … che particolari interventi fossero implementati nel perimetro della sicurezza personale dei lavoratori e ciò a prescindere dalla natura giuridica del rapporto di lavoro instaurato con i c.d. rider”[2].
Nel quadro testé brevemente descritto, appare di sicuro rilievo notare come il Tribunale di Milano, sin dalla fase applicativa della misura, avesse individuato nel Modello organizzativo di cui al D. Lvo 231/2001 uno strumento imprescindibile per il raggiungimento dei fini di legalità auspicati dalla medesima autorità giudiziaria, tanto da richiedere uno specifico approfondimento circa l’esistenza e l’idoneità del Modello «per prevenire fattispecie di reato ricollegabili all’art. 603-bis c.p. e quindi disfunzioni di illegalità aziendali come quelle accertate»[3].
A fronte della chiara indicazione del Tribunale, Uber si è subito adoperata nel perseguimento di una nuova “etica” aziendale, focalizzandosi sull’adozione – ex novo – di un Modello organizzativo di cui era sprovvista, manifestando, così, una concreta disponibilità sul piano della collaborazione positiva, razionale e continuativa con l’amministratore giudiziario.
Il provvedimento qui in esame si è quindi soffermato nell’analisi di alcuni protocolli adottati nell’ambito del modello organizzativo realizzato, esprimendo alcune considerazioni che, con specifico riguardo al tema della sicurezza sul lavoro, saranno qui di seguito approfondite.
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