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L’abuso di dipendenza economica nel digitale. Perché no?

La Corte di Cassazione ha chiarito da tempo che l’istituto dell’istituto dell’abuso di dipendenza economica esplicita il principio generale dell’abuso del diritto
L’abuso di dipendenza economica nel digitale
L’abuso di dipendenza economica nel digitale

Premessa

In Italia la Corte di Cassazione ha chiarito da tempo che l’istituto dell’istituto dell’abuso di dipendenza economica esplicita il principio generale dell’abuso del diritto e come tale si applica a ogni rapporto, orizzontale e verticale.

Più di recente il Governo, sull’abbrivio delle nuove regole sui mercati digitali (DMA), ha proposto un’integrazione alla disciplina, così da favorire l’accountability dei mercati digitali. Ci si riferisce al DDL Concorrenza, sui cui vale la pena fare un pò di chiarezza.


DDL Concorrenza

L’articolo 29 del DDL Concorrenza si propone di integrare l’istituto dell’abuso di dipendenza economica introducendo, all’art. 9:

  • il comma 1-bis: una presunzione di dipendenza economica nel caso di impresa che utilizza servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che abbia un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati. Ad esempio, se per il servizio cloud, Google dovesse nel tempo chiedere condizioni peggiorative, l’utilizzatore potrebbe rivolgersi al giudice o all’Antitrust e, provata la predominanza di Google nei suoi confronti, potrebbe invocare l’abusività delle condizioni contrattuali praticategli. Google, d’altra parte, potrebbe sempre dimostrare l’assenza di predominanza per potersi l’utilizzatore rivolgere in ogni momento ad altro prestatore, senza ostacoli.
  • il comma 2: un elenco di pratiche che possono integrare un abuso di dipendenza economica, quali: rifiuto di vendere o di comprare, imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, anche retroattive, interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio fornito, richiesta di indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta.

In concreto, l’articolo 29 ricorre ad una presunzione (relativa, cioè superabile fornendo prova contraria) quando le imprese si devono necessariamente affidare ad una piattaforma digitale come intermediario per raggiungere il consumatore finale. Inoltre, la norma integra l’elenco (non tassativo) delle pratiche abusive, arricchendole di ipotesi, formulate sì in termini generali, ma che appaiono suggerite dall’esperienza dei rapporti tra le grandi piattaforme digitali e le imprese che si avvalgono dei loro servizi di intermediazione.


Pros e contra

L’intervento normativo risulta in linea:

  • con il razionale, lo spirito e la finalità dell’istituto dell’abuso della dipendenza economica, presente nel nostro ordinamento dal 1998, che “attribuisce rilievo non alla posizione dominante di un’impresa sul mercato, ma all’abuso e allo squilibrio delle imprese nell’ambito di un rapporto negoziale”;
  • con i principi di difesa e al contraddittorio propri del nostro ordinamento, in quanto la presunzione introdotta dalla norma è superabile, fornendo prova dell’assenza dello stato di dipendenza economica del soggetto che si rivolge alla piattaforma con posizione predominante (per esempio per accessibilità a fonti alternative sul mercato);
  • con l’ambito di applicazione dell’istituto, che i giudici nazionali e l’Antitrust, estendono a qualunque rapporto negoziale asimmetrico tra imprese;
  • con le scelte operate in altri Stati membri, che disciplinano gli squilibri tra imprese (Germania, Francia e Belgio)  anche, ovvero specificamente, nei mercati digitali;
  • con gli sforzi europei di riequilibrio dei rapporti sui mercati digitali, attraverso l’introduzione di regolazioni ex ante (DMA e DSA);
  • con la nuova proposta di regolamento Data Act, che codifica a livello europeo l’istituto della dipendenza economica nel mercato dei dati.

Certo, si potrebbe dire, e alcuni sostengono, che la nuova previsione nuoce al mercato e alle imprese, introducendo una disciplina e una presunzione che non ha eguali nel diritto europeo della concorrenza. E si potrebbe aggiunge che con l’approvazione delle nuove regole europee sui mercati digitali, l’art. 29 non è più necessario.


Un pò di chiarezza

Mentre è più che lecito pensarla diversamente, è doveroso fare chiarezza dal punto di vista tecnico:

  1. la presunzione non è un mostro ma è una tecnica giuridica che già esiste e viene applicata anche nel diritto antitrust europeo, in particolare – e con la maggiore forza della presunzione assoluta – sui ritardi nei pagamenti (non tiene quindi l’obiezione della contrarietà al diritto europeo e al 117 Cost.);
  2. nel digitale, vi sono analoghe discipline nazionali anche o specificamente verso le grandi piattaforme. In Germania, ad esempio, è stata introdotta una nuova forma di dipendenza economica nei mercati a due versanti: un’impresa che fornisce servizi essenziali di intermediazione è anche soggetta al divieto di discriminazione se non ci sono possibilità e operatori alternativi per sostituire il servizio di intermediazioni originariamente fornito.
  3. Più in generale la presunzione è una tecnica che facilita la tutela di un diritto ma solo se questo diritto esiste e se è stato leso. In questo senso l’art. 29 è un formidabile incentivo ad adottare comportamenti virtuosi verso le imprese, così rafforzandone accountability.

Quanto all’altra obiezione, secondo cui con il DMA non ci sia più necessità di introdurre l’art. 29 del DDL Concorrenza, va precisato che Digital Markets Act e dipendenza economica sono discipline diverse che perseguono fini diversi. Il DMA è teso a garantire la contendibilità dei mercati attraverso obblighi e divieti.

Non solo il DMA si rivolge solo a pochi gatekeeper ma soprattutto in caso di violazioni, gli utilizzatori finali non godono di alcuna tutela, perché il DMA è disciplina di diritto pubblico e non di diritto privato. Insomma, l’istituto della dipendenza completa il DMA anziché sovrapporsi ad esso (un po’ come l’azione di classe rispetto all’illecito antitrust), consentendo di accedere alla giustizia civile o amministrativa se un diritto esiste e questo è stato violato. Né infine c’è sovrapposizione o contrasto formale, perché il DMA chiarisce da subito (come è ovvio) che la regolazione UE non incide, né interferisce sulla disciplina nazionale e men che meno su quella a tutela della concorrenza e dell’abuso di dipendenza economica.


Conclusioni

Difficile prevedere come andrà a finire e se l’art. 29 diventerà legge in Italia. L’auspicio è che nel decidere si faccia “uso della conoscenza come guida dell’azione”, come ci ammonirebbe oggi Federico Caffè.